"La rivincita dei mendicanti" - читать интересную книгу автора (Kress Nancy)

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— Non "puoi" — disse Lizzie al Vivo che appariva risentito. Jackson, che si trovava a settantacinque metri di distanza in un gabbiotto di appostamento di fronde di quercia che mostravano ancora le foglie avvizzite dell’anno precedente, guardava in uno zoom e ascoltava da un ricevitore della dimensione di un pisello. Osservò il volto di Lizzie lottare per non assumere un’espressione di disappunto. La ragazza mostrò il sorriso più cupo che lui avesse mai visto.

L’uomo, ancora più risentito, disse: — Shockey ha detto, lui, che posso.

— "Shockey" ha detto che puoi?

— Già.

— Aspetta soltanto un minuto — fece Lizzie. Si allontanò dall’uomo, che si trovava all’esterno dell’area di alimentazione della tribù, la solita tenda di plastica. Dentro, venti Vivi nudi consumavano il pranzo. A Jackson sembrò che, tutte le volte che controllava la tribù di Lizzie, finiva col guardare dei Vivi nudi che pranzavano. Quella volta, però, tre reporter Muli dotati di telecamere si trovavano fuori dal recinto completamente vestiti e filmavano il pasto. Altre robocamere si libravano all’interno. Quel gruppo di Vivi, a differenza di altre tribù della Contea di Willoughby, stava godendo di un momento di notorietà temporanea. Jackson notò che due donne portavano fermagli d’oro sui capelli. Un’altra, vide improvvisamente, indossava una collana con una pietra che, ingrandita dallo zoom, appariva come un diamante. Altri guai.

Lizzie si avvicinò a Jackson, travestito da Vivo. Durante le ultime tre settimane si era fatto crescere una barba incolta. Indossava pantaloni larghi e azzurri, un cappello malconcio calzato sulla fronte e gli stivali più pesanti che avesse mai avuto in vita sua. Il terreno era un mare di fango: aveva piovuto per due giorni di fila, una pioggia di marzo tardiva e sferzante che minacciava di riprendere a cadere. Gli stivali di Jackson erano appesantiti di fango. Aveva accompagnato Lizzie a piedi attraverso una montagna fino a quella tribù: i Vivi non utilizzavano aeromobili, e lui era in incognito come Vivo. Al momento, nessuno dei numerosi reporter lo aveva notato. Si sentiva ridicolo.

Lizzie gli si sporse vicino, disperata, e sussurrò: — Dice che è stato "Shockey" a dirgli che potevano accettare gli scooter!

— Be’, pensi che Shockey gliel’abbia detto sul serio? — chiese Jackson. Secondo lui sì. Shockey sembrava non avere afferrato l’idea di Lizzie che, se i Vivi erano intenzionati a votare per il loro candidato il primo aprile, non potevano accettare doni o denaro dagli altri due candidati il 25 marzo. — Risarcimenti — li aveva chiamati Shockey, e dove diavolo aveva imparato quella parola? — Bustarelle — diceva Lizzie, e aveva ragione.

Lizzie si mordicchiò il labbro inferiore. — Harry Jenner dice che Shockey gli ha detto di accettare i regali, di non fare vere e proprie promesse e poi di votare comunque per lui.

Era quello il modo in cui i Muli avevano gestito le cose per decenni. Jackson lo disse a Lizzie.

— Ma "non è giusto" — ribatté Lizzie, improvvisamente impaziente. Per lei, coinvolta in quella rivoluzione legale innocente e destinata a fallire. Anche per lui, nascosto lì in piedi all’ombra degli alberi che non ne offrivano molta perché era soltanto marzo, che si sentiva prudere tutto con quella tuta sintetica non traspirante macchiata di fango montano.

— La cosa importante è se Harry e la sua tribù voteranno davvero per Shockey dopo avere accettato scooter, vestiti alla moda, saponi profumati e collane di diamanti — disse lui. — Non voteranno piuttosto per un candidato che ha donato loro tutto questo bottino?

— Collane di diamanti? — chiese Lizzie, allibita.

— La ragazza più vicina alla plastica, quella con i capelli lunghi e scuri, ha addosso una collana di diamanti. Credo che sia di Tiffany.

— Oh, santo Iddio!

Jackson sorrise. Lizzie sarebbe rimasta male se avesse saputo che nei momenti di stress, anche se non parlava da Viva, sembrava proprio sua madre, la formidabile Annie. Jackson non glielo disse. Durante gli ultimi tre mesi, occupandosi marginalmente di quella ridicola campagna elettorale, aveva cominciato a stimare Lizzie. La ragazza era una strana combinazione di durezza e vulnerabilità. A volte, gli rammentava perfino Theresa.

Ma quello non era un motivo sufficiente per essersi lasciato coinvolgere in quel progetto donchisciottesco. E allora perché lo aveva fatto?

— Ascolta, Lizzie. Mancano sei giorni alle elezioni. Dovrai fidarti semplicemente del fatto che Harry Jenner e il resto di loro voteranno per Shockey nonostante i… regali. — Regali. Bustarelle. Ricompense.

— Lei pensa "davvero" che voteranno per Shockey? — I suoi occhi neri lo stavano implorando.

— A dire il vero sì — rispose lui lentamente. — Penso che l’odio rimasto dalle Guerre del Cambiamento sia più forte dell’avidità dei Vivi. — O della gratitudine dei Vivi. I Vivi erano esattamente gli opportunisti che i Muli avevano plasmato.

— È quello che dice anche Vicki — commentò Lizzie.

Jackson non voleva parlare di Vicki. Lei era rimasta indietro per mantenere il più possibile l’ordine nel "quartier generale elettorale", e faceva talmente parte della tribù di Shockey da non essere costretta a restare lì nel fango, travestita da qualcosa che non era. "Non abbiamo bisogno dell’effetto negativo della tua presenza esplicita" aveva detto a Jackson "e tu non hai alcun bisogno di un effetto negativo sulla tua, ehm, carriera medica." Già. Giusto.

— D’accordo — capitolò Lizzie. — Non dirò loro di restituire gli scooter e gli altri oggetti. Ma dirò nuovamente loro quanto hanno bisogno di votare per Shockey!

— Be’, fallo subito, allora. Quel reporter sta ricominciando a guardarti con interesse. E sta guardando anche me.

— Ci rivediamo all’accampamento.

— Bene — concluse Jackson e riprese ad arrancare attraverso i boschi.

Dopo qualche chilometro, sentì abbastanza caldo da aprire la giacca e poi da toglierla. Tenne in testa il cappello: molti giornalisti privi di notizie migliori da seguire avevano utilizzato aeromobili e telecamere dotate di zoom per filmare quella campagna elettorale. Essa rappresentava, secondo il canale dei notiziari, un insulto al buon senso, una minaccia a quello che restava dell’ordine civile, un’insignificante nota a piè di pagina della storia politica oppure una barzelletta cosmica. A volte, tutte quelle cose insieme.

Perfino per Susannah Wells Livingston e Donald Thomas Serrano. La settimana precedente Jackson, spia in campo nemico, aveva partecipato a una festa per la raccolta di fondi a favore di Don Serrano. Aveva scoperto che il candidato Mulo non era realmente preoccupato. — Ho dispensato in giro ogni genere di "benefit" al mio elettorato — gli aveva confidato Serrano. — Da quando in qua non si può comperare un Vivo? — Jackson si era limitato ad annuire. Non era esattamente quello che aveva creduto anche lui, finché Lizzie Francy non era precipitata nella sua vita da due metri e mezzo di altezza dalla parete di una fabbrica?

L’elezione, comunque, non era una barzelletta cosmica per Cazie. Per evitarla, Jackson aveva traslocato temporaneamente dal suo appartamento e, usando un altro nome, si era sistemato in un albergo nella enclave di Pittsburgh. Non un albergo di lusso, quel luogo ospitava soprattutto tecnici, i Muli al limite della loro classe sociale i cui genitori avevano potuto acquistare soltanto modificazioni genetiche parziali, di solito di tipo estetico. I tecnici lavoravano per mantenersi e raramente possedevano un’impresa. Jackson si muoveva fra loro con una certa disinvoltura. Parlava quotidianamente con Theresa, l’unica persona che avesse il suo indirizzo, su una linea di comunicazione che sperava sufficientemente schermata. Che Cazie non riuscisse a trovarlo dava a Jackson una strana soddisfazione, forte come sapere che lei lo stava cercando.

Gli occorsero tre ore per tornare a piedi alla tribù di Lizzie. Il sole del tardo pomeriggio proiettava raggi inclinati da sopra le cime delle montagne verde scuro per i pini e bianche per le ultime chiazze di neve. Le altre "squadre di controllo votanti" rientravano anche loro, faticosamente, dopo viaggi stremanti per verificare la lealtà di altri elettori.

Ma perché si era fatto coinvolgere? Perché Cazie odiava la cosa? Non era un motivo sufficiente, non lo era proprio.

Perché era stufo marcio della sua vita, della sua classe sociale, delle sue inutili attività? Non era un motivo sufficiente.

Perché i neonati senza le siringhe del Cambiamento morivano in tutto il paese? Le elezioni non avrebbero aiutato i bambini che soffrivano. Anche se i Vivi avessero vinto ogni maledetta elezione per i successivi sei anni e avessero controllato ogni carica politica, da Presidente a guardacaccia, non si sarebbero create nuove siringhe del Cambiamento. Soltanto Miranda Sharifi e i Super potevano farlo e non lo avevano fatto. Non rispondevano nemmeno alle trasmissioni inviate a Selene, città di esilio sotto la superficie lunare.

Jackson si fermò all’ombra di un pino immenso e fragrante, si asciugò il sudore dalla fronte e cercò il coraggio per affrontare la realtà allucinogeno-olografica del "quartier generale elettorale".

Essa iniziava quattrocento metri prima dell’accampamento, con il candidato in persona.

— Chi diavolo sei tu? — chiese la ragazza. Sollevò il volto da quello di Shockey che aveva scelto cavallerescamente di giacere sotto, protetto dal fango da una sgargiante coperta arancione. La ragazza, nuda dalla vita ai costosi stivali, gli stava sopra a cavalcioni. Non si spostò quando Jackson arrivò arrancando da una salita in mezzo agli alberi e finì nella loro valletta appena nascosta.

Jackson abbassò lo sguardo, non per evitare di guardarla, ma per evitare che lei lo guardasse. L’aveva già vista. Aveva forse diciassette anni, occhi verdi modificati geneticamente e lunghi capelli neri. Una ragazza Mulo, che scorrazzava da quelle parti. Jackson fingeva di essere un Vivo: come doveva reagire? Jackson trascinò i piedi, come se fosse imbarazzato, e mantenne lo sguardo sugli stivali di lei. Le arrivavano al polpaccio, erano di cuoio italiano, nanorivestiti perché i suoi piedi non li consumassero, e sporchi di fango. Più in alto, le perfette cosce della ragazza mostravano la pelle d’oca. L’aria di marzo era fredda.

Lei chiese con malizia: — Sei un reporter?

Chiaramente il suo QI non era modificato geneticamente. Jackson bofonchiò: — No, io no, io.

Shockey lo aveva riconosciuto. Attirò a sé la ragazza. — È solo un guardone, lui, Alexandra. Tu vieni a guardare un po’ me.

Lei fece un risolino. — In questa posizione? — Ma lo baciò. Shockey tenne bene aperti gli occhi e lanciò un’occhiataccia a Jackson: "Vattene via".

Se ne andò, chiedendosi se Alexandra fosse una alla ricerca del brivido, una distrazione politica, un’esca professionista o un tentativo di scandalo. Jackson non aveva notato robocamere. Eppure, Vicki Turner aveva ammonito Shockey. I suoi elettori non avrebbero gradito vedere il loro candidato Vivo, l’antidoto alla corruzione dei Muli, rotolarsi concupiscente nel fango con un Mulo come Alexandra.

Jackson si voltò, mise le mani a coppa attorno alla bocca e strillò: — Shockey! Arriva compagnia, tu! Sharon e la bambina! — Forse quello sarebbe bastato.

All’accampamento c’erano in giro soltanto due giornalisti. Uno stava intervistando Scott Morrison, un amico di Shockey. — Noi vinceremo questa elezione qui. E l’anno prossimo prenderemo la fottuta presidenza!

— Vedo che hai addosso una catenina d’oro — disse serenamente il giornalista. — Un contributo da parte dei Cittadini per Serrano, forse?

— È un’eredità — rispose solennemente Morrison. — Della mia bisnonna, lei. Era un’attrice dello schermo piatto.

— E lo scooter? — La robocamera ronzava: il giornalista non si preoccupò nemmeno di nascondere la smorfia di scherno.

— Anche quello ereditato dalla bisnonna.

Che cosa era successo a Vicki?

Un gruppo di Vivi che Jackson non aveva mai visto prima vagava oziosamente oltre il terreno di alimentazione protetto dalla tenda di plastica. Erano sporchi, sudici per il viaggio. La tribù riceveva gruppi del genere ogni settimana. Arrivavano da luoghi al di là della Contea di Willoughby, avendo visto tutto il gran casino ai notiziari. Alcuni gruppi erano interessati e pensosi. Alcuni erano disgustati dall’idea che i Vivi si sporcassero le mani con il lavoro da Muli della politica. Alcuni avevano semplicemente sentito parlare degli scooter, dei gioielli e del vino dei "gruppi cittadini non affiliati al candidato Serrano". Era già stato rubato uno scooter. I membri della tribù si riunivano in capannelli, e si trovavano sempre all’interno del campo filmabile dal terreno di alimentazione. Eccetto, ovviamente, il candidato, che stava godendo dei benefici della sua fama, steso sulla schiena, nel bosco.

Dove diavolo era Vicki?

Annie uscì affaccendata dall’edificio, tenendo Dirk in braccio. Vide Jackson, si rabbuiò, quindi ricordò che ufficialmente non lo doveva conoscere. Guardò subito da un’altra parte con espressione disgustata, come una duchessa infastidita che ignora un pesce morto. Il suo sguardo atterrò su un altro gruppo di ragazzini Muli curiosi che ridacchiavano maliziosamente all’ombra sicura di una velocissima aeromobile. Due ragazzi avevano inalatori. Il secondo reporter li stava intervistando: per fortuna Jackson si trovava a una tale distanza da non poter sentire la conversazione.

A quel punto, atterrò un’altra aeromobile e ne scese Cazie con il nuovo responsabile tecnico della TenTech.

Jackson voltò la schiena. Si diresse verso l’edificio con passo deciso e vi entrò.

Che ci faceva lei lì? Dopo la riunione di qualche mese prima sui legami politici della TenTech, di cui Jackson aveva capito più o meno la metà, aveva chiesto a Caroline, il suo sistema personale, di effettuare qualche ricerca. La TenTech aveva un portafoglio diversificato, ma Caroline non era riuscita a rintracciare gran parte degli investimenti tramite database legali, sebbene avesse a disposizione i codici personali di accesso di Jackson. Lui non aveva mai degnato di particolare attenzione la TenTech. Lo aveva fatto suo padre, finché non era morto, poi l’avvocato di suo padre l’aveva gestita finché Jackson si era trovato all’università di medicina: quando aveva sposato Cazie, lei aveva preso in mano la situazione e Jackson era stato felice di lasciarglielo fare. Dov’erano i soldi della TenTech e perché ce ne erano tanti legati allo stato della Pennsylvania, se la TenTech aveva sede legale a New York? Cazie aveva molti amici personali in varie imprese ed enti governativi della Pennsylvania. Alla fine Jackson, senza dir nulla a Cazie, aveva assunto un contabile indipendente che gli doveva ancora fare rapporto. Forse Cazie si era accorta delle ricerche svolte dal contabile.

Oppure, semplicemente, era venuta a cercarlo.

Aprì la porta di uno spiraglio, sbirciando fuori dall’oscurità alla luce del sole. Cazie stava parlando con Billy Washington, il patrigno di Lizzie. Quanto meno si trattava di Billy, la persona più sana di mente di tutta la tribù. Cazie non poteva seguire Jackson all’interno dell’edificio: Vicki aveva insistito perché nessun estraneo, in alcun caso, entrasse. Aveva installato un primitivo sistema a scanner: se qualcuno senza chip sensibilizzato cercava di oltrepassare la porta, scattava un allarme. Era un sistema facile da ingannare, ma fino a quel momento nessuno si era dato la pena di farlo. Jackson toccò il chip che teneva in tasca.

I riccioli scuri di Cazie scintillavano al sole primaverile. Gli alti stivali bianchi e il severo abito nero apparivano freschi e ordinati. Gesticolando con Billy, sollevò di scatto un braccio e il suo seno destro si alzò, vibrò e ricadde.

Che ci faceva lei lì? E "lui" che ci faceva? Attraverso lo spiraglio della porta, Jackson vide Shockey arrivare trotterellando dal bosco. La bellezza Mulo non era con lui. Sharon si precipitò verso Shockey attraverso l’erba avvizzita, col volto infuriato. Annie strillò qualcosa a un giornalista. Billy lasciò Cazie, si diresse verso Annie e venne bloccato da un ragazzetto Mulo sogghignante che si era avventurato lontano dall’aeromobile quel tanto da poter infilare il proprio inalatore sotto il naso di Billy. Billy ondeggiò. Scott Morrison si tuffò contro il ragazzino Mulo, buttandolo per terra. Le due robocamere zoomarono sulla lotta. Il candidato balzò addosso a un altro giovane Mulo e Sharon gridò. Annie, che teneva ancora in braccio Dirk, corse verso Billy che sorrideva con espressione vacua. Dirk cominciò a piangere. Sharon continuò a gridare. Cazie tirò indietro la testa e scoppiò a ridere, emettendo un suono terrificante che, non si sa come, superò di intensità perfino quel trambusto. La donna disse qualcosa al responsabile della TenTech, e Jackson riuscì a leggere il movimento delle labbra: — Il processo politico americano in azione.

Chiuse la porta malconcia dell’edificio.

Erano tutti pazzi. Jackson era rimasto un po’ sorpreso nello scoprire che così tanti Vivi restavano attaccati cocciutamente all’idea di votare per Shockey: nonostante avessero accettato bustarelle dall’altra fazione, Shockey avrebbe vinto chiaramente le elezioni. Alla lunga, tuttavia, lui temeva che non avrebbe fatto alcuna differenza. Shockey non avrebbe vinto perché i Vivi erano in ascesa politica ma perché i Muli avevano preso sottogamba quella campagna elettorale. Avevano usato la carota ma non il bastone, diffondendo beni di consumo e presumendo che il problema fosse risolto. Quando, il giorno delle elezioni, avessero scoperto che le cose non stavano così, avrebbero ritirato le carote. Gli accampamenti dei Vivi non erano protetti, erano privi di tecnologia e non erano armati. Il successivo candidato Vivo per una qualsiasi carica pubblica avrebbe perduto. Jackson stava assistendo a un insospettabile colpo fortunato, un irripetibile avvenimento improbabile per il quale stava rischiando il suo stato sociale all’interno del suo popolo. Ciò lo fece sentire il più pazzo di tutti.

Da qualche parte nell’edificio, qualcuno stava piangendo.

Jackson si fece strada attraverso l’oscurità, oltre i decrepiti mobili dello spazio comune, in mezzo al dedalo di pareti di assi di legno, divani ribaltati, scaffalature rotte, tende appese fatte a mano. Il singhiozzare si fece più forte. Superò anche il robot tessitore della tribù che produceva pazientemente metri e metri di orribile tela grezza con chissà quale materiale organico infilatogli nel serbatoio. Il robot ronzava piano. Nell’ultimo loculo di fortuna posto contro una parete priva di finestre, Jackson li vide.

C’era un ragazzino, che dava le spalle a Jackson, quasi ripiegato in due. La sua schiena era sottile e, attraverso i buchi del vestito, si notava che era piena di lentiggini. Vicki gli stava accanto e gli teneva un braccio attorno alle spalle ossute, quasi sorreggendolo. Quando i due si voltarono, Jackson vide che il ragazzino era chino su un neonato che stringeva fra le braccia.

Vicki disse con espressione seria: — Stavo giusto venendo a cercarti.

Jackson allungò le mani verso il neonato. Vide che stava morendo, forse a causa di qualche microrganismo mutato che aveva già distrutto il sistema immunitario. La bocca del bimbo era chiazzata di candida, la pelle macchiata di ematomi sottocutanei. Le guance devastate erano tese sul piccolo cranio. Jackson sentì i polmoni del piccolo faticare per continuare a respirare. Sul collo aveva due cerotti, uno blu e uno giallo: antibiotici e antivirali ad ampio spettro. Vicki li portava sempre con sé. Non l’avrebbero aiutato: era decisamente troppo tardi.

Il ragazzo ansimò: — Sei tu il dottore? Questa è mia figlia, lei. Le puoi dare una siringa del Cambiamento? Non ne abbiamo più nella mia tribù e non ne ho trovate da nessuna altra parte. Io ho sentito parlare di questo posto, io…

— No — rispose Jackson — non ho più siringhe. — Vicki lo fissò, sbalordita. Si era aspettata una risposta diversa, non sapendo che Theresa aveva ripulito la magra scorta di Jackson.

— Non hai più siringhe, tu? Davvero? — chiese il ragazzo.

— Davvero — rispose Jackson.

— Ma non sei un dottore… un dottore Mulo?

Jackson non rispose. Nessun altro parlò. Il silenzio si prolungò, doloroso. Alla fine Jackson annuì, penosamente, e scosse la testa. Non riuscì a fissare il giovane padre negli occhi.

Il ragazzo non si mise a discutere, né esplose, né ricominciò a singhiozzare. Nella postura afflosciata delle sue spalle, Jackson lesse rassegnazione: il ragazzo non si era veramente aspettato aiuto. Non lo aveva mai fatto. Era giunto lì perché non sapeva cosa altro fare.

Vicki disse a denti stretti: — Farai tutto quello che potrai, Jackson?

Era già andata a prendere la sua valigetta in una sacca fra il ciarpame della tribù. Jackson eseguì futili mosse. Quando ebbe finito il ragazzo gli disse: — Grazie, dottore — e l’umiliazione di Jackson fu completa.

— Vieni con me — disse Vicki, e lui la seguì, senza che gli importasse dove, fondamentalmente contento di andarsene. Erano entrati dei Vivi dall’esterno e si erano seduti a parlare animatamente sulle sedie comuni. Vicki lo condusse attraverso un labirinto di loculi, oltre una tenda tirata fra una parete e una lunga tavola ribaltata.

— Qui non verrà nessuno, Jackson.

— Dov’è la madre della bambina?

Vicki alzò le spalle. — Sai come vanno le cose. Restano incinte facilmente, nel loro corpo nulla può andare storto e tutti allevano i piccoli collettivamente. Chiunque non voglia prendersi cura del neonato può anche non farlo.

— Allora è sbagliato. Questa nuova organizzazione creata dal Cambiamento è tutta sbagliata.

— Lo so.

— Lo "sai"? Pensavo che tu fossi il più strenuo difensore di ciò che Miranda Sharifi ha dato al mondo!

— Difendo la necessità di adeguarsi alla situazione. Al momento, non lo abbiamo fatto.

Non l’aveva mai vista in quel modo: seria, diretta, non barricata dietro un distacco divertito. Non gli piaceva: così lo prendeva in contropiede. Per sfuggire allo sguardo di lei, si girò attorno nel loculo e si rese conto che era il suo. Il loculo non aveva nulla di diverso da quello di qualsiasi altro membro della tribù: pagliericcio a terra, una scrivania tutta intaccata e stipata di bigiotteria fatta a mano, vestiti appesi a ganci. Nulla di costoso e incongruo come il terminale Jansen-Sagura o la biblioteca di cristallo del loculo di Lizzie. Eppure quello spazio angusto sapeva di Mulo, non di Vivo. Per i colori, tenui e ben armonizzati, per la sistemazione dei mobili, per il singolo ramoscello di salice, sistemato in una boccia nera di coccio con un’essenzialità e una grazia quasi orientali.

Lei disse: — Ti sei accorto che stavi piangendo, mentre tenevi in braccio la bambina?

Non se n’era reso conto. Si asciugò le guance umide, disprezzandola per averlo notato e, allo stesso tempo, grato perché non aveva esposto le sue lacrime allo scherno dei Vivi nel bel mezzo dell’edificio.

Visto che doveva per forza dire qualcosa, spiegò: — Soffrono. Non qui, in questa tribù, ma in altri posti dove non ci sono queste risorse vivono così…

— I poveri hanno sempre vissuto in un paese diverso rispetto ai ricchi. In ogni epoca, indipendentemente da quanto fossero vicine fisicamente le loro case.

— Ti prego, non darmi lezioni su…

— Guarda questo, Jackson. — Aprì il cassetto superiore della scrivania e tirò fuori un oloregistratore, poi disse: — Invia registrazione numero tre. — Quando lo consegnò a Jackson, lui lo prese.

Lo schermo in miniatura mandò un servizio giornalistico di un canale di Muli: il tono oscillava fra lo scherno e il disprezzo. Il pezzo, non più di due minuti, era un’intervista a un gruppo di medici che aveva appena allestito in Texas una clinica protetta da uno scudo a energia-Y subito fuori dall’Enclave di Austin per curare bambini Vivi nonCambiati. — È necessario — diceva un giovane medico dall’aspetto stanchissimo che aveva un gran bisogno di tagliarsi i capelli. — Soffrono. Quello che Miranda Sharifi permette che accada qui è criminale. — L’oloschermo si spense.

Vicki sbuffò: — "Quello che Miranda permette che accada". Noi non vogliamo ancora prenderci la responsabilità.

— Chi sarebbe "noi"? — ribatté lui con violenza.

— A volte tu usi "noi" per intendere Vivi, a volte Muli.

— E allora? Jackson, c’è un numero sempre crescente di bambini nonCambiati. Hanno bisogno di medici.

Ripensò alla faccia stanca del medico nell’ologramma, allo scudo di sicurezza attorno alla clinica, ai Vivi che avevano assaltato il suo appartamento quando c’era Theresa. A dispetto della sua ammirazione per l’irrefrenabile Lizzie, lui non voleva prestare il suo servizio presso i Vivi. Non era quello per cui aveva studiato.

— È molto più facile provare compassione che agire per causa sua, vero? — disse Vicki. — Ma non altrettanto soddisfacente, alla lunga. Credimi, io lo so.

Lui le disse con espressione secca: — Non ti ho mai sentita dire qualcosa di diverso.

Vicki rise. — Hai ragione. — Si sporse in avanti e lo baciò.

La cosa colse Jackson di sorpresa. Che stava facendo? Di certo non lo stava baciando soltanto perché lo aveva visto piangere per un bambino Vivo, no? Non sembrava il tipo da… ma poi ogni pensiero lo abbandonò. Le labbra di lei erano morbide, più sottili di quelle di Cazie, il suo corpo più alto e meno arrotondato. La bocca della donna indugiò sulla sua, si allontanò brevemente, quindi vi tornò. Jackson la attirò a sé e sentì una scossa che gli arrivava dalle labbra percorrergli il busto e, passando attraverso il petto, terminargli con una scarica forte e gradevole nel pene. La abbracciò.

Vicki si allontanò. — Prova a pensare all’idea di una clinica — gli disse. — Fra tutte le tue altre preoccupazioni, ovviamente. Ecco che ne arriva una.

All’improvviso Jackson si accorse che stava suonando l’allarme, che stava suonando già da tempo, ma al margine della sua attenzione. Al di sopra, sentì Cazie gridare: — Jackson! So che sei qui dentro da qualche parte! Jack, maledizione, voglio parlare con te!

Vicki sorrise. Deliberatamente, tirò indietro la tenda e chiamò: — Quaggiù, Cazie. Siamo qui.

Cazie si mosse con passo deciso attraverso il ridicolo dedalo di mobili trasandati. Recepì la scena tutta insieme: Jackson accanto al letto di Vicki, Vicki in piedi che tratteneva con grazia la tenda con una mano, il volto di Jackson paonazzo e quello di Vicki malizioso. Cazie restò immobile.

— Noi abbiamo finito qui — disse Vicki con una moina. — Ci vediamo dopo, Jackson. — Gli fece l’occhiolino.

Lui ebbe paura di guardare Cazie negli occhi.


Il primo aprile, giorno delle elezioni, pioveva. Quando Jackson si svegliò in un loculo soffocante all’interno dell’edificio della tribù nella Contea di Willoughby, sentì la pioggia battere contro il tetto.

Non aveva pianificato di trovarsi lì. Il giorno precedente, però, si era imbattuto in uno sbarramento di robocamere e reporter che avevano cercato di bloccarlo contro il muro dell’edificio per identificarlo. Per poco non avevano visto i suoi occhi modificati geneticamente. Li aveva allontanati ed era scappato all’interno, dove Lizzie aveva insistito che, se non voleva essere riconosciuto, doveva restare per tutta la notte. Vicki era andata in un’altra tribù. Jackson ne fu fondamentalmente contento.

Rimase steso sul duro pagliericcio di tessuto non consumabile e fissò nell’oscurità due pareti di cemespugna, una che pareva lamiera malconcia sostenuta da traverse di sedie rotte e una di tenda tessuta a mano color grigio. Appeso sulla lamiera c’era un ricamo a mano con filo color cremisi e lavanda: BENVENUTO STRANIERO. Dedusse di essere alloggiato nella stanza degli ospiti della tribù.

Si alzò, si stiracchiò, infilò i pantaloni e seguì il generale baccano mattutino fino al centro dell’edificio cavernoso.

— Buon giorno! — cinguettò Lizzie. Gli occhi neri le scintillavano. Indossava abiti da esterno e stivali. Dirk giaceva in uno scatolone di plastica turchese, e agitava i pugnetti paffuti cercando di catturarsi le dita dei piedi. — Oggi è il gran giorno!

— Dov’è Shockey? — chiese Jackson. Desiderava maledettamente una tazza di caffè che non avrebbe ottenuto.

— A colazione. Così come quasi tutti gli altri che vogliono finire nudi sui notiziari. Ha fame?

— No — mentì Jackson.

— Bene. Questo è un ottimo momento per allontanarsi prima dell’arrivo dei giornalisti. La maggior parte è andata a casa per la notte e il resto è al campo di alimentazione. I seggi sono aperti dalle nove a mezzogiorno. Io uscirò dal retro per incontrare Vicki alla sua aeromobile e poi andremo insieme a controllare la tribù di Wellsville. Vuole venire?

— Se vi incontrerete alla mia aeromobile, penso che ti accompagnerò fino a lì. Hai mangiato, Lizzie?

— Non ci riesco. Sono troppo agitata. Oh, mamma, ecco Dirk… l’ho già allattato.

Annie emerse dal suo loculo, lanciò un’occhiataccia a Jackson e prese in braccio il nipotino. L’occhiataccia non era seria. Annie si sentiva a disagio se aveva attorno dei Muli, ma si era addolcita nei confronti di Jackson quando aveva capito che a lui non piaceva Vicki. A lui non piaceva Vicki? Non l’aveva più vista durante l’ultima settimana, da quando l’aveva baciato. Non voleva nemmeno vederla. Né lei, né Cazie e nemmeno Lizzie. Voleva trovare la sua aeromobile, volare a casa e bere una tazza di caffè.

Sapeva che stava mentendo a se stesso.

— Buon giorno, Annie — disse. — Diretta fuori a colazione?

— Non con tutte quelle telecamere, io — sbuffò lei. — Billy è andato a prendere del terreno buono e lo ha portato dentro. Noi mangeremo, noi, in privato, decentemente, grazie tante.

Lizzie nascose un sorriso. Prese Jackson per mano e lo condusse verso una porticina, che non era stata ancora scoperta dalle robocamere, aperta da Billy sul retro dell’edificio e nascosta da erbacce e cespugli. La porta era così bassa che Lizzie e Jackson dovettero uscire carponi. La cemespugna non si tagliava con facilità.

— Lizzie, dove ha preso Billy una sega laser per tagliare questa porta?

Lizzie fece un sogghigno, guardandolo da sopra una spalla. — Ho trovato un modo per trafugarne una. Appena il mese scorso. Ma non le dirò come ho fatto.

Fuggirono nella pioggia che si era ridotta a qualche goccia. Nonostante tutto, Jackson era inzuppato e infreddolito quando raggiunsero l’aeromobile, che era nascosta dietro a uno scudo a energia-Y opaco. Vicki stava seduta sullo scudo, sporcandolo di fango con il sedere infilato nella tuta.

— Buongiorno, Lizzie, Jackson!

— Vicki! Come vanno le cose all’accampamento di Max e Farla?

— Bene. Sono tutti alzati, vestiti con gli abiti migliori e i gioielli più belli, riuniti attorno al terminale e pronti per l’immortalità politica. — Sorrise a Jackson che le rispose con un debole sorriso.

— Quindici minuti all’apertura dei seggi — fece Lizzie. — Penso che voterò a Wellville.

Vicki disse: — Facciamolo qui.

— Qui? Come?

— Sono sicura che Jackson ha una linea nell’aeromobile per collegarsi con i canali ufficiali. Vero, Jackson? Possiamo starcene sedute comodamente in un veicolo da Muli ed eleggere il primo politico Vivo da decenni.

Lizzie si mise a ridere. — Facciamolo!

— Jackson? — chiese Vicki.

Lui guardò i loro abiti macchiati di fango, inzuppati di pioggia e decise di essere impazzito. — Certo, perché no?

— Oh, sono così agitata! — sospirò Lizzie.

Aprì l’aeromobile e vi si pigiarono dentro. Attivò la linea, chiese il collegamento con il canale governativo ufficiale ed entrò nel programma elettorale. Alle nove, guardò Lizzie.

Lei si sporse solennemente in avanti. — Lizzie Francy, ID Cittadino CLM-03-9645-957 per votare nell’elezione straordinaria per il supervisore distrettuale della Contea di Willoughby in Pennsylvania.

— Numero Cittadinanza verificato. Prego appoggiare l’occhio sinistro contro l’icona della scansione retina. — Eseguì. — Verificato. I candidati iscritti per la carica di supervisore distrettuale della Contea di Willoughby sono Susannah Wells Livingston, Donald Thomas Serrano e Shockey Toor. Per chi vota?

Lizzie scandì chiaramente: — Per Shockey Toor.

— Un voto per Shockey Toor. Ufficialmente registrato.

— L’ho fatto! — sospirò Lizzie con un sospiro. — Vicki, adesso tu.

Vicki votò. Jackson, non iscritto alla lista dei votanti della Contea di Willoughby sentì il petto serrarsi. Lizzie avrebbe avuto la sua vittoria, ma era l’unica che avrebbero ottenuto i Vivi. Lei non aveva idea delle forze che la struttura del potere in carica avrebbe messo in gioco appena avesse affrontato seriamente quella minaccia. Guardò i tristi boschi inzuppati di pioggia. Un chipmunk arruffato sfrecciò davanti a loro.

— Svelto! — disse Lizzie. — Richieda un totale aggiornato!

— Lizzie, sono soltanto le nove e tre minuti!

— D’accordo, allora, richiami un canale di notiziari.

Lo fece Vicki. Il Canale 14 si stava interessando della storia. Jackson vide l’immagine di una robocamera del familiare campo di alimentazione della tribù, vuoto. Erano entrati tutti per votare.

Una voce disse: — Qui, nel giorno delle elezioni straordinarie nella Contea di Willoughby in Pennsylvania, i cittadini stanno votando per la carica di supervisore distrettuale in un’insolita elezione. Uno dei tre candidati non è abituato a cariche pubbliche, e forse è anche inadeguato. Queste sono le elezioni che hanno acceso un dibattito nazionale su chi sia più adatto a servire il pubblico, su come vengono compilate le liste elettorali e su quali salvaguardie abbiano diritto di aspettarsi i politicamente innocenti contro i politicamente opportunisti. Per la prima volta, alla nostra telecamera è stato concesso di affacciarsi alla porta aperta di questa "comunità"per vederne i membri votare.

La robocamera zoomò verso la porta dell’edificio e si regolò per la scarsa luce all’interno. Lenti grandangolari mostrarono il terminale della tribù in un lato del grande spazio comune, appoggiato su una tavola coperta con un telo bianco, rosso e blu. Dall’altra parte c’era la tribù allineata per avanzare, uno alla volta, e votare. Centosessantadue Vivi si trascinavano in avanti, tenendo in braccio bambini, dandosi la mano.

— Ecco la mamma con Dirk! — squittì Lizzie. — E Billy. E Sharon con Callie. Shockey deve avere già votato, voleva andare per primo. — Passò un istante. — Ma perché sono così?

Jackson si sporse in avanti per guardare lo schermo.

Lizzie disse: — Perché sembrano tutti così strani?

La robocamera zoomò in avanti. Sharon Nugent, Franklin Caterino, Norma Kroll, Scott Morrison: un volto dopo l’altro appariva teso, insicuro. Fronti aggrottate, sguardi abbassati, respiro accelerato quando gli occhi si sollevavano verso la telecamera. Sharon stava aggrappata alla madre anziana e poi Sam Webster si avvicinò a tutt’e due.

— Ma che sta succedendo? — gridò Lizzie. — Dov’è Shockey?

La robocamera lo individuò, raggomitolato su una vecchia sedia da giardino, in un angolo buio. Shockey teneva le mani serrate in grembo. Quando alzò gli occhi sui votanti il suo viso si tese. Jackson avrebbe giurato che Shockey stesse tremando.

Qualcuno chiuse di scatto la porta dell’edificio dall’interno.

— In violazione agli accordi presi precedentemente, i Vivi hanno appena escluso la nostra robocamera — disse il giornalista fortemente dispiaciuto. — Adesso passiamo a un altro seggio tribale nella contea… No, anche questo edificio pare chiuso.

— Spegni. Passa ai totali — disse Vicki.

Erano le 9:17. Jackson trovò la tabella sul canale governativo, un diagramma silenzioso e spoglio:


VOTO POPOLARE

SUPERVISORE DISTRETTUALE CONTEA DI WILLOUGHBY

ELEZIONI STRAORDINARIE

SUSANNAH WELLS LIVINGSTON: 3

DONALD THOMAS SERRANO: 192

SHOCKEY TOOR: 2


Mentre guardavano vennero registrati altri due voti a favore di Donald Thomas Serrano.

— Stanno barando, loro! — gridò Lizzie. — Abbiamo visto la gente votare per Shockey.

— Abbiamo visto delle persone votare — la corresse Vicki. — Non possiamo sapere realmente per chi.

— Dev’essere un broglio!

Jackson rifletté rapidamente. I risultati non avevano alcun senso. Però Vicki aveva ragione, probabilmente, e il sistema non stava barando: nessuno avrebbe osato tanto. Un sistema truccato contro un candidato Vivo quel giorno poteva essere truccato a sfavore di un candidato Mulo in futuro. I notiziari avrebbero assoldato fantastici pirati informatici per portare a galla l’imbroglio. No. Stava succedendo qualcos’altro. Che cosa? Perché?

— Voli verso casa — ordinò Lizzie. — Forza, in fretta!

Jackson scambiò un’occhiata con Vicki, fece decollare il veicolo e tornò indietro. Durante il breve percorso, videro Donald Thomas Serrano catturare virtualmente ogni voto. Tutti votavano presto, come cittadini seri. Jackson fece atterrare l’aeromobile di fianco ai veicoli della stampa: nessuno lo degnò di attenzione finché non emerse Lizzie. Lei ignorò domande e commenti, correndo verso la porta principale. Jackson e Vicki la seguirono, mostrandosi di pietra.

La porta era bloccata.

Lizzie pronunciò i codici di sovrapposizione e si lanciò all’interno.

— Lizzie! — esclamò Annie. — Perché corri, tu? Che cos’è successo? — Annie strinse forte Dirk che cominciò a piangere.

— Cosa è "successo"? — gridò Lizzie. — Shockey sta perdendo! Nessuno vota per lui!

Annie indietreggiò di un passo e abbassò lo sguardo. "Annie" che rispondeva sempre all’insubordinazione con espressioni accigliate e ordini. Sollevò Dirk fino alle spalle. Il piccolo vide la madre e Vicki e si quietò, finché non notò Jackson. Immediatamente riprese a piangere, nascondendo la testa contro la spalla di Annie.

Vicki chiese con voce piatta: — Annie, hai votato?

Annie si fece piccola piccola e mormorò: — Sì.

— Hai votato per Shockey?

Muta, a disagio, Annie scosse la testa in un no.

Lizzie gridò: — Perché no? — Intanto Dirk continuava a piangere ogni volta che sollevava la testa dalla spalla della nonna e coglieva una nuova occhiata di Jackson.

Annie serrò la presa sul piccolo. — Io non… Shockey non è, lui… Mi dispiace, tesoro, ma è solo che… stiamo messi meglio, noi, con qualcuno che sa, lui, quello che sta facendo.

Jackson restò immobile. I modi di Annie gli rammentavano qualcosa che lui, così confuso, non riusciva a focalizzare. In un attimo avrebbe ricordato. Dall’altra parte della vasta zona comune, ora vuota di votanti, Billy Washington uscì dal loculo suo e di Annie. Il vecchio ben piazzato fece qualche passo esitante, si fermò, guardò Annie, avanzò di qualche altro passo e abbassò lo sguardo. Jackson vide che gli tremavano le mani, vide che si sforzava di avanzare.

"Theresa." Erano tutti… Billy, Annie e perfino Dirk… agivano come Theresa.

Perfino Shockey. Accucciato sulla sedia da giardino, nervoso e impaurito, fino al giorno prima ammalato di spavalda innocente corruzione che scopava la ragazza Mulo nel bosco…

La ragazzina che sniffava dall’inalatore.

— Uscite — disse in fretta a Vicki e Lizzie. — Adesso. Uscite dall’edificio all’istante. Vicki, porta Annie.

Vicki apparve sbalordita ma non protestò forse per il tono che aveva usato; afferrò Annie per un braccio e la trascinò verso la porta. — No, no — implorò Annie. — No, per favore. Non voglio uscire lì fuori, per favore…

— Forza — incoraggiò Jackson, afferrando l’altro braccio di Annie e aiutando Vicki a trascinarla via.

Lizzie chiedeva: — Cosa? Cosa succede? — ma li seguì.

Una volta fuori, Dirk guardò da sopra la spalla di Annie la zona aperta e si mise a gridare più forte. Lizzie lo prese in braccio. Jackson li fece affrettare, Annie senza nemmeno il cappotto, sotto la pioggia verso l’aeromobile. Scesero delle robocamere, e i reporter, chiusi nei veicoli in cui stavano consultando i risultati delle elezioni, sollevarono lo sguardo. Jackson fece infilare Annie sull’aeromobile e decollò.

— Va bene — disse Vicki. — Che cos’è?

— Non ne sono ancora sicuro — rispose Jackson. — Un neurofarmaco, penso. Gassoso. Soltanto… — Soltanto che il Depuratore Cellulare di Annie avrebbe dovuto fare effetto, ripulendo il suo corpo da molecole estranee non appena aveva smesso di respirarne. Annie, invece, continuava a farsi piccola piccola e a tremare, e Dirk a gridare e ad attaccarsi a sua madre. Se poi il neurofarmaco era stato diffuso all’interno dell’edificio, dovevano averlo respirato anche lui, Vicki e Lizzie. Lizzie invece appariva furiosa, Vicki allertata e lo stesso Jackson non si sentiva né tremante né ansioso. Quindi, se non era nell’edificio…

Atterrò con l’aeromobile e si girò per dare un’occhiata al sedile posteriore. — Annie, hai fatto colazione nell’area di alimentazione?

Annie scosse la testa e strinse insieme le mani con forza. Lo sguardo le dardeggiava da una parte all’altra e il petto le si alzava e abbassava rapidamente.

— Billy ha fatto colazione nella zona di alimentazione?

— Lui… lui è andato lì, lui, per prendere del terreno fresco per noi, privatamente…

— Ma non siete andati alla zona di alimentazione questa mattina?

Annie trasse un profondo respiro. — Io… dopo. Quando non c’erano più giornalisti e tutti gli altri erano andati dentro, loro… è uscito un po’ di sole e… Dirk ha bisogno di sole, lui. Siamo stati soltanto un po’ seduti lì, noi, con i vestiti addosso… non abbiamo… — Lasciò la frase a metà e guardò fuori dal finestrino, il bel volto florido terrorizzato. — La prego, dottore, mi porti… mi porti a casa…

Come Theresa. — Respiri profondamente, Annie. Ecco, metta questo cerotto — ordinò Jackson.

— No. Io… che cos’è? — Annie scosse la testa.

Jackson si rivolse a Vicki: — Applicale il cerotto.

La osservò attentamente. Annie… Annie! Non lottò.

Si ritrasse contro il finestrino dell’aeromobile e sollevò una mano in un flebile tentativo di schermarsi che Vicki, a occhi sbarrati, ignorò. Vicki applicò il cerotto sul collo di Annie. Annie si mise a piagnucolare.

Dopo qualche minuto, si mise a sedere più eretta, ma le mani rimasero serrate, il corpo teso. — Possiamo tornare a casa? Che sta succedendo qui, dottore? Per favore, ci riporti a casa!

Jackson chiuse gli occhi. Il cerotto era uno di quelli che si portava dietro per Theresa, che non lo avrebbe mai usato. Innescava il rilascio di ammine biogeniche che stimolavano il corpo a creare dieci neurotrasmettitori differenti. Quei neurotrasmettitori calmavano l’ansia e abbassavano le inibizioni verso stimoli percepiti come minacciosi. Il cerotto alleviava un po’ i sintomi di Annie, ma non li eliminava.

— Vicki, applica un cerotto anche a Dirk — ordinò. — No, aspetta, non farlo. — Il sangue e il cervello di Dirk ormai dovevano essere liberi da qualsiasi cosa avesse respirato all’accampamento, ma nonostante tutto lui continuava ad agire come un bambino gravemente inibito in preda a una forte crisi di ansia da estranei. Dirk, di solito, non era timido. Perché il neurofarmaco non perdeva il suo effetto?

— Era nel campo di alimentazione, vero? — chiese Vicki. — Lìzzie, ci sei andata questa mattina?

Lizzie domandò imperiosamente: — Di che state parlando, voi? Qualcuno ha fatto qualcosa a Dirk?

— Neanch’io mi sono alimentata nell’altra tribù — continuò Vicki. — Ero troppo agitata. Perché il Depuratore Cellulare non sta eliminando gli effetti su Dirk?

— Non so — rispose Jackson nello stesso momento in cui Lizzie si metteva a gridare: — Quali effetti? Che cos’è successo al mio bambino? — e Annie allungava una mano sopra il sedile per bussare sulla spalla di Jackson e dire con voce tremula: — Se qualcuno ha fatto del male a questo bambino, lui…

Vicki li ignorò tutti e digitò qualcosa sul terminale.


VOTO POPOLARE

SUPERVISORE DISTRETTUALE CONTEA DI WILLOUGHBY

ELEZIONI STRAORDINARIE

SUSANNAH WELLS LIVINGSTON: 104

DONALD THOMAS SERRANO: 1.681

SHOCKEY TOOR: 32


— Donald Serrano — disse Vicki. — Ha trovato un modo per vincere le elezioni, e nessuno ha pensato a qualcosa di diverso dalle bustarelle che ha diffuso in giro.

— No — commentò Jackson. — Non sappiamo come produrre una cosa simile.

— Produrre cosa? — gridò Lizzie.

Jackson alzò la voce per rispondere al di sopra della paura di Annie, dell’allarmismo di Lizzie, del piagnucolio di Dirk. — Come creare neurofarmaci che non vengano spazzati via immediatamente dal Depuratore Cellulare. Le riviste mediche, i miei amici medici che sono entrati nel campo della ricerca, tutti stanno cercando un prodotto simile. Un allucinogeno brevettabile, un’endorfina sintetica o un’altra droga di piacere che non debba essere inalata ogni pochi minuti. Per l’amor di Dio, scendi dall’aeromobile Vicki. Non posso sentirmi pensare.

Jackson e Vicki scesero dal veicolo. Jackson bloccò le portiere per evitare le domande impaurite di Annie e i tentativi di Lizzie di seguirli. Restò in piedi sotto la pioggia, mentre l’acqua gli colava nel collo, e cercò di riorganizzare i pensieri. — Nessuno nel campo della medicina è nemmeno vicino a questa scoperta straordinaria. Se qualcuno lo fosse, poi, un tale farmaco non sarebbe usato in un’elezione da quattro soldi come questa. Varrebbe miliardi.

— Allora chi è stato? — chiese Vicki. — Miranda Sharifi?

— Ma "perché"? Perché i Super avrebbero fatto una cosa simile?

— Non lo so.

L’aeromobile si scosse. Jackson guardò Lizzie che picchiava infuriata dall’interno del finestrino rigato di pioggia. Guardò una Annie solo parzialmente messa in condizione di tollerare la nuova situazione, e comunque solo per la durata del neurofarmaco presente nel cerotto. Guardò il neonato che agiva come una piccola Theresa, con la stessa timidezza di Theresa e la paura invasiva per tutto quello che era nuovo, tutto quello che era rischioso, tutto quello che era allontanamento da ciò che aveva sempre fatto.

Come fare elevare un Vivo a una carica politica.

— Chi è stato, Jackson? — chiese Vicky. — Chi è in grado di fare una cosa simile in più luoghi diversi? E come?

— Non so — rispose Jackson. Doveva essere Miranda, nessun altro possedeva una conoscenza neurobiologica così avanzata. E non poteva essere Miranda. Lei non rendeva le persone "meno" capaci!!

Non era così?

Doveva essere Miranda. Non poteva essere Miranda.

"Un’intera popolazione di Theresa."

— No lo so.