"Il quinto giorno" - читать интересную книгу автора (Schätzing Frank)

5 aprile

Vancouver e Vancouver Island, Canada

Gli affari si rimisero in moto.

In altre circostanze, Anawak avrebbe condiviso la gioia di Shoemaker. Le balene ritornavano e il gestore non parlava d'altro. E infatti, l'una dopo l'altra, arrivarono balene grigie, megattere, orche e addirittura alcune balenottere minori. Naturalmente anche Anawak era felice del loro ritorno. Non c'era nulla che avesse desiderato di più. Però avrebbe preferito collegare il loro ritorno ad alcune risposte: in particolare si chiedeva dove si fossero nascoste per tutto quel tempo, visto che non erano riusciti a rintracciarle né i satelliti né le sonde. E poi non riusciva a dimenticare quel memorabile incontro. Si era sentito come una cavia da laboratorio. Le due megattere l'avevano osservato con calma e attenzione, come se fosse sul tavolo anatomico.

Erano esploratrici? E che cosa dovevano esplorare? Assurdo!

Chiuse la cassa e uscì. I turisti si erano raccolti sul molo. Con le loro tute color arancione sembravano un gruppo di soldati dei reparti speciali. Anawak inspirò la fresca aria mattutina e li raggiunse.

Poi sentì arrivare qualcuno di corsa.

«Dottor Anawak!»

Si fermò e, voltandosi, scorse Alicia Delaware. Si era raccolta i capelli rossi in una coda di cavallo e portava occhiali da sole alla moda, di colore blu. «Posso venire anch'io?» chiese.

Anawak la squadrò. Poi guardò lo scafo blu del Blue Shark. «Siamo al completo», rispose.

«Sono arrivata di corsa.»

«Mi dispiace. Tra mezz'ora parte la Lady Wexham. È molto più confortevole. Grande, cabine interne riscaldate, snack bar…»

«Non voglio. Sono sicura che c'è ancora un po' di spazio per me. Magari dietro!»

«Nella cabina siamo già in due, Susan e io.»

«Non ho bisogno di un posto a sedere.» Alicia sorrise. Con quei grandi denti sembrava un coniglio lentigginoso. «La prego! Non ce l'ha con me, vero? Vorrei tanto uscire in mare con lei. A dire il vero vorrei uscire solo con lei.»

Anawak aggrottò la fronte.

«Non mi guardi così!» Alicia Delaware strabuzzò gli occhi. «Ho letto tutti i suoi libri e ammiro il suo lavoro.»

«Non ho avuto questa impressione.»

«Per quello che è successo all'acquario?» Fece un gesto come per scacciare il ricordo. «Mettiamoci una pietra sopra. La prego, dottor Anawak, sono qui ancora per un giorno soltanto. Mi farebbe un piacere enorme.»

«Abbiamo le nostre regole», replicò Anawak, ma in un tono che suonò fiacco e meschino persino a lui.

«Mi stia a sentire, testone», esclamò Alicia. «Sono fatta d'acqua. L'avverto: se non mi prende con sé, mi scioglierò in lacrime durante il volo di ritorno a Chicago. Vuole assumersi questa responsabilità?» concluse, fissandolo divertita.

Anawak non poté fare altro che mettersi a ridere. «Va bene. Per quello che mi riguarda, può venire.»

«Davvero?»

«Sì. Ma non mi rompa le scatole con le sue teorie astruse.»

«Non sono le mie teorie, sono le teorie di…»

«Sarebbe ancora meglio se tenesse la bocca chiusa.»

Alicia si preparò a replicare, ma poi ci ripensò e annuì.

«Aspetti qui», disse Anawak. «Le prendo una tuta.»

Alicia mantenne la promessa per ben dieci minuti. Le case di Tofino erano appena scomparse dietro il pendio ricoperto di boschi, quando si avvicinò ad Anawak e gli tese la mano. «Mi chiami pure Licia», disse.

«Licia?»

«Sta per Alicia. Alicia è un nome stupido. Almeno così mi pare. Naturalmente i miei genitori non la pensavano così, ma non ci chiedono il nostro parere quando ci danno il nome: è sempre stata una situazione penosa. Lei si chiama Leon, vero?»

Lui strinse la mano che la ragazza gli aveva teso. «È un piacere, Licia.»

«Bene. E ora dovremmo chiarire una cosa», disse lei.

Anawak lanciò un'occhiata a Susan, che stava guidando lo zodiac, chiedendole silenziosamente aiuto. Lei rispose al suo sguardo, ma poi scrollò le spalle e si dedicò esclusivamente alla rotta da seguire. «Che cosa?» chiese allora, con cautela.

«Quello che è successo all'acquario… Be', sono stata stupida e saccente. Mi dispiace.»

«Già dimenticato.»

«Ma devi scusarti anche tu.»

«Come? E di che?»

Lei abbassò lo sguardo. «Nulla da dire sul fatto che tu abbia ridicolizzato le mie opinioni davanti ad altre persone, ma non avresti dovuto esprimerti in quel modo sul mio aspetto.»

«Io non ho…» Al diavolo.

«Hai detto che un beluga che mi vedesse mentre mi trucco dubiterebbe della mia intelligenza.»

«Non era mia intenzione offenderti. Era solo un paragone… astratto», spiegò lui.

«Era un pessimo paragone.»

Anawak si grattò la testa. Si era arrabbiato con Alicia perché era arrivata all'acquario col suo armamentario d'idee preconcette, dimostrandosi così un'ignorante. Ma probabilmente lui non era stato da meno. E, senza dubbio, con la sua esplosione di rabbia l'aveva offesa. «Va bene. Ti porgo le mie scuse.»

«Accettate.»

«Ti riferivi a Povinelli», affermò lui.

Lei sorrise, pensando che, in fondo, Anawak l'aveva presa sul serio. Daniel Povinelli era il più importante antagonista di Gordon Gallup nella discussione sull'intelligenza e sulla consapevolezza di sé dei primati e degli altri ammali. Lui concordava con Gallup sul fatto che gli scimpanzé che si riconoscono allo specchio avevano una rappresentazione di se stessi. Altrettanto decisamente, però, negava che tale circostanza li rendesse capaci di capire le proprie condizioni mentali e quindi anche quelle degli altri esseri viventi. Per Povinelli non era affatto dimostrato che gli animali possedessero la comprensione psicologica propria dell'uomo.

«Povinelli sta percorrendo una strada coraggiosa», disse Alicia. «Le sue opinioni appaiono superate, ma lui non se ne cura. Per Gallup è molto più facile, perché fa chic parlare di scimpanzé, delfini e chissà cos'altro come soggetti con gli stessi diritti dell'uomo.»

«Sono soggetti con gli stessi diritti dell'uomo», obiettò Anawak.

«In senso etico.»

«Lasciamo perdere. L'etica è un'invenzione degli uomini», disse lui.

«Nessuno ne dubita. Nemmeno Povinelli.»

Anawak fece scorrere lo sguardo lungo l'insenatura. Nel suo campo visivo entrarono alcune isolette. «Lo so dove vuoi arrivare», disse dopo una breve pausa. «Tu credi che dimostrare l'esistenza di tratti umani negli animali non sia la strada giusta per arrivare a trattarli più umanamente.»

«È arrogante», gridò Alicia.

«Ti do ragione. Non risolve il problema. Ma la maggior parte degli uomini crede che una forma di vita meriti di essere protetta quanto più somiglia agli esseri umani. È più facile uccidere un animale anziché un uomo. Diventa più difficile se vediamo l'animale come un nostro parente prossimo. È un concetto che la maggior parte delle persone è pronta ad accettare, anche se si fonda sul presupposto della superiorità umana. C'è invece una minoranza che non considera l'umanità l'apice della creazione e crede che, nella scala di valore della vita, l'uomo non sia al di sopra di tutti gli altri esseri viventi, ma molto più semplicemente di fianco. Riguardo a ciò che pensa la maggior parte, rimane un problema: come posso pretendere che a un animale o a una pianta siano dedicate le stesse attenzioni che si prestano agli uomini, se considero il valore della vita umana superiore a quello di una formica, di una scimmia o di un delfino?»

«Ehi!» Alicia batté le mani. «La pensiamo allo stesso modo.»

«Quasi. Credo che tu sia un po' troppo… messianica nelle tue concezioni. Personalmente difendo l'idea che la psiche di uno scimpanzé o di un beluga mostri punti di contatto con quella umana.» Alicia stava già per obiettare qualcosa, ma Anawak la fermò, sollevando una mano. «Va bene, formuliamolo in un altro modo: potremmo salire nella scala di valori di un beluga — ammesso che i cetacei abbiano simili pensieri — se il beluga scoprisse in noi delle somiglianze con lui.» Sorrise. «Forse alcuni beluga ci considerano anche intelligenti. Detto così ti piace di più?»

Alicia arricciò il naso. «Non lo so, Leon. Perché non mi abbandona la sensazione che tu mi stia spingendo in una trappola?»

«Leoni marini!» gridò Susan Stringer. «Là davanti.»

Anawak si riparò gli occhi con la mano. Si stavano avvicinando a un'isoletta coperta da una misera vegetazione. Su uno scoglio dormicchiava al sole un gruppo di leoni marini Stellar. Alcuni sollevarono stancamente la testa e osservarono l'imbarcazione.

«Non si tratta di Gallup o Povinelli, vero?» Anawak prese la macchina fotografica e scattò alcune foto. «Ti consiglio un'altra discussione. Siamo d'accordo sul fatto che una scala di valori assoluta non esiste e che esiste solo una rappresentazione umana. Faccenda chiusa. Entrambi siamo assolutamente contrari all'umanizzazione degli animali. Io sono convinto che, entro certi limiti, sarà possibile comprendere il loro mondo interiore… afferrarli intellettualmente, diciamo. Inoltre credo che con certi animali abbiamo più cose in comune che con altri e che quindi troveremo la strada per comunicare. Tu, invece, credi che tutti i non umani ci saranno eternamente estranei. Non abbiamo nessun accesso alla mente degli animali, quindi non ci sarà mai nessuna comunicazione. Saremo inesorabilmente divisi e l'unica cosa sensata da fare è lasciarli in pace.»

Alicia rimase in silenzio per un po'. Lo zodiac superò lentamente l'isola coi leoni marini. Susan spiegava le caratteristiche fondamentali di quegli animali ai passeggeri, che intanto, come Anawak, scattavano foto.

«Ci devo pensare», disse infine la ragazza.

E lo fece davvero. O se non altro non aprì quasi bocca finché non furono in mare aperto. Anawak era soddisfatto. Era una buona cosa che il tour fosse iniziato coi leoni marini. La popolazione delle balene non aveva ancora raggiunto la sua consistenza abituale. Una roccia coperta di leoni marini dava un taglio positivo alla spedizione e forse avrebbe aiutato in caso non ci fossero stati gli avvistamenti sperati.

Ma i suoi timori si dimostrarono privi di fondamento.

A poca distanza dalla costa incontrarono un branco di balene grigie. Erano un po' più piccole delle megattere, ma pur sempre di dimensioni impressionanti. Alcune arrivarono molto vicino e guardarono con circospezione fuori dall'acqua, suscitando l'entusiasmo dei passeggeri. Sembravano pietre vive, macchiettate, con le potenti mascelle ricoperte di crostacei balani e copepodi, parassiti infestanti. Molti dei passeggeri fotografavano e riprendevano freneticamente. Altri osservavano rapiti. Anawak aveva visto uomini adulti mettersi a piangere alla vista di una balena che si levava dall'acqua.

A una certa distanza c'erano altri tre zodiac e una nave più grassa con lo scafo rigido. Tutti avevano spento i motori. Susan trasmetteva per radio gli avvistamenti. Praticavano un whale watching rigidamente regolamentato, ma qualcuno come Jack Greywolf sarebbe sceso in campo anche contro quello.

Jack Greywolf era un idiota.

Un idiota pericoloso, per giunta. Anawak diffidava di quello che stava progettando. Tourist watching… Ridicolo! Ma se fossero arrivati a scontrarsi apertamente, Greywolf avrebbe avuto i media dalla sua parte. Avrebbe gettato il discredito sulla Davies Whaling Station, e il grande senso di responsabilità con cui conducevano le escursioni coi turisti sarebbe stato ignorato. Le manovre di disturbo degli ambientalisti — anche se si trattava di personaggi equivoci come i membri dell'associazione di Greywolf, la Seaguard — avrebbero reso la condanna inappellabile. Nessuno si sarebbe preso la briga di soppesare le affermazioni di organizzazioni serie e quelle di fanatici dello stampo di Jack Greywolf. In genere, le valutazioni serie arrivavano solo quando la stampa aveva già diffuso le notizie e il danno era fatto.

E Greywolf non era l'unica preoccupazione di Anawak.

Osservava l'oceano con attenzione, pronto a scattare fotografie. Si chiedeva se non soffrisse ancora della paranoia provocata dall'incontro con le due megattere. Vedeva fantasmi, oppure c'era stato davvero un cambiamento nel comportamento degli ammali?

«A destra!» gridò Susan.

Le teste delle persone sullo zodiac seguirono il suo braccio teso. Numerose balene si erano avvicinate all'imbarcazione e s'immergevano con movimenti suggestivi. Le loro code sembravano fare dei cenni ai passeggeri. Anawak scattava foto per l'archivio. Skoemaker sarebbe stato felicissimo. Era un viaggio esemplare, come se le balene volessero indennizzare per la lunga attesa i whale watcher offrendo loro uno spettacolo generoso. Più al largo tre grandi balene grigie tenevano la testa fuori dall'acqua.

«Queste non sono balene grigie, vero?» chiese Alicia. Masticava un chewing-gum e guardava Anawak come se si aspettasse una ricompensa.

«No. Sono megattere.»

«Mi pareva. Da dove viene questo stupido nome? Non vedo nessuna gobba.»

«Infatti non ce l'hanno. Ma la fanno quando s'immergono. Credo che il nome derivi dalla caratteristica curvatura del corpo», spiegò Anawak.

Alicia sollevò le sopracciglia. «Pensavo che derivasse da quella piccola gobba sulla bocca. Da quella escrescenza.»

Anawak sospirò. «Fai ancora il bastian contrario, eh?»

«Scusa.» Si mise ad agitare le braccia, eccitata. «Ehi, cosa fanno quelle laggiù? Che cosa fanno quelle?»

Le teste delle tre megattere avevano colpito contemporaneamente la superficie dell'acqua. Avevano spalancato le gigantesche bocche al punto che si poteva vedere il palato rosa. Si distinguevano chiaramente i fanoni e le imponenti gole sembravano gonfie. Tra le balene vorticava la schiuma e qualcos'altro che luccicava come lustrini. Come dal nulla erano comparsi stormi di gabbiani e gavie, che volteggiavano intorno alla scena e volevano prendere parte alla festa.

«Mangiano», chiarì Anawak, continuando a fotografare.

«Incredibile! Sembra quasi che vogliano mangiare noi.»

«Su, non renderti più stupida di quello che sei.»

Alicia spostava il chewing-gum da una guancia all'altra. «Non capisci le battute», disse annoiata. «So bene che si nutrono di plancton e di piccoli animaletti. Semplicemente non l'avevo mai visto fare. Pensavo che scivolassero con la bocca aperta.»

«La balena bianca australe fa così», disse Susan da sopra la spalla. «Le megattere hanno un loro metodo. Nuotano sotto un banco di piccoli pesci, o krill, e lo circondano con un cerchio di bolle d'aria. I piccoli animali non amano le acque turbolente, così cercano di tenersi lontano dalla cortina di bolle e stanno stretti l'uno all'altro. Le balene emergono, aprono la bocca e… gulp.»

«Non stare a spiegarglielo. Senza dubbio queste cose le sa meglio di te», disse Anawak.

«Gulp?» fece eco Alicia.

«Si dice così per le balenottere boreali. La 'procedura gulp'. Possono allargare la gola, che si trasforma in un gigantesco deposito per il cibo. Con un'enorme sorsata inghiottiscono plancton e pesci, che rimangono bloccati nei fanoni quando le balene risputano fuori l'acqua.»

Anawak si accostò a Susan. Alicia ebbe l'impressione che volesse parlarle a quattr'occhi. Susan si sporse dalla cabina di guida e iniziò a spiegare ai passeggeri la «procedura gulp».

Quando ebbe finito, Anawak le chiese a bassa voce: «Come ti sembrano?»

Susan voltò la testa. «Le balene?» chiese.

«Sì.»

«Che domanda ridicola…» esclamò Susan. Poi rifletté. «Come al solito, credo. E a te, come sembrano?»

«Le trovi normali?» domandò Anawak.

«Certo. Sono in piena febbre dello show, se è questo che vuoi dire. Sì, e sono anche maledettamente brave.»

«Non noti qualcosa… di diverso?»

Lei socchiuse le palpebre. Il sole splendeva abbagliante sull'acqua. Vicino all'imbarcazione emerse un dorso grigio chiazzato e poi sparì. Le megattere si erano di nuovo ritirate sotto la superficie. «Di diverso?» ripeté Susan, allungandosi. «Che intendi?»

«Ti ho raccontato delle due megattere che sono emerse improvvisamente vicino alla barca», spiegò lui. Le aveva chiamate «megattere» e non «balene». La sua idea era così folle che, usando il nome scientifico, sperava di darle almeno una parvenza di serietà.

«Sì, e allora?» lo incalzò lei.

«Ma sì. È strano.»

«Me l'hai già raccontato. Una per parte. T'invidio. Assolutamente mitico. E io non c'ero», disse Susan.

«Non so se sia stato mitico. Mi sembrava quasi che stessero valutando la situazione… come se stessero tramando qualcosa…»

«Parli per enigmi.»

«Non è stato molto piacevole», concluse Anawak.

«Non è stato piacevole?» Susan scosse la testa, sbigottita. «Ti devo consolare? Quello è proprio il tipo d'incontro che sogno. Vorrei essere stata al tuo posto.»

«No, non è vero, al mio posto non ti saresti divertita. Continuavo a chiedermi chi era a osservare l'altro e a che scopo…»

«Leon. Erano megattere, mica agenti segreti.»

Lui si passò una mano sugli occhi. «Okay, dimenticatelo. Ma sì, è una follia. Mi devo essere sbagliato.»

Il walkie-talkie di Susan gracchiò e si sentì la voce di Tom Shoemaker. «Susan? Vai sulla 99.»

Tutte le stazioni trasmettevano e ricevevano sulla frequenza 98. Era comodo perché così si aveva sempre il quadro degli avvistamenti. Anche la guardia costiera di Tofino usava la frequenza 98 e purtroppo lo facevano pure diversi pescatori sportivi, che avevano un'idea non proprio positiva del whale watching. Ma ogni stazione aveva un proprio canale per le conversazioni private. Susan cambiò frequenza.

«C'è Leon, lì vicino?» chiese Shoemaker.

«Sì, è qui.»

Passò ad Anawak la radio. Lui la prese e parlò per un po' con Shoemaker. Poi disse: «Va bene, arrivo… Sì, si può fare anche senza preavviso… Comunicagli che vado non appena torniamo. A presto.»

«Di che si tratta?» chiese Susan non appena lui le ebbe restituito la radio.

«Di una richiesta. Dalla Inglewood.»

«La Inglewood? La società armatrice?»

«Sì. La chiamata è arrivata dalla direzione. Non hanno fornito molti dettagli. Hanno detto solo che hanno bisogno di un parere, e piuttosto in fretta. Strano. A Tom è sembrato che avessero così tanta fretta che avrebbero voluto teletrasportarmi.»

La Inglewood aveva mandato un elicottero. Nemmeno due ore dopo aver parlato per radio con Shoemaker, Anawak vedeva scorrere sotto di sé lo spettacolare paesaggio di Vancouver Island. Colline ricoperte di abeti si alternavano a montagne scoscese, fiumi scintillanti e invitanti laghetti di colore verde-azzurro. Tuttavia la bellezza dell'isola non poteva nascondere il fatto che l'industria del legno aveva colpito duramente le foreste. Nel corso degli ultimi cento anni, si era sviluppata fino a diventare il ramo industriale più importante della regione. In ampie aree il diboscamento aveva lasciato il segno.

Superarono l'isola di Vancouver Island e sorvolarono il trafficatissimo Georgia Strait: navi di linea, traghetti, cargo e yacht privati. In lontananza si dipanavano le imponenti catene montuose delle Montagne Rocciose, con le loro vette innevate. Torri di vetro blu e rosa contornavano un'ampia insenatura, su cui atterravano e decollavano idrovolanti che sembravano uccelli colorati.

Il pilota parlò con la stazione di terra. L'elicottero si abbassò, effettuò una virata e si fermò sopra l'area di carenaggio. Poco dopo, atterrarono su uno spazio libero delle dimensioni di un gigantesco parcheggio. Su entrambi i lati c'erano cataste di legno di cedro in attesa di essere spedite. Un po' più lontano, si scorgevano mucchi di zolfo e carbone. Al molo era ormeggiato un gigantesco cargo. Anawak vide un gruppo di persone da cui si staccò un uomo che venne incontro a loro. I suoi capelli svolazzavano nei vortici creati dall'elica. Indossava un cappotto e stava curvo per difendersi dal vento. Anawak slacciò la cintura di sicurezza e si preparò a scendere.

L'uomo spalancò il portello. Era alto e imponente, aveva poco più di sessant'anni e un viso tondo, dall'aria gentile e dagli occhi vivaci. Sorrise tendendo la mano ad Anawak. «Sono Clive Roberts, il managing director.»

Si strinsero la mano. Anawak seguì Roberts fino al gruppo, evidentemente impegnato a ispezionare il cargo. Vide marinai e persone in abiti civili. Continuavano a guardare la parte destra della nave, le camminavano di fianco, si fermavano e gesticolavano.

«È stato molto gentile a venire subito», disse Roberts. «Ci scusi. Normalmente non siamo così poco diplomatici, ma la faccenda è maledettamente urgente.»

«Non c'è problema», rispose Anawak. «Di che si tratta?»

«Di un incidente. Probabilmente», fu la risposta di Roberts.

«Quella nave laggiù?»

«Sì, la Barrier Queen. Per essere precisi, abbiamo avuto problemi coi rimorchiatori che avrebbero dovuto trainarla in porto.»

«Lo sa, vero, che sono un esperto di cetacei? Uno studioso del comportamento di balene e delfini?» chiese Anawak.

«Si tratta proprio di questo, del loro comportamento.»

Roberts lo presentò agli altri. Tre erano del management della società armatrice, gli altri rappresentavano i partner tecnici. Un po' più in là, due uomini scaricavano l'equipaggiamento da sub da un furgone. Roberts prese in disparte Anawak. «Al momento, purtroppo, non possiamo parlare con l'equipaggio», disse in tono preoccupato. «Ma le farò avere una copia del rapporto non appena sarà disponibile. Non vorremmo che la faccenda venisse divulgata inutilmente. Posso fidarmi di lei?»

«Ma certo.»

«Bene. Le faccio un riassunto degli avvenimenti. Poi toccherà a lei decidere se restare o andarsene. In un caso o nell'altro, provvederemo a tutte le spese e a risarcire il disturbo che le abbiamo procurato.»

«Non c'è nessun disturbo», disse Anawak.

Roberts lo guardò, pensieroso. «Deve sapere che la Barrier Queen è una nave praticamente nuova. Rigirata come un calzino poco tempo fa, perfetta in tutto e certificata. Un cargo da sessantamila tonnellate, che finora abbiamo spedito via mare senza problemi, anche con carichi pesanti; di solito fa la rotta per il Giappone. Per la sicurezza spendiamo cifre da capogiro, molto più di quanto dovremmo. Insomma, la Barrier Queen era sulla via del ritorno, completamente carica.»

Anawak annuì.

«Sei giorni fa, intorno alle tre di notte, ha raggiunto la zona delle duecento miglia marine al largo di Vancouver. Il timoniere ha virato di cinque gradi, una correzione di routine. Non ha ritenuto necessario guardare la strumentazione. In lontananza si vedevano le luci delle altre navi, che permettevano di orientarsi anche a occhio nudo, e infatti quelle luci avrebbero dovuto spostarsi verso destra. Invece sono rimaste dov'erano. La Barrier Queen ha continuato a procedere diritta. Il timoniere ha girato ancora il timone, senza nessun visibile cambiamento di rotta; allora l'ha girato del tutto e, improvvisamente, esso ha cominciato a funzionare. Fin troppo.»

«La nave è andata addosso a qualcuno?» chiese Anawak.

«No. Le altre imbarcazioni erano troppo lontane. Ma evidentemente il timone si era bloccato a fine corsa. E l'uomo non riusciva più a raddrizzarlo. Un timone bloccato a fine corsa a una velocità di venti nodi… Voglio dire, le grandi navi non si possono fermare così, come se niente fosse! A causa dell'elevata velocità, la Barrier Queen ha iniziato a girare in un cerchio molto stretto e poi si è piegata di lato. Dieci gradi di pendenza… Ha idea di che cosa voglia dire?»

«Posso immaginarlo.»

«Poco sopra lo specchio dell'acqua, ci sono le aperture per il drenaggio del ponte dei veicoli. Quando c'è il mare grosso vengono incessantemente svuotati, ma altrettanto velocemente l'acqui torna a riempirli. Con un'inclinazione di quel genere, può succedere che rimangano sott'acqua. Allora la nave si riempie in un batter d'occhio. Per fortuna il mare era calmo, ma la situazione si presentava comunque critica. Non si riusciva a raddrizzare il timone.»

«Per quale motivo?» chiese Anawak.

Roberts tacque per un momento, poi rispose: «Lo ignoriamo. Sappiamo solo che il guaio c'è stato. La Barrier Queen ha fermato le macchine, ha lanciato il mayday e ha aspettato. Non poteva manovrare. Diverse navi nella zona hanno cambiato prudentemente rotta e, da Vancouver, sono partiti due rimorchiatori da recupero. Sono arrivati due giorni e mezzo dopo, nel primo pomeriggio. Un rimorchiatore da sessanta metri e un'imbarcazione da venticinque metri. In queste operazioni, la cosa più difficile è lanciare la gomena dal rimorchiatore, in modo che possa essere afferrata a bordo della nave. Durante una tempesta, tale procedura può durare ore: si lancia prima la gomena più sottile, poi quella un po' più spessa e infine quella pesante. Ma in questo caso non avrebbero dovuto esserci problemi: il tempo era buono e il mare tranquillo. Eppure i rimorchiatori sono stati ostacolati».

«Ostacolati? Da chi?»

«Ma sì…» Roberts s'irrigidì, come se fosse imbarazzato. «Tutto fa sembrare che… Ha mai sentito parlare di attacchi delle balene?»

Anawak sobbalzò. «Alle navi?» chiese.

«Sì. A grandi navi.»

«Molto raramente.»

«Raramente?» Roberts drizzò le orecchie. «Qualcosa del genere è già successo?»

«C'è solo un caso sicuro. È successo nel XIX secolo e Melville lo ha trasformato in un romanzo.»

«Vuol dire Moby Dick? Pensavo fosse solo un libro.»

Anawak scosse la testa. «Moby Dick è la storia della baleniera Essex. In effetti è stata affondata da un capodoglio. Una nave di quarantadue metri, ma di legno e probabilmente già un po' marcia. Comunque, sì, è successo. Il capodoglio ha cozzato contro la nave che, nel giro di qualche minuto, si è riempita d'acqua. L'equipaggio è rimasto per settimane in mare sulle lance di salvataggio… Ah, sì, poi ci sono altri due casi, avvenuti negli anni scorsi davanti alle coste australiane! Due pescherecci rovesciati!»

«Com'è successo?» chiese Roberts.

«Sono stati fracassati dalle code. La maggior parte della forza delle balene risiede nella coda.» Anawak rifletté. «Un uomo è morto, ma credo sia morto per un attacco cardiaco quand'è caduto in acqua.»

«Che balene erano?»

«Non si sa. Gli animali sono spariti troppo velocemente. Inoltre, quando accadono fatti del genere, si hanno altre cose per la testa che osservare le balene.» Anawak sollevò lo sguardo verso l'imponente Barrier Queen. Era visibilmente integra. «In ogni caso, non riesco a immaginare un attacco delle balene a questa nave.»

Roberts seguì il suo sguardo. «Sono stati i rimorchiatori a essere attaccati», spiegò. «Non la Barrier Queen. Sono stati colpiti sul fianco. Evidentemente volevano rovesciarli, ma non ci sono riuscite. E poi hanno cercato d'impedire il lancio della cima, poi…»

«Attaccati?»

«Sì.»

«Impossibile.» Anawak fece cenno di no. «Una balena può rovesciare qualcosa che sia più piccolo di lei o al massimo grande quanto lei. Non una cosa più grossa. Non attaccherebbe nulla di più grande di lei, a meno che non vi fosse costretta.»

«L'equipaggio giura che è successo. Le balene hanno…»

«Quali balene?» lo interruppe lui.

«E chi lo sa? Come ha risposto lei, poco fa, alla stessa domanda? Si hanno altre cose per la testa.»

Anawak aggrottò la fronte. «Va bene. Facciamo questo gioco. Supponiamo che i rimorchiatori siano stati attaccati dalle balenottere azzurre, i cetacei più grandi. La Balaenoptera musculus raggiunge i trentatré metri e arriva a pesare centoventi tonnellate. È l'animale più grande che esista sulla Terra. Supponiamo che una balenottera azzurra cerchi di affondare una nave lunga più o meno come quella. La balenottera deve essere almeno altrettanto veloce, meglio ancora se più veloce della nave. Ma, sulle brevi distanze, può raggiungere i cinquanta-sessanta chilometri all'ora. Ha una forma adatta alle correnti, idrodinamica. Eppure quale spinta può sviluppare? E quale controspinta sviluppa l'imbarcazione? In parole semplici, chi respinge chi, se le persone a bordo contromanovrano?»

«Centoventi tonnellate sono un bel peso», osservò Roberts.

Anawak indicò il furgone con un cenno del capo. «Riuscirebbe a sollevarlo?»

«Che cosa? Quel veicolo? Certo che no.»

«Eppure potrebbe anche puntellarsi. Un corpo in acqua non può farlo. Non si riesce a sollevare qualcosa che sia più pesante di se stessi, poco importa che si stia parlando di un uomo o di una balena. E non si può ignorare il rapporto tra le masse. Ma soprattutto si deve calcolare il peso della balena contro quello dell'acqua spostata. Non rimane molto. Solo la forza della coda. È possibile che riesca a spostare la rotta della nave, ma, dopo il colpo, probabilmente schizzerebbe via. È un po' come il biliardo, capisce?»

Roberts si grattò la fronte. «Alcuni pensano che fossero megattere. Altri balenottere comuni, e quelli a bordo della Barrier Queen dicono di aver visto dei capodogli…»

«Tre specie che non potrebbero essere più diverse.»

Roberts esitò. «Dottor Anawak, io sono un uomo razionale. Propendo a credere che il rimorchiatore sia semplicemente incappato in un branco. Forse non sono state le balene a urtare la nave, ma il contrario. Forse l'equipaggio ha manovrato maldestramente… Tuttavia rimane fuori discussione che gli animali hanno affondato il rimorchiatore più piccolo.»

Anawak lo guardò, esterrefatto.

«Quando le gomene erano già tese all'inverosimile tra la prua della Barrier Queen e la poppa del rimorchiatore, molti animali sono saltati fuori dall'acqua e le sono balzati addosso. In un caso come questo non c'è da sottrarre il volume dell'acqua spostata, e i marinai hanno detto che si trattava di esemplari molto grandi.» Roberts fece una pausa, quindi riprese: «Il rimorchiatore è stato trascinato giù e capovolto. È affondato».

«Santo cielo! E l'equipaggio?»

«Due dispersi. Gli altri sono stati salvati. Riesce a immaginare come mai quegli animali abbiano fatto una cosa del genere?»

Bella domanda, pensò Anawak. Le focene e i beluga si riconoscono allo specchio. Pensano? Fanno progetti che possiamo comprendere anche solo approssimativamente? Che cosa le muove? Le balene conoscono la differenza tra ieri e oggi? Che interesse possono avere ad allontanare o ad affondare un rimorchiatore? Forse i rimorchiatori hanno minacciato loro o i loro piccoli. Ma come? «Non è un comportamento tipico delle balene», disse infine.

Roberts sembrava disperato. «Lo penso anch'io, ma l'equipaggio la vede in modo diverso. Anche il rimorchiatore più grande è stato attaccato. Sono riusciti a fissare le gomene solo dopo la fine delle aggressioni.»

Anawak si guardava i piedi, rimuginando. «Un caso», mormorò. «Un terribile caso.»

«Crede davvero?»

«Forse ci capiremmo qualcosa di più se sapessimo che cos'è successo al timone», ipotizzò Anawak.

«Per questo abbiamo richiesto i sommozzatori», annuì Roberts. «Tra qualche minuto dovrebbero essere pronti.»

«Nel furgone hanno un equipaggiamento di riserva?»

«Penso di sì.»

Anawak annuì. «Va bene. Vado sotto con loro.»

Come ovunque nel mondo, l'acqua del porto era un incubo: una brodaglia sudicia in cui c'erano in sospensione tante sostanze quante erano le molecole d'acqua. Il fondo era ricoperto da una fanghiglia spessa metri, da cui si levavano mulinando particelle e sostanze organiche. Il mare si chiuse sopra la testa di Anawak e lui si domandò come avrebbe fatto a vedere qualcosa lì in mezzo. Aveva l'impressione di affondare in una nebbia marrone. Percepiva in modo confuso le figure dei due sommozzatori davanti a sé, e più oltre una vaga macchia scura, la poppa della Barrier Queen.

I sommozzatori guardarono verso di lui e unirono indice e pollice nel segno di okay. Anawak rispose nello stesso modo. Fece uscire l'aria dal jacket e scivolò lungo la poppa. Dopo qualche metro, tutti accesero la lampada del casco. La luce diffusa era potente. Mentre scendevano, l'aria gorgogliava rumorosamente nelle orecchie di Anawak. Dalla semioscurità si delineò il timone, scalfito e sporco. Era anche inclinato. Anawak cercò a tentoni la console del profondimetro. Otto metri. I due sommozzatori sparirono oltre la pala del timone. Si vedeva solo la luce delle loro lampade.

Anawak si avvicinò dall'altra parte.

Sulle prime vide soltanto i bordi arrotondati dei mitili, che si accumulavano l'uno sull'altro formando sculture bizzarre. Poi capì che era incrostato di conchiglie rigate e si avvicinò. Nelle fessure, proprio dove la pala ruotava nel pozzo, gli organismi erano diventati un pastone compatto, scheggiato e triturato. Non c'era da meravigliarsi che non fossero riusciti a muovere il timone. Si era grippato.

Scese ancora. Anche lì era tutto pieno di mitili. Con cautela, Anawak afferrò la massa. I piccoli animali, lunghi al massimo tre centimetri, erano stretti l'uno all'altro. Con estrema attenzione, per non tagliarsi con le valve affilate, le tirò, finché non riuscì a staccarne alcune. Erano semiaperte. All'interno si attorcigliavano i filamenti di bisso con cui avevano cercato di tenere la presa. Le mise nella rete che teneva alla cintura.

Non sapeva granché dei mitili. Alcune specie di molluschi avevano un bisso simile, una sorta di piede sfrangiato e vischioso. Tra questi, i più noti e famigerati erano le cozze zebrate, introdotte dal Medio Oriente. Si erano diffuse qualche anno prima nell'ecosistema americano ed europeo e avevano iniziato a distruggere la fauna indigena. Se quelle che avevano ricoperto il timone della Barrier Queen erano cozze zebrate, c'era poco da meravigliarsi che fossero ammassate in mucchi così spessi. Quando arrivavano da qualche parte, quelle cozze si diffondevano immediatamente in quantità mostruose.

Anawak girò nel palmo della mano i mitili distaccati.

Eh, sì, sembrava proprio che il timone fosse infestato da cozze zebrate. Ma com'era possibile? Le cozze zebrate distruggevano prevalentemente gli ecosistemi d'acqua dolce. Vivevano e prosperavano anche nell'acqua salata, certo, però come avevano potuto fissarsi su una nave che navigava in mare aperto, dove non c'era altro che acqua per chilometri di profondità? Oppure si erano attaccate già in porto?

La nave arrivava dal Giappone. Il Giappone era afflitto dalla piaga delle cozze zebrate?

Su un lato, sotto di lui, tra il timone e la poppa, si levavano dal torbido due pale arcuate, spettrali nelle loro dimensioni. Anawak scese ancora e batté le pinne finché non riuscì ad abbracciare il bordo di una delle pale. Fu colto da una sensazione di malessere. L'elica aveva un diametro di oltre quattro metri. Si trattava di una struttura di acciaio del peso di otto tonnellate. Per un istante immaginò come doveva essere quando girava a pieno regime. Sembrava incredibile che qualcosa potesse anche soltanto sfiorare questa cosa gigantesca. Qualsiasi cosa che si fosse avvicinata troppo sarebbe stata immediatamente distrutta.

Eppure i mitili erano anche sull'elica.

La conclusione era ovvia, però ad Anawak non piaceva affatto. Fece scorrere lentamente le mani dal bordo al centro dell'elica e le sue dita toccarono qualcosa di scivoloso. Frammenti di una sostanza chiara si staccarono e caddero verso di lui. Ne afferrò uno e lo tenne proprio davanti alla maschera.

Gelatinoso. Gommoso.

Sembrava tessuto.

Anawak girò e rigirò tra le mani quella cosa fibrosa, poi la fece sparire nel raccoglitore e procedette a tentoni. Uno dei sommozzatori gli si avvicinò dalla parte opposta. Con la lampada del casco sembrava quasi un alieno. Gli fece segno di avvicinarsi. Anawak si staccò e nuotò verso di lui. Si lasciò lentamente scivolare in basso, finché le sue pinne non toccarono l'albero a gomiti alla fine del quale vi era l'elica. Lì la sostanza vischiosa era abbondante e si era attorcigliata intorno all'albero come una guaina. I sommozzatori cercarono di staccarne alcuni brandelli e Anawak li aiutò. Ma era uno sforzo inutile. La maggior parte era così attorcigliata che, a mani nude, non sarebbero mai riusciti a staccarla.

Nella testa gli risuonò il racconto di Roberts sull'attacco delle balene ai rimorchiatori. Assurdo.

Perché una balena dovrebbe sabotare la manovra di aggancio di un rimorchiatore e far affondare la Barrier Queen? Il cargo non poteva manovrare, quindi col mare grosso avrebbe corso il rischio di naufragare. È vero che al momento era calmo, ma prima o poi le onde si sarebbero alzate. Le balene volevano impedire che la Barrier Queen raggiungesse acque sicure?

Gettò un'occhiata all'indicatore dell'aria.

Ce n'era abbastanza. Sollevando i pollici, indicò ai due sommozzatori che voleva ispezionare lo scafo e loro gli fecero il segno di okay. Si allontanarono dall'elica e nuotarono lungo la parete; Anawak era più in profondità, dove lo scafo si piegava a formare la chiglia. La luce della sua lampada scivolava sullo strato esterno d'acciaio. La pittura sembrava ancora nuova; solo in alcuni punti si riconoscevano graffi e cambiamenti di colore. Continuò a scendere verso il fondo e tutto divenne ancora più scuro.

Anawak guardò verso l'alto. Due luci diffuse gli indicavano la posizione dei sommozzatori che stavano ispezionando la parete.

Che cosa poteva succedere? In fondo sapeva dov'era. Tuttavia sentiva crescere l'inquietudine. Batté i piedi e scivolò lungo lo scafo. Non c'erano danni visibili.

Un attimo dopo, la luce della lampada si fece più debole. Anawak sollevò la mano per controllarla. Poi si rese conto che il problema non era nella lampada, ma in ciò che illuminava. Fino a poco prima, la vernice della nave aveva riflesso regolarmente la luce. Adesso invece era inghiottita dalla scura massa di cozze che ricopriva lo scafo della Barrier Queen.

Da dov'erano sbucate?

Anawak pensò di raggiungere i sommozzatori, poi decise di scendere sotto lo scafo. Sulla chiglia, l'infestazione dei mitili era ancora maggiore. La parte inferiore della Barrier Queen era completamente ricoperta, quindi la nave doveva pesare molto di più. Impossibile che nessuno se ne fosse accorto. Una simile massa era sufficiente per rallentare sensibilmente il cargo. Ormai era sotto la chiglia e poté voltarsi sulla schiena. Pochi metri sotto di lui iniziava la fanghiglia del bacino portuale. L'acqua era così torbida che non vedeva quasi più nulla, se non la montagna di conchiglie. Con rapidi colpi di pinna nuotò verso prua; di colpo il manto di cozze terminò. Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse massiccia la proliferazione. Pendeva sotto la Barrier Queen con uno spessore di quasi due metri.

Cos'era?

Al margine dell'escrescenza si spalancava una crepa.

Anawak rimase sospeso davanti a quella crepa, indeciso. Poi allungò la mano verso il polpaccio, dove in una custodia, teneva il coltello. Lo estrasse e lo conficcò nella montagna di cozze.

La crosta si crepò.

Qualcosa saettò fuori e lo colpì sul volto, quasi strappandogli l'erogatore dalla bocca. Lui rimbalzò all'indietro e sbatté la testa contro lo scafo. Davanti ai suoi occhi esplose una luce violenta. Voleva risalire, ma sopra di lui c'era la chiglia. Con violenti colpi di pinne, cercò di allontanarsi dai mitili. Si voltò e si vide di fronte un'altra montagna di piccole conchiglie dure. I suoi margini sembravano attaccati allo scafo con qualcosa di gelatinoso. Sentì crescere la nausea. Si sforzò di restare calmo e, attraverso le particelle che vorticavano nell'acqua, cercò di vedere l'essere che l'aveva aggredito.

Era sparito. Anawak non vedeva più nulla, se non la bizzarra crosta di conchiglie raggrumate.

Solo allora si accorse che stringeva qualcosa in mano. Il coltello. Non l'aveva mollato. Dalla lama penzolava un pezzo di sostanza lattiginosa e trasparente. Anawak la avvolse nel tessuto sintetico del raccoglitore, poi cercò il modo di andarsene. Non sentiva il bisogno di altre avventure. Risalì con movimenti misurati, cercando di tenere sotto controllo il battito cardiaco — diventato quasi frenetico — finché non raggiunse il lato della nave e, in lontananza, scorse il debole bagliore dei due sommozzatori. Li raggiunse. Anche loro erano incappati in quelle infestazioni e uno dei due stava staccando dei mitili col coltello. Anawak lo osservava, nervoso, temendo di veder qualcosa saettare fuori. Ma non accadde nulla.

Il secondo subacqueo sollevò il pollice e tutti e tre salirono lentamente verso la superficie. Benché l'acqua rimanesse torbida anche negli ultimi metri, il chiarore aumentava. Poi, improvvisamente, tutto riprese forma e colore. Anawak socchiuse le palpebre nella luce del sole. Si tolse la maschera, felice di respirare l'aria fresca.

Sul molo c'erano Roberts e gli altri.

«Che c'è la sotto?» Il manager si chinò in avanti. «Avete trovato qualcosa?»

Anawak tossì e sputò l'acqua del porto. «Può ben dirlo!»

Erano radunati nei pressi del furgone. D'accordo coi sommozzatori, Anawak si era assunto il ruolo di portavoce.

«Mitili che bloccano un timone?» chiese Roberts, incredulo.

«Sì. Cozze zebrate.»

«Santo cielo, come può succedere una cosa del genere?»

«Bella domanda.» Anawak aprì il contenitore dei campioni che teneva alla cintura e, con cautela, fece scivolare i pezzi di gelatina in un altro contenitore pieno di acqua marina. Le condizioni del tessuto lo preoccupavano. Sembrava che la decomposizione fosse già iniziata. «Posso solo fare supposizioni, ma i fatti dovrebbero essersi svolti così: il timoniere gira il timone di cinque gradi. Ma il timone non si muove, perché è bloccato dalle cozze che vi si sono aggrappate. In fondo, non è così difficile bloccare un timone, e questo lo sa meglio di me. Solo che non accade praticamente mai. Lo sa anche il timoniere, e per questo non gli passa neppure per la testa che qualcosa possa aver bloccato il timone. Pensa di averlo girato meno di quanto crede, quindi lo gira ancora, ma il timone non si muove. In effetti il motore del timone sta lavorando a pieno regime, cercando di rispondere al comando. Infine il timoniere lo ruota del tutto e finalmente la pala si libera. Mentre gira, le cozze si frantumano, ma non si staccano. Il pastone di mitili blocca il timone, esattamente come la sabbia in un ingranaggio. Si grippa e non torna più indietro.» Si scostò i capelli bagnati dalla fronte e guardò Roberts. «Ma la cosa inquietante non è questa.»

«C'è dell'altro?»

«Le prese a mare sono libere, però l'elica è completamente ricoperta di mitili. Non ho idea di come questa massa si sia potuta attaccare alla nave, ma una cosa si può affermare con certezza: contro un'elica in movimento si sarebbe rotta la conchiglia anche del più coriaceo dei molluschi. Quindi o gli animali si sono attaccati in Giappone — cosa che mi sorprenderebbe, dato che, fino a duecento miglia marine dal Canada, il timone ha funzionato perfettamente — oppure sono arrivate non appena sono state spente le macchine.»

«Vuol dire che hanno colpito la nave in mare aperto?»

«Sarebbe meglio dire aggredito», spiegò Anawak. «Cerco d'immaginare cos'è successo. Un gigantesco banco di mitili si attacca al timone. Quando la pala si blocca, la nave s'inclina. Pochi minuti dopo, si fermano le macchine e l'elica. Continuano ad arrivare altre cozze, si attaccano al timone per, diciamo così, cementare il blocco, poi raggiungono l'elica e il resto dello scafo.»

«Come hanno fatto ad arrivare lì tonnellate di mitili?» chiese Roberts, guardandosi intorno, disperato. «In mezzo all'oceano!»

«Perché le balene allontanano i rimorchiatori e saltano sulle gomene? È stato lei a iniziare con le storie bizzarre, non io.»

«Sì, ma…» Roberts si mordicchiò il labbro inferiore. «Succede tutto contemporaneamente. Sembra quasi che ci sia un legame. Però non ha senso. Mitili e balene.»

Anawak esitò. «Quand'è stato controllato l'ultima volta lo scafo della Barrier Queen

«Ci sono controlli costanti. E la Barrier Queen ha una vernice speciale. Non si preoccupi, è ecocompatibile! Non ci si può attaccare nulla. Forse dei crostacei balani…»

«Là sotto c'è ben più che qualche crostaceo balano.» Anawak si fermò, lo sguardo fisso nel vuoto. «Ma ha ragione! Quella roba non poteva essere lì. È come se la Barrier Queen fosse stata sottoposta per settimane a un'invasione di larve di mitili, e inoltre… c'era quella cosa in mezzo alle cozze…»

«Quale cosa?»

Anawak raccontò dell'essere uscito dalla montagna di mitili. Mentre parlava, gli sembrava di rivivere la scena. Lo shock, la testa battuta contro la chiglia… Gli rimbombava ancora. Aveva visto le stelle…

No, erano lampi di luce.

Un lampo di luce, per essere preciso.

Improvvisamente si rese conto che il lampo non era stato nella sua testa, ma nell'acqua.

Quella cosa aveva lampeggiato.

Rimase letteralmente senza parole. Si dimenticò di continuare il suo rapporto perché aveva compreso che quell'essere era luminescente. Se era così, probabilmente arrivava dalle profondità abissali. Quindi era difficile che si fosse aggrappato allo scafo della Barrier Queen in un porto. Doveva essere arrivato in mare aperto, avvolto dai mitili. Forse le cozze avevano rinchiuso quell'essere perché serviva loro come nutrimento. Oppure come protezione. E se fosse stata una piovra…

«Dottor Anawak?»

Anawak riportò lo sguardo su Roberts.

Sì, una piovra, pensò. È la cosa più probabile. È troppo veloce per essere una medusa. E troppo forte. Ha letteralmente spaccato le conchiglie, come se fosse un unico muscolo elastico. Poi gli venne in mente che quella cosa era balzata fuori nel momento esatto in cui lui aveva infilato la lama nella fessura. Doveva averla ferita col coltello. Le ho fatto male? Di certo la punta del coltello ha provocato un riflesso… No, non esagerare, pensò. Che cos'hai visto davvero in quella brodaglia? Sicuramente ti sei spaventato. «Dovete far ispezionare il bacino del porto», disse a Roberts, poi indicò i recipienti chiusi. «Ma prima bisogna mandare questi campioni il più in fretta possibile all'istituto di Nanaimo per farli esaminare. Li metta sull'elicottero. Li porterò io, so a chi affidarli.»

Roberts annuì, poi lo prese in disparte e sibilò: «Maledizione, Leon! Che cosa pensa davvero di questa faccenda? È impossibile che una copertura spessa metri si formi nel giro di poco tempo. La nave non è stata in giro per settimane.»

«Queste cozze sono una peste, Mister Roberts…»

«Clive.»

«Clive, quelle bestie non si muovono a caso, ma come se fossero un commando d'assalto. Almeno per quello che ne sappiamo.»

«Ma non così in fretta», replicò Roberts.

«Ciascuno di quei maledetti molluschi può mettere al mondo fino a duecentomila discendenti all'anno. Le larve si muovono con la corrente, oppure come passeggeri clandestini tra le squame dei pesci e tra le piume degli uccelli acquatici. Nei laghi americani, si sono trovati dei punti in cui sono insediati fino a novecentomila esemplari per metro quadrato, e sono arrivati praticamente in una notte. Otturano le tubature dell'acqua, i circuiti di raffreddamento delle zone industriali nei pressi dei fiumi, gli acquedotti; distruggono le tubature ed evidentemente si trovano a proprio agio sia nell'acqua salata sia in quella dei laghi e dei fiumi.»

«Va bene, ma stiamo parlando di larve», obiettò Roberts.

«Di milioni di larve.»

«Per me, possono anche essere miliardi e trovarsi nel porto di Osaka o in mare aperto. Che differenza fa? Mi vuole convincere che, negli ultimi giorni, sono diventate tutte adulte e complete di conchiglia? Insomma, è proprio sicuro che abbiamo a che fare con la cozza zebrata?»

Anawak guardò il furgone dei sommozzatori, che stavano sistemando l'equipaggiamento. I contenitori dei campioni, sigillati alla meno peggio, erano davanti a tutto il resto, in una cesta di plastica. «Siamo di fronte a un'equazione con molte incognite», disse. «Se davvero le balene hanno cercato di allontanare i rimorchiatori, dobbiamo chiederci il perché. Sulla nave stava succedendo qualcosa che non doveva essere portata a termine? Perché doveva affondare dopo essere stata bloccata dalle cozze? E poi c'è questo organismo sconosciuto che si dà alla fuga nel momento in cui invado il suo nascondiglio. Cosa le sembra tutto ciò?»

«Il sequel di Independence day. Crede davvero…» cominciò Roberts.

«Aspetti. Prendiamo la stessa equazione. Un branco di balene grigie e megattere particolarmente nervose si sente disturbato dalla Barrier Queen. In più, arrivano due rimorchiatori e le urtano. Le balene li urtano a loro volta. Per puro caso, la nave è stata attaccata poco prima da una piaga biologica che ha preso all'estero, come un turista che si prende la malaria, e in alto mare un calamaro si è infilato nella montagna di cozze.»

Roberts lo fissava.

«Sa, io non credo alla fantascienza», proseguì Anawak. «Tutto sta nell'interpretazione. Mandi là sotto un paio di uomini. Devono raschiare i sedimenti, guardare se c'è ancora qualche ospite inatteso e catturarlo.»

«Quando pensa che potremo avere i risultati da Nanaimo?» chiese Roberts.

«In pochi giorni, credo. Sarebbe molto utile se avessi una copia del referto», rispose Anawak.

«In via confidenziale», sottolineò Roberts.

«Ovviamente. In via altrettanto confidenziale, vorrei parlare con l'equipaggio.»

Roberts annuì. «L'ultima parola non spetta a me. Ma vedrò che cosa riesco a fare.»

Ritornarono al furgone e Anawak s'infilò il giubbotto. «È la prassi che prevede di consultare gli scienziati in casi simili?» chiese.

«Simili casi non sono di prassi.» Roberts scosse la testa. «È stata una mia idea, avevo letto il suo libro e sapevo che lei si trovava a Vancouver Island. La commissione d'indagine non ne è particolarmente entusiasta. Ma io penso che sia stata la cosa giusta. Non è che ci capiamo molto di balene.»

«Farò del mio meglio. Carichiamo i campioni sull'elicottero. Prima li portiamo a Nanaimo, meglio è. Li metteremo direttamente nelle mani di Sue Oliviera. È la direttrice del laboratorio. Una biologa molecolare molto in gamba.»

Il cellulare di Anawak suonò. Era Susan Stringer.

«Devi ritornare qui il più presto possibile», gli disse.

«Cos'è successo?»

«Abbiamo avuto un contatto radio col Blue Shark. Sono fuori, in mare, e hanno dei problemi.»

Anawak sospettò il peggio. «Con le balene?»

«Non dire sciocchezze.» Il tono di Susan lasciava chiaramente intendere che ormai lo considerava irrecuperabile. «Che problemi vuoi che ci siano con le balene? È quello stupido bastardo che crea problemi, quel maledetto stronzo.»

«Quale bastardo?»

«E chi se non Jack Greywolf?»