"Titano" - читать интересную книгу автора (Varley John)6Avrebbero dovuto stabilire turni di guardia. Chissà perché si comportava come un’idiota, da quando era arrivata su Temi. Doveva abituarsi a quella bizzarra mancanza di suddivisioni orarie. Non potevano continuare a camminare finché non crollavano dal sonno. Gaby dormiva col pollice in bocca. Cirocco cercò di alzarsi senza svegliarla, ma fu impossibile. Gaby aprì gli occhi e borbottò qualcosa. — Hai fame anche tu? — chiese. — Forse le bacche non sono nutrienti. — Impossibile dirlo, per ora. Ma guarda lì. Potrebbe essere la nostra colazione. Gaby seguì con gli occhi l’indice di Cirocco. Un animale si stava abbeverando al torrente. In quel momento alzò la testa, le guardò da non più di venti metri di distanza. Cirocco era pronta a tutto. L’animale socchiuse gli occhi e riabbassò la testa. — Un canguro a sei zampe — disse Gaby. — E senza orecchie. L’animale era coperto da una peluria corta. Le due zampe posteriori erano abbastanza grandi, anche se non come quelle di un canguro. Le quattro zampe anteriori erano più piccole. Il pelo era color verde acceso e giallo. Non sembrava allarmato o sulla difensiva. — Sarebbe meglio vedere che dentatura ha. Ci darebbe qualche utile informazione. — Forse la cosa migliore è catturarlo — disse Gaby. Con un sospiro, si incamminò verso l’animale prima che Cirocco potesse fermarla. — Gaby, fermati — sussurrò Cirocco, cercando di non mettere in allarme l’animale. In quel momento s’accorse che Gaby aveva in mano una pietra. La creatura alzò di nuovo la testa. Il suo muso sarebbe sembrato molto buffo, in altre circostanze. La testa era rotonda, senza orecchie e senza naso; gli occhi erano dolci, enormi. In quanto alla bocca, sembrava che stesse suonando un’armonica; era larga il doppio della testa, persa in un sorriso folle. Con uno scatto delle quattro zampe posteriori, si alzò in aria di tre metri. Gaby, sbalordita, cadde a sedere per terra. Cirocco la raggiunge, cercò di toglierle di mano la pietra. — Andiamo, Gaby. Non ne abbiamo un bisogno così disperato. — Stai calma — rispose Gaby a denti stretti. — Lo sto facendo anche per te. — Si liberò dalla stretta di Cirocco e corse avanti. Con altri due salti, l’animale si era spostato di una ventina di metri. Ora, brucava tranquillamente l’erba a testa bassa. Alzò placidamente gli occhi quando Gaby si fermò a due metri da lui. Non doveva avere paura. Si rimise a brucare. Gaby esitò solo un attimo. Balzò sull’animale, alzò il braccio, lo colpì alla testa con la pietra e si tirò indietro. La bestia tossì, rabbrividì, cadde di fianco, restò immobile. Non successe più niente. Gaby gli si avvicinò, lo scosse con un piede. Non successe nulla, così lei gli si inginocchiò accanto. Non era più grande di un daino. Cirocco si sentiva vagamente disgustata, Gaby era senza fiato. — Pensi che sia morto? — Direi di sì. Però dovremo accertarcene. — Per me va bene. Gaby si passò una mano sulla fronte, poi colpì di nuovo la testa della creatura con la pietra, finché non ne uscì un sangue rosso. Cirocco rabbrividì. Gaby si pulì le mani sulle cosce. — Se vai a prendere un po’ di quei pezzi di legna, dovrei riuscire ad accendere un fuoco. — E come farai? — Non ti preoccupare. Portami la legna. Cirocco si riempì di legna le braccia. Poi, improvvisamente, si fermò a chiedersi da quando paby aveva cominciato a dare ordini. — Be’, in teoria doveva funzionare — disse Gaby, depressa. Cirocco diede un altro morso a quella carne che non voleva staccarsi dall’osso. Gaby si era data da fare per un’ora intera con un pezzo della sua tuta e con quella che sperava fosse una pietra focaia. Avevano tutti gli ingrendienti indispensabili per il fuoco; ma la scintilla non scoccava. In quell’ora, Cirocco aveva cambiato idea. Prima ancora che Gaby interrompesse i tentativi per accendere il fuoco, aveva capito di essere disposta a mangiare la carne cruda, e più che volentieri. — Questo animale non aveva predatori — disse Cirocco a bocca piena. La carne era meglio di quanto si aspettasse, ma un po’ di sale non avrebbe guastato. — Sembrava proprio di no — convenne Gaby. S’accoccolò dall’altro lato della carcassa e lasciò vagare lo sguardo oltre la spalla di Cirocco. Anche lei stava guardando nella stessa direzione. — Forse non esistono predatori abbastanza grandi da darci preoccupazioni. Il pranzo richiese un sacco di tempo perché non era facile masticare la carne cruda. Così, studiarono la carcassa dell’animale. Sembrava molto normale agli occhi poco addestrati di Cirocco. Chissà cosa ne avrebbe pensato Calvin. Carne, epidermide, ossa e pelo avevano colore e consistenza normali, e neppure il sapore era insolito. C’erano organi che Cirocco non riuscì a identificare. — La pelle dovrebbe servire a qualcosa — disse Gaby. — Potremmo usarla per farci dei vestiti. Cirocco arricciò il naso. — Usala pure tu, se vuoi. Tra un po’ puzzerà. E poi, qui fa caldo. Presero un osso della gamba da usare come arma. Cirocco spolpò la carcassa di una buona porzione di carne. Gaby si costruì una cintura con la pelle dell’animale e vi appese i resti della sua tuta. Poi ripresero a camminare. Videro altre creature simili a quella che avevano uccisa, sole o in gruppi di tre o sei. C’erano altri animali che salivano su e giù per i tronchi degli alberi a una velocità tale che era quasi impossibile vederli, e altri ancora che se ne stavano fermi ai margini del corso d’acqua. Tutti si lasciavano avvicinare facilmente. Esaminarono gli animali degli alberi, scoprirono che sembravano senza testa. Erano sfere blu di pelo corto, con sei zampe che spuntavano qua e là, e riuscivano a correre in tutte le direzioni. La bocca si trovava sotto il corpo, al centro di una miriade di zampe. Il paesaggio cominciò a cambiare. C’erano sempre più animali, e altri tipi di piante. Il fogliame rendeva verdastra la luce. Centomila passi equivalevano a una giornata di ventiquattro ore. Sfortunatamente, persero subito il conto. I tipi d’albero divennero centinaia, e fra loro si stendevano cespugli, piante rampicanti, vegetali parassiti. Le uniche due costanti erano date dal torrente, e dagli alberi di Temi. Ognuno di essi avrebbe meritato una targa e di essere inserito nel giro turistico del Parco nazionale delle sequoie. Svanì anche il silenzio che aveva accompagnato il primo giorno del loro viaggio: adesso la foresta gemeva, urlava, abbaiava. E la carne era sempre migliore. Mangiavano appoggiate al tronco di un albero troppo caldo, con la corteccia morbida e radici che creavano nel terreno rigonfiamenti più alti d’una casa. Le foglie si perdevano contro il cielo. — Mi sa che c’è più vita su questi alberi che al suolo — disse Cirocco. — Guarda lì — disse Gaby. — Qualcuno ha intrecciato quei rampicanti. Sgocciolano acqua. — Già. E come faremo a riconoscere una forma di vita intelligente, se ci fosse? Vedi, all’inizio io volevo impedirti di uccidere quell’animale proprio per questo motivo. Ormai sappiamo che sono inoffensivi. Perché non proviamo a parlare con loro? — Ma sono stupidi, non hanno nemmeno il cervello di una mucca. L’hai visto coi tuoi occhi. Comunque hai ragione. Sarebbe davvero orribile mangiare una creatura che sa parlare. Ehi, che cos’era? D’improvviso, tutti i rumori erano scomparsi. Solo il rumore dell’acqua e i sibili delle foglie rompevano il silenzio. Poi, in un crescendo così impercettibile da durare minuti, nacque il grande gemito. Dio potrebbe gemere a quel modo, se avesse perso tutto quello che ama e se possedesse una gola come la canna di un organo lunga chilometri. Il gemito continuò a crescere su un’unica nota, senza uscire dalla soglia più bassa dell’udito umano. Ma lo si sentiva nelle viscere, dietro gli occhi. Sembrava già che riempisse l’universo, eppure continuava a crescere. Sembrava che violoncelli e bassi elettrici si fossero uniti al gemito. Al di sopra di quel complesso tessuto musicale c’erano sibili supersonici. Il tutto divenne sempre più forte, anche se sembrava impossibile che potesse succedere. Cirocco pensò che le stesse esplodendo il cranio. Era a malapena consapevole del fatto che Gaby la stringeva a sé. Vennero sommerse da un mucchio di foglie morte che cadevano dall’alto, poi ci fu una pioggia di piccoli animali che correvano via da tutte le parti. Anche il suolo si mise a urlare, come se il pianeta volesse spezzarsi in due. Sopra di loro ci fu uno schianto. Un vento improvviso raggiunse la foresta, si portò via un gigantesco ramo. Gli alberi urlavano, gemevano, protestavano. La violenza della natura raggiunse un certo livello e lì si stabilizzò. I venti dovevano avere una velocità di sessanta chilometri orari. Più in alto, doveva essere ancora peggio. Le due ragazze erano rannicchiate dietro le radici degli alberi e osservavano la tempesta tutt’attorno a loro. Cirocco dovette urlare per farsi sentire sotto quell’immane brontolio. — Come credi che sia potuto arrivare così velocemente? — Non so — gridò Gaby. — Un riscaldamento o un raffreddamento a livello locale, un cambiamento enorme nella pressione atmosferica. Però non capisco da cosa dipenda. — Credo che il peggio sia passato. Ehi, stai battendo i denti. — Sì, ma non ho più paura. Ho freddo. Se n’era accorta anche Cirocco. La temperatura era scesa all’improvviso. Ormai dovevano essere a pochi gradi sopra zero. Si strinsero l’una all’altra, ma sembrava loro che il calore venisse succhiato via dalla schiena. — Dobbiamo rifugiarci da qualche parte — urlò. — Sì, ma dove? Nessuna delle due voleva spostarsi da lì. Cercarono di coprirsi di terriccio e di foglie, ma il vento portò via tutto. Quando ormai erano sicure che sarebbero morte congelate, il vento si fermò. Non diminuì; scomparve di colpo. Cirocco dovette spalancare e richiudere la bocca per riacquistare l’udito. — Accidenti, che cambiamento di pressione. Mai sentito nulla di simile. La foresta era di nuovo immersa nel silenzio. Poi Cirocco scoprì che riusciva ancora a percepire il fantasma di quel gemito spaventoso. Rabbrividì, e non per il freddo. Non aveva mai pensato a se stessa come a una donna con troppa immaginazione, ma quel gemito sembrava così umano, anche se su scala gigantesca. Faceva venire voglia di stendersi a terra e lasciarsi morire. — Non addormentarti, Rocky. C’è qualcos’altro. — Cosa? — Cirocco aprì gli occhi e vide un’impalpabile polvere bianca che cadeva dall’aria. Luccicava sotto quella pallida luce. — Direi che è neve. Si misero a correre più in fratta che potevano per impedire ai piedi di congelarsi; Cirocco era consapevole che era l’aria molto sottile che li salvava. Faceva freddo, e tanto per cambiare, anche il suolo era freddo. A Cirocco sembrava d’essere stata anestetizzata. Non poteva essere possibile. Lei era il Comandante di un’astronave: come sarebbe finita a correre a quel modo, nuda sotto una tempesta di neve? Ma la nevicata durò poco. A un certo punto ce n’erano alcuni centimetri a coprire il terreno, poi entrò in funzione il riscaldamento sotterraneo e si sciolse velocemente. Ben presto l’aria tornò a scaldarsi. Finalmente trovarono un posto sicuro nel terreno tornato caldo e s’addormentarono di colpo. Quando si svegliarono, la carne e la cintura di Gaby puzzavano. Buttarono via tutto e si lavarono nel fiume; poi Gaby uccise un altro degli animali che ormai chiamavano "sorrisoni". Cominciarono a sentirsi meglio dopo una colazione arricchita da alcuni dei frutti meno esotici che si trovavano in grandi quantità. A Cirocco ne piacque uno che somigliava a una pera ma che mangiò come si mangia un melone. Aveva un sapore che ricordava il formaggio. Adesso Cirocco si sentiva in forma. Avrebbe potuto affrontare un giorno intero di marcia, ma la cosa si dimostrò impossibile. Il torrente che le aveva guidate sino ad allora scompariva in una grande voragine alla base di una collina. Restarono a guardare lo specchio d’acqua, perplesse. Il rumore che usciva dalla voragine sembrava quello dello scarico di una vasca da bagno, alternato a gorgoglii improvvisi. Cirocco si tirò indietro, preoccupata. — Io sarò matta — disse — ma non può darsi che la cosa che ci ha ingoiate si rifornisca di acqua qui? — Può darsi. Certo non mi tufferò per scoprirlo. E adesso cosa facciamo? — Vorrei saperlo. — Potremmo tornare da dove abbiamo cominciato a guardarci attorno. — Gaby non sembrava entusiasta all’idea. — Accidenti, speravo proprio di trovare un buon punto d’osservazione. Credi che Temi sia tutto una foresta come questa? — Non ho informazioni a sufficienza, è ovvio — rispose Gaby. Cirocco meditò un attimo su quella frase. A quanto pareva, Gaby era disposta a lasciar decidere a lei. — Va bene. Per prima cosa saliamo in cima a questa collina e diamo un’occhiata in giro. Se non troviamo niente d’interessante, vorrei provare ad arrampicarmi su uno degli alberi. Forse dall’alto di una cima riusciremo a vedere qualcosa. Con una gravità così leggera non dovrebbe essere difficile. Gaby osservò attentamente un tronco. — Sono d’accordo per la gravità. Ma questo non ci garantisce che saremo in grado di riuscire a guardare al di sopra delle cime. — Lo so. Cominciamo a salire la collina. Il fianco della collina era alquanto scosceso. In certi punti dovettero usare mani e piedi. Fece strada Gaby, che aveva più esperienza di arrampicate in montagna. Era agile, molto più piccola e snella di Cirocco. Dopo un po’, Cirocco sentiva tutto il peso della differenza d’età. — Signore santissimo, vieni a vedere! — Cosa c’è? Cirocco si trovava indietro di alcuni metri. Quando alzò lo sguardo scorse solo le gambe e le natiche di Gaby da un punto di vista alquanto insolito. Quant’è strano, pensò, aver visto nudi tutti gli uomini dell’equipaggio e dover venire su Temi per vedere Gaby. Che strana creatura sembrava, così senza peli né capelli. — Abbiamo trovato il punto panoramico che cercavamo — disse Gaby, girandosi a darle una mano. In cima alla collina crescevano alberi, ma erano molto più piccoli degli altri. Per quanto ricchi di fogliame e di rampicanti che si intrecciavano, non superavano i dieci metri d’altezza. Cirocco aveva voluto scalare la collina per vedere cosa c’era sull’altro lato. Adesso lo sapeva: non esisteva un altro lato. Gaby era ferma a qualche metro dall’orlo di un precipizio. A ogni passo la visuale di Cirocco migliorava, abbracciando nuovi spazi. Quando arrivò a fianco di Gaby non riusciva ancora a vedere la parete del precipizio, ma aveva un’idea approssimativa della sua altezza. Erano chilometri di roccia. Il suo stomaco si contrasse. Erano affacciate a una finestra naturale, formata da un vuoto di venti metri fra gli alberi. Davanti a loro non c’era niente, solo duecento chilometri d’aria. Si trovavano sul margine esterno di Temi. Davanti a loro, lontana, un’ombra affilata che poteva essere un precipizio simile a quello su cui si trovavano loro. Sull’ombra si vedeva un terreno verde che diventava gradualmente bianco, poi grigio e finalmente giallo acceso, incurvandosi verso la zona traslucida della volta. Gli occhi di Cirocco tornarono al precipizio lontano. Sotto c’era altra terra verde, con nubi bianche sospese sopra il suolo o alte nel cielo. Sembrava di stare in cima a una montagna della Terra, tranne che per un particolare: il terreno sembrava piano finché non guardava a destra o a sinistra. Allora s’incurvava. Cirocco deglutì, piegò il collo, si spostò. Era incredibile vedere che il terreno, in lontananza, era più alto del punto in cui si trovava lei senza avere la minima pendenza. Si gettò a quattro zampe, per sentirsi più sicura, poi si avvicinò un po’ di più all’orlo dell’abisso e guardò verso sinistra. Lontana, una terra d’ombre sembrava piegata di fianco su se stessa. Un mare nero brillava nella notte, un mare che sembrava sempre sul punto di precipitarle addosso. Oltre il mare c’era un’altra zona di luce come quella che aveva davanti. Era impossibile spingersi oltre con lo sguardo: la visuale era bloccata dalla volta, che sembrava scendere fino a congiungersi con la terra. Ovviamente era un’illusione prospettica; la volta aveva la stessa altezza in ogni punto di Temi. Si trovavano al limite di una delle zone di luce continua. Alla sua destra, la linea di confine tra giorno e notte tagliava in due il terreno. Non era una linea netta, decisa; c’era una zona di crepuscolo ampia trenta-quaranta chilometri. Oltre quella zona c’era la notte, ma non le tenebre. Un mare enorme, grande due volte quello che aveva a sinistra, brillava come illuminato dal chiarore lunare. Sembrava un mare di diamanti. — Non è da quella parte che è venuto il vento? — chiese Gaby. — Sì, a meno che un’ansa del fiume non ci abbia fatto cambiare direzione. — Non credo. E direi che quello è ghiaccio. — Lo penso anch’io. Il mare ghiacciato terminava in un piccolo istmo, diventava un fiume che scorreva davanti a loro e andava a confluire nell’altro mare, traversando una zona di terreno brullo, montagnoso. Anche se lo vedeva, decise che la prospettiva la stava ingannando. Neanche su Temi l’acqua potrebbe scorrere in salita. Oltre il mare di ghiaccio c’era un’altra zona di luce, più luminosa e più gialla delle altre. Pareva un deserto di sabbia. Per raggiungerlo bisognava attraversare il mare ghiacciato. — Tre giorni e due notti — disse Gaby. — Le nostre teorie erano esatte. Avevo detto che da un punto qualsiasi si poteva vedere quasi metà dell’interno di Temi. Però non avevo tenuto conto di quelle. Cirocco seguì con gli occhi l’indice di Gaby e vide una serie di cose che sembravano corde. Partivano dalla terra sotto di loro e arrivavano fino alla volta. Di fronte a loro ce n’erano tre in fila l’una dietro l’altra, per cui la prima praticamente nascondeva le altre due. Cirocco le aveva già viste in precedenza, ma le aveva tralasciate perché non poteva capire tutto in una volta. Guardandole attentamente, Cirocco si sentì depressa: come tante cose su Temi, erano gigantesche. La più vicina poteva servire da esempio per tutte le altre. Era distante una cinquantina di chilometri, ma si poteva vedere che era composta da un centinaio di trefoli intrecciati. Ogni trefolo aveva un diametro di due o trecento metri. Impossibile distinguere altri particolari da quella distanza. Le tre corde si protendevano con forte inclinazione sopra il mare ghiacciato, salivano in alto per 150 chilometri o più fino a raggiungere la volta in un punto che doveva essere uno dei raggi visto dall’interno. Era una bocca conica, simile all’imboccatura di una tromba, che svasandosi sempre più formava la volta e i lati del margine esterno di Temi. Al limite estremo della svasatura, a circa 500 chilometri da loro, s’intuivano altre corde. Alla sinistra di Cirocco c’erano altri cavi, che però salivano in linea retta fino alla volta ricurva e vi scomparivano attraverso. Più oltre, altre file di corde salivano verso l’imboccatura svasata del raggio. Nei punti in cui raggiungevano il terreno, le corde formavano montagnole a base alquanto ampia. — Sembrano i cavi di un ponte sospeso — disse Cirocco. — Credo proprio che lo siano. Probabilmente arrivano tutti al centro comune. Temi è solo un ponte sospeso circolare. Cirocco si avvicinò all’orlo del precipizio, studiò i due chilometri che le separavano dal suolo sottostante. La parete era quasi perpendicolare quanto può esserlo una superficie irregolare. Solo verso il fondo si allargava in avanti a incontrare il terreno. — Non penserai di scendere da lì, per caso — disse Gaby. — Ci avevo pensato, ma non è che l’idea mi piaccia troppo. E poi, cosa potremmo trovare là sotto? Qui per lo meno sappiamo che è possibile sopravvivere. Ma quali erano le loro prospettive? Costruirsi una capanna con pezzi di legno e vivere di frutta e carne cruda? No. Cirocco sarebbe impazzita in un mese. Meglio l’avventura, anche se rischiosa. E poi, la terra là sotto era così bella. C’erano montagne ripidissime con laghi blu che parevano gioielli incastonati. Vedeva distese d’erba verde, foreste dense, e il grande mare immerso nella notte a est. Per quanti pericoli potesse nascondere, quel paesaggio era per lei un richiamo irresistibile. — Potremmo scendere servendoci di quei rampicanti — disse Gaby sporgendosi oltre l’orlo e indicando quella che poteva essere una possibile linea di discesa. La parete del precipizio era fitta di vegetazione. La foresta scendeva verso il basso come una cascata d’acqua. Alberi massicci crescevano sulla roccia nuda, saldamente abbarbicati. In quanto alla roccia, sembrava una formazione basaltica, un insieme molto compatto di colonne cristalline con grandi piattaforme esagonali nei punti in cui le colonne erano cadute. — Si può fare — disse Cirocco. — Però non è né facile né sicuro. Ci vuole un ottimo motivo per affrontare una discesa del genere. — Qualcosa di meglio dell’oscura urgenza che la spingeva a scendere, pensò. — Dài, nemmeno io voglio restare qui per sempre — disse Gaby, con un sorriso. — Allora i vostri guai sono finiti — disse una voce calma alle loro spalle. Tutti i muscoli del corpo di Cirocco si tesero. Mordendosi le labbra, indietreggiò fino a essere ben lontana dal precipizio. — Sono quassù. Vi aspettavo. Seduto sul ramo di un albero, coi piedi nudi che penzolavano per aria, c’era Calvin Green. |
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