"Il nemico dei Vor" - читать интересную книгу автора (Bujold Lois McMaster)CAPITOLO TERZOMiles si rimise in tasca il comunicatore e osservò il salone dei ricevimenti. La festa era al culmine: c’erano forse un centinaio di persone presenti, in una rutilante varietà di abiti terrestri, stravaganti fogge galattiche e un discreto pullulare di uniformi, a parte quelle barrayarane. Alcuni dei primi arrivati stavano già prendendo congedo, scortati dai barrayarani attraverso il controlli di sicurezza. I cetagandani se n’erano effettivamente andati, insieme ai loro amici. La sua fuga doveva quindi essere opportuna più che strategica. Ivan stava ancora chiacchierando con la sua bella compagna dall’altro lato della fontana e Miles gli si avvicinò senza tanti complimenti. «Ivan, trovati all’ingresso principale tra cinque minuti.» «Cosa?» «È un’emergenza, ti spiegherò dopo.» «Che genere di …» cominciò Ivan, ma Miles, cercando disperatamente di non mettersi a correre, era già scivolato fuori dalla sala diretto al tunnel di salita sul retro. Quando la porta della stanza che divideva con Ivan si chiuse con un sibilo alle sue spalle, si tolse in fretta l’uniforme verde, gli stivali, si tuffò verso l’armadio e si cacciò addosso la t-shirt nera e i pantaloni grigi dell’uniforme dendarii. Gli stivali dell’uniforme di gala barrayarana derivavano dagli stivali di cavalleria, mentre quelli dendarii dagli scarponi della fanteria. Quando c’erano di mezzo i cavalli, gli stivali barrayarani erano più pratici, anche se Miles non era mai riuscito a farlo capire a Elli; ci sarebbero volute due ore e più in sella su di un terreno pesante di campagna, con le caviglie ridotte a vesciche sanguinanti per convincerla che quella foggia aveva uno scopo non solo estetico. Ma qui non c’erano cavalli. Sigillò gli scarponi da combattimento dendarii e si infilò la giacca bianca e grigia mentre precipitava a tutta velocità giù per il tubo di caduta. Arrivato in fondo si fermò per aggiustarsela, poi sollevò il mento e trasse un profondo respiro: non poteva svignarsela senza farsi notare, se ansimava come un mantice a bocca aperta. Prese un corridoio secondario che passava attorno al salone e portava all’ingresso principale. Finora sempre nessun cetagandano, grazie a Dio. Ivan vide Miles avvicinarsi e spalancò gli occhi; poi rivolse un affrettato cenno di scusa alla bionda e trasse il cugino contro una pianta in vaso, come se volesse nasconderlo alla vista. «Cosa diavolo…?» sibilò. «Devi farmi uscire di qui, aggirare le guardie.» «Oh, no, scordatelo! Galeni userà la tua pelle come materasso se ti vede vestito così.» «Ivan, non ho tempo di discutere e non ho tempo di spiegare, ed è proprio per questa ragione che scavalco Galeni. Quinn non mi avrebbe chiamato se non avesse davvero avuto bisogno di me. Devo andarmene «Diventerai un ANA!» «Non se nessuno si accorge che manco. Digli… digli che mi sono ritirato nella nostra stanza a causa di un tremendo dolore alle ossa.» «È quella tua osteo-giuntura che si fa di nuovo risentire? Scommetto che il medico dell’ambasciata potrebbe farti avere il tuo farmaco antiinfiammatorio…» «No, no… non più del solito, comunque… però almeno non è del tutto una bugia e c’è una possibilità che ci credano. Vieni, porta anche lei.» E accennò con il mento in direzione di Sylveth, che attendeva Ivan fuori portata d’orecchi, con un’espressione interrogativa sul volto a forma di petalo di fiore. «E a che scopo?» «Mimetizzazione.» Sorridendo a denti stretti, Miles spinse Ivan per il gomito verso l’ingresse principale. «Come sta?» chiese a Sylveth in tono discorsivo, prendendole una mano e passandosela sotto il braccio. «Sono molto lieto di conoscerla. Si sta divertendo? Città meravigliosa, Londra…» Anche lui e Sylveth facevano una bella coppia, decìse Miles, gettando un’occhiata in tralice alle guardie mentre le superavano. Gli uomini non avevano occhi che per la ragazza e con un po’ di fortuna lui non sarebbe stato che una vaga macchia grigia nei loro ricordi. Sylveth lanciò a Ivan un’occhiata sbalordita, ma a quel punto erano giù usciti al sole. «Non hai una guardia del corpo» gli fece notare il cugino. «Incontrerò Quinn tra poco.» «E come farai a rientrare nell’ambasciata?» Miles si fermò. «Hai tempo fino a quando torno per trovare un modo.» « «Non lo so.» In quel momento l’attenzione delle guardie all’esterno venne distratta dal sibilo che annunciava l’arrivo di un veicolo terrestre davanti all’entrata; Miles ne approfittò per attraversare di corsa la strada e tuffarsi in un ingresso della metropolitana. Dieci minuti e due coincidenze dopo, risalì e si ritrovò in una parte della città molto più vecchia, con edifici in stile architettonico del ventiduesimo secolo, restaurati. Non ebbe bisogno di controllare i numeri civici per individuare la sua destinazione. La folla, le transenne, le luci lampeggianti, le macchine a cuscino d’aria della polizia, i vigili del fuoco, le ambulanze… «Maledizione» mormorò e si avviò verso quella strada laterale, ripetendo tra le sé le parole e cambiando il suo accento in quello betano dell’ammiraglio Naismith: «Oh L’ufficiale al comando doveva essere quello con il megafono, che stava in mezzo a quella mezza dozzina di uomini che brandivano fucili al plasma. Si fece strada tra la folla e scavalcò la transenna. «È lei l’ufficiale che comanda?» L’uomo girò di scatto la testa, sorpreso, poi guardò in basso. La sua espressione sbalordita scomparve quando vide l’uniforme di Miles. «È anche lei uno di quei pazzi?» chiese. Miles si dondolò sui tacchi, pensando a una risposta adeguata. Scartò le prime tre che gli vennero in mente e si limitò a dire: «Sono l’ammiraglio Miles Naismith, comandante della Flotta dei Liberi Mercenari Dendarii. Cos’è successo?» Si interruppe e lentamente e delicatamente spostò verso l’alto con il dito indice la canna di un fucile al plasma che una donna in armatura gli aveva puntato contro. «Per favore, tesoro, sono dalla vostra parte, credimi.» Gli occhi della donna ebbero un lampo di incertezza, ma il comandante della polizia le rivolse un brusco cenno del capo e lei indietreggiò di qualche passo. «Tentata rapina» rispose allora il commissario. «Quando l’impiegata ha tentato di opporsi, l’hanno attaccata.» «Rapina?» esclamò Miles. «Mi scusi, ma non ha senso. Credevo che qui i pagamenti avvenissero tramite trasferimento computerizzato di credito; non c’è contante da rubare. Deve esserci stato un malinteso.» «Non contanti» rispose il commissario. «Merci.» Il negozio, notò Miles con la coda dell’occhio, era una bottiglieria, con una vetrina infranta. Represse una sensazione di nauseato disagio e proseguì, mantenendo calma la voce. «In ogni caso non riesco a capire tutto questo spiegamento di armi letali per un semplice caso di taccheggio. Non state esagerando un tantino? Dove sono gli storditori?» «Tengono in ostaggio la donna» rispose cupo il commissario. «E allora? Il commissario gli rivolse un’occhiata perplessa. Non conosceva la storia, decise Miles… santo cielo, l’origine di quella citazione era dall’altra parte del mare. «Affermano di avere una specie di bomba e di voler far saltare in aria tutto l’isolato.» Il commissario si interruppe. «È possibile?» Anche Miles tacque un istante. «Siete già riusciti a stabilire l’identità di quei tipi?» «No.» «E come comunicate con loro?» «Attraverso la consolle di comunicazione. O almeno, fino a poco fa: sembra che l’abbiano distrutta.» «Naturalmente pagheremo i danni.» «Pagherete molto più di quello» ruggì il commissario. «Be’…» con la coda dell’occhio Miles vide un veicolo a cuscino d’aria con la scritta EURONEWS TV che scendeva verso la strada. «Credo che sia arrivato il momento di farla finita.» E si incamminò verso il negozio di vini. «Che cosa intende fare?» chiese il poliziotto. «Arrestarli. Affronteranno una giuria dendarii per aver portato armi fuori dalla nave.» «E va là da solo? Le spareranno. Sono ubriachi fradici.» «Non credo che lo faranno. Se davvero le mie truppe vogliono spararmi, sono certo che hanno avuto parecchie occasioni migliori di questa.» Il commissario aggrottò la fronte ma non lo fermò. Le porte automatiche non funzionavano e Miles rimase incerto per qualche istante davanti ai vetri, poi li tempestò di pugni. Vi fu un movimento confuso all’interno, una pausa molto lunga e poi le porte scivolarono di lato di circa trenta centimetri. Miles si mise di traverso, entrò e un uomo le richiuse di nuovo a mano, mettendo la sbarra attraverso le maniglie. L’interno del negozio era un macello; Miles venne investito dai vapori alcoolici che si levavano dalle bottiglie infrante e boccheggiò. Si guardò intorno, per decidere chi voleva ammazzare per primo: quello che gli aveva aperto la porta non poteva passare inosservato, perché indossava solo la biancheria. «…Ammiraglio Naismith» sibilò l’uomo e barcollando si mise sull’attenti ed eseguì il saluto. «A che squadra appartieni, soldato?» gli ringhiò contro Miles e le mani dell’uomo fecero qualche movimento incerto, come se stesse cercando di spiegarsi a gesti. Miles non riuscì a cavargli il nome. Un altro dendarii, questo però in uniforme, era seduto sul pavimento con la schiena appoggiata a un pilastro. Miles si accucciò, prendendo in considerazione l’idea di trascinarlo in piedi, o almeno in ginocchio, afferrandolo per il bavero della giacca, ma poi lo guardò in faccia. Piccoli occhietti rossi come carboni lo fissarono dalle orbite, senza riconoscerlo. «Puah!» mormorò Miles e si rimise in piedi senza cercare di parlargli: la coscienza di quell’uomo doveva essere sprofondata in qualche distorsione galattica. «E chi se ne frega?» esclamò una voce rauca dal pavimento dietro un banco, uno dei pochi che non fossero stati violentemente rovesciati. «Chi diavolo se ne frega?» Finalmente qualcuno di cui Miles conosceva il nome. Benissimo. «Ah, soldato semplice Danio. Che strano incontrarla qui.» Danio riuscì in qualche modo a mettersi sull’attenti, torreggiando sopra Miles. Nella manona a forma di prosciutto era stretta minacciosamente un’antiquata pistola, con il calcio segnato da molte tacche. Miles la indicò con un cenno del capo. «È per recuperare quell’arma mortale che sono stato distolto dai miei affari e costretto a venire qui? Da come parlavano sembrava che vi foste portati dietro tutto il nostro arsenale.» «Signornò, signore!» ribatté Danio, «sarebbe stato contro il regolamento. Questa» e diede una pacca affettuosa alla pistola, «è mia personale. Perché non si sa mai. Il mondo è pieno di pazzi.» «Tra di voi c’è qualcun altro armato?» «Yalen ha il suo coltello da caccia.» Miles represse un brivido di sollievo, ritenendolo prematuro. Però, se questi idioti non avevano complici, la Flotta Dendarii poteva anche cavarsela senza venir coinvolta ufficialmente in quel casino. «Lo sapevate che portare armi di qualunque genere è un’offesa criminale in questa giurisdizione?» Danio ci rifletté. «Idioti» sbottò alla fine. «In ogni caso» disse Miles in tono severo, «devo prenderle e riportarle sulla nave.» Guardò dietro il banco. L’uomo sul pavimento, doveva essere Yalen probabilmente, teneva in mano una lama d’acciaio lunga quanto bastava per macellare un bue intero, se mai gli fosse capitato di incontrarne uno che muggiva per le strade sopraelevate e tra i grattacieli di Londra. Rifletté e ordinò: «Portami quel coltello, soldato Danio.» Danio strappò la lama dalle mani del compagno. «Nooo…» si ribellò quello in posizione orizzontale. Quando ebbe in suo possesso entrambe le armi, Miles respirò più liberamente. «E adesso in fretta, Danio, perché quelli là fuori stanno diventando nervosi: cos’è successo esattamente qui?» «Be’, signore, stavamo facendo una festa, avevamo affittato una stanza.» Indicò con la testa l’uomo semi-svestito che si era avvicinato per sentire. «Ci siamo trovati a corto di rifornimenti e siamo venuti qui a comprarne, perché era il posto più vicino. Avevamo preso tutto e portato alla cassa, quando quella puttana si è rifiutata di prendere il nostro credito! Buon credito dendarii!» «La puttana…?» Miles si guardò intorno, scavalcando l’ormai disarmato Yalen. Miles estrasse il coltello dalla cintura e si diresse verso di lei. La donna emise una serie di gorgoglii isterici dietro il bavaglio. «Io non la slegherei, se fossi in lei» lo ammonì il soldato nudo. «Fa un sacco di rumore.» Miles si fermò e osservò la donna: aveva i capelli grigi scarmigliati e ritti, tranne che sul collo e sulla fronte, dove erano appiccicati per via del sudore e roteava selvaggiamente gli occhi contorcendosi tra i legami. «Mmm.» Miles si rimise il coltello nella cintura e in quel mentre lesse sulla giacca il nome del soldato seminudo, che gli riportò alla mente sgraditi pensieri. «Xaveria. Sì, adesso mi ricordo di lei. Si è comportato bene su Dagoola.» Xaveria raddrizzò le spalle. Maledizione, con questo andava in fumo l’idea che aveva cominciato a frullargli per la testa: cioè di consegnarli tutti alle autorità locali, pregando che fossero ancora in carcere quando la flotta usciva dall’orbita. Chissà se poteva separare Xaveria da quegli indegni compagni? Ma ahimè, sembrava proprio che ci fossero coinvolti tutti insieme. «Così non ha accettato le vostre carte di credito. Dimmi Xaveria, cosa è successo, dopo?» «Ehm… sono stati scambiati degli insulti, signore.» «E poi?» «Gli animi si sono riscaldati. Sono state lanciate delle bottiglie. È stata chiamata la polizia. Lei è stata messa fuori combattimento con un pugno.» Xaveria lanciò un’occhiata guardinga a Danio. Miles rifletté sull’assenza di soggetti nella sintassi di Xaveria. «E poi?» «E poi è arrivata la polizia e noi li abbiamo minacciati di far saltare in aria questo posto se cercavano di entrare.» «E avete effettivamente i mezzi per mettere in atto quella minaccia, soldato semplice Xaveria?» «No, signore: è stato solo un bluff. Io stavo cercando di pensare… be’… a cosa avrebbe fatto lei in questa situazione, signore.» «Nossignore» rispose Xaveria e gli mostrò la carta a conferma delle sue parole. Sembrava a posto. Miles si voltò per controllarla alla consolle, ma scoprì che questa era distrutta. Il buco del colpo di grazia sulla piastra olovideo era un centro preciso, anche se ogni tanto la consolle emetteva ancora degli sfrigolii e degli scoppiettii. Aggiunse anche quel costo alla lista che stava compilando nella mente e rabbrividì. «In realtà» disse Xaveria schiarendosi la gola, «è stata la macchina a risputarla fuori, signore.» «Non avrebbe dovuto farlo» cominciò Miles, «a meno che. Danio indicò eccitato la pistola che Miles aveva in mano. «Potremmo aprirci la strada dal retro e poi fuggire verso la più vicina stazione della metropolitana.» Momentaneamente senza parole, Miles prese in considerazione l’idea di sparare a Danio con la sua stessa pistola… ma Danio salvò la pelle solo perché Miles rifletté che il rinculo avrebbe potuto rompergli un braccio… si era fracassato la mano destra su Dagoola e il ricordo del dolore era ancora molto vivo. «No, Danio» disse quando riuscì a controllare la voce, «noi usciremo di qui attraversando lentamente… molto lentamente… la porta principale e ci arrenderemo.» «Ma i dendarii non si arrendono mai» protestò Xaveria. «Questo non è il fronte» spiegò Miles in tono paziente, «questo è un negozio di vini. O meglio, lo era. E oltretutto non è neppure il nostro negozio di vini.» «Ah» si arrese Xaveria alla fine. Poi toccò il braccio di Danio. «Già. Forse… forse ci conviene lasciare che l’ammiraglio ci riporti a casa, eh, Danio?» Xaveria rimise in piedi l’ex-proprietario del coltello. Dopo un attimo di riflessione, Miles si portò alle spalle di occhi rossi, tirò fuori lo storditore da tasca e lasciò partire una scarica leggera alla base del cranio. Occhi rossi si afflosciò di lato e Miles pregò con tutto se stesso che quell’ulteriore stimolazione non gli causasse uno shock traumatico. Dio solo sapeva che razza di cocktail chimico avesse ingurgitato… di certo non si era trattato solo di alcol. «Tu prendilo per la testa» ordinò Miles a Danio, «e tu, Yalen, per i piedi.» Ecco, in questo modo erano efficacemente immobilizzati tutti e tre. «Xaveria, apri la porta, metti le mani sopra la testa e cammina, senza correre, fino alla polizia, dove ti lascerai arrestare senza storie. Danio, tu lo seguirai. È un ordine.» «Come vorrei che avessimo il resto della truppa» borbottò Danio. «L’unica truppa che vi serve è un esercito di esperti legali» ribatté Miles. Guardò Xaveria e sospirò: «Ve ne manderò uno.» «Grazie, signore» rispose Xaveria e si avviò fuori con passo pesante. Stringendo i denti, Miles si mise alla retroguardia. La luce del sole all’esterno gli ferì gli occhi. La sua piccola pattuglia si arrese alla polizia. Danio non oppose resistenza quando cominciarono a perquisirlo. Il commissario gli si avvicinò, per parlargli. Dalla porta del negozio si udì uno scoppio sordo e fiamme azzurrine lambirono il marciapiede. Miles gridò, girò su se stesso e partì di scatto, prendendo un gran respiro e trattenendolo. Si precipitò attraverso le porte del negozio, nell’oscurità trafitta da vampate di calore, e girò intorno al banco. La passatoia intrisa d’alcol aveva preso fuoco e fiammate ondeggianti come steli di grano dorato correvano dappertutto sommerse in nuvole di fumo. L’incendio stava raggiungendo la donna legata sul pavimento e tra un istante i suoi capelli si sarebbero trasformati in una corona solare… Miles si tuffò, fece passare una spalla sotto il suo corpo e grugnendo si rimise in piedi. La donna scalciò, ribellandosi. Barcollando sotto il peso, Miles si diresse verso la porta, che splendeva come la bocca di una galleria, come le porte della vita. I polmoni pulsavano, alla disperata ricerca di ossigeno che le labbra serrate negavano loro. Tempo trascorso in totale, undici secondi. Al dodicesimo, la stanza alle loro spalle si illuminò di colpo, con un ruggito. Miles e il suo fagotto caddero rotolando sul marciapiede e Miles continuò a rotolare, perché le fiamme stavano lambendogli gli abiti. Ad una distanza imprecisata, la gente urlava e gridava. Il tessuto della sua uniforme dendarii non si sarebbe bruciato né fuso, ma era sempre un eccellente stoppino, impregnato com’era di liquidi volatili e l’effetto poteva essere altamente spettacolare. Ma gli abiti di quella povera commessa non offrivano la stessa protezione… Si ritrovò a tossire e sputacchiare, con il volto immerso in un getto di schiuma, lanciato dal pompiere che si era precipitato verso di loro. L’uomo doveva essere rimasto in attesa. La donna poliziotto dallo sguardo spaventato continuava a stringere freneticamente tra le mani quel suo inutile fucile al plasma. Venire ricoperti di schiuma antincendio era come rotolare nella spuma della birra (che era però molto più gustosa)… La bocca piena di disgustosi composti chimici, Miles sputacchiò e rimase sdraiato un istante, respirando a pieni polmoni. Dio, che cosa meravigliosa era l’aria… nessuno la apprezzava mai abbastanza. «Una bomba!» gridò il commissario. Miles rotolò sulla schiena, beandosi della vista di un pezzetto di cielo azzurro che i suoi occhi miracolosamente intatti, non bruciati e non appannati, gli offrivano. «No» ansimò, «brandy. Litri e litri di costosissimo brandy e whisky scadente, che probabilmente hanno preso fuoco per un cortocircuito nella consolle di comunicazione.» Rotolò di nuovo su se stesso per levarsi di mezzo davanti ad una squadra di vigili del fuoco con le tutte protettive bianche che si avvicinavano per svolgere il loro compito. Un pompiere lo tirò in piedi, trasportandolo lontano dall’edificio ormai invaso dal fuoco. Miles si rialzò e si trovò a fissare una persona che gli brandiva in faccia quello che per un folle istante scambiò per la bocca di un cannone a microonde. La scarica di adrenalina che gli percorse il corpo non ebbe su di lui alcun effetto; ormai non aveva più alcuna capacità di reazione. La persona davanti a lui stava blaterando qualcosa. Miles sbatté gli occhi, frastornato e il cannone a microonde si trasformò in una normalissima e molto più sensata olocamera. Però avrebbe preferito che fosse davvero stato un cannone a microonde… L’impiegata, finalmente libera dai legami e dal bavaglio, gridava e gesticolava, con il dito puntato verso di lui. Certo che per essere una persona appena salvata da una morte orribile, non sembrava particolarmente grata. La olocamera la inquadrò per qualche istante, finché la donna non venne portata via dal personale dell’ambulanza. Miles sperò che le dessero subito un sedativo. Se la figurò mentre arrivava a casa quella sera, dal marito e dai figli…: « Denaro, maledizione… «Miles!» La voce di Elli Quinn alle sue spalle lo fece trasalire. «Hai la situazione sotto controllo?» In metropolitana, durante il viaggio di ritorno al porto delle navette di Londra, furono oggetto di parecchi sguardi sbalorditi e dopo aver colto una fuggevole visione di se stesso riflessa in una parete di metallo, Miles non se ne stupì. L’azzimato e lustro Lord Vorkosigan del ricevimento all’ambasciata si era trasformato, come un lupo mannaro, in un mostriciattolo sporco e stracciato. La sua uniforme umida, stropicciata e strinata era cosparsa di vaporosi ciuffi di schiuma secca; il riporto bianco sul davanti della giacca era lurido. E aveva il volto impiastricciato, la voce ridotta ad un gracidio, gli occhi rossi e lucidi a causa del fumo. E in più puzzava di sudore, fumo e alcol, soprattutto alcol. Be’, in fondo ci si era rivoltolato dentro. La gente in coda dietro di loro annusò una zaffata di quegli effluvi e si allontanò impercettibilmente. Per fortuna il commissario gli aveva tolto la pistola e il coltello, trattenendoli come prove. Lui ed Elli ebbero così tutta per loro l’estremità della carrozza-bolla. Miles si lasciò cadere sul sedile con un gemito. «Bella guardia del corpo sei. Perché non mi hai protetto da quella cronista?» «Non stava cercando di spararti e poi ero appena arrivata e non ero certo in grado di raccontarle quello che era successo.» «Ma tu sei di gran lunga più fotogenica e questo avrebbe dato lustro all’immagine della Flotta dei Dendarii.» «Le olocamere mi gelano la lingua. Tu invece parevi calmissimo.» «Stavo solo cercando di gettare acqua sul fuoco. Elli sorrise. «E poi non erano interessati a me. Non ero io l’eroe che si è lanciato nell’edificio in fiamme… per gli dèi, quando sei uscito rotolando dall’incendio…» «Mi hai visto?» chiese un tantino rallegrato. «Sono venuti bene i campi lunghi? Forse, agli occhi dei nostri gentili ospiti, questo farà da contraltare all’impresa di Danio e dei suoi allegri compari.» «L’impressione era debitamente terrificante» confermò lei e rabbrividì. «Mi sorprende che tu non abbia ustioni più gravi.» Miles sollevò le sopracciglia strinate e senza darlo a vedere nascose la mano sinistra piena di bolle sotto il braccio destro. «Non è stato un problema. Il tessuto mi ha protetto. Sono contento che non tutto il nostro equipaggiamento abbia dei difetti di progettazione.» «Non saprei. A dirti la verità, ci sono sempre andata cauta con il fuoco, da quando…» e si toccò il volto con la mano. «E ne hai tutte le ragioni. Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per puro riflesso inconscio. Quando finalmente il mio cervello ha raggiunto il corpo, era già tutto finito e allora mi è venuta la tremarella. Ho visto pochi incendi, in combattimento, e l’unica cosa a cui sono riuscito a pensare era che dovevo fare in fretta, perché quando gli incendi arrivano ad un certo punto, si estendono Miles si trattenne dal confidarle le altre sue preoccupazioni riguardo certi aspetti della sicurezza sollevati da quella maledetta intervista. Adesso era troppo tardi, anche se la sua immaginazione si trastullava con l’idea di un raid dei dendarii alla rete Euronews per distruggere il videodisco. Forse sarebbe scoppiata una guerra, o magari sarebbe precipitata una navetta o addirittura il governo sarebbe stato coinvolto in un terribile scandalo sessuale e tutto l’incidente del negozio sarebbe stato sepolto sotto il clamore di eventi ben più importanti. E inoltre ormai i cetagandani sapevano di certo che l’ammiraglio Naismith era stato visto sulla Terra. Doveva riprendere al più presto l’identità di Lord Vorkosigan e questa volta definitivamente, forse. Miles scese dal treno reggendosi la schiena con una mano. «Le ossa?» chiese preoccupata Elli. «Hai fatto qualcosa alla spina dorsale?» «Non ne sono sicuro.» Si avviò al suo fianco, tenendo la schiena piegata in due. «Spasmi muscolari… quella donna doveva essere più grassa di quanto pensassi. L’adrenalina ti gioca dei brutti scherzi.» Quando la loro piccola navetta personale attraccò sulla «Uno strappo muscolare» sentenziò freddo il medico della flotta dopo averlo visitato. «Resti disteso per una settimana.» Miles promise, sapendo di promettere il falso e uscì stringendo un tubetto di pillole nella mano bendata. Era sicuro che la diagnosi fosse esatta, perché adesso che si trovava a bordo della sua ammiraglia, il dolore cominciava ad attenuarsi. O almeno, sentiva la tensione nei muscoli del collo che si allentava e sperava che la cosa si sarebbe estesa al resto del suo corpo. E stava anche cominciando a svanire l’effetto della scarica di adrenalina che lo aveva tenuto in piedi… forse era meglio sbrigare le faccende sulla nave finché era ancora in grado di parlare e camminare allo stesso tempo. Raddrizzò la giacca, fece un futile tentativo di spazzolare via le macchie bianche e raddrizzando il mento, si diresse al sancta sanctorum dell’ufficiale pagatore della flotta. Era sera, sulla nave, con una sola ora di differenza rispetto all’ora di Londra sulla Terra, ma la contabile mercenaria era ancora al lavoro. Vicki Bone era una donna di mezza età, puntigliosa e robusta, decisamente un tecnico e non un soldato, il cui tono di voce era normalmente basso e strascicato. Quando però lo vide entrare, raddrizzò la sedia e squittì: «Oh, signore! Ha avuto il trasferimento di crediti…?» Si accorse del suo aspetto e abbassò la voce al timbro consueto. «Buon Dio! Cosa le è successo?» E poi, ripensandoci, eseguì il saluto. «È quello che sono venuto a scoprire, tenente Bone.» Agganciò una seconda sedia agli anelli nel pavimento e la girò per potersi sedere con le braccia sollevate sopra lo schienale. E poi, anche lui in ritardo, ricambiò il saluto. «Credevo che mi avesse detto nel suo rapporto di ieri che tutti gli ordini di rifornimento non essenziali per il supporto vitale in orbita erano stati sospesi e che il credito sulla Terra era sotto controllo.» «Temporaneamente sotto controllo» replicò Bone. «Quattordici giorni fa mi ha detto che avremmo avuto il trasferimento di credito in dieci giorni e io ho cercato di dilazionare il più possibile tutte le spese dopo quella data. Quattro giorni fa lei mi ha detto che ci sarebbero voluti altri dieci giorni…» «A dir poco» confermò Miles cupo. «Ho di nuovo rimandato tutto il rimandabile, ma qualcosa ho dovuto comunque pagare, per ottenere un’estensione di credito per un’altra settimana. Dopo Mahata Solaris abbiamo attinto pericolosamente ai nostri fondi di riserva.» Miles sfregò un dito sullo schienale, con un gesto stanco. «Già, forse avremmo dovuto andare direttamente su Tau Ceti.» Adesso era troppo tardi. Se solo fosse stato lui personalmente a trattare con il QG della Sicurezza del Settore II… «Avremmo comunque dovuto lasciare tre quarti della flotta sulla Terra, Signore.» «E io invece non volevo dividere le nostre forze, lo so. Se restiamo qui troppo, nessuno potrà più andarsene… un buco nero finanziario… Senta, inserisca i suoi programmi e mi dica cosa è successo al conto di credito del personale sulla Terra intorno alle 16.00, ora di Londra.» «Hmmm?» Una serie di dati incomprensibili e colorati comparvero sull’olovideo. «Oh santo cielo! Non sarebbe dovuto succedere. Dov’è finito il denaro…? Ah, annullamento diretto. Questo spiega tutto.» «Le dispiace spiegarlo anche a me?» la incitò Miles. «Be’, naturalmente quando la flotta è di stanza per un tempo abbastanza lungo in un qualunque posto provvisto di una rete finanziaria, noi non lasciamo fermi i nostri liquidi.» «No?» «No, no. Tutto quello che non serve effettivamente per pagamenti immediati, viene impiegato il più a lungo possibile in investimenti a breve termine che diano degli utili. Così su tutti i nostri conti c’è solo il minimo legale. Quando arriva un conto, lo passo al computer e trasferisco quanto basta per coprirlo dal conto di investimento al conto di credito.» «E il gioco… eh, vale il rischio?» «Rischio?! È una pratica basilare comune! Abbiamo guadagnato oltre quattromila crediti federali GSA su interessi e dividendi la settimana scorsa, fino a quando non siamo scesi sotto il minimo di conto.» «Oh» disse Miles e per un attimo contemplò l’idea di abbandonare la guerra e di darsi alle speculazioni in borsa… Liberi Mercenari Dendarii, Società Finanziaria. Ma ohimè, probabilmente l’Imperatore avrebbe avuto qualcosa da dire al riguardo… «Ma questi idioti» proseguì il tenente Bone indicando con un gesto la schematica che rappresentava la sua versione delle avventure pomeridiane di Danio, «hanno cercato di attingere al conto direttamente attraverso il suo numero, invece che tramite la Ragioneria Centrale della Flotta, come non ho fatto che ripetere a tutti. E dato che al momento siamo tanto a corto di fondi, la richiesta è stata respinta. A volte ho la sensazione di parlare ai sordi.» Altri grafici minacciosi sgorgarono dalla punta delle sue dita. «Ma io non posso continuare questi passaggi all’infinito, signore! Il conto di investimento adesso è vuoto, quindi non produce denaro extra. Non sono sicura che riusciremo a durare altri sei giorni. E se il trasferimento di credito non arriva…» sollevò le braccia al cielo, «tutta la flotta dendarii finirà in liquidazione forzata, un pezzetto alla volta!» «Oh» commentò Miles massaggiandosi il collo: si era sbagliato, il mal di testa non stava passando. «Non c’è un modo per far girare il denaro da un conto all’altro in modo da creare… ehm… denaro virtuale? Temporaneamente?» «Denaro virtuale?» Bone piegò le labbra in una smorfia disgustata. «Per salvare la flotta. Come in combattimento. Contabilità mercenaria…» unì le mani e le strinse tra le ginocchia, rivolgendole uno sguardo speranzoso. «Naturalmente, se non è in grado di farlo…» La donna dilatò le narici. «Certo che sono in grado. Ma il giochetto a cui sta pensando lei si basa in massima parte sui ritardi. La rete finanziaria della Terra è totalmente integrata in tempo reale, non ci sono ritardi a meno che non si lavori su base interstellare. Le dico io cosa potrebbe funzionare, però…» si interruppe e poi riprese, «però potrebbe anche non funzionare…» «Che cosa?» «Andare in una grande banca e ottenere un prestito a breve termine dando come garanzia, che so, qualche apparecchiatura vitale.» Il suo sguardo vagò lungo le paratie della E cosa avrebbe detto il commodoro Tung quando avesse scoperto che Miles aveva ipotecato la sua ammiraglia? Ma Tung non c’era, Tung era in licenza e al suo ritorno, tutto sarebbe già stato risolto. «Dovremo chiedere due o tre volte l’ammontare che ci serve effettivamente, per essere sicuri di ottenere abbastanza» proseguì il tenente Bone. «E sarà lei a dover firmare, in quanto ufficiale superiore.» Sarebbe stato l’ammiraglio Naismith a dover firmare, corresse Miles, un uomo la cui esistenza legale era strettamente… virtuale, anche se non c’era pericolo che una banca terrestre venisse a sapere una cosa simile. La flotta dendarii sosteneva in modo più che convincente la sua identità. Questa poteva risultare la cosa meno pericolosa che avesse fatto in vita sua. «Proceda pure, tenente Bone. E… hum… dia in garanzia la Il tenente annuì e raddrizzò le spalle, ovviamente sollevata e riprese in parte la sua abituale serenità. «Sissignore. Grazie, signore.» Con un sospiro, Miles si rimise in piedi. Sedersi era stato un errore, adesso i suoi muscoli stanchi erano andati in tilt. Quando le passò accanto, la vide dilatare le narici: forse era il caso che dedicasse qualche minuto ad una bella doccia. Sarebbe già stato difficile spiegare la sua sparizione quando fosse tornato all’ambasciata e non era il caso di aggiungerci anche delle spiegazioni sul suo aspetto quantomeno curioso. «Denaro virtuale» mormorò in tono di disapprovazione il tenente Bone mentre lui usciva, «Buon Dio.» |
||
|