"Demon" - читать интересную книгу автора (Varley John)

TREDICI

A guidare l'aereo, Conal aveva imparato da Cirocco poco dopo il suo arrivo su Gea. Gli riusciva magnificamente, e ci si divertiva un mondo.

Non che pilotare una Libellula fosse difficile. Una volta stabilita la rotta, le Libellule erano capaci di decollare, autogovernarsi e atterrare da sole. Non necessitavano di piste, e potevano tirare avanti senza più contatti col suolo se non in caso di sporadiche soste per far rifornimento. Chiunque avesse pilotato un piccolo Piper si sarebbe trovato a suo agio su una Libellula nel volgere di pochi minuti, anche se la mancanza di strumentazione avrebbe inizialmente potuto causargli qualche inquieta perplessità. Da un certo punto di vista, una Libellula disponeva di un solo strumento: il monitor del computer. Una piccola tastiera, posta alla destra del pilota, consentiva di richiamare a schermo qualunque informazione desiderata; e l'elaboratore di bordo, rilevando i dati di volo cinquantamila volte al secondo, avrebbe comunque avvertito il pilota di qualsivoglia anomalia, suggerendo opportune manovre d'intervento. Il velivolo disponeva di radar d'aria e di terra, nonché di ogni desiderabile dispositivo radio. Cirocco aveva sostituito le bussole con localizzatori inerziali.

I pedali di governo e la cloche, tuttavia, erano dello stesso tipo di quelli usati sulla Terra per oltre un secolo e mezzo. Conal sfruttò l'attesa mostrando a Nova l'uso di tali dispositivi. La ragazza osservò con la massima attenzione, e quando lui le passò i comandi non commise errori.

Allorché il Quattro si fu levato in volo per raggiungerli, Conal allineò in quota il suo Due col fratello maggiore, ponendoglisi sulla destra in posizione leggermente arretrata.

— Ecco il nostro piano — disse Cirocco. — La portata del radar è di circa trenta chilometri in ogni direzione. Un angelo può fare sui settanta chilometri l'ora, e può mantenercisi per forse un paio d'ore. Quello è partito da poco meno di un'ora. Dobbiamo supporre che sia diretto a Pandemonio, attualmente situato nell'Iperione meridionale. Saliremo a venti, cioè due zero, chilometri, e manterremo l'attuale rotta per cinquanta chilometri. Voleremo a una velocità oraria di uno due zero chilometri per altri trenta minuti, sperando così di arrivare con una qualche approssimazione nella zona dove si troverà lui. Poi ridurremo la velocità a sessanta, e cercheremo di localizzarlo col radar. Se non dovesse funzionare, proseguiremo ad alta velocità finché non saremo sicuri di averlo superato, e imposteremo una direttrice di ricerca in diagonale rispetto alla sua rotta presunta, finché non lo troveremo o finché qualcuno di noi non si farà venire un'idea migliore. Commenti?

Conal si diede a rifletterci in quel suo modo laborioso ma metodico. Cirocco non lo interruppe. Si rendeva conto che a parte Chris, col quale aveva già discusso il piano, Conal su Gea ne sapeva più di chiunque altro.

— E se quello va più in alto? — obiettò infine Conal. — La direttrice di ricerca non dovrebbe essere anche verticale, oltre che orizzontale?

— Sono partita dal presupposto che stia volando abbastanza basso.

Conal si reimmerse nelle sue riflessioni, nient'affatto sicuro che l'ipotesi di Cirocco dovesse essere presa per buona. Agli angeli poteva anche non piacere volare rasente alla volta ricurva, però, in caso di necessità, erano perfettamente in grado di farlo. Tuttavia, dal momento che nessun angelo avrebbe potuto, da solo, portare Adam da Dione a Iperione, Cirocco evidentemente confidava che i rapitori mettessero in opera una sorta di manovra a staffetta, e riteneva che il bordo esterno di Gea dovesse rappresentare il più probabile nascondiglio di quelli che avrebbero dato il cambio al primo.

Ma Gea era un posto strano, per volare. Si poteva salire per centocinquanta chilometri buoni, prima di arrivare alla volta. E volando attraverso un raggio, si arrivava anche più in alto. Se l'angelo avesse raggiunto una quota di sessanta chilometri, avrebbero potuto procedere proprio sotto di lui senza mai riuscire a individuarlo.

— Iperione è circa a un quarto di circonferenza — osservò Conal. — Quello potrebbe semplicemente risalire lungo un raggio, traversare il mozzo e riscendere.

— Hai perfettamente ragione, Conal — replicò Cirocco. — Ma per il momento supporremo che abbia preso la via del bordo. Se non troviamo nulla entro due o tre riv, rivedremo il piano.

— Il capo sei tu.

— Già, però tu non smettere per questo di darmi suggerimenti. E poi ho un asso nella manica che penso di tirar fuori fra pochi minuti.

Da come Nova aggrottava le sopracciglia, Conal dedusse che non aveva idea di cosa stesse dicendo il Capitano. Lui riuscì a formulare un'ipotesi piuttosto interessante, ma tenne la bocca chiusa.

— Avviso meteo — disse il computer. — State entrando in una zona ad alta turbolenza in cui… — Conal premette un tasto, e il computer tacque.

— Cosa voleva dire? — chiese Nova. Conal le diede un'occhiata. Sembrava che la ragazza incominciasse a star meglio. Non poteva essere altrimenti, pensò, visto che pareva disposta a fare conversazione. Conal provò una sensazione di sollievo. Non gli sorrideva molto l'idea di affrontare un lungo viaggio, in quello spazio ristretto, insieme a una persona che lo odiava.

— L'elaboratore ha in memoria un modello di Gea — spiegò, visualizzando sul monitor uno spaccato laterale del mondo a forma di ruota. — Tutte le Libellule condividono il modello, e basandosi sulle passate esperienze tengono una mappa aggiornata delle zone ad alta probabilità di perturbazioni. Comunque è più un fastidio che altro.

— Avrei pensato che fosse utile.

— Non troppo. Guarda. — Ingrandì l'area del bordo della ruota che conteneva Dione, evidenziando parte del raggio che v'incombeva sopra. Due puntolini blu, contrassegnati 2 e 4, lampeggiavano vicino al bordo inferiore dell'immagine. — Questi siamo noi — le disse, indicando il 2. — Ci stiamo muovendo in direzione di Giapeto, e quindi approssimando alla zona crepuscolare, dove ci sono correnti di aria più calda provenienti da terra. Su Gea, quando l'aria si innalza, va a scontrarsi con masse di altra aria che si muovono più lentamente perché sono più vicine al mozzo, formando con esse una superficie di discontinuità che s'incurva generando una specie di ondulazione simile a un'onda ciclonica. S'incontrano parecchie rapide correnti d'aria discendenti, nella zona di transizione.

La osservò, per vedere se aveva capito. A lui, con le sue nozioni sulla meteorologia terrestre, c'era voluto un poco per afferrare esattamente la questione. Sulla Terra, un fenomeno analogo è l'innesco di vortici provocato da correnti dirette da nord a sud, dovute al fatto che, per via del moto di rotazione terrestre, l'aria presente all'equatore si muove più in fretta di quella situata a nord e a sud di essa. Quando le conseguenze sono particolarmente violente, si parla di uragani.

— Certo — disse lei. — È l'effetto di Coriolis. Su alla Congrega dobbiamo tenerne ben conto, quando voliamo con gli alianti.

— Qui comunque la situazione non è così complicata. Gea è molto più grande della Congrega. E volando con l'aereo non devo preoccuparmene affatto. Però il computer ci fa caso ugualmente, e lo comunica. — Indicò di nuovo lo schermo. — Devi pensare che la situazione meteo è piuttosto regolare, su Gea. Il tempo cattivo proviene dai raggi. Gea risucchia un mucchio d'aria su per un raggio, attraverso il mozzo la trasferisce in un altro raggio, e alla fine la fa ricadere sopra una regione notturna. Tutto secondo un programma preciso. Ecco quindi cosa voleva dirmi il computer: mi sto avvicinando al confine fra il giorno e la notte, il che significa che sto uscendo da sotto un raggio, il che significa che posso aspettarmi qualche sbalzo di pressione. E ovviamente — concluse, indicandole l'immensa bocca del raggio di Dione che giganteggiava su di loro — posso vederlo benissimo anche da me.

Nova non fece commenti, ma si guardò attorno osservando il raggio, la volta ricurva che dinanzi a loro s'inarcava sopra Giapeto, e confrontandoli con l'immagine sullo schermo. Conal sapeva che abituarsi alla complessa geometria di Gea richiedeva un po' di tempo. Esaminare il territorio s'una mappa, o starsene sull'orlo a guardare l'abisso sentendosi una formica, non era esattamente la stessa cosa.

— Capisco quel che intendevi riguardo a come trovare l'angelo — disse infine. — Cosa gl'impedisce di volare tanto in alto che non s'arrivi mai a trovarlo? Tra l'altro dovrebbe anche fare meno strada.

— Su Gea, tutte le distanze per via d'aria sono più brevi delle distanze via terra. Se tu volessi andare da Dione a Rea, che sono diametralmente opposti, il tragitto più breve sarebbe quello da raggio a raggio attraverso il mozzo. Inoltre, man mano che ci si avvicina al mozzo si diventa sempre più leggeri, e una volta che lo si è raggiunto, il resto del viaggio è tutto in discesa.

— Perché Cirocco pensa che l'angelo non passerà per i raggi?

— Per un paio di motivi. Dentro i vari raggi vivono differenti stormi di angeli. Non si possono soffrire, e ogni stormo è geloso del proprio territorio. A qualunque stormo appartenga il rapitore, se utilizzasse due raggi dovrebbe attraversare un territorio ostile. Correrebbe il rischio di farsi uccidere, e avrebbe parecchie difficoltà a procurarsi il cibo. Invece lungo il bordo troverebbe vegetali commestibili quasi dappertutto, e chi deve dargli il cambio potrebbe nascondersi più facilmente, non dovendo fare i conti con i diritti d'insediamento di altri stormi.

— Ma come fate a essere sicuri che stia andando in Iperione?

Conal si strinse nelle spalle. — Questo dovresti domandarlo al Capitano. Lei ha un modo tutto particolare di venire a sapere le cose, e non è che si confidi sempre con me. D'altra parte, quell'angelo che ha preso Adam è stato un accidente di sorpresa, per lei, di questo puoi stare certa!


Si trovavano all'estremità occidentale di Giapeto allorché Cirocco diede ordine di ridurre la velocità. L'aereo di Conal era lontano verso nord, invisibile all'occhio ma ben presente sotto forma di un forte segnale di ritorno sulla mappa sciorinata dal computer.

Quando il monitor passò alla visualizzazione tridimensionale, Robin trovò difficile non farsi vincere dallo scoraggiamento.

In quel modo il bordo di Gea appariva come un tubo dalla leggera curvatura, mentre il volume di spazio delimitante le possibili ubicazioni dell'angelo formava una semisfera con al centro Tuxedo Junction. La sagoma di perlustrazione degli aerei risultava un cilindroide schiacciato di cento chilometri di ampiezza per cinquanta di altezza. Paragonato alla cubatura in cui l'angelo avrebbe potuto trovarsi, appariva decisamente insufficiente. Rimaneva esclusa una gran quantità di spazio sia al di sopra che dietro di loro.

— Non è poi così brutto come sembra — disse Cirocco. — Per il momento ce ne restiamo un poco in giro qui attorno, sperando che si faccia vivo. Ma se non lo intercettiamo entro un'ora, aumenterò la velocità e incominceremo a incrociare con metodo, in modo da coprire praticamente tutto lo spazio di ricerca.

— E se fosse tornato indietro verso Meti?

— È improbabile. Comunque, se non avremo risultati entro quattro o cinque ore, manderò Conal in quella direzione.

— E il raggio? — chiese Chris.

— Sarebbe un tale incubo logistico che l'ho escluso a priori.

Robin guardò in basso, lontano, verso le ampie distese di foreste che stavano sorvolando.

— Ma… non potrebbe semplicemente nascondersi laggiù, in mezzo alla boscaglia?

— Robin, se è così siamo fregati.

Magari fosse stata zitta.

— …Però non lo farà — proseguì Cirocco.

Robin pensò di chiederle come faceva a esserne tanto sicura, ma si accorse di non averne il coraggio. Lei voleva che la Maga fosse sicura. Era consolante avere accanto qualcuno che sembrava sapere quel che stava facendo…

— Chris, allungami lo zaino. Ora viene la parte peggiore.

Lo zaino in parola recava l'inconfondibile impronta dell'artigianato titanide, e aveva l'aria d'essere un vecchio amico. Robin stette a guardare mentre Cirocco se l'appoggiava fra i piedi sul pavimento trasparente, lo apriva, e ne estraeva un barattolino di vetro provvisto di coperchio metallico. Raggomitolato sul fondo c'era qualcosa di viscido e bianchiccio. Che sollevò la testa e ammiccò.

— In nome dei nove miliardi di perversioni della cristianità… cosa mai è quello? — chiese Robin.

Cirocco la fissò con aria contrita.

— È ciò di cui non t'ho voluto parlare alla fontana. Ma ormai le cose sono andate un po' troppo avanti perché sia il caso di mantener segreti. È un pezzo della mente di Gea. È qualcosa che Rocky mi ha tolto da dentro la testa più o meno cinque anni fa. In parole povere, è il mio Demone personale.

Robin osservò. La cosa si stava srotolando.

Assomigliava a un serpente con due gambe. Quando si eresse rimase in equilibrio su di esse utilizzando la coda come terzo punto di appoggio. Le gambe, in realtà, parevano piuttosto due braccia, con tanto di mani provviste di minuscoli artigli. Il collo era sui due centimetri e mezzo, la coda intorno ai sette, con la punta ottusa. Aveva due occhi tondi da lucertola, e una bocca sorprendentemente espressiva.

Robin si sporse in avanti per vedere meglio. Aveva l'impressione che la cosa stesse gridando. Riusciva quasi a distinguere le parole. Possibile che parlasse inglese?

— Ce l'ha un nome, 'sto affare?

Cirocco si schiarì la gola, e Robin le lanciò un'occhiata interrogativa.

— In effetti — rispose Cirocco con una contrazione delle labbra — se guardi da vicino, vedrai che è maschio…

Robin guardò. Grande Madre salvaci, era maschio davvero.

— Lui afferma di non avercelo, un nome — proseguì Cirocco. — Io, quando voglio chiamarlo in un modo che non sia "ehi tu, vescica bavosa" o roba del genere, lo chiamo Spione. — Cirocco si strofinò vigorosamente con un dito il labbro superiore, si schiarì di nuovo la gola, e insomma palesò, attraverso tutta una serie di sintomi, un nervosismo che Robin avrebbe ritenuto estraneo alla sua natura. Non si finisce mai d'imparare, pensò Robin.

— Vedi… — continuò Cirocco — …dalla posizione in cui era quando Rocky l'ha trovato… be', si potrebbe dire che in un certo senso… stava fottendo con la mia mente da una novantina d'anni.

Gea non avrebbe avuto alcun motivo plausibile di farlo maschio, visto che era destinato a trascorrere i suoi giorni dentro la testa di Cirocco. Quindi il suo sesso era da interpretarsi come uno dei contorti scherzi della dea, e avrebbe costituito una particolare e cocente umiliazione per Cirocco se l'intruso fosse stato scoperto.

Cirocco aprì il vasetto svitandone il coperchio e lo appoggiò sul ripiano sovrastante il monitor, che lei chiamava cruscotto. Con un saltello Spione andò ad appollaiarsi sul bordo del recipiente, si guardò attorno vagamente, e sbadigliò. Utilizzò una delle sue zampette artigliate per grattarsi come un cane, poi la rimise giù e rimase lì aggrappato simile a un minuscolo avvoltoio, con la testa quasi nascosta fra le spalle.

— Mi farei volentieri un goccetto — dichiarò. Robin riconobbe la voce.

— Oh, sto parlando a te, muso di troia — insisté.

Cirocco allungò una mano e gli diede un buffetto deciso col dito. Il demone andò a sbattere violentemente contro il parabrezza e ricadde sul cruscotto sbraitando. Cirocco tese di nuovo la mano e gli schiacciò la testa sotto il pollice. Robin sentì che qualcosa cedeva con uno scricchiolìo rovinoso. Grande Madre, pensò. L'ha ammazzato.

— Dolente — disse Cirocco. — Ma è il solo modo di fargli intendere ragione.

— Non vorrai mica scusarti con me?! — protestò Robin con voce stridula. — Per me puoi scorticarlo vivo e darlo in pasto ai vermi! Mi sorprende semmai che tu l'abbia tenuto cinque anni per ammazzarlo proprio adesso.

— Macché, sta benissimo. Non so nemmeno se sia possibile ucciderlo. — Alzò il pollice, e Spione con una giravolta si rimise in piedi. Aveva la testa deformata e gli gocciolava sangue da un occhio. Mentre Robin lo guardava, la sua testa riassunse la forma precedente, come fosse fatta di qualche straordinaria materia plastica.

— A chi mi devo rivolgere per avere un goccio in questo buco puzzolente? — Con un balzo ritornò ad appollaiarsi sul bordo del barattolo.

Cirocco frugò nello zaino e ne tirò fuori una borraccia di metallo foderata in cuoio. Tolse il tappo, prese un contagocce, lo infilò nel collo della fiasca e risucchiò una piccola quantità di un liquido trasparente. Spione saltellava impaziente da un piede all'altro, con la testa arrovesciata all'indietro e le fauci spalancate. Tenendogli il contagocce sopra la bocca, Cirocco ci fece cascar dentro una bella gocciolona. Spione l'inghiottì voracemente, e subito riaprì la bocca.

— Per ora basta — disse Cirocco. — Se fai il bravo, te ne darò ancora.

— Che roba è? — chiese Robin. Spione roteò gli occhi nella sua direzione.

— Alcool etilico. A Spione piace liscio. — Sospirò. — È un alcolizzato, Robin. Praticamente non si nutre d'altro, a parte un pochino di sangue una volta al giorno.

Spione accennò a Robin con uno scatto della testa.

— Chi sarebbe 'sta troietta? Cirocco gli appioppò un'altra ditata

in pieno muso, e Spione diede un bercio, poi lesto chiuse il becco. — Forse… — cominciò Robin, ma ci ripensò.

— Continua — disse Cirocco.

— Be', forse era lui che ti causava il tuo… problema.

— Non c'è bisogno di usare perifrasi, Robin. Forse era lui che mi rendeva un'ubriacona, vero? — Sospirò, e scosse la testa. — Per parecchio tempo mi sono sforzata di crederci anch'io. Ma sapevo benissimo che si trattava solo di un tentativo di trovare altrove la giustificazione a una debolezza che era solo mia. Sono stata io, semmai, la causa del suo problema. Se n'è rimasto accovacciato così a lungo sopra un cervello alcolizzato, che il vizio l'ha preso anche lui. — Raddrizzò le spalle e poi si chinò un poco in avanti, fissando il demone.

— Spione — disse — adesso faremo un gioco.

— I giochi mi fanno schifo.

— Questo ti piacerà. Gea ha fatto una cosa orribile.

Spione ridacchiò. — Io lo sapevo che stava per succedere qualcosa di bello…

— Però non hai pensato di avvertirmi, vero? Be', forse la prossima volta ci penserai. Il fatto è, fetido sifiloma pestilenziale, che qualcuno ha rapito un bambino. Dietro c'è la mano di Gea com'è vero che le mosche vanno alla merda, e tu mi dirai dov'è il bambino.

— Perché non mi lecchi il culo?

Robin trasalì quando Chris comparve all'improvviso tra di loro e acchiappò nel suo grande pugno la ripugnante creaturina. Rimaneva visibile soltanto la testa, coi due occhi che roteavano furiosamente.

— Dallo a me, Capitano — propose Chris a voce bassa. — È un'ora che ci rifletto, e può darsi che mi siano venuti in mente un paio di trucchetti ai quali tu non hai ancora pensato.

— Fermo un attimo, fermo un attimo! — strillò Spione. — Lo sai che lavoro meglio se non mi fai male, lo sai, lo sai!

— Aspetta, Chris — disse Cirocco. Gli occhietti minuscoli facevano la spola fra Chris e Cirocco. Spione inghiottì convulsamente, quindi parlò in tono untuoso.

— Che me ne fotte cos'ha introgolato Gea? Per un paio di goccetti potrei anche farcela a darvi una mano.

— Quattro gocce sono la mia offerta.

— Ora sii buona — piagnucolò. — E ragionevole. Non puoi negare che funziono meglio quando ce n'ho un poco in corpo.

Cirocco parve rifletterci.

— D'accordo. Ma prima lascia che ti spieghi il gioco. Mettilo giù, Chris. — Spione tornò libero e Cirocco accese un fiammifero, avvicinandolo a una trentina di centimetri dal demone.

— Adesso ti darò subito due gocce. Tu poi mi dovrai dire dov'è il bambino. Voleremo fino a lì, e quando saremo arrivati, se avrai avuto ragione ti darò ancora tre gocce. Se invece avrai sbagliato, ti legherò uno di questi fiammiferi sulla schiena e l'accenderò. Ci mettono una ventina di secondi a bruciare. Dopo farai un altro tentativo. Se sbaglierai ancora, ti prenderai un altro fiammifero. Ne ho portati… — diede un'occhiata dentro lo zaino — …mah, saranno un cinquanta più o meno. Quindi è un gioco che può andare avanti per tanto, tanto tempo. Oppure finire molto presto.

— Presto, presto, prestoprestopresto! — uggiolò Spione saltellando freneticamente.

— Benissimo. Apri la bocca.

Cirocco gli diede le due gocce pattuite, e quello parve calmarsi. E, curiosamente, prendere anche un poco di colore. Al bianco-giallastro piuttosto malaticcio che aveva avuto sin dall'inizio, si andò sostituendo un colorito decisamente rubicondo.

Saltò giù dal bordo del barattolo e si mise a camminare avanti e indietro sul cruscotto. Robin, affascinata, ne seguiva ogni mossa.

Il demone continuò a passeggiare per qualche minuto. Man mano che l'alcool gli faceva effetto, incominciò a barcollare. Però era anche evidente che il suo sguardo si andava gradualmente rivolgendo, con sempre maggior insistenza, verso una ben definita zona del cielo. Balzò goffamente verso il parabrezza e vi premette contro la sua faccia ripugnante, come per vedere meglio. Alla fine ruttò, e indicò con una zampa.

— È per di lassù — disse, e stramazzò.