"Babel-17" - читать интересную книгу автора (Delany Samuel)

PARTE PRIMA Rydra Wong

1

“Questa città è un porto.”

Il generale alzò gli occhi verso i vapori rugginosi che affollavano il cielo. Gli scarichi industriali tingevano la sera di arancio e salmone, di toni porpora troppo ricchi di rosso. A ovest, astronavi da carico e navette che facevano la spola fra il pianeta e i centri stellari o i satelliti laceravano le nubi dirette verso lo spazio o verso l’astroporto. “È anche una città povera e sporca” pensò il generale girando l’angolo e schivando le immondizie sparse ovunque sul marciapiede.

Dopo l’invasione, ben sei embarghi rovinosi avevano strangolato ogni volta per mesi quella città il cui cordone ombelicale doveva pulsare al ritmo del commercio interstellare per poter sopravvivere. Esclusa dal resto dell’universo, come poteva esistere quella città? Sei volte negli ultimi vent’anni lui si era posto questa domanda. E la risposta? No, non poteva continuare a esistere.

Ondate di panico, rivolte, incendi, in due occasioni casi di cannibalismo…

Gli occhi del generale abbandonarono i profili delle torri di carico che spuntavano dietro la fragile monorotaia per spostarsi sugli edifici bui e sporchi. In quella zona le strade erano più strette, affollate di facchini, scaricatori, con alcuni spaziali nelle loro uniformi verdi e gruppetti di uomini e donne dai visi pallidi e dagli abiti decorosi che indubbiamente sbrigavano le intricate pratiche delle operazioni doganali. “Ora sono tranquilli, stanno andando a casa o al lavoro” pensò il generale. “Eppure, tutta questa gente vive da due decenni sotto l’incubo dell’Invasione. Durante gli embarghi questa gente è morta di fame, ha infranto vetrine e finestre, ha saccheggiato, è fuggita urlante sotto i getti degli idranti, ha strappato brani di carne dal braccio di qualche cadavere con denti decalcificati.”

“Ma chi è questo animale uomo?” Il generale si pose la domanda in astratto, per confondere le fila della memoria. Era più facile, essendo un generale, interrogarsi sull’“animale uomo” che sulla donna seduta in mezzo al marciapiede durante l’ultimo embargo, con il suo bimbo scheletrico stretto per una gamba, o sulle tre scarne adolescenti che lo avevano aggredito armate di rasoio in mezzo alla strada (“Vieni qui, bistecca” aveva sibilato una di loro fra i denti color del cuoio, puntando contro il suo petto la lama luccicante. “Vieni a prendermi, pranzetto…” E lui aveva usato il karate…), oppure sull’uomo cieco che aveva risalito urlando il viale.

Adesso erano uomini e donne dai visi pallidi e dagli abiti decorosi, che parlavano sottovoce e che esitavano sempre un istante prima di stendersi sul viso un’espressione improntata a pallidi e decorpsi ideali patriottici: lavorare per la vittoria sugli Invasori; Alona Star e Kip Rhyak erano magnifici in Holliday lo Spaziale, ma Ronald Quar restava senza dubbio il miglior attore drammatico del momento. Ascoltavano la musica di Hi Lite (oppure fingevano solo di ascoltarla, si chiese il generale, durante quelle danze così lente nel corso delle quali nessuno si toccava?). Un impiego alla Dogana era un buon lavoro, e sicuro… lavorare direttamente nei Trasporti era probabilmente una cosa più divertente e più eccitante, ma solo sullo schermo; e poi, in tutta sincerità, fra individui così strani…

Le persone più intelligenti e più raffinate discutevano la poesia di Rydra Wong.

Parlavano spesso dell’Invasione, con un centinaio di frasi ormai consacrate nell’uso da vent’anni di ripetizioni sui giornali o nei bollettini. Raramente facevano riferimento agli embarghi, e con una sola parola.

“Prendi uno qualsiasi di loro” pensò il generale “prendine un milione. Chi sono? Cosa vogliono? Cosa direbbero se avessero una possibilità di dire qualcosa?”

Rydra Wong era diventata la voce di quell’epoca. Il generale ricordò le poche righe di un’entusiastica recensione, e comprese quanto fosse paradossale la sua situazione: lui era un capo militare con un incarico puramente militare, e si stava dirigendo a incontrare la poetessa Rydra Wong.

I lampioni si accesero in quell’istante, e la sua immagine rimbalzò scintillante contro la vetrata del bar. “È vero, adesso non sono in uniforme.” Vide un uomo alto e muscoloso, con il viso granitico segnato dall’autorità dei suoi cinquant’anni. Si sentiva a disagio nell’abito borghese grigio. Fino ai trent’anni, la prima impressione che gli altri avevano ricevuto di lui era stata “grosso e impacciato”. In seguito (il cambiamento era coinciso con l’Invasione), l’impressione era mutata in “massiccio e autoritario”.

Se Rydra Wong si fosse recata da lui al Comando Amministrativo dell’Alleanza, il generale si sarebbe sentito sicuro di sé. Adesso, invece, vestiva panni civili al posto della sua divisa verde da spaziale. Quel bar gli era completamente sconosciuto. E lei era la più famosa poetessa di tutte le cinque galassie esplorate. Per la prima volta dopo tanto tempo, il generale si sentì nuovamente impacciato.

Entrò nel bar.

E sussurrò: — Dio mio, è bellissima, e nessuna delle altre donne qui dentro può starle alla pari. Non mi ero mai accorto che fosse così bella, neppure dalle fotografie…

Lei incontrò per un attimo i suoi occhi nel grande specchio dietro il banco e si girò verso di lui, scendendo dallo sgabello con un sorriso. Il generale si avvicinò e le sfiorò appena la mano, mentre sulla sua lingua danzavano incerte le parole Buonasera, signorina Wong. Ma non riuscì a pronunciarle, e dovette ingoiarle di nuovo. Ora lei sembrava sul punto di parlare.

Le pupille dei suoi occhi sembravano minuscoli dischi di rame battuto, e sulle labbra il rossetto aveva lo stesso colore…

— Babel-17 — disse lei. — Non l’ho ancora risolto, generale Forester.

Un vestito di maglia color indaco, e i suoi capelli come acqua notturna di torrente che scendesse su una spalla. Il generale disse: — Questa non è davvero una sorpresa per noi, signorina Wong.

“Non è una sorpresa?” pensò. “Basta guardarla mentre ora posa una mano sul banco, si appoggia allo sgabello, i suoi fianchi si muovono sotto la maglia azzurra, e a ogni suo gesto io rimango sbalordito, meravigliato. Sono io a essere così fuori esercizio, oppure è veramente lei a …”

— Ma io sono arrivata più avanti di voi militari. — La linea dolce della sua bocca si incurvò in una risata ancora più dolce.

— Considerando quello che mi avevano detto sul vostro conto, signorina Wong, anche questo non mi sorprende. — “Chi è questa donna?” pensò. Si era già posto questa domanda in merito a una popolazione astratta e aveva preteso una risposta dalla propria immagine riflessa. Ora si pose di nuovo la domanda, sul conto di Rydra Wong, pensando: “Gli altri non importano più, ma lei sì. È importante. Devo saperlo.”

— Per prima cosa, generale — stava dicendo lei — Babel-17 non è un codice.

La sua mente dovette fare un balzo indietro per tornare al soggetto della discussione. — Non è un codice? Ma pensavo che i Crittografi avessero già stabilito… — Si interruppe, poiché non era certo di quello che i Crittografi avessero stabilito, e perché aveva ancora bisogno di qualche istante per potersi strappare dalla visione di quegli zigomi alti, per ritirarsi dalle caverne dei suoi occhi. Irrigidendo i muscoli del viso, costrinse la mente verso Babel-17. L’Invasione: Babel-17 poteva essere una chiave per porre fine a quel flagello che durava da vent’anni. — Volete dire che in tutto questo tempo abbiamo cercato di decifrare un cumulo di cose senza senso?

— Non è un codice — ripeté lei. — È una lingua.

Il generale aggrottò la fronte. — Bene, in qualsiasi modo lo si voglia chiamare, codice o lingua, dobbiamo ancora scoprire quello che significa. Finché non riusciremo a comprenderlo saremo sempre fuori strada. — La stanchezza e le impressioni degli ultimi mesi avevano trovato un comodo rifugio nel suo ventre e avevano dato vita ad una bestia nascosta che di tanto in tanto agitava la coda, rendendo aspre le sue parole.

Il sorriso era scomparso dalle labbra di lei, e ora entrambe le mani erano appoggiate sul banco. Il generale avrebbe voluto ritrattare le sue parole dure. Lei disse: — Non mi pare che voi siate direttamente connesso con il Dipartimento Crittografico. — La voce era piatta, calmante.

Lui scosse il capo.

— Allora lasciate che vi spieghi. Fondamentalmente, generale Forester, esistono due tipi di codici. Nel primo, delle lettere, o dei simboli che stanno al loro posto, vengono mescolate e confuse secondo uno schema prestabilito. Nel secondo, lettere, parole o gruppi di parole sono sostituiti con altre lettere, simboli o parole. Un codice può essere formato in uno di questi due modi, o con una combinazione di entrambi, ma i codici risultanti hanno sempre una cosa in comune: una volta trovata la chiave, è sufficiente applicarla al codice e ne escono delle frasi logiche. Una lingua, invece, possiede una sua logica interna, una sua grammatica, un suo modo specifico di associare pensieri a parole che abbracciano diversi livelli di significato. Non esiste mai in questo caso una chiave che si possa usare per decifrare l’esatto significato. Tutt’al più ci si può avvicinare con una buona approssimazione.

— Intendete dire che Babel-17 deve essere decifrato in un’altra lingua?

— Niente affatto. Questa è la prima cosa che ho voluto controllare. Si può compilare una lista di probabilità su vari elementi e vedere se si accordano con i moduli di altre lingue, anche se gli elementi sono disposti in un ordine sbagliato. Ma non ha funzionato. Babel-17 è essa stessa una lingua che noi non comprendiamo.

— Mi pare — il generale Forester cercò di sorridere — che stiate cercando di dirmi che poiché non si tratta di un codice, ma bensì di una lingua aliena, potremmo anche arrenderci subito. — Se doveva essere una sconfitta, saperlo da lei era quasi un sollievo.

Ma lei scosse il capo. — Temo che mi abbiate del tutto fraintesa. Lingue sconosciute sono già state decifrate, prima d’ora, senza traduzioni: la lingua degli Hittiti, per esempio, e il Lineare B. Ma per proseguire nello studio di Babel-17, dovrò sapere molto di più.

Il generale inarcò le sopracciglia. — Cos’altro vi serve sapere? Vi abbiamo consegnato tutti i campioni in nostro possesso. Non appena ne avremo altri, certo…

— Generale, io devo essere informata di tutto quello che voi sapete su Babel-17; quando lo avete scoperto per la prima volta, in quali circostanze, ogni cosa che possa darmi un indizio sul suo contenuto.

— Vi abbiamo fornito tutte le informazioni che noi…

— Voi mi avete dato dieci pagine dattiloscritte piene di monconi con il nome in codice Babel-17, e mi avete chiesto che cosa significassero. Ora, con questo materiale non posso dirvelo. Ma con qualcosa d’altro, forse potrei. È semplice.

Il generale pensò: “Se fosse così semplice, se solo fosse così semplice, noi non avremmo mai cercato il vostro aiuto, Rydra Wong.”

Lei disse:

— Se fosse così semplice, se solo fosse così semplice, voi non avreste mai cercato il mio aiuto, generale Forester.

Lui sobbalzò, per un assurdo momento convinto che lei avesse letto nella sua mente. Ma non era possibile. Oppure sì?

— Generale Forester, il vostro Dipartimento Crittografico ha almeno scoperto che si tratta di una lingua?

— Se lo hanno fatto, non ne sono ancora stato informato.

— Sono quasi certa che loro non lo sanno. Io ho cercato di analizzare le possibili strutture grammaticali. Loro lo hanno fatto?

— No.

— Generale, benché quella gente sappia tutto a proposito dei codici, non conosce quasi nulla della reale natura del linguaggio. Questo genere di specializzazione idiota è stato uno dei motivi per cui mi sono rifiutata di lavorare con loro negli ultimi sei anni.

“Chi è questa donna?” si chiese ancora il generale. L’incartamento con il suo nome gli era stato portato quella mattina da un uomo della Sicurezza, ma lui lo aveva passato al suo aiutante e solo più tardi aveva notato che era stato stampigliato con un rosso ’Approvato’. Udì se stesso dire: — Forse, se mi raccontaste qualcosa di più sul vostro conto, signorina Wong, potrei parlare più liberamente. — Si accorse di aver pronunciato quelle parole con calma misurata e con sicurezza. Era illogico, eppure… lei lo stava forse guardando con ironia?

— Che cosa volete sapere?

— Quello che già conosco si riduce a ben poca cosa: il vostro nome, e il fatto che qualche tempo fa avete lavorato per il nostro Dipartimento Crittografico. So che quando ve ne siete andata eravate molto giovane, ma che la vostra reputazione era già notevole. Per questo motivo le persone che si ricordavano di voi, a sei anni di distanza, dopo aver perso inutilmente il sonno per un mese su Babel-17, hanno concluso all’unanimità dicendo: “Mandatelo a Rydra Wong”. — Fece una pausa. — E voi mi dite di avere già raggiunto qualche risultato. Dunque, avevano ragione.

— Beviamo qualcosa — disse lei.

Il barista fece una puntata nella loro direzione e si allontanò quasi subito, lasciando sul banco due bicchierini colmi di un liquido verde e torbido. Lei bevve un sorso, osservando il generale. “I suoi occhi” pensò il generale “sembrano inclinati come due ali colte di sorpresa.”

— Non sono nata sulla Terra — disse lei. — Mio padre era ingegnere alle comunicazioni sul Centro Stellare X-11-B appena oltre Urano. Mia madre faceva l’interprete presso il Tribunale dei Mondi Esterni. Fino ai sette anni sono stata la monella più viziata di tutto il Centro Stellare. Non c’erano molti altri bambini. Ci trasferimmo su Urano-XXVII nel ’52. A dodici anni conoscevo già sette lingue terrestri e riuscivo a farmi capire in altre cinque extraterrestri. Riuscivo a imparare le lingue così come altre persone imparavano i testi delle canzoni più in voga. I miei genitori morirono durante il secondo embargo.

— Eravate su Urano durante l’embargo?

— Sapete che cosa successe?

— So che i Pianeti Esterni furono colpiti molto più duramente di quelli Interni.

— Allora non lo sapete. Comunque, sì, fu molto più duro. — Tirò un profondo sospiro, a quei ricordi che ancora la sorprendevano. — Temo che un solo bicchiere sia troppo poco per farmi parlare di queste cose. Quando uscii dall’ospedale, c’era la possibilità che avessi sofferto lesioni cerebrali.

— Lesioni cerebrali…?

— Dovreste conoscere gli effetti della denutrizione. Aggiungeteci un’epidemia di neurosciatica.

— So di quell’epidemia.

— Comunque, venni mandata sulla Terra presso una coppia di zii per essere sottoposta a neuroterapia. Solo che non ne ebbi alcun bisogno. Non so se la causa sia stata psicologica o fisiologica, ma uscii da quella situazione dotata di una memoria verbale totale. C’ero andata molto vicina anche negli anni precedenti della mia vita, e così non mi parve poi tanto strano. Ma adesso possedevo anche un controllo perfetto delle tonalità.

— Di solito questo fenomeno non si accompagna a una velocissima capacità di calcolo e a una memoria eidetica? Sono qualità fondamentali per un crittografo.

— Sono una buona matematica, ma non un calcolatore lampo. Ho riflessi veloci per sollecitazioni visive e le relazioni spaziali (sogni in technicolor e cose del genere) ma la mia memoria totale è strettamente verbale. Avevo già incominciato a scrivere, a quell’epoca. Durante l’estate accettai un incarico del governo per alcune traduzioni e incominciai a interessarmi di codici. In poco tempo mi accorsi che avevo una certa… abilità. Io non sono una buona crittografa: non ho la pazienza per lavorare e sudare sangue su una cosa scritta da qualcun altro. E inoltre sono nevrotica come l’inferno; un’altra ragione per la quale sono passata alla poesia. Ma la mia “abilità” era in un certo senso una cosa che spaventava. Quando dovevo lavorare sodo per qualche incarico che in realtà non mi interessava minimamente e avevo un paio di supervisori che non la smettevano di venirmi a respirare sul collo per controllare il mio lavoro, non so come, ma di colpo tutte le mie nozioni di crittografia e di decodificazione mi passavano velocissime dinanzi agli occhi, e per me era facilissimo leggere la pagine che mi stavano davanti e dire il loro significato. E tutto per non sentirmi poi stanca e impoverita per un lavoro che non mi piaceva.

Lanciò un’occhiata al proprio bicchiere.

— Di solito quell’abilità arrivava a un punto che io riuscivo sempre a controllare, ma ogni volta mi dava una sensazione strana. Allora avevo diciannove anni e una reputazione che mi indicava come la ragazzina che poteva spezzare ogni mistero. Immagino che fosse dovuto ai miei studi sulla struttura del linguaggio, e che per quello mi riuscisse più facile riconoscere i moduli… È la stessa cosa che mi è successa per Babel-17. Ho sentito che esisteva un certo ordine grammaticale, e che non si trattava di un accostamento di parole affidate al caso.

— E perché avete abbandonato il Dipartimento?

— Vi ho già spiegato due motivi. Il terzo è stato semplicemente dettato, una volta acquistata la padronanza della mia abilità, dal desiderio di usarla per i miei scopi personali. A diciannove anni ho lasciato l’Esercito e mi sono… be’ sposata, cominciando a scrivere sul serio. Tre anni più tardi è uscito il mio primo libro. — Alzò le spalle, mentre un sorriso leggero le distendeva i lineamenti.

— Per tutto quello che mi è successo dopo, leggete le mie poesie. È tutto lì.

— E sui mondi di cinque galassie, oggi, la gente scava fra le immagini della vostra ispirazione cercando le risposte agli enigmi della grandezza, dell’amore e dell’isolamento. — Quelle tre ultime parole spiccarono nella sua frase come tre vagabondi su un carro bestiame. Lei gli era dinanzi, splendida; qui, lontano dal suo ambiente e dalla sua uniforme, lui si sentiva disperatamente isolato. Ed era anche disperatamente inn… No!

Era impossibile e ridicolo e troppo semplice spiegare a quel modo ciò che gli pulsava dietro gli occhi e gli faceva tremare le mani. — Volete bere ancora qualcosa? — Un gesto di difesa automatico. Ma lei lo avrebbe interpretato come un atto educato e impersonale. Oppure no? Il barista venne e se ne andò.

— I mondi di cinque galassie — ripeté lei. — È tutto così strano. Ho solo ventisei anni. — I suoi occhi si fissarono su qualcosa al di là dello specchio. Non aveva bevuto che metà del suo primo bicchiere.

— A quest’età, Keats era già morto.

Lei sospirò. — Questa è un’epoca strana. Costruisce quasi di colpo i suoi eroi, giovanissimi, poi altrettanto rapidamente li lascia cadere nel nulla.

Lui annuì in silenzio, ricordando quella mezza dozzina di cantanti, attori, e anche scrittori, che negli ultimi dieci o vent’anni erano stati considerati geni per un anno, due, tre, e poi erano scomparsi. Anche la fama di quella donna era un fenomeno che durava da solo tre anni.

— Io sono parte del mio tempo — disse lei. — Mi piacerebbe riuscire a trascendere il mio tempo, ma temo che il mio tempo sia troppo intimamente connesso a ciò che io sono. — La sua mano si allontanò dal bicchiere sul ripiano di mogano. — Anche per voi militari le cose non devono essere molto diverse. — Sollevò la fronte. — Vi ho dato ciò che volevate?

Lui annuì. Era più facile mentire con un gesto che con una parola.

— Bene. Ora, generale Forester, che cos’è Babel-17?

Lui si guardò intorno alla ricerca del barista, ma un bagliore improvviso gli fece riportare gli occhi al viso di lei: il bagliore era soltanto un suo sorriso, ma con la coda dell’occhio lui l’aveva scambiata per una luce.

— Ecco — offrì lei, spingendo verso di lui il secondo bicchiere intatto. — Non me la sento di finirlo.

Il generale lo prese, bevve un sorso. — L’Invasione, signorina Wong… dev’essere una cosa collegata in qualche modo all’Invasione.

Lei si appoggiò a un gomito, ascoltando con gli occhi socchiusi.

— Tutto è cominciato con una serie di incidenti… almeno, dapprima sembravano incidenti. Ora siamo certi si trattasse di sabotaggio. Si sono ripetuti regolarmente in tutto il territorio dell’Alleanza dal dicembre ’68. Alcuni a bordo di navi da guerra, altri nei cantieri della Marina Spaziale, e hanno sempre provocato la perdita di materiale di primaria importanza. Per due volte, esplosioni hanno causato la morte di diversi alti ufficiali. In altre occasioni, invece, questi “incidenti” hanno avuto luogo in impianti industriali che producevano materiale bellico essenziale.

— Ma qual è il punto di collegamento fra tutti questi “incidenti”, al di fuori del fatto che avevano tutti a che fare con la guerra? Con la nostra attuale economia, è difficile trovare una sola industria che non sia connessa in qualche modo alla guerra.

— La cosa che li collega, signorina Wong, è Babel-17.

Lui la osservò mentre finiva il suo bicchiere e lo deponeva precisamente sul circolo umido sul banco.

— Appena prima, durante, e subito dopo ogni incidente, l’area colpita viene letteralmente affollata di messaggi radio che vanno e vengono da sorgenti non identificate. Parecchi messaggi sono su una lunghezza d’onda vicina ai duecento metri, ma vi sono anche emissioni improvvise attraverso i canali iperstatici che coprono distanze di alcuni anni luce. Abbiamo trascritto i testi delle trasmissioni durante gli ultimi tre “incidenti” e abbiamo dato loro il nome codice Babel-17. Questo è tutto. C’è qualcosa di utile in quello che ho detto?

— Sì. Esiste una buona probabilità che queste trasmissioni siano le istruzioni per i sabotaggi da parte di qualcuno che dirige gli “incidenti”…

— … Ma nessuno è stato capace di cavarci nulla! — Ormai era al limite dell’esasperazione. Non trasmettono altro all’infuori di quell’infernale balbettio a velocità doppia del normale! Alla fine qualcuno ha notato certe ripetizioni negli schemi che potevano suggerire un codice. I crittografi hanno pensato che fosse una buona traccia, ma in un mese non sono riusciti a capirci nulla. E hanno deciso di chiamare voi.

Parlando, il generale l’aveva osservata mentre lei rifletteva. Ora, Rydra sollevò gli occhi. — Generale Forester, vorrei esaminare le registrazioni originali di quei messaggi radio, e mi servirebbe anche un resoconto dettagliato, secondo per secondo se è disponibile, degli incidenti sincronizzati con le registrazioni.

— Non so se…

— Se non avete nulla di simile, cercate di ottenerne uno durante il prossimo “incidente”. Se quei garbugli radiofonici sono conversazioni, devo essere in grado di poter capire di cosa parlano. Forse non ve ne siete accorto, ma nella copia che i crittografi mi hanno inviato non c’è nessuna distinzione fra le voci. Cioè, io mi sono ridotta a lavorare sulla trascrizione di qualcosa che è completamente privo di punteggiatura e che non possiede neppure una pausa fra le varie parole.

— Posso farvi ottenere ciò che volete, all’infuori delle registrazioni originali…

— Voglio proprio quelle. Devo farne una trascrizione accurata, usando il mio equipaggiamento personale.

— Ve ne farò preparare una nuova, in base alle vostre specificazioni.

Lei scosse il capo. — Devo farlo io stessa, o non posso prometterle nulla. Esiste il problema delle distinzioni fonemiche e omofoniche. I vostri esperti non si erano neppure accorti che si trattava di una lingua, e non è certo loro venuto in mente di…

Lui la interruppe. — Quali distinzioni?

— Conoscete il modo in cui certi orientali confondono i suoni di R e L quando parlano una lingua occidentale, non è vero? Questo accade perché in molte lingue orientali R e L sono omofoniche, cioè considerate come uno stesso suono, e perfino scritte e sentite nello stesso modo… proprio come succede in inglese con il gruppo th all’inizio di they e di theater.

— E quale differenza di suono vi sarebbe fra queste due parole?

— Fate la prova. Pronunciatele e ascoltate. Una è sonora e l’altra sorda. Sono distinte come V e F, ma in inglese sono omofoniche e si è abituati a sentirle come se fossero lo stesso fonema.

— Oh!

— Ora capite il problema che si pone a uno “straniero” che debba trascrivere una lingua che lui non sa parlare; potrebbe fare troppe distinzioni fonetiche, o troppo poche.

— Voi come contate di procedere?

— Con le mie conoscenze dei sistemi fonetici di molte altre lingue e con l’intuito.

— Di nuovo la vostra “abilita”?

Lei sorrise. — Immagino di sì.

Poi sembrò restare in attesa di una sua approvazione. Ma cosa avrebbe potuto negarle lui? Per un attimo si era lasciato distrarre dalle sottigliezze della sua voce.

— Certo, signorina Wong — disse. — Siete la nostra esperta. Venite domani al Dipartimento e avrete libero accesso a tutto ciò che vi serve.

— Grazie, generale Forester. Vi porterò anche il mio rapporto ufficiale.

Lui rimase immobile nel fascio statico del suo sorriso. “Ora devo andare” pensò disperato. “Oh, devo riuscire a dirle ancora qualcosa.” — D’accordo, signorina Wong. A domani, allora. — “Ancora qualcosa, qualsiasi cosa…”

Strappò a fatica il suo corpo dal banco (“Devo voltarle le spalle”) senza riuscire a dire altro, neppure grazie, arrivederci, ti amo. Andò verso la porta, mentre i suoi pensieri si acquietavano. “Chi è questa donna?” Oh, le cose che avrebbe dovuto dirle… “sono stato brusco, militaresco, efficiente. Ma quanti altri pensieri e parole avrei voluto donarle.” La porta si aprì, e la sera sfiorò i suoi occhi con lunghe dita blu.

“Dio mio” pensò, mentre l’aria fredda gli colpiva il viso “tutto questo mi ribolliva dentro e lei non ne sa nulla! Non le ho detto nulla!” Da qualche parte, nel profondo, anche le parole nulla, sei ancora salvo. Ma più forte, in superficie, la vergogna per il proprio silenzio. Non le aveva detto assolutamente nulla…

Rydra si alzò, le mani sull’orlo del banco, fissando lo specchio. Il barista si avvicinò per prendere i bicchieri vuoti. Mentre allungava le mani per prenderli, si accigliò bruscamente.

— Signorina Wong?

Gli occhi di lei erano fissi.

— Signorina Wong, non vi…

Le nocche delle sue mani erano bianche, e sotto gli occhi del barista il pallore risalì lungo le mani facendole sembrare di cera tremolante.

— C’è qualcosa che non va signorina Wong?

Lei voltò di scatto il viso nella sua direzione. — Te ne sei accorto? — La sua voce era un sussurro rauco, duro, sarcastico, spossato. Si allontanò dal banco e andò verso la porta, si fermò qualche istante a tossire, poi corse fuori.