"La città proibita" - читать интересную книгу автора (Brackett Leigh)20.Ci fu un’altra pausa. Poi nel silenzio si udì la voce di Esaù, un po’ troppo acuta: «Abbiamo faticato molto, abbiamo corso grossi rischi, per venire qui. Non è molto probabile che ci venga voglia di andarcene, ora che siamo arrivati». «Le persone possono cambiare idea. Mi è sembrato onesto dirvi come stanno le cose». Esaù appoggiò le mani sul tavolo, e disse: «Posso fare una domanda?» «Parlate». «Dove diavolo è Bartorstown?» Sherman si appoggiò allo schienale della sedia, e fissò duramente Esaù, accigliandosi. «Sapete una cosa, Colter? Non risponderei a questa domanda, né ora né mai, se ci fosse un modo per impedirvi di conoscere la risposta. Voi due ci avete dato un sacco di problemi. Quando degli stranieri vengono qui, noi teniamo la bocca chiusa e siamo prudenti, e non ci sono molte preoccupazioni, perché gli stranieri vengono raramente, e si trattengono per breve tempo. Ma voi due vivrete qui. Presto o tardi, inevitabilmente, scoprirete tutto su di noi. Eppure voi non siete di qui. Non appartenete a questo posto. Tutta la vostra vita, la vostra educazione, il vostro ambiente, il vostro condizonamento, sono in totale conflitto con tutto ciò in cui noi crediamo, qui. È un conflitto apparentemente insanabile». Guardò Len, con un’espressione di freddo divertimento. «Non c’è bisogno di arrossire così, giovanotto, perché so benissimo che voi siete sincero. So che avete attraversato l’inferno, per venire qui, e che quanto avete fatto è molto di più di quanto noi abbiamo passato, o saremmo disposti a passare. Ma… domani è un altro giorno. Come vi sentirete, allora, cosa penserete? E se non sarà domani, il giorno successivo?» «Io penserei che siete al sicuro,» disse Len. «Fino a quando avrete una buona scorta di pallottole». «Oh,» disse Sherman. «Quello. Sì, credo di sì. In ogni modo, abbiamo deciso di correre un rischio, nel vostro caso, e così non abbiamo scelta. Vi diremo tutto su Bartorstown. Ma non questa notte». Si alzò in piedi, e inaspettatamente porse la mano a Len. «Abbiate pazienza». Len gli strinse la mano, con un certo calore, e sorrise. Hostetter disse: «A presto, Harry». Rivolse un cenno a Len e a Esaù, ed essi uscirono nuovamente, nell’oscurità della notte, nell’aria tagliente, in un mondo pieno di odori sconosciuti. Attraversarono di nuovo il paese. Le lampade erano accese in tutte le case, la gente parlava forte e rideva, e diversi gruppetti di persone si muovevano di casa in casa. «C’è sempre una festa,» spiegò Hostetter, «Alcuni uomini sono lontani da casa da molto, molto tempo». Arrivarono a una casa costruita solidamente con tronchi d’albero, che apparteneva agli Wepplo. Vi abitavano il vecchio, suo figlio, sua nuora, e la ragazza, Joan. Andarono a tavola, per la cena, e molte persone andavano e venivano, entravano a salutare Hostetter e a bere da una grossa brocca che passava di mano in mano. La ragazza, Joan, continuò a fissare Len per tutta la serata, ma non parlò molto. Molto più tardi, anche Gutierrez entrò nella casa. Era ubriaco fradicio, e rimase a fissare Len così solennemente, e così a lungo, che il giovane gli domandò che cosa desiderasse. Gutierrez disse: «Volevo solo vedere bene un uomo che ha voluto venire qui senza esserci costretto». Sospirò profondamente, e se ne andò. Qualche minuto dopo, Hostetter gli batté gentilmente la mano sulla spalla. «Andiamo, Lennie,» disse. «A meno che tu non voglia dormire sul pavimento della casa di Wepplo». Sembrava allegro, cordiale, come se il ritorno a casa non fosse stato così brutto come aveva temuto. Len si alzò, e lo seguì, attraverso la notte fredda e oscura. Fall Creek era immersa nella quiete, ora, e le lampade si spegnevano, una dopo l’altra, nelle case. Len riferì a Hostetter quello che gli aveva detto Gutierrez, e il suo bizzarro comportamento. «Povero Julio,» sospirò Hostetter. «È in condizioni terribili. Ha il morale sotto i tacchi». «Cosa gli è successo?» «Ha lavorato per tre anni di seguito su un problema. In realtà, vi ha lavorato per quasi tutta la vita, ma su di un punto particolare ha trascorso gli ultimi tre anni, lavorando giorno e notte. Tre anni! E ha appena scoperto che non era quello il modo di affrontare il problema. Cancellare la lavagna, ricominciare da capo. Solo che Julio comincia a credere che la sua vita non gli sarà sufficiente». «Sufficiente a che cosa?» Ma Hostetter si limitò a dire: «Dovremo alloggiare nel quartiere degli scapoli. Ma non è un brutto posto. C’è molta compagnia». Il «quartiere degli scapoli» era un lungo edificio a due piani, il cui telaio era stato costruito agli inizi di Fall Creek, mentre altre ali erano state aggiunte in epoche successive. Hostetter lo condusse in una stanza che si trovava sul retro di una di queste aggiunte, e aveva una propria porta, con una finestra vicino alla quale dovevano sorgere dei pini, perché l’aria era vagamente impregnata del loro aroma, e i rami stormivano quando soffiava il vento. Avevano portato le coperte che Wepplo aveva loro imprestato. Hostetter sistemò la propria in uno dei due letti della camera, si mise a sedere, e cominciò a togliersi gli stivali. «Che ne dici? Ti è piaciuta?» «Piaciuta chi?» domandò Len, stendendo le coperte sul proprio letto. «Joan Wepplo». «Come faccio a dirlo? L’ho appena vista». Hostetter scoppiò in una fragorosa risata. «Non le hai staccato gli occhi di dosso per tutta la sera». «Ho altro da pensare,» protestò Len, irato. «Che alle ragazze!» Si avvolse nelle coperte. Hostetter spense la candela, e pochi minuti più tardi cominciò a russare rumorosamente. Len rimase sveglio, invece, e tutto il suo essere era un insieme di percezioni, acuite dal senso di trovarsi in un ambiente strano e sconosciuto. La cuccetta aveva una forma nuova. Tutto era strano: gli odori della terra e della polvere e degli aghi dei pini e della resina, delle pareti e del pavimento e della cucina, i suoni sommessi di movimento e di voci nella notte, tutto, tutto. Eppure non era così strano, in fondo. Era soltanto un’altra parte del mondo, un altro paese, e qualunque cosa fosse stata Bartorstown, non sarebbe stata certamente la cosa che aveva sognato. Si sentiva depresso, deluso, irato. Era così brutto, quello che provava, ed era così in collera contro tutto e contro tutti, che batté i pugni sul muro, e un istante più tardi si sentì stupido e infantile, per averlo fatto, e provò il desiderio di mettersi a ridere. E nel bel mezzo di quella risata immaginaria, la faccia di Joan Wepplo apparve, galleggiando nel nulla, e lo fissò con occhi neri, luminosi e pensierosi. Quando si svegliò era già mattina, e Hostetter doveva già essere stato fuori, perché Len aprì gli occhi e vide che stava rientrando nella stanza. «Hai una camicia pulita?» «Penso di sì». «Be’, allora fa’ presto a mettertela. Esaù vuole che tu gli faccia da testimone». Len borbottò qualcosa, tra i denti, sull’inutilità di certe cerimonie, soprattutto tardive, ma si affrettò a lavarsi, e a radersi, e a indossare la camicia pulita, e uscì con Hostetter, diretto alla casa di Sherman. Il villaggio pareva calmo e silenzioso, e c’erano poche persone per le strade. Ebbe l’impressione di essere osservato dalle finestre delle case, ma non espresse questa idea ad alta voce. Il matrimonio fu breve e semplice. Amity indossava un abito che qualcuno doveva averle prestato. Aveva un aspetto compiaciuto. Esaù non aveva un aspetto particolare: era là, e basta. Il ministro era un uomo giovane e piccolo, e aveva l’abitudine fastidiosa di alzarsi sulla punta dei piedi come se stesse cercando di stirarsi per diventare più alto. Sherman, sua moglie e Hostetter rimasero in disparte, a osservare. Quando la cerimonia finì, Mary Sherman abbracciò Amity, e Len strinse piuttosto rigidamente la mano a Esaù, sentendosi molto stupido. Stava per andarsene, ma Sherman disse: «Se non vi dispiace, vorrei che rimaneste un poco. Tutti voi». Si trovavano in una stanza piccola. Sherman la attraversò, e aprì una porta che dava nel soggiorno, e Len vide che c’erano sette od otto uomini, in attesa. «Non vi è niente di cui preoccuparsi,» disse Sherman, indicando loro di passare nell’altra stanza. «Quelle tre sedie, là, alla tavola… bene. Sedetevi. Desidero che parliate con queste persone». Sedettero, l’uno vicino all’altro, allineati. Sherman sedette vicino a loro, e accanto a Sherman si mise Hostetter, e gli altri si affollarono intorno alla tavola. C’erano penne e carta e qualche altra cosa, e al centro un grosso canestro con il coperchio abbassato. Sherman presentò gli uomini, ma Len non riuscì a ricordare i nomi, a parte quelli di Erdmann e Gutierrez, che conosceva già dalla sera prima. Erano tutti di mezza età, e avevano lo sguardo penetrante, e sembravano persone abituate a esercitare una certa autorità. Furono tutti molto cortesi con Amity. Sherman disse: «Questa non è una inquisizione, o cose del genere: siamo tutti, semplicemente, molto interessati. Quando avete sentito parlare per la prima volta di Bartorstown? Cosa vi ha deciso a venire qui, con tanta determinazione? Come è cominciata la faccenda, e che cosa vi è accaduto a causa della vostra decisione? Puoi cominciare tu, Ed? Credo che tu abbia vissuto la cosa dall’inizio». «Ebbene,» disse Hostetter. «Io credo che tutto sia cominciato quella notte, quando Esaù rubò la radio». Sherman si voltò a fissare Esaù, che parve molto a disagio. «Probabilmente ho fatto qualcosa di male, ma allora ero soltanto un ragazzo. E avevano ucciso quell’uomo, solo perché dicevano che veniva da Bartorstown… è stata una notte terribile. E io ero curioso». «Continuate,» disse Sherman, e tutti si protesero verso di lui, visibilmente interessati. Esaù continuò a narrare la storia, e ben presto Len fu chiamato a intervenire, e i due giovani parlarono della predica, e della lapidazione di Soames, e di come la radio fosse diventata per loro una vera e propria fissazione. E con l’aiuto di Hostetter, che si inseriva nei momenti dubbi, o fondamentali, e con Sherman o uno degli altri uomini che rivolgevano a volte delle domande, ben presto essi narrarono l’intera storia, fino al momento in cui Hostetter e i barcaioli li avevano salvati dal fumo e dall’ira di Refuge. Amity aveva qualcosa da aggiungere, a sua volta, e le sue descrizioni furono di indubbia efficacia. Quando ebbero finito, parve a Len che avessero affrontato troppe difficoltà, troppi pericoli e troppe avventure, per quello che avevano infine trovato una volta arrivati alla città dei loro sogni; ma questo non lo disse. Sherman si alzò, e aprì un’altra porta, che si trovava dalla parte opposta della stanza. C’era una stanza piena di apparecchiature, là, e un uomo che sedeva al centro di quelle apparecchiature, con una cosa dall’aria buffa sulla testa. Tolse lo strano oggetto, e Sherman domandò: «Tutto bene?» L’uomo annuì. «Tutto bene». Sherman chiuse di nuovo la porta, e si voltò. «Ora vi posso dire che avete parlato a tutto Fall Creek, e Bartorstown». Sollevò il coperchio del canestro, e mostrò cosa c’era all’interno. «Questi sono dei microfoni. Ogni parola che avete detto è stata raccolta e trasmessa». Lasciò cadere di nuovo il coperchio, e li guardò negli occhi, uno dopo l’altro. «Volevo che tutti ascoltassero la vostra storia, narrata con le vostre parole, e mi è parso questo il modo migliore. Avevo paura che, mettendovi su un palco, con quattrocento persone intente a fissarvi, sareste rimasti muti e paralizzati. Così ho fatto questo». «Oh, santo cielo,» esclamò Amity, e si coprì la bocca con le mani. Sherman guardò gli altri uomini. «Davvero una storia fantastica, no?» «Sono giovani,» disse Gutierrez. Pareva malato, malatissimo, e la sua voce era debole, ma sempre scontrosa. «Possiedono fede e fiducia». «Lasciamo che la conservino,» disse Erdmann, in tono stridulo. «Per l’amor di Dio, che almeno Gentile, paziente, Sherman disse: «Avete entrambi bisogno di riposo. Volete fare un grande favore a tutti? Andate a riposare, adesso». «Oh, no,» disse Gutierrez. «Non lo farei per niente al mondo. Non posso perdere questo spettacolo. Voglio vedere i loro volti splendere, quando vedranno per la prima volta la città fatata». Guardando i microfoni, Len disse: «Avete detto che c’era una ragione per cui avevate deciso di lasciarci venire qui. È questa?» «In parte,» disse Sherman. «La nostra gente è umana. La maggior parte di noi non ha contatti diretti con il lavoro principale, e così non si sente importante, né direttamente interessata. I nostri vivono un’esistenza da reclusi, qui. Comincia a serpeggiare il malcontento. La vostra storia è un potente strumento per ricordare com’è la vita fuori da qui, e per quale motivo noi dobbiamo portare avanti ciò che stiamo facendo. La vostra storia è anche un grande motivo di speranza, per noi e per tutti». «In qual modo?» «Serve a dimostrare che ottant’anni di controllo rigoroso e assoluto non sono riusciti a sradicare dal mondo l’antica arte del libero pensiero». «Sii sincero, Harry,» disse Gutierrez. «Nella nostra decisione hanno avuto peso soprattutto i motivi sentimentali». «Può darsi,» ammise Sherman. «Sarebbe stato un tradimento verso ogni cosa nella quale crediamo, verso tutto ciò che desideriamo simboleggiare, se vi avessimo lasciati impiccare perché avevate creduto in noi. Per lo meno, a Fall Creek tutti la pensavano così». Li guardò, pensieroso. «Forse è stata una decisione stupida e avventata. Nessuno di voi potrà, molto probabilmente, contribuire al nostro lavoro, e voi costituite un problema sproporzionato alla vostra importanza personale. Siete i primi stranieri che abbiamo accettato tra noi, da più anni di quanti ne possa ricordare. Non possiamo lasciarvi andare. Non vogliamo essere costretti a fare ciò che ho detto ieri sera, come minaccia. Così dovremo fare molta fatica, e avere molta pazienza, e sforzarci, più di quanto ci sia mai capitato di sforzarci per uno dei nostri, affinché voi siate perfettamente integrati nel tessuto della nostra esistenza, dei nostri pensieri, della nostra mèta particolare. Se non vogliamo sorvegliarvi per tutta la vita, se non vogliamo destinare gran parte del nostro tempo a tenervi d’occhio, dobbiamo riuscire a trasformarvi in veri cittadini di Bartorstown, degni della nostra piena fiducia. E questo, praticamente, significa una completa rieducazione». Diede un’occhiata penetrante e ironica a Hostetter. «Lui ha giurato che ne valete la pena. Spero che abbia ragione». Si chinò, allora, e strinse la mano ad Amity. «Grazie, signora Colter, ci siete stata di grande aiuto. Non credo che trovereste molto interessante la passeggiata che stiamo per fare, così perché non vi fermate a fare colazione con mia moglie? Ne sarebbe felicissima, e potrebbe aiutarvi in molte cose». Accompagnò Amity alla porta, senza curarsi delle occhiate che la giovane donna lanciava intorno, evidentemente confusa, e l’affidò a Mary Sherman, una donna che pareva avere la virtù di trovarsi sempre dove si aveva bisogno di lei, e di sparire silenziosamente quando la sua utilità era apparentemente cessata. La porta si chiuse, e Amity, accompagnata da Mary Sherman, scomparve dietro di essa. Allora Sherman ritornò indietro, avvicinandosi alla tavola, e rivolse un breve cenno a Len e a Esaù. «Bene,» disse. «Andiamo». «A Bartorstown?» domandò Len. E Sherman rispose: «A Bartorstown». |
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