"Coraline" - читать интересную книгу автора (Gaiman Neil)XIIISembrava che i genitori di Coraline non ricordassero assolutamente nulla del tempo trascorso nel globo di neve. O, quanto meno, non ne facevano mai parola, e Coraline dal canto suo evitava di parlarne. Certe volte, però, si domandava se si fossero mai resi conto di aver perso due giorni nel mondo reale, e alla fine decise di no. Ma del resto ci sono persone che tengono il conto preciso di ogni giorno e di ogni ora che passa, e ce ne sono altre che non lo fanno, e indubbiamente i genitori di Coraline appartenevano alla seconda categoria. Coraline aveva messo le biglie sotto il cuscino prima di addormentarsi, in quella prima notte trascorsa di nuovo nella sua vera stanza. Dopo aver visto la mano dell’altra madre tornò a letto, anche se non c’era più tanto tempo per dormire, e appoggiò di nuovo la testa sul cuscino. E mentre lo faceva, qualcosa scricchiolò delicatamente. Si tirò su a sedere e sollevò il cuscino. I frammenti delle biglie sembravano i resti dei gusci d’uovo che si trovano sotto gli alberi a primavera: come le uova vuote e rotte dei pettirossi, o persino più delicate. Come quelle degli scriccioli, forse. Qualunque cosa ci fosse stata dentro quelle sfere di vetro, ora non c’era più. Coraline pensò ai tre bambini che le facevano ciao con la mano al chiaro di luna, salutandola prima di attraversare il ruscello argentato. Facendo molta attenzione, raccolse i sottili frammenti e li ripose nella scatoletta azzurra del braccialetto che sua nonna le aveva regalato quando era piccola. Il braccialetto era andato perduto da chissà quanto tempo, ma la scatoletta era rimasta. Miss Spink e Miss Forcible, che erano state a trovare la nipote di Miss Spink, erano tornate, così Coraline scese da loro per il tè. Era un lunedì. Mercoledì Coraline sarebbe tornata a scuola: cominciava un nuovo anno scolastico. Miss Forcible insistette per leggerle le foglie di tè. — Bene, sembrerebbe che quasi tutto sia in perfetto ordine e con ampie schiarite all’orizzonte, carina — disse Miss Forcible. — Come, scusi? — disse Coraline. — Tutto andrà nel migliore dei modi — disse Miss Forcible. — Be’, quasi tutto. Non sono sicura di cosa sia Miss Spink pronunciò un ohibò e prese in mano la tazza. — Seriamente, Miriam, dammi qua. Lasciami vedere… — Batté le palpebre dietro le spesse lenti degli occhiali. — Oddio. No, non ho proprio idea di cosa possa significare. Sembrerebbe quasi una mano. Coraline guardò anche lei. Quell’ammasso di foglioline sembrava veramente una mano, tesa verso qualcosa. Hamish, il terrier scozzese, si era nascosto sotto la sedia di Miss Forcible e non voleva venire fuori. — Credo che sia rimasto coinvolto in una baruffa — disse Miss Spink. — Ha una ferita profonda sul fianco. Oggi pomeriggio lo portiamo dal veterinario. Vorrei tanto sapere cosa gliel’ha provocata. Coraline capì che bisognava agire. In quell’ultima settimana di vacanza il tempo fu splendido, come se l’estate stesse cercando di rimediare al tempo orrendo che c’era stato fino ad allora, regalando delle magnifiche giornate di sole prima di concludersi. Il vecchio pazzo dell’ultimo piano chiamò Coraline, quando la vide uscire dall’appartamento di Miss Spink e Miss Forcible. — Ehi! Tu! Ciao! Caroline! — gridò dal parapetto. — Mi chiamo Coraline — disse lei. — Come stanno i topi? — Qualcosa li ha spaventati — rispose l’uomo grattandosi i baffi. — Credo che ci sia una donnola in casa. Gira qualcosa. L’ho sentito stanotte. Nel mio paese avremmo messo subito una tagliola con un po’ di carne o un hamburger, e quando la bestia si avvicina per banchettare, allora — — Io non credo che voglia la carne — disse Coraline. Alzò una mano e toccò la chiave nera che portava al collo. Poi entrò in casa. Si fece il bagno, senza mai togliersi la chiave di dosso. Non se la tolse più. Dopo che si fu messa a letto sentì grattare sul vetro della finestra. Era quasi addormentata, ma scese e aprì le tende. Una mano bianca dalle unghie rosse saltò dal davanzale alla grondaia e scomparve immediatamente dalla vista. Dall’altra parte del vetro c’erano profonde scanalature. Quella notte Coraline dormì sonni agitati, svegliandosi di continuo per tramare, programmare, ponderare, e ogni volta che si riaddormentava non era mai sicura di dove finisse il ponderare e iniziasse il sognare, con un orecchio sempre all’erta per sentire se qualcosa grattasse sul vetro della finestra. Al mattino, Coraline disse a sua madre: — Oggi farò un picnic con le mie bambole. Posso prendere un lenzuolo — uno vecchio, uno che non ti serve più — da usare come tovaglia? — Non credo di averne uno — disse sua madre. Aprì il cassetto della cucina dove teneva tovaglie e tovaglioli e si mise a frugare. — Aspetta. Questa ti può andar bene? Si trattava di una tovaglia di carta usa e getta, con dei fiori rossi, rimasta dall’ultimo picnic che avevano fatto diversi anni prima. — È perfetta — disse Coraline. — Pensavo che avessi smesso di giocare con le bambole — disse la signora Jones. — Invece no — ammise Coraline. — È che si mimetizzano. — Be’, cerca di tornare per l’ora di pranzo — le disse sua madre. — E divertiti! Coraline riempì una scatola di cartone con le sue bambole e diverse tazzine da tè di plastica. Riempì anche una caraffa d’acqua. Quindi uscì. S’incamminò lungo la strada, come se stesse andando verso i negozi. Prima di raggiungere il supermercato, superò una staccionata e si ritrovò in un terreno abbandonato, percorse una vecchia strada carrozzabile e strisciò poi sotto una siepe. Dovette fare due viaggi sotto la siepe, per non rovesciare l’acqua nella caraffa. Fu un viaggio lungo e tortuoso, ma alla fine fu felice che nessuno l’avesse seguita. Sbucò dietro il malconcio campo da tennis. Lo attraversò e raggiunse il prato dove ondeggiava l’erba alta. Trovò le tavole ai margini del prato. Erano incredibilmente pesanti, quasi troppo pesanti perché una ragazzina, pur facendo ricorso a tutta la forza che aveva, ce la facesse a sollevarle. Ma Coraline ce la fece. Non aveva altra scelta. Tolse di mezzo le tavole, una alla volta, sbuffando e sudando per la fatica, e mise in luce un buco nel terreno, fondo e tondo, delimitato da un muricciolo di mattoni. Puzzava di umidità e di buio. I mattoni erano verdognoli e limacciosi. Coraline distese la tovaglia e la sistemò con cura in cima al pozzo. Quindi dispose le leggere tazze da tè giocattolo a una ventina di centimetri di distanza l’una dall’altra, ai margini del pozzo, e appesantì ogni tazza riempiendola d’acqua. Poi, sull’erba, vicino a ogni tazza, mise seduta una bambola. Quindi, tornò sui suoi passi: di nuovo sotto la siepe, lungo la polverosa strada gialla, dietro i negozi, dentro casa. Si portò una mano al collo e staccò la chiave. La fece dondolare, come se fosse solo qualcosa con cui le piaceva giocherellare. Poi andò a bussare alla porta di Miss Spink e Miss Forcible. Andò ad aprirle Miss Spink. — Salve, tesoro — le disse. — Non entro — disse Coralme. — Volevo solo sapere come sta Hamish. Miss Spink sospirò. — Il veterinario dice che Hamish è un bravo soldatino — disse. — Per fortuna, pare che la ferita non abbia fatto infezione. Non riusciamo a capire cosa gli sia capitato. Secondo il veterinario è stato un animale, ma non ha idea di quale. Il signor Bobo dice che secondo lui, potrebbe essere stata una donnola. — Il signor Bobo? — L’uomo dell’ultimo piano. Il signor Bobo. Antica e rinomata famiglia circense, credo. Romena o slovena o lituana, uno di quei paesi lì. Benedetta me, non riesco più a ricordarmeli. Coraline si rese conto che non le era mai venuto in mente che il vecchio pazzo del piano di sopra potesse avere un nome. Se avesse saputo che si chiamava signor Bobo, non avrebbe perso occasione per chiamarlo così. Quante volte ti può capitare di dire a voce alta un nome come "signor Bobo"? — Oh — disse Coraline a Miss Spink. — Il signor Bobo. Giusto. Be’ — disse con voce leggermente più alta — adesso vado a giocare con le mie bambole, giù in fondo, vicino al campo da tennis. — Tesoro, che bello! — disse Miss Spink. E poi aggiunse, in tono confidenziale: — Fa’ attenzione al vecchio pozzo. Il signor Lovat, che era qui prima di te, diceva che secondo lui era profondo anche più di mezzo miglio. Coraline sperò che la mano non avesse sentito quest’ultima osservazione, quindi cambiò subito argomento. — Questa chiave? — disse a voce alta. — Oh, è solo una vecchia chiave di casa nostra. Mi serve per giocare. È per questo che me la porto dietro, attaccata a uno spago. Be’, arrivederci. — Che bambina eccezionale — disse Miss Spink fra sé e sé, mentre chiudeva la porta. Lentamente Coraline attraversò il prato in direzione del vecchio campo da tennis, dondolando la chiave nera appesa allo spago. Più volte ebbe la sensazione di aver visto qualcosa color osso nel sottobosco. Si teneva a una decina di metri di distanza e teneva il suo passo. Coraline provò a fischiare, ma non funzionò, così si mise a cantare forte una canzone che aveva inventato suo padre quando lei era piccolissima, e che l’aveva sempre fatta ridere. Diceva così: Questa era la canzone che cantava mentre camminava senza fretta in mezzo al bosco, con la voce che non le tremava quasi per niente. Le bambole che prendevano il tè erano rimaste dove le aveva lasciate. Si sentì sollevata dal fatto che non fosse una giornata di vento, perché tutto era rimasto esattamente al suo posto, con ogni tazza di plastica piena d’acqua a tenere ferma la tovaglia di carta, proprio come doveva essere. Coraline si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Adesso arrivava la parte più difficile. — Salve, bambole — disse in tono allegro. — È l’ora del tè! E si avvicinò alla tovaglia. — Ho portato la chiave della fortuna — disse alle bambole. — Per essere certa che il nostro sarà un bel picnic. E poi, con estrema delicatezza, si chinò e posò dolcemente la chiave sulla tovaglia. Senza mai mollare lo spago. Trattenne il fiato, sperando che le tazze con l’acqua tenessero ferma la tovaglia e non la lasciassero sprofondare nel pozzo, nonostante il peso della chiave. La chiave era al centro della tovaglia. Coraline lasciò lo spago e fece un passo indietro. Adesso toccava alla mano. Poi si rivolse alle bambole. — Gradite una fetta di torta alle ciliegie? — domandò. — Jemima? Pinky? Primrose? — e, chiacchierando allegramente, servì a ogni bambola una fetta di torta invisibile su un piattino invisibile. Con la coda dell’occhio vide qualcosa di bianco saltellare da un tronco all’altro, avvicinandosi sempre di più. Si sforzò di non guardare. — Jemima! — disse Coraline. — Che bambina cattiva! Hai fatto cadere la torta! Adesso mi toccherà andare a prenderne un’altra fetta! — Fece il giro della tovaglia fino a trovarsi dall’altra parte, a portata della mano. Finse di pulire via la torta rovesciata e poi ne diede un’altra fetta a Jemima. Poi, con uno sgambettare veloce e stridente, eccola arrivare: la mano, in corsa sulla punta delle dita, a tentoni attraverso l’erba alta e sopra una ceppaia. Per un istante si fermò lì, come un granchio che saggia l’aria, e poi, con uno schiocco di unghie, fece un salto trionfante al centro della tovaglia. Per Coraline il tempo rallentò. Le bianche dita si richiusero intorno alla chiave… Poi il peso e lo slancio della mano mandarono all’aria le tazze di plastica, e la tovaglia di carta, la chiave e la mano destra dell’altra madre ruzzolarono nel buio del pozzo. Coraline contò lentamente, sottovoce. Dovette arrivare a quaranta prima di sentire un tonfo attutito che veniva da là sotto, in profondità. Una volta, qualcuno le aveva detto che se guardi in su dal fondo del pozzo di una miniera, anche se è una giornata molto luminosa, si possono vedere il cielo notturno e le stelle. Coraline si domandò se la mano potesse vedere le stelle, da dove si trovava adesso. Scaraventò di nuovo le pesanti tavole sul pozzo, coprendolo con molta cura. Voleva che non ci cadesse dentro nulla. Né voleva che nulla potesse venirne fuori. Poi rimise bambole e tazze nella scatola di cartone per portarle via. Mentre stava facendo questo, qualcosa richiamò la sua attenzione, e si tirò su in tempo per vedere il gatto nero che avanzava verso di lei, con la coda dritta e arricciata come un punto interrogativo. Era la prima volta che lo rivedeva dopo diversi giorni, da quando erano tornati dalla casa dell’altra madre. Il gatto le si avvicinò e saltò sulle tavole che coprivano il pozzo. Poi, lentamente, le fece l’occhiolino. Fece un salto nell’erba alta davanti a Coraline e si rotolò sulla schiena, dimenandosi come se fosse in estasi. Lei gli grattò e solleticò il soffice pelo della pancia, e il gatto fece le fusa soddisfatto. Quando ne ebbe abbastanza, l’animale si rimise sulle zampe e se ne tornò verso il campo da tennis, come un minuscolo brandello di mezzanotte nel sole di mezzogiorno. Coraline tornò a casa. Il signor Bobo la stava aspettando nel vialetto d’accesso e le batté una mano sulla spalla. — I topi mi dicono che è tutto a posto — disse. — Dicono che sei la nostra salvatrice, Caroline. — È Coraline, signor Bobo — disse Coraline. — Non Caroline. Coraline. — Coraline — disse il signor Bobo, ripetendo quel nome con meraviglia e rispetto. — Molto bene, Coraline. I topi dicono che non appena saranno pronti a esibirsi in pubblico, dovrai essere la prima spettatrice in assoluto del loro concerto. Suoneranno — Molto volentieri — disse Coraline. — Quando saranno pronti. Bussò poi alla porta di Miss Spink e Miss Forcible. Miss Spink la fece accomodare e Coraline entrò nel loro salottino. Depositò la scatola con le bambole sul pavimento. Poi si mise una mano in tasca e ne estrasse il sassolino con il buco. — Ecco a voi — disse. — A me non serve più. Ve ne sono molto grata. Credo che mi abbia salvato la vita, e che abbia salvato altra gente dalla morte. Abbracciò entrambe, nonostante non riuscisse a circondare interamente con le braccia l’ampia Miss Spink, mentre Miss Forcible aveva addosso l’odore dell’aglio crudo che stava sminuzzando. Poi Coraline prese la sua scatola di bambole e andò via. — Che bambina eccezionale — disse Miss Spink. Nessuno l’aveva più abbracciata in quel modo, da quando aveva lasciato il teatro. Quella notte Coraline giaceva nel suo letto, dopo essersi fatta il bagno e lavata i denti, con gli occhi aperti a fissare il soffitto. Faceva abbastanza caldo e, ora che la mano non c’era più, aveva completamente spalancato la finestra della sua stanza. Aveva insistito con suo padre perché non le chiudesse del tutto le tende. I nuovi vestiti che avrebbe indossato l’indomani per andare a scuola erano ordinatamente disposti sulla sedia. Di solito, la notte prima dell’inizio del trimestre, Coraline era apprensiva e nervosa. Ma, si rese conto, a scuola non c’era più nulla che potesse farle paura. Immaginò di sentire una dolce musica portata dall’aria della notte: il genere di musica che poteva essere eseguita solamente da minuscole trombe e minuscoli tromboni e fagotti, da ottavini e tube così piccole e delicate che i tasti potevano essere premuti solo dalle minuscole dita rosee dei topolini bianchi. Coraline immaginò di sprofondare di nuovo nel suo sogno, con le due ragazzine e il ragazzino sotto la quercia in mezzo al prato, e sorrise. Quando spuntarono le prime stelle, finalmente lasciò che il sonno prendesse il sopravvento, mentre la dolce musica che proveniva dal circo dei topi del piano di sopra inondava la tiepida aria della sera, raccontando al mondo che l’estate era quasi finita. |
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