"Un cantico per Leibowitz" - читать интересную книгу автора (Miller Walter M.)6Il pellegrino rimase un argomento di conversazione proibito, nell'abbazia, ma rispetto alle reliquie e al rifugio la proibizione fu, per necessità, gradualmente allentata… tranne che per il loro scopritore, il quale aveva tuttora l'ordine di non discuterne, e preferibilmente di pensarvi il meno possibile. Eppure, non poteva evitarsi di udire qualche voce, ogni tanto, e sapeva che in uno dei laboratori dell'abbazia i monaci erano al lavoro sui documenti, non soltanto sui suoi ma anche su altri che erano stati scoperti nell'antica scrivania, prima che l'abate ordinasse di richiudere il rifugio. Poi cominciò a spargersi la voce. «Emily aveva un dente d'oro, Emily aveva un dente d'oro, Emily aveva un dente d'oro.» Era verissimo, in realtà. Era una di quelle sciocchezze storiche che in qualche modo riescono a sopravvivere a fatti importanti che qualcuno avrebbe dovuto prendersi il disturbo di ricordare, ma che non venivano documentate, fino a che qualche storico di un monastero era costretto a scrivere: "Né i contenuti dei Memorabilia né alcuna fonte archeologica finora scoperta ci hanno rivelato il nome del dominatore che occupava il Palazzo Bianco durante la seconda metà degli anni Sessanta, benché frate Barcus abbia sostenuto, senza alcune prove a sostegno, che il suo nome era…". Eppure, era chiaramente documentato nei Memorabilia che Emily aveva avuto un dente d'oro. Non era sorprendente che il Signor Abate avesse ordinato di sigillare la cripta. Ricordando come aveva sollevato l'antico teschio e come l'aveva voltato verso la parete, frate Francis cominciò improvvisamente a temere l'ira celeste. Emily Leibowitz era scomparsa dalla faccia della Terra all'inizio del Diluvio di Fiamma, e soltanto dopo molti anni il suo vedovo aveva ammesso che era morta. Si diceva che Iddio, per mettere alla prova l'umanità gonfia di orgoglio come ai tempi di Noé, aveva ordinato agli uomini saggi di quell'epoca, fra i quali era il Beato Leibowitz, di inventare grandi macchine belliche, quali non erano mai state viste sulla Terra, armi tanto potenti che avrebbero potuto contenere lo stesso fuoco dell'Inferno, e che Dio aveva permesso a quei maghi di porre le armi nelle mani dei prìncipi e di dire a ogni principe: «Soltanto perché i nemici sono in possesso di una simile arma, noi abbiamo costruito questa per te, affinché essi sappiano che tu pure la possiedi, ed abbiano in tal modo timore di colpire. Fai in modo, o mio Signore, di temerli quanto essi ora ti temono, perché nessuno possa scatenare questo flagello che noi abbiamo forgiato.» Ma i prìncipi, negligendo le parole dei loro saggi, avevano pensato: "Se io colpisco abbastanza in fretta, e in segreto, distruggerò gli altri nel sonno, e non rimarrà nessuno per combattere. La Terra sarà mia." Tale fu la follia dei prìncipi, e ne conseguì il Diluvio di Fiamma. In poche settimane — qualcuno diceva in pochi giorni — tutto era finito, dopo il primo scatenamento del fuoco infernale. Le città erano diventate mucchi di vetro, circondati da vaste distese di pietre spezzate. Mentre le nazioni erano scomparse dalla Terra, il suolo era cosparso di cadaveri d'uomini e di carogne di animali domestici e di bestie d'ogni genere, insieme agli uccelli dell'aria e a tutti gli esseri che volavano, che nuotavano nei fiumi e strisciavano fra l'erba o si annidavano nelle buche; essendosi ammalati ed essendo periti, essi coprirono la terra, eppure dove i demoni del Fallout coprivano la campagna, i corpi non si corrompevano, per molto tempo, se non erano a contatto con il suolo fertile. Le grandi nuvole della collera divina sommersero le foreste e i campi, facendo avvizzire gli alberi e morire i raccolti. E vi furono grandi deserti là dove un tempo c'era la vita, e in quei luoghi della Terra in cui vivevano ancora gli uomini, essi si ammalavano per colpa dell'aria avvelenata, così che, mentre alcuni sfuggivano alla morte, nessuno rimaneva intatto; e molti morirono anche in quelle terre che le armi non avevano colpito, a causa dell'aria avvelenata. In tutte le parti del mondo, gli uomini fuggivano da un luogo all'altro, e vi fu una confusione di lingue. Molta ira si levò contro i prìncipi e i servitori dei prìncipi e contro i maghi che avevano costruito le armi. Passarono gli anni, eppure la Terra non si era purificata. Così era chiaramente documentato nei Memorabilia. Dalla confusione delle lingue, dal mescolarsi dei resti di molte nazioni, dalla paura, nacque l'odio. E l'odio disse: E così, dopo il Diluvio, il Fallout, le pestilenze, la follia, la confusione delle lingue, il furore, cominciò la singuinaria Semplificazione, quando superstiti dell'umanità avevano fatto a pezzi altri superstiti, uccidendo regnanti, scienziati, condottieri, tecnici, insegnanti e ogni persona che i capi della folla inferocita indicavano come meritevoli di morire per aver contribuito a fare della Terra ciò che era. Nulla era stato tanto odioso al cospetto di quelle folle quanto gli uomini sapienti, dapprima perché avevano servito i prìncipi, ma più tardi perché essi rifiutavano di unirsi ai massacri e tentavano di opporsi alle folle, che chiamavano "semplicioni assetati di sangue". Le folle accettarono gioiosamente quel nome e si levò il grido: «Semplicioni! Sì, sì! Io sono un semplicione! Sei un semplicione, tu? Costruiremo una città e la chiameremo Simple Town, perché allora tutti i furbi bastardi che hanno provocato tutto questo saranno morti! Semplicioni! Andiamo! Questo gli insegnerà! Qui c'è qualcuno che non è un semplicione? Prendete il bastardo, se c'è!» Per sfuggire al furore delle schiere dei semplicioni, i dotti superstiti correvano ad ogni rifugio che si offrisse loro. Quando la Santa Chiesa li accolse, li vestì di abiti monacali e cercò di nasconderli nei monasteri e nei conventi che erano rimasti in piedi e che erano stati rioccupati, perché i religiosi erano meno disprezzati dalla folla, tranne quando la sfidavano apertamente e accettavano il martirio. Qualche volta questo rifugio era efficace, ma più spesso non lo era. I monasteri venivano invasi, i documenti e i libri sacri venivano bruciati, i rifugiati venivano catturati e impiccati o arsi, sommariamente. La Semplificazione aveva cessato di avere un piano o uno scopo poco tempo dopo il suo inizio, ed era diventata una insana frenesia di sterminio di massa e di distribuzione, quale può verificarsi soltanto quando sono scomparse anche le ultime tracce dell'ordine sociale. La follia fu trasmessa ai figli, ai quali veniva insegnato l'odio, e manifestazioni di furore popolare si ripeterono sporadicamente anche durante la quarta generazione dopo il Diluvio. A quei tempi, il furore era rivolto non contro i dotti, perché non ve ne erano più, ma contro coloro che sapevano semplicemente leggere e scrivere. Isaac Edward Leibowitz, dopo un'inutile ricerca della moglie, si era rifugiato presso i Cistercensi, e lì rimase nascosto nei primi anni che seguirono il Diluvio. Dopo sei anni, era andato ancora un volta alla ricerca di Emily e della sua tomba, nel lontano sud-est. Là si era finalmente convinto che la donna era morta, poiché in quel luogo la morte trionfava incondizionatamente. Lì, nel deserto, fece silenziosamente un voto. Poi ritornò ai Cistercensi, prese il loro abito, e qualche anno dopo diventò prete. Raccolse attorno a sé alcuni compagni e fece loro alcune quiete proposte. Passò ancora qualche anno, e le proposte giunsero fino a "Roma" che non era più Roma (che, a sua volta, non era più una città) e che continuava a spostarsi, e a spostarsi ancora e ancora… in meno di due decenni, dopo essere rimasta per due millenni in un solo luogo. Dodici anni dopo la formulazione delle proposte, Padre Isaac Edward Leibowitz aveva ottenuto dalla Stanta Sede il permesso di fondare una nuova comunità di religiosi, che prese il nome da Alberto Magno, maestro di San Tommaso, e patrono degli uomini di scienza. La missione dell'Ordine, non annunciata e dapprima soltanto vagamente definita, era quella di preservare la storia umana per i pro-pro-pronipoti dei figli dei semplicioni che la volevano distruggere. Il primo abito dell'Ordine fu costituito da brandelli di tela da sacco, l'uniforme della folla dei semplicioni. I suoi membri erano "contrabbandieri di libri" o "memorizzatori", secondo il compito loro affidato. I contrabbandieri di libri portavano i libri nel deserto sudoccidentale e li seppellivano entro i barili. I memorizzatori imparavano a memoria interi volumi di storia, delle sacre scritture, della letteratura e della scienza, nel caso che qualche sfortunato contrabbandiere di libri fosse catturato, torturato, e costretto a rivelare il luogo in cui erano nascosti i barili. Nel frattempo, altri membri del nuovo Ordine scoprirono un pozzo a circa tre giorni di viaggio dal nascondiglio dei libri e cominciarono a costruirvi un monastero. Il progetto, che mirava a salvare un piccolo resto della cultura umana dal resto dell'umanità che lo voleva distrutto, era così iniziato. Leibowitz, mentre stava compiendo il suo turno come contrabbandiere di libri, fu catturato da una folla di semplicioni; un tecnico rinnegato, che il prete si affrettò a perdonare, lo identificò non soltanto come un uomo dotto, ma come uno specialista nel campo delle armi. Incappucciato di tela da sacco, fu immediatamente martirizzato per strangolamento con un cappio da carnefice annodato in modo da non spezzare il collo, e nello stesso tempo veniva arrostito vivo… sistemando così una disputa sorta fra la folla sul metodo dell'esecuzione. I memorizzatori erano pochi, la loro memoria limitata. Alcuni dei barili di libri furono trovati e bruciati, e così pure molti altri contrabbandieri di libri. Lo stesso monastero fu assalito tre volte, prima che la follia si placasse. Dal vasto mare della conoscenza umana, soltanto pochi barili di libri originali e una pietosa raccolta di testi copiati a mano, trascritti a memoria, erano rimasti in possesso dell'Ordine, quando la follia era finita. Ora, dopo sei secoli di oscurantismo, i monaci conservavano ancora questi Memorabilia, li studiavano, li copiavano e li ricopiavano, e attendevano pazientemente. In principio, ai tempi di Leibowitz, si era sperato — e si era p'ersino ritenuto probabile — che la quarta o la quinta generazione avrebbe cominciato a desiderare di riavere la propria eredità. Ma i monaci dei primi tempi non avevano pensato alla capacità umana di ricreare un nuovo patrimonio culturale in un paio di generazioni, se un patrimonio antico è completamente distrutto, ricreandolo in virtù di legislatori e di profeti, di geni o di monaci; per merito di un Mosé o per merito di un Hitler, o di un avo ignorante ma tirannico, un patrimonio culturale poteva essere acquisito tra il crepuscolo e l'aurora, e molti sono stati acquisiti in tal modo. Ma la nuova "cultura" era un'eredità delle tenebre, dei tempi in cui "semplicione" aveva lo stesso significato di "cittadino" e di "schiavo". I monaci attendevano. A loro nulla importava che la conoscenza da loro salvata fosse inutile, che gran parte di essa non fosse più ormai, vera conoscenza, e fosse ormai imperscrutabile per i monaci, in certi casi, quanto lo sarebbe stata per un selvaggio analfabeta delle colline; quella conoscenza era priva di contenuto, le discipline di cui trattava erano scomparse da lungo tempo. Eppure, tale conoscenza aveva una struttura simbolica caratteristica, e per lo meno era possibile osservare il gioco reciproco dei simboli. Osservare il modo in cui un sistema di conoscenza costruito significa imparare un minimo di conoscenza della conoscenza; fino a che un giorno, forse fra qualche secolo, sarebbe venuto un Integratore, e tutto sarebbe tornato di nuovo a posto. Così, il tempo non aveva importanza. I Memorabilia erano là, ed era loro dovere preservarli, li avrebbero preservati, anche se le tenebre sul mondo fossero durate altri dieci secoli, o anche dieci millenni, perché i monaci, sebbene nati nella più buia delle età, erano ancora gli stessi contrabbandieri di libri e gli stessi memorizzatori del Beato Leibowitz, e quando vagavano lontano dalla loro abbazia, ciascuno dei professi dell'Ordine, dallo stalliere all'Abate, portava, come parte del loro abito, un libro, di solito un Breviario in quei tempi, legato in un specie di bisaccia. Dopo che il rifugio fu richiuso, i documenti e le reliquie che ne erano stati asportati furono studiati, uno alla volta e in modo molto discreto, dall'abate. Non fu più possibile esaminarli, chiusi com'erano, probabilmente, nello studio di Arkos. Era come se fossero scomparsi, ai fini pratici. Tutto ciò che scompariva nello studio dell'abate era un soggetto pericoloso per una pubblica conversazione: diventava qualcosa di cui si poteva sussurrare soltanto in silenziosi corridoi. Frate Francis udiva soltanto di rado quei bisbigli. Alla fine si quietarono, per rivivere quando un messaggero venuto da Nuova Roma parlò sottovoce all'abate, una sera nel refettorio. Un frammento della loro conversazione sussurrata giunse fino alle tavole vicine. I mormoni durarono alcune settimane, dopo la partenza del messaggero, poi tornarono a quietarsi. Frate Francis Gerard dello Utah ritornò nel deserto, l'anno seguente, e di nuovo digiunò in solitudine per tutta la Quaresima. Ancora una volta ritornò, debole ed emaciato, e ben presto fu chiamato alla presenza dell'Abate Arkos, il quale volle sapere se pretendeva di avere avuto altri colloqui con membri delle Schiere Celesti. — Oh, no, Monsignore Abate. Di giorno ho visto soltanto lucertole. — E di notte? — chiese sospettoso Arkos. — Soltanto lupi — disse Francis, e aggiunse cautamente: — Penso. Arkos preferì non approfondire quel prudente emendamento, ma si limitò ad accigliarsi. Il cipiglio dell'abate, aveva osservato frate Francis, era la sorgente di una energia radiante che viaggiava nello spazio a velocità finita e che non era ancora bene compresa, a eccezione del fatto che faceva avvizzire tutto ciò su cui si posava, poiché tale oggetto era di solito un postulante o un novizio. Francis aveva già assorbito una scarica di cinque secondi, quando gli fu rivolta la domanda seguente. — E a proposito dello scorso anno? Il novizio fece una pausa per inghiottire saliva. — Il… vecchio? — Il vecchio. — Sì, Don Arkos. Cercando di allontanare dal suo tono ogni sfumatura di punto interrogativo, Arkos disse: — Era davvero un vecchio. Nient'altro. Adesso ne siamo sicuri. — Anch'io Padre Arkos tese fiaccamente la mano per impugnare il righello di quercia. — Mentre Francis ritornava alla sua cella, l'abate gli gridò dietro, nel corridoio: — Fra l'altro, volevo dire… — Sì, Reverendo Padre? — Niente voti, quest'anno — disse quello distrattamente, e scomparve nel suo studio. |
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