"La rivincita dei mendicanti" - читать интересную книгу автора (Kress Nancy)8Quando suonò l’allarme, Theresa era seduta nel suo nuovo studio e lavorava al terminale. Aveva ricavato lo studio usando la stanza di una cameriera al centro del piano superiore dell’appartamento, inutilizzata probabilmente da prima dell’avvento dei robot-domestici. Theresa l’aveva scelta perché non aveva finestre, ma solo un abbaino, piccolo e in alto, posto sulla parete inclinata fino a un condotto dell’aria da cui poteva vedere solo una chiazza di cielo artificiale. Aveva fatto ripulire e dipingere di bianco la stanza dal robot addetto alla manutenzione e vi aveva portato un terminale e una sedia rigida vecchio stile. L’unica altra cosa che si trovava nella stanza erano le stampe. Erano attaccate a ogni parete, poster bidimensionali a colori di tutte le oloimmagini che aveva catturato dai notiziari. In una, tre bambini Vivi abbandonati, accucciati insieme e morti, in un banco di neve, i loro volti congelati e ben nutriti, lisci per la tipica salute assicurata dal Depuratore Cellulare. In un altro, un bimbo giaceva fra le braccia della madre Viva in lutto. La madre, che sembrava sui quindici anni, era chiaramente Cambiata. Il volto del piccolo era devastato da qualche malattia: la pelle era chiazzata e in suppurazione e dagli occhi chiusi filtrava del sangue. La telecamera aveva colto la madre con un palmo a coppa sollevato verso l’alto, privo di una siringa del Cambiamento. In un’altra immagine, presa col grandangolo da una telecamera aerea, uno scintillante scudo-Y racchiudeva una bella vallata nelle Ozarks. L’intera valle. Lì viveva un solo ricco Mulo, ex finanziere che nessuno aveva più visto dopo il Cambiamento, quando aveva dato una conferenza stampa in cui esultava perché non avrebbe mai più avuto bisogno di avere contatti con alcun essere umano. In una piccola stampa sulla parete opposta, quattro adulti emaciati, i gomiti come scalpelli, che mangiavano magre coppe di farinata e bevevano acqua sotto una croce di legno su cui erano state incise a fuoco le parole IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO. La malnutrizione segnava le loro gambe storte e i capelli radi. Tutti e quattro sorridevano beatamente alla macchina: i loro sorrisi erano caratterizzati da denti mancanti e gengive gonfie. Una grande stampa dietro al supporto del terminale mostrava il volto di Miranda Sharifi, coperto con un velo azzurro, tre gigli e un libro di preghiere aperto. Accanto, una stampa altrettanto grande mostrava lo stesso ologramma, pieno di lapidi, bare, candele nere e strumenti di tortura, con le parole: QUANDO L’IMMORTALITÀ, PUTTANA? C’erano anche altre immagini. Due bambini Muli che giacevano, nudi e ridenti, sul cadavere di un cervo squartato, aperto dal petto alla coda, che si nutrivano direttamente dalla sua carne e dal sangue. Un altro bambino Vivo ammalato, in un paese francese dove non c’erano più siringhe del Cambiamento da quattro anni. Una pubblicità dell’Endorbacio dai colori che rilucevano seducenti, in cui tre Muli dai corpi assolutamente perfetti si nutrivano dal suolo, tranquillamente, con volti sereni, nessuno che guardasse altre persone o altre cose, non avendone chiaramente alcun bisogno. Jackson non aveva visto quella stanza. Theresa ci andava solo quando lui non era in casa e aveva chiesto a Jason, il sistema dell’appartamento, di non lasciare entrare nessuno lì dentro a parte lei. Ovviamente era probabile che Jackson sapesse come sovrapporsi a quell’ordine ma, anche se avesse potuto, forse non lo avrebbe fatto. Jackson non avrebbe capito quella stanza. Avrebbe pensato a un problema clinico, come quello che definiva la "angoscia neurochimica" di Theresa. Non avrebbe compreso che quella stanza era necessaria. Il sistema che Theresa aveva di fronte era in modalità schermo, la sua "superficie" piatta a energia era divisa in due, verticalmente, da una spessa linea nera. Sopra la linea c’era una citazione in severe lettere blu: "Perfino un animale può perdere la strada in un terreno sconosciuto, ma soltanto gli uomini e le donne possono perdere se stessi." Christopher Caan-Agee, 2067. Sotto c’era un paragrafo che Theresa aveva scritto nel libro su Leisha Camden: Leisha aveva un amico. Si chiamava Tony Indivino. Tony era molto più infuriato di Leisha su moltissime cose. A Tony non sembrava giusto che alcune persone avessero tanti soldi e altre avessero così poco. Leisha non ci aveva mai pensato prima che Tony non la facesse riflettere sulla cosa. Leisha scrisse successivamente che Tony le aveva detto: "E se cammini per la strada in un paese povero come la Spagna e vedi un mendicante? Gli dai un dollaro? E se vedi cento mendicanti, mille mendicanti e non hai tutti i soldi di Leisha Camden? Che fai? Che dovresti fare?" Leisha non conosceva la risposta alle domande di Tony. Theresa studiò il paragrafo. Disse al suo sistema personale, Thomas: — Metti "importante" prima di "amico". Esso lo fece. La ragazza studiò nuovamente la frase. Quindi guardò la frase precedente: "Perfino un animale può perdere la strada in un terreno sconosciuto, ma soltanto gli uomini e le donne possono perdere se stessi". Disse: — Thomas, dammi la seconda citazione della lista. Thomas le tirò fuori le parole, leggendole forte con la sua corposa voce maschile: — "Ma l’uomo, l’uomo orgoglioso, investito di piccola e breve autorità, massimamente ignorante di ciò di cui è massimamente sicuro, vitrea la sua essenza, crea al pari di una scimmia furiosa magnifici trucchi al cospetto dei cieli da commuovere gli angeli" William Shakespeare. 1554-1615. — La citazione successiva. — "L’infelicità dell’uomo deriva, secondo una mia interpretazione, dalla sua grandezza: è perché in lui c’è l’infinito che. nonostante tutte le sue abilità, non può riuscire a seppellirsi del tutto sotto al finito". Thomas Carlyle. 1795-1881. Ancora una volta Theresa lesse il proprio paragrafo, con "importante" inserito davanti ad "amico". Quindi riascoltò la frase di Carlyle. Perché mai era così difficile scrivere un libro? Lei sapeva così chiaramente quello che aveva bisogno di dire su Leisha Camden, lo provava così chiaramente. Riusciva perfino a parlarne, con Jackson. Però quando si sedeva davanti al terminale, le parole che pronunciava erano rigide e fredde e sarebbe stato meglio che non avesse mai nemmeno tentato di spiegare al mondo perché Leisha Camden era importante, perché "importava" una vita spesa per qualcosa di determinante come mantenere Insonni e Dormienti un solo popolo. Anche se Leisha aveva fallito: a dispetto degli sforzi di Leisha, gli Insonni si erano ritirati nel Rifugio. Il paese aveva subito una separazione lunga e amara. Jennifer Sharifi era finita in prigione. Leisha aveva trovato la morte in una palude della Georgia, uccisa da Vivi che disprezzavano gli Insonni più ancora di quanto Theresa disprezzava se stessa. Leisha, però, aveva provato e si era salvata da quello che era divenuto il resto di loro. No, Theresa doveva scrivere quel libro su Leisha. "Doveva". Ma perché era così difficile trovare parole magnifiche come quelle che le riportava Thomas quando lei lo inviava a cercare qualche citazione? Theresa si asciugò le lacrime dalle guance e guardò nuovamente le stampe appese alle pareti, "massimamente ignorante… crea al pari di una scimmia furiosa magnifici trucchi al cospetto dei cieli da commuovere gli angeli." — Prendi un neurofarmaco — le avrebbe detto Jackson. — Te ne posso far fare uno che… — Il sistema di sicurezza dell’edificio è stato infranto — annunciò con voce forte il sistema di casa dal terminale di Theresa. — Non si tratta di un’esercitazione, signorina Aranow. Ripeto, il sistema di sicurezza dell’edificio è stato infranto e non si tratta di una esercitazione. Cosa vuole che faccia? Infranto? Come era possibile che venisse infranto il sistema di sicurezza dell’edificio? C’erano scudi a energia-Y, serrature… Cosa doveva fare? Jackson era andato da qualche parte con Cazie. Theresa non sapeva cosa dire al sistema. Doveva essere impenetrabile. Disse: — Serra tutte le porte! — Sono sempre serrate, signorina Aranow. Era evidente. I pensieri di Theresa turbinavano. — Mostrami il punto dell’effrazione! Le prose, sue e di Carlyle, scomparvero dallo schermo. Esso si attivò in modalità olografica e trasmise un’immagine grandangolare dell’atrio dell’edificio. Persone… Vivi!… stavano avanzando verso l’ascensore che disse: — Mi dispiace… questo ascensore si apre soltanto per i residenti e gli ospiti autorizzati. — Un uomo con un terminale portatile digitò qualcosa, e la porta dell’ascensore si spalancò. Theresa si alzò, ribaltando la sedia. Le batteva forte il cuore. Erano cinque Vivi, quattro uomini e una donna, persone dalle fronti poco spaziose, menti bitorzoluti, orecchie pelose o colli taurini, vestite con vecchie tute invernali. Erano nel suo edificio. Avevano espressioni determinate e una di loro aveva un’unità mobile. Dove l’aveva presa? Durante le Guerre del Cambiamento? Ma erano finite da molti anni, no? Che cosa "avrebbe dovuto" fare? — Cosa… cosa dovrei fare, Jones? C’è una procedura di sicurezza standard? — Esiste una sequenza standard contra le intrusioni, organizzata in stadi progressivi. La devo iniziare? Oppure prima vuole parlare con gli intrusi non autorizzati? — No! No, io… che cosa vogliono? — Devo passarle un collegamento audio-video del partone tramite Thomas? — No… sì. E inizia la sequenza contro le intrusioni! — Tutti gli stadi, in automatico? — Sì! L’olopalco mostrò il corridoio fuori dalla porta dell’appartamento. Tre persone, inclusa la donna, avevano delle armi in pugno. Theresa si sentì serrare la gola e mancare il respiro. "No, non adesso, non adesso…" I Vivi non gridavano. Quello con l’unità mobile parlò in maniera calma ma a voce alta, nel tipico gergo da strada: — …prendere per i nostri bambini, noi, altre siringhe del Cambiamento. È tutto quello che vogliamo, noi. Non faremo del male a nessuno. Vi ripeto, io, che quello che vogliamo sono altre siringhe del Cambiamento, sappiamo che lei le ha, dottor Aranow, lei è un medico, lei… — Andate via! — gridò Theresa. Le parole le uscirono strozzate, incapaci di farsi strada con vigore attraverso l’attacco di panico. Tentò di nuovo: — Andate via! Qui non ci sono siringhe del Cambiamento! Mio fratello non le tiene a casa! — Non era vero. C’erano sedici siringhe del Cambiamento nella cassetta di sicurezza. — Cosa? Lei è il dottor Aranow, lei? Apra la porta! — No — piagnucolò Theresa. Non riusciva a respirare. — Allora entreremo, noi! La porta d’ingresso si aprì. La procedura di sicurezza… perché Jones non reagiva? Cosa avevano avuto il tempo di fare a Jones quelle persone, e come sapevano come agire? Theresa si strinse le braccia attorno al corpo e prese a ondeggiare avanti e indietro, cullandosi. Jones disse: — Siete intrusi non autorizzati. Se non uscirete immediatamente, questa sistema attiverà le sue difese biologiche. — Aspetta, Elwood, non… — Ho abbattuto le difese, io. Avanti! — Ma tu… — Le siringhe… — Attivazione, ora — disse Jones e, all’improvviso, l’olopalco si riempì di gas giallastro che spuntava fuori da tutte le parti. Era "davvero" ovunque. Anche lo studio di Theresa improvvisamente ne fu pieno. Ansimando per tirare il fiato, lei inalò il gas nei polmoni e… … sentì staccarsi gambe e braccia. Theresa cadde a terra. Riusciva a vedere braccia e gambe stese accanto a lei, chiaramente staccate. Ma no, non potevano essere sue, perché non c’era sangue. Erano le braccia e le gambe di qualcun altro. Degli intrusi? Ma come avevano fatto ad arrivare fino al suo studio al piano superiore senza gambe? Che strano! Interessante. Ma forse non si trattava delle gambe e delle braccia degli intrusi. E allora, di chi potevano essere? Allontanò con una spinta la gamba che aveva più vicino. Quella cosa disgustosa non doveva essere davvero sul pavimento. Ma dove era il robot-pulitore? Forse era rotto… Mentre spingeva via violentemente la gamba staccata, Theresa restò sbalordita nel sentire il proprio corpo sobbalzare. Ma di che diavolo si trattava? Niente sembrava normale. Anche se Jackson diceva sempre che normale era solo un immenso deposito, aveva ragione se "normale" doveva includere anche braccia e gambe che non erano nemmeno sue disseminate per il pavimento del suo studio. Theresa afferrò un braccio staccato e cercò di lanciarlo dall’altra parte della stanza. Ancora una volta si sentì scuotere il busto e provò un gran dolore alla spalla, cosa che non aveva alcun senso. E come mai il braccio dell’intruso aveva addosso una delle maniche fiorate dell’abito di Theresa? Prima doveva essere andato in camera da letto, essersi cambiato per poi entrare lì e cadere in pezzi. Forse lo aveva mandato Leisha. Sì, quello sì che aveva senso. Leisha era sempre stata compassionevole nei confronti dei Vivi. Compassionevole e priva di paura. — Theresa! — gridò qualcuno. — "Tess!" Se ci pensava, però, nemmeno Theresa aveva paura. Era molto calma. Jackson sarebbe stato orgoglioso di lei. Rimaneva calma e pensava a cosa fare. Prima doveva chiamare il robot-domestico perché portasse via dal pavimento gambe e braccia in eccesso. Poi doveva notificare alla polizia dell’enclave l’effrazione. Terzo, doveva scoprire cosa rendeva così belle le frasi di Carlyle, per poterne scrivere di altrettanto belle. Quanto meno, ci sarebbe riuscito il suo sistema personale. Sì, quello aveva senso: avrebbe chiesto al proprio sistema di duplicare la prosa di Carlyle. Dopo tutto, si chiamavano tutti e due Thomas. — Tess! Siamo… oh, mio Dio! Theresa sollevò lo sguardo. Cazie le stava sopra e indossava un casco a energia-Y dotato di filtro dell’aria. Cazie sembrava avere tutte le gambe e le braccia. Era interessante: come aveva fatto Cazie a rimanere attaccata alle sue quando Theresa e gli intrusi non ci erano riusciti? Il quarto punto della lista sarebbe stato chiedere a Jackson delucidazioni in proposito. Si trattava probabilmente di un problema medico. — Qui, respira profondamente. Stai ferma, Tessie, respira il più profondamente possibile, il gas ha bisogno soltanto di pochi minuti per lasciare il tuo corpo. Respira e basta… C’era qualcosa sopra la sua testa anche se doveva essere fatto di energia-Y perché lei riusciva ancora a vedervi attraverso Cazie. Cazie appariva preoccupata. Non ne aveva alcun bisogno, in realtà. Theresa stava bene. Jackson sarebbe stato orgoglioso: stava bene, era rimasta calma durante un’emergenza, respirando normalmente, aveva compilato una lista razionale delle cose da fare e in quale ordine. Tuttavia doveva comunicare la lista a Thomas. Così sarebbe stata sicura di ricordarla tutta. Thomas l’avrebbe scritta. Strisciò verso il terminale per farlo. — Respira profondamente — disse di nuovo Cazie ma, prima che Theresa vi riuscisse, tutto diventò nero. Si svegliò sul divano del salotto. Jackson e Cazie incombevano su di lei. Cazie domandò: — Come ti senti, Tessie? — Io… c’erano dei Vivi… — Adesso sono andati via. No, non ti agitare, Tess, è tutto a posto. Li ha presi la polizia dell’enclave e nessuno è rimasto ferito. Non succederà più. — Ma come… cosa… Jackson le si sedette accanto e le prese la mano. — Hanno trafugato i codici d’ingresso dell’edificio, Theresa. Nessuno sa come abbiano fatto a entrare nell’enclave. Tutti i nostri sistemi sono stati riprogrammati, comunque: edificio, ascensore e Jones. Cazie ha ragione, non succederà più. Aveva una voce svuotata. Le stava mentendo. — Non è stato rubato nulla — proseguì Cazie. — Forse non intendevano portar via niente a parte le siringhe del Cambiamento. Sapevano che Jackson è medico. Sono entrati anche da altri medici. I poliziotti si occuperanno della storia. Non è stato ferito nessuno. — Ma c’erano braccia e gambe sparpagliate per tutto il pavimento! — esclamò Theresa. Riusciva ancora a vederli, orribili arti staccati. Rabbrividì e ansimò. — E le "mie" braccia e le "mie" gambe… — Tranquilla, Tess — fece Cazie. — Adesso è tutto a posto. Non c’erano né gambe né braccia sul pavimento e le tue sono perfettamente in ordine. Si è trattato della biodifesa del sistema. Perché non hai indossato la maschera quando lo hai attivato? — La stai agitando — disse Jackson. — Non lo sapeva. Tess, adesso è tutto a posto, siamo qui. Non hai più bisogno di pensarci. — Ma… — cominciò Theresa. Le sue dita si stringevano e allentavano su quelle di Jackson, si stringevano e allentavano. — Ma dimmi… che cos’ho respirato? Ti prego, dimmelo, Jackson. Jackson spiegò con riluttanza: — È un gas che agisce direttamente sulla corteccia parietale, provocando anosognosia. La corteccia parietale controlla il modo in cui la mente percepisce le sensazioni e i movimenti del corpo. In stato di anosognosia la mente è incapace di riconoscere i propri arti ed è anche incapace di capire se c’è qualcosa di sbagliato. La vittima inventa elaborati scenari per spiegare la paralisi degli arti che percepisce. È un ottimo sistema di sicurezza perché consente di scollegare il controllo corporeo senza aumentare la rabbia e il panico che potrebbero portare a reazioni sconsiderate. Inoltre non danneggia nessuno. — Le braccia e le gambe sul pavimento erano tue — disse Cazie. — I Vivi non sono mai riusciti ad arrivare oltre l’ingresso. Jackson riprese: — Hai respirato soltanto un neurofarmaco a effetto temporaneo. Anche senza l’intervento del Depuratore Cellulare, l’effetto non dura a lungo. Potresti sentire del formicolio negli arti per un po’, ma non fa male. Un neurofarmaco. Aveva respirato un neurofarmaco ed era divenuta una persona diversa. Una persona senza braccia e gambe, una persona che pensava che le braccia e le gambe di altri fossero disseminate sul pavimento, una persona che non si era agitata all’idea ma aveva stilato tranquillamente una lista di cose da fare per gestire il problema. Non Theresa. Una persona completamente diversa. Sollevò lo sguardo su Jackson e, per la prima volta in vita sua, Theresa si accorse di non volerlo vicino. — Tu… tu mi hai fatto diventare qualcun altro. — No, non sono stato io, il sistema della casa… — Ma tu vuoi sempre che io prenda neurofarmaci. Che io sia qualcuno diverso da me. — Non puoi paragonare… — cominciò, ma lei lo interruppe. — Quella non è la risposta. Non so quale sia, ma non è certo quella. — Lasciò la mano di Jackson e cercò di alzarsi. Cazie intervenne: — Tess, tesoro, non sei onesta con Jack. Lui voleva soltanto… — So quello che voleva soltanto — ribatté Theresa e, in qualche modo, li lasciò lì, Jackson colpito e Cazie mesta. Barcollò fino alla sua stanza, camminava in modo così incerto e le braccia e le gambe le formicolavano tanto che pensò che potessero cedere. Quanto meno, però, erano sue. L’edificio era posto sul fianco di una montagna, nella zona alta delle Adirondacks. Theresa atterrò con l’aeromobile, che volava ovviamente in automatico, su una striscia artificialmente piatta di terreno nanolastricato che immaginò fosse un parcheggio, anche se non c’erano altri veicoli. Restò a lungo al freddo, guardando semplicemente l’edificio delle Sorelle del Cielo Misericordioso. Il convento, non di cemespugna ma costruito in pietra vera, si fondeva con la montagna. Roccia grigia, ricoperta qua e là di viticci avvizziti accompagnati alla vegetazione avvizzita d’inverno che cresceva angolata rispetto al terreno scosceso. Era il primo edificio di Muli che Theresa ricordava di avere mai visto, perfino nei notiziari, che non risultava avvolto nella bolla debolmente scintillante di uno scudo a energia-Y. C’era soltanto neve, ammassata dalla corrente. Un po’ di vento sollevò la leggera neve polverosa attorno alle gambe di Theresa, e lei rabbrividì. Si incamminò verso la porta. Le venne aperta da una donna di mezza età, non da un sistema di sicurezza o da un robot. Una donna (una sorella?) con una tunica grigia e diritta che sembrava di cotone. "Cotone." Tessuto consumabile. Quella vista aiutò Theresa a superare la ritrosia che provava solitamente per gli estranei. Serrò strette le mani e si costrinse a non indietreggiare. — Io sono… Theresa Aranow. Ho chiamato… — Entri pure, signorina Aranow. Io sono Sorella Anne. — Le sorrise, ma Theresa non riuscì a ricambiare il sorriso. Sentiva il volto troppo teso. — Sono io quella con cui lei ha parlato in linea. Mi segua dove potremo chiacchierare un po’. Condusse Theresa attraverso un oscuro atrio in pietra e aprì una pesante porta di legno. Si sentirono dei suoni. — Oh! Che… che cos’è? — Sono le sorelle che cantano i vespri. Theresa si fermò, stupefatta. Non aveva mai sentito cantare in quel modo. Nemmeno da un sistema sonoro, mai. Un glorioso scroscio di suoni, privo di strumenti: soltanto voci umane, ognuna modificata geneticamente per aumentarne l’abilità musicale, che si alzavano in fervente ardore. Non riusciva a distinguere le parole, ma le parole non importavano, era la passione che contava. Una passione per qualcosa di invisibile ma… ma sentito. Una passione… Sorella Anne le disse gentilmente: — Ha detto in linea che non è stata allevata come cattolica. Aveva mai sentito cantare i vespri? — Mai! — Be’, nemmeno la maggior parte dei Cattolici. O di quelli che adesso passano per Cattolici. Venga qui, dove possiamo parlare. Theresa la seguì in una piccola stanza dalle pareti bianche, arredata soltanto con una scrivania, un terminale e tre sedie. Sedie di legno. Lei esclamò subito: — Ma voi non siete Cambiate. Nessuna di voi. — No — rispose Sorella Anne sorridendo. — Dobbiamo mangiare, bere e dipendere dai nostri sforzi e dalla grazia di Lui per il nostro pane quotidiano. — È… è… — Stava tremando. Tuttavia riuscì a fare uscire le parole perché per lei erano importanti. — È una disciplina spirituale? — Lo è. Signorina Aranow, cominci a raccontarmi perché si trova qui. — Perché mi trovo qui. — Theresa guardò la suora. Aveva fatto effettuare a Thomas una ricerca. Sorella Anne aveva cinquantuno anni ed era entrata in quell’ordine di semiclausura a diciassette: era una delle ultime ottocentoquarantanove Sorelle del Cielo Misericordioso rimaste al mondo. Nata col nome di Anne Granville Hart a Wichita nel Kansas, aveva ereditato tre milioni di dollari da sua madre, cofondatrice di un marchio di prodotti di panetteria, le Madeleine di Proust. Gli interi tre milioni erano stati donati all’ordine. Perché Anne Grenville Hart si trovava lì? Theresa non poteva chiedere una cosa simile. Obbedientemente, cercò di rispondere alla domanda della sorella, sapendo ancor prima di cominciare che la risposta sarebbe risultata inadeguata, che non avrebbe spiegato realmente tutto quello per cui Theresa non riusciva mai a trovare le parole, comunque. — Sono qui perché io… io sono alla ricerca di qualcosa. — Aspettò che le venisse chiesto di che cosa: la domanda senza risposta avrebbe portato soltanto a balbettii, a parole confuse e a sguardi perplessi della sorella che si sarebbe spazientita sempre più, finché Theresa non fosse caduta in un silenzio privo di speranza. Sorella Anne, però, disse: — E lei ha cercato in tutti gli altri posti che le sono venuti in mente, non è riuscita a trovarlo, e così ha tentato qui, presa dalla disperazione. Anche se non riesce nemmeno a definire quello che sta cercando e ha paura che non corrisponda affatto alla visione cattolica di Dio. — Sì — ansimò Theresa. — Come… come faceva a saperlo? — Non è la prima a venire da noi — rispose Sorella Anne, serenamente. — E non sarà l’ultima. Penso tuttavia che lei potrebbe essere diversa dalla maggior parte delle altre. Signorina Aranow, perché non è Cambiata? — Non posso — Non può? Vuole dire che esiste un qualche impedimento fisico? — No, no. Voglio dire che io semplicemente… non posso. — Ha paura di rendere la sua vita troppo automatica. Lei ritiene che nel bisogno fisico abbia inizio la ricerca spirituale, le sue radici e la sua fonte. — Sì! — esclamò sbalordita Theresa. — Oh, sì! Soltanto… — Soltanto che cosa, signorina Aranow? — Sorella Anne si sporse in avanti sulla sedia, una sedia di legno naturale ben stagionato che il suo corpo nonCambiato non avrebbe consumato una molecola dopo l’altra, finché la parte solida non si fosse trasformata nello scheletro vuoto di se stessa. La sedia di Sorella Anne sarebbe rimasta una sedia. L’espressione di Sorella Anne era calda come quella di Jackson e Cazie ma in qualche modo diversa, non… non che cosa? Non carica di attenzioni per Theresa, non impietosita, non accondiscendente. Sorella Anne non pensava che Theresa Aranow fosse una debole o una pazza. Le parole presero a sgorgarle fuori. Guardando quel volto calmo e comprensivo, la paura degli estranei di Theresa scomparve, non si sa come, e le parole si riversarono all’esterno, come un’ondata di marea, irrefrenabili. — Ho sempre voluto qualcosa, cercato qualcosa, per tutta la vita, soltanto che non ho la minima idea di cosa sia! E nessun altro ha dato l’impressione di avere un tale bisogno o anche solo di capire quello di cui parlavo, perfino persone buone che io so essere buone. Persone che amo. Mi guardano come se fossi pazza. A dire il vero, sono pazza. Sono depressa, soffro di agorafobia e sono fortemente inibita a livello neurologico. Non ho lasciato l’appartamento per oltre un anno, eccetto una volta, e anche in quell’occasione… Nessun altro prova quello che provo io. Voglio che ci sia qualcosa… di grande. Di più grande di me. Qualcosa nell’universo a cui aggrapparsi, che dia alla mia vita un qualche tipo di significato. Ho mentito, sa, confermando che sono nonCambiata perché non voglio che le cose siano troppo automatiche. Sono automatiche, per me. Sono ricca e ho un fratello che mi ama, che si pone fra me e il mondo e non ho mai bisogno di preoccuparmi o di lottare per nulla, certo non per avere il pane quotidiano, che mi viene inviato, cucinato e servito da robot che… mentre la maggior parte delle persone in questo paese è lì fuori senza sicurezza, coni a energia-Y o cure mediche per i bambini che sono nati senza siringhe del Cambiamento. Non che io pensi che il Cambiamento sia un bene, è che sono confusa sul Cambiamento. Lo so. Ma il motivo per cui sono sempre stata diversa è che voglio qualcosa che nessuno può avere. Jackson dice che non può averlo nessuno perché non esiste. Io voglio la verità! Una verità che sia reale e solida e che si possa usare per capire come vivere la propria vita e che cosa significa la vita. Oh, so che non esiste questo genere di verità assoluta e che è stupido e infantile andarla a cercare, ma io "l’ho fatto". Quanto meno ci ho provato. Mi sono fatta aiutare da Thomas per le ricerche sul cristianesimo, lo zen, lo yagaismo, l’induismo e il Testo del Cambiamento Scientifico. Non sono particolarmente intelligente, Sorella, forse è andato storto qualcosa durante la mia fertilizzazione in vitro, e forse non capisco molto di quello che Thomas mi ha riportato. Però ci ho provato. E mi sembra che tutti quei credo si contraddicano a vicenda, che dicano tutti cose diverse e, in questo caso, come possono essere tutti veri? Inoltre si contraddicono al loro interno, con parti dei loro dogmi che non trovano corrispondenza in altre o che non trovano corrispondenza in quello che io mi vedo attorno, nel mondo, e così come può essere vero "anche uno" di loro? Non lo sono! A questo punto però non mi resta altro che questo struggimento, e nessun altro che conosco sembra provarlo, così finisco col trovarmi tanto sola che penso di morire. Ho pensato seriamente al suicidio, ma che effetti avrebbe su Jackson che si sente già così responsabile per me? Non posso. Non sarebbe giusto. Soltanto… come faccio a sapere che cosa è "giusto" se non riesco a scoprire cosa è vero? Quindi vado avanti a vivere in questo "vuoto" e talvolta il vuoto è così grande e buio e denso che penso di soffocare o di perdermi finché non potrò più essere trovata. Non riesco a trovarmi, voglio dire, soltanto che non è me stessa quello che voglio! È troppo poco trovare solo se stessi! Theresa si bloccò, ansante. Ma cosa aveva detto? Aveva buttato fuori tutta quella roba con un estraneo, quella donna composta che lei non conosceva nemmeno, come una specie di bambina piagnucolante. — Hai ragione nella ricerca — disse Sorella Anne — ma hai torto nelle conclusioni. Parlava con estrema convinzione, tuttavia Theresa si sentiva confusa: non riteneva di avere tratto alcuna conclusione, non era mai stata in grado di arrivarvi. Non era proprio quello il problema? — Non capisco, Sorella. — Quanti anni ha, signorina Aranow? — Diciotto — e aspettò il sorriso. Non arrivò. — Ha detto che i credo che ha esaminato, dallo yagaismo allo zen, si contraddicono tra loro, e che sono contraddittori al loro interno o confronto all’esperienza osservata e che quindi non possono essere veri. È quello il suo errore. — Come? — interrogò Theresa. — Qual è il mio errore? — Sono tutti veri. Tutti, fino all’ultimo dei credo che lei ha nominato. Oltre all’ateismo, il druidismo, il cannibalismo e la devozione al demonio. Theresa la fissò sbalordita. — Il fatto è, mia piccola bambina perduta, che la verità non è così semplice. È solida, ampia e tanto lucente da spazzare via le tenebre… ma non è semplice. — Non capisco. — Theresa si sentì mancare. Ebbe un’improvvisa immagine di Cazie che osservava Sorella Anne da un angolo della stanzetta dalle pareti bianche: Cazie con la testa inclinata, gli occhi dorati accesi di disprezzo, che sorrideva alle spalle di loro due. Che sorrideva sempre. "Ironia, Tessie. Non perdere l’ironia." — Tutto risulta vero, in diverse circostanze. Gli uomini sono buoni, gli uomini sono peccatori. Dio è onnipotente e Dio non può scegliere per ogni anima. L’amore è più grande della giustizia e la giustizia è più grande dell’amore. In quale altro modo la Chiesa poteva cambiare nel corso di oltre due millenni ed essere ancora la Chiesa? A volte le eresie devono essere sradicate e distrutte, e a volte gli eretici devono essere accolti, a volte ancora, gli eretici siamo noi stessi. Tutto questo è vero. Tuttavia l’umanità non può vedere tutta la verità nello stesso momento e così, in ogni epoca, vediamo quello che possiamo. Ci sono mode nella verità come in tutto il resto. E, sotto le mode, regna la grandezza. — Ma Sorella, se tutto è vero… — Allora il compito del singolo è di mettere da parte l’egotismo della percezione e di vedere tutto quello di Dio che ognuno può. L’egotismo della percezione. Theresa lottò con quel concetto. — Vuole dire che non possiamo vedere tutto e che dobbiamo fidarci del fatto che il resto esista? Sulla fiducia? — Questo è una parte. Ma c’è di più. Dobbiamo mettere da parte letteralmente la piccolezza delle nostre percezioni, i limiti delle nostre percezioni, e vedere ciò che prima ci era nascosto. — Ma "come"? — E poi, più pacatamente: — Come? Sorella Anne si alzò e si avvicinò alla porta. La aprì e il suono glorioso si riversò nuovamente nella stanza: trenta, cinquanta voci innalzate nel canto, ardenti e pure, un impeto inebriante e fragrante come il profumo delle notti estive. Theresa chiuse gli occhi e si chinò in avanti, come se il canto fosse un flusso fisico e lei vi stesse entrando. — Così — fece Sorella Anne. "L’ironia è sempre la migliore difesa contro l’autoillusione" diceva Cazie. — È anche la miglior difesa contro qualsiasi sentimento genuino — rispose tranquillamente Sorella Anne, e Theresa sbarrò gli occhi e sentì il cuore accelerare, finché non si rese conto che doveva avere pronunciato le parole di Cazie a voce alta. Anche Theresa si alzò, senza saperne il perché. I vespri si alzavano e abbassavano attorno a lei, un mare di suono dolcissimo, palpabile e possente come un’ondata di acqua fresca. Il cuore le accelerò nuovamente, ma senza il rischio che le venisse un attacco. Respirava lentamente e profondamente. "Sì", disse qualcosa in una parte profonda della sua mente. "Sì, sì, sì!" La suora la osservò attentamente. — Pochissime persone appartengono effettivamente a quest’ordine, signorina Aranow. — Io sì — disse Theresa, e le sembrò di non avere mai parlato con una tale sicurezza in vita sua. Era passato, allora: l’incertezza, la sensazione di essersi persa, la terribile paura. Soprattutto la paura. Dell’estraneo, dell’alieno, del diverso. Passato. Era a casa. Sorella Anne sorrise: per Theresa, quel sorriso si fuse con la maestà della musica, divenne la musica. — Penso che sia così. Vuole sottoporsi adesso ai test del sangue e cerebrospinali preliminari? Theresa ricambiò il sorriso. — Test? — Da usare come base eventuale per i neurofarmaci studiati appositamente per lei. — I miei… cosa? — Creiamo una miscela personale per ogni postulante, ovviamente. Il nostro laboratorio, che condividiamo con i Gesuiti di Sarnac Lake, è uno dei migliori al mondo. Il prodotto per lei eguaglierà qualsiasi cosa disponibile a Boston, Copenaghen o Brasilia, per ogni finalità. Theresa disse, legnosa: — Io non prendo neurofarmaci. — Certo non ne ha mai presi come questi. Per questo scopo, con questo risultato. Non ancora. — Non ne prendo affatto. — Si sentì sopraffare dalle vertigini che soffocarono anche la musica. Allungò le mani alla ricerca dello schienale della sedia. — Capisco — rispose Sorella Anne. — Proprio come è nonCambiata. Ma Theresa, questa non è la stessa cosa. I neurofarmaci presi per la grande gloria di Dio… Che cosa aveva capito quando le ho detto che noi mettiamo da parte l’egotismo della percezione? Quella è una funzione cortico-talamica. — Non so che cosa avevo capito — bofonchiò Theresa. Le vertigini si fecero più intense. Si aggrappò allo schienale della sedia. — I nostri neurofarmaci modificano le attività nel tratto mammillotalamico, nelle aree di associazione corticali e nel nucleo dorsomediano, niente di diverso dalla modificazione biochimica ottenuta con preghiere frenetiche o digiuni in altre epoche. Non facciamo altro che abbattere le barriere neurali per ottenere livelli potenziati di attenzione, percezione e integrazione di svariati stati consci. Per meglio conoscere e glorificare Dio. — Adesso devo andare — boccheggiò Theresa. La stanza turbinava e le si chiuse la gola. Non riusciva a respirare. Non c’era aria… — Ma, figliola mia… — Io devo… andare! Mi… dispiace! Arrancò attraverso la porta aperta della stanza. I vespri le si innalzavano attorno, più forti, mentre lei barcollava alla cieca lungo il corridoio: gloriosi, ferventi, struggenti. Theresa si gettò contro la porta del convento: non si voleva aprire. Non poteva darle un ordine vocale di apertura. Ansimando, picchiò contro il legno, finché qualcuno che lei non riuscì a vedere attraverso quella turbinante confusione, qualcuno alle sue spalle, le aprì il battente e lei cadde dall’altra parte. La porta si richiuse, interrompendo la musica. Quando fu nuovamente in grado di respirare, Theresa restò a lungo seduta nell’aeromobile. Decollò, quindi, dirigendosi a sud. La prima tribù in cui si imbatté aveva trovato alloggio per l’inverno nei resti di un paese di Vivi pre-Guerre del Cambiamento. I tre edifici integri mostravano i tipici colori graditi ai Vivi: fucsia, menta e rosso acceso. Dietro l’edificio rosso si estendeva un’immensa tela di plastica pesante sopra il terreno consumato: un’area di alimentazione. Oltre, giaceva una pila di macchinari rotti, scooter, robot e quelle che sembravano tubature per l’acqua. Le persone, rese piccole e non minacciose dall’altitudine dell’aeromobile, smisero di muoversi e sollevarono gli sguardi, schermandosi gli occhi con le mani contro il freddo sole invernale. Theresa non riuscì a vedere i loro volti. Non cercò di scendere da loro e nemmeno di ridurre l’altitudine. Abbassò piuttosto il vetro elettrico e fece cadere giù il pacco con le siringhe del Cambiamento. Sedici, tutte quelle che Jackson aveva conservato nella cassetta di sicurezza di casa. Le siringhe erano avvolte in un tessuto per abiti a fiori, non consumabile. La tela poteva anche strapparsi nell’atterraggio ma nulla avrebbe potuto rompere le siringhe di Miranda Sharifi. I Vivi corsero verso il pacco non appena raggiunse il suolo. Theresa non aspettò. Volò a sud, verso Manhattan Est, sapendo di essere un’ipocrita. Non credeva che le siringhe del Cambiamento fossero un bene per la gente, ma le dava ai Vivi per i loro bambini. Non credeva che i neurofarmaci fossero la via verso il significato, ma le Sorelle del Cielo Misericordioso consideravano significative le loro vite mentre lei, Theresa, sentiva che la propria vita era una merda. Credeva che il dolore fosse un dono, una pietra miliare verso l’anima, ma si lasciava nutrire dai robot, coccolare da Jackson e proteggere da un sistema di sicurezza ad armi biochimiche, per non provare troppo dolore. E, per tutto il tempo, Cazie aveva viaggiato con lei sul sedile anteriore dell’aeromobile, sprezzante, preoccupata, impaziente, amorevole e pericolosa dicendo: "ironia, Tessie. Non perdere l’ironia". "Non ne ho mai avuta da perdere" pensò Tess e schermò i finestrini dell’aeromobile per non essere costretta a vedere fuori. Per poter tenere la testa fra le mani e chiedersi che cosa, sempre che qualcosa ci fosse, potesse ancora tentare di fare. — Cosa hai fatto? — chiese Jackson. Parlava molto lentamente, come se le parole fossero scivolose e lui dovesse tenerle saldamente sotto controllo. — Le ho date a una tribù di Vivi — rispose Theresa. — Hai dato il resto delle mie siringhe del Cambiamento a una tribù di Vivi? Quale tribù? — Non lo so. Una a caso. — Dove? — Non ricordo. Jackson allacciò strette le dita delle mani. — "Perché?" — Perché ne hanno bisogno, altrimenti i loro bambini si ammaleranno e moriranno. — Ma, Tessie, anch’io ne avevo bisogno. Per bambini nati ai miei pazienti. Sapevi che erano le ultime siringhe che avevo? — Sì — sussurrò lei. Non aveva mai visto suo fratello così. Così tranquillo. No, non era giusto: Jackson era sempre tranquillo. Ma non in quel modo. — Theresa, io ho bisogno dei miei strumenti di lavoro per aiutare le persone. Ho bisogno di siringhe. Miranda Sharifi non ne fornisce più, lo sai. Ogni medico nel paese sta finendo le siringhe del Cambiamento e non può ottenerne altre. Come farò ad aiutare i miei pazienti neonati senza le siringhe? — Puoi farlo con la medicina, Jackson. — Aveva avuto il tempo per pensare a quella risposta: si sentiva più calma di quando era arrivata a casa. Un po’ più calma. — Le persone nella nostra enclave hanno te. Quei bambini Vivi là fuori non hanno niente. E io volevo… — Si interruppe. Jackson parlò con voce strozzata: — Tu volevi dare loro qualcosa. — Ho bisogno di dare qualcosa a "qualcuno"! — gridò Theresa. Jackson si voltò verso la finestra. Le voltò la schiena, guardando il parco. Theresa fece un passo verso di lui, quindi si fermò. — Non capisci, Jackson? — Capisco — rispose lui, cosa che la fece sentire un po’ meglio anche se lui non si voltò. — E puoi anche aiutare le persone della nostra enclave — disse Theresa. — Le puoi aiutare con quello che hai imparato a scuola. Dopo tutto sei un medico, no? Quella volta, però, Jackson non le rispose. |
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