"La rivincita dei mendicanti" - читать интересную книгу автора (Kress Nancy)

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A una settantina di chilometri da Willoughby, Cazie osservò: — Lo scudo di sicurezza dello stabilimento si è abbassato.

Jackson lanciò un’occhiata alla ex moglie, che fissava con espressione intenta lo schermo dell’unità mobile che teneva in mano. L’aeromobile stava volando in automatico e lui era mezzo addormentato, compiaciuto della propria capacità di sonnecchiare alla presenza di lei. Quello significava che l’effetto della donna su di lui stava diminuendo, no? O, forse, significava soltanto che non era abituato a essere sveglio e in volo alle 6:29 del mattino. A est il cielo si stava schiarendo e, nella luce perlacea, il profilo di Cazie appariva puro e luminoso. Theresa avrebbe detto che Cazie sembrava una santa. A quel pensiero, Jackson sbuffò.

Lei disse: — Non mi credi? Guarda tu stesso. — Gli porse l’unità mobile.

Jackson la respinse. — Ti credo. Il programma deve avere qualche difetto di funzionamento. Nessuno può irrompere in uno stabilimento protetto da uno scudo a energia-Y.

— Dio, Jackson, la tua fiducia nella tecnologia è toccante. Soprattutto visto che sei uno scienziato. Il programma "non ha" difetti. Lo scudo si è abbassato per trenta secondi a causa di una sequenza test gestita manualmente. Non solo: lo scudo si è abbassato anche la notte scorsa; in quell’occasione è stato disattivato da un sistema esterno dotato del segnale dell’aeromobile del proprietario. Mi chiedo come mai abbiano abbassato del tutto lo scudo invece di aprirsi soltanto un varco per l’aeromobile.

— Nessuno possiede il segnale del proprietario a parte me, te e il capo tecnico. E quello, me l’hai detto tu, si trova nello stabilimento messicano, questa settimana.

— Vero. Qualcuno deve avere saccheggiato la banca dati. Dio, chi l’ha fatto deve essere un tipo in gamba. Forse potremmo assumerlo. È lì dentro, adesso.

— Dentro "adesso"?

— All’infrarosso si registra la presenza di due esseri umani — confermò Cazie. Sorrideva, presumibilmente per lo scenario melodrammatico. Davanti alla sua soddisfazione, Jackson si vergognò di dire che lui non era affatto entusiasta di affrontare due intrusi potenzialmente armati. Forse erano pazzi. Cosa volevano da una fabbrica di coni a energia? I coni erano di basso costo: la TenTech riforniva l’intero nordest (era quello che gli aveva detto Cazie): nessun Mulo si sarebbe intrufolato dentro solo per il gusto di farlo. Eccetto dei ragazzini, ovviamente. Doveva trattarsi di qualche ragazzino con la testa calda, che contava su un bel colpo di pirateria informatica.

— Che stanno facendo lì dentro? — chiese.

— Jackson, le scansioni all’infrarosso non sono abbastanza dettagliate per mostrare cosa stanno "facendo" le persone. Pensavo che i medici si intendessero di macchinari.

— Io mi intendo dei macchinari di cui ho bisogno di intendermi. Non è compresa la strumentazione robotica di uno stabilimento.

— Bene — fece Cazie dolcemente. — Forse dovresti ampliare i tuoi orizzonti.

Jackson incrociò le braccia e decise che non avrebbe detto più nulla. Cazie lo faceva sentire sempre uno sciocco. Bene, quella era la sua festa, che la gestisse pure.

La donna aprì un passaggio nello scudo per entrare con l’aeromobile. Il suo segnale laser attivò il ricevitore bioelettronico posto in alto, sulla facciata dell’edificio. L’aeromobile atterrò davanti alle porte principali.

— Serrate — disse Cazie, delusa. — C’è una ridondanza di sicurezza riguardante l’uscita. Evidentemente i nostri giovani intrusi non sono poi "così" bravi.

— Ummmm — commentò Jackson con disinteresse.

Lei infilò la mano nella camicia di materiale sintetico non consumabile ed estrasse due pistole. Sogghignando, ne porse una a Jackson che la prese con quella che sperava apparisse come altezzosa indifferenza. Non gli piacevano le armi. Cazie lo ricordava, forse? Certo che sì. Il QI di lei era modificato geneticamente. Dimenticava raramente qualcosa.

— D’accordo — disse lei — riconquistiamo Alamo.

— Se spari contro qualcuno ti denuncerò personalmente. Te lo giuro, Cazie.

— Buon vecchio Jackson. Il paladino dei perdenti. Anche se i perdenti sono ragazzetti super privilegiati colpevoli di violazione di domicilio aggravata. Forza, andiamo.

Sbloccò le porte e percorse il corridoio con passo deciso. Jackson si affrettò per starle al fianco, in modo che non sembrasse che si stava nascondendo dietro. Arrivato allo stabilimento si fermò. Quel luogo era impazzito. Robot che funzionavano male, detriti sparsi per tutto il pavimento: da quanto tempo andava avanti così? Perché mai il capo del servizio tecnico non se n’era accorto?

Cazie scoppiò a ridere. — Gesù Cristo, guarda! Guarda!

— Non è…

— Buffo? Sì che lo è. Aspetta, guarda laggiù.

Un uomo corse verso di loro. La presa di Jackson si serrò sulla pistola finché non vide che l’uomo non era armato. A quel punto si accorse che non era nemmeno un uomo, ma una donna o un ragazzo ccon indosso un’olotuta dalla testa ai piedi che rappresentava un uomo con un vestito marrone elegante. La figura li avvistò e smise di correre.

Cazie sollevò la pistola. — Vieni qui. Lentamente e con le mani bene alzate. Subito.

La figura alzò le mani sopra la testa e camminò lentamente in avanti.

— Adesso disattiva l’olotuta — intimò Cazie. — Con una mano sola, muovendoti lentamente.

Il pulsante era sulla vita. L’olotuta svanì, e Jackson non vide il liceale che si era aspettato, ma una donna di oltre trent’anni, modificata geneticamente, vestita con un trasandato tessuto fatto a mano, consumato in buchi dall’aspetto recente. Alta, occhi viola, naso minuto. Jackson era un fisionomista.

— Ma io ti conosco! Ci siamo incontrati anni fa da qualche parte, a una qualche festa. Diana Qualcosa.

— Non più — rispose la donna con cipiglio. — Ascolta, Jackson, tutto questo è molto carino e simpatico, ma al momento, se vuoi scusarmi, devo affrontare una crisi.

Cazie scoppiò a ridere. I suoi occhi scintillarono di malizioso piacere. — Proprio vero. Violazione di domicilio aggravata. Come hai fatto? Non sembri un pirata informatico.

— Non lo sono. Ma lo è la mia amica e si è persa da qualche parte qui dentro. È soltanto una ragazzina.

— Oh, una ragazzina, dopo tutto — commentò Cazie. — Bene, andiamo a cercarla. — Digitò qualcosa sull’unità mobile e tutta l’attività nello stabilimento si interruppe. I robot si immobilizzarono a metà del loro movimento. Il rumore cessò. Nel silenzio, Cazie gridò: — Iuuu-huuu, amichetta di Diana! Vieni fuori, vieni fuori ovunque tu sia! Vieni a fare tana!

Diana sorrise, Jackson pensò che lo avesse fatto a dispetto di sé. Nessuno rispose.

Cazie domandò distrattamente: — La tua amica è armata?

— Soltanto di arroganza — rispose Diana e, per un mezzo minuto, Jackson non fu certo a quale delle due si stesse riferendo. Era la tipica frase che avrebbe potuto pronunciare Cazie. Poi Diana gridò: — Lizzie! Dove sei? Va tutto bene, Lizzie, vieni fuori. Non guadagneremo niente ritardando l’inevitabile. Lizzie?

Nessuna risposta.

— Lizzie! — gridò di nuovo Diana e, questa volta, Jackson notò il tono di paura. — Sono Vicki! Vieni fuori, tesoro!

Alle loro spalle, qualcosa cadde a terra. Jackson si voltò di scatto. A due metri e mezzo dal pavimento, sulla parete, era apparso un foro, che incorniciava un volto scuro e impaurito e un corpo accovacciato. La ragazzina aveva i capelli crespi e neri che sparavano in tutte le direzioni. Sembrava sui quindici anni. Non era proprio l’intrusa da college di Muli che si era aspettato: era una Viva.

— Santo Iddio — mormorò Cazie.

Diana/Vicki, o come diavolo si chiamava, gridò: — Lizzie? Ma come hai fatto a salire lassù?

— Ho programmato il muletto — rispose la ragazzina. Aveva una voce meno impaurita del volto. Smargiassata? Lanciò un’occhiata ai tre che si trovavano sotto. — Rimandatemelo qui.

Nessuno si mosse. Jackson si rese conto che nessuno di loro sapeva come fare. Perfino Cazie sapeva utilizzare soltanto i comandi che conosceva, non riprogrammare sul posto. Come mai era riuscita a farlo quella ragazzina? Una Viva?

Cazie infilò in tasca l’unità mobile e la pistola, si avvicinò al muletto immobile più vicino e lo spinse. Il volto le divenne paonazzo e la macchina si spostò a malapena. Diana/Vicki e Jackson si unirono a lei. Insieme spinsero l’ingombrante macchinario fin sotto al foro nella parete. Nessuno parlò. Irritato, Jackson cominciò ad avere all’improvviso una strana sensazione: tre Muli che eseguivano un lavoro manuale nello stabilimento silenzioso per salvare una criminale Viva. L’intera situazione era irreale.

Pensò all’improvviso a una cosa che gli aveva detto una volta Theresa: "Io non ho mai la sensazione che un posto sia normale".

— Va bene — disse Diana/Vicki quando il muletto si trovò contro la parete — vieni giù, Lizzie. E, per l’amore del cielo, stai attenta!

La ragazzina era rivolta in avanti. Si girò, con grande cautela, all’interno della nicchia. Quando il suo fondoschiena apparve, Jackson si accorse che in gran parte era nudo. Ovviamente pareva che ai Vivi non importasse che i loro corpi consumassero gli abiti, quanto meno ai Vivi che erano cresciuti dopo il Cambiamento. Quando non indossavano tute sintetiche pre-Cambiamento, andavano in giro mezzi nudi nelle "tribù" vaganti. A volte a Jackson sembrava che Miranda Sharifi avesse invertito l’evoluzione, trasformando una popolazione industriale stanziale in una di nomadi cacciatori o raccoglitori che però non cacciavano e non raccoglievano… non cibo perlomeno.

La ragazzina nella parete allungò le gambe, cercando con i piedi il muletto alle sue spalle. Stese completamente il corpo, srotolandosi dalla nicchia come un foglio di stampa, e Jackson si accorse che era in avanzato stato di gravidanza.

— Attenta — ripeté Diana/Vicki.

Mentre le punte dei piedi della ragazzina toccavano il muletto, quello cominciò ad allontanarsi dalla parete. Nessun altro macchinario dello stabilimento aveva ripreso a operare.

Cazie si lanciò verso il muletto e cercò di spingerlo nuovamente contro la parete. Dopo un momento di terrore, gli altri due balzarono in avanti per aiutarla. Era troppo tardi. Il muletto tornò ai suoi compiti inutili, come se gli umani non fossero nemmeno lì. La ragazzina gridò e cadde da due metri e mezzo di altezza sul pavimento di cemespugna.

Atterrò sul braccio destro. Jackson le si inginocchiò "subito accanto e le impedì di muoversi. Parlò con voce calma e pacata. — Cazie, vai a prendermi la borsa nell’aero. Subito.

Lei andò immediatamente. — Non ti muovere — disse Jackson. — Sono un medico.

— Il braccio — disse la ragazzina e cominciò a piangere.

Jackson le controllò le pupille: tutt’e due rotonde, della stessa dimensione, ugualmente reattive alla luce. Pensò che non avesse battuto la testa. Il braccio mostrava una frattura composta del radio, l’osso si intravedeva biancastro attraverso la pelle.

— Mi fa male…

— Resta ferma e andrà tutto bene — le ordinò Jackson, con tono più sicuro di sé di quanto lui non si sentisse realmente. Le appoggiò una mano sull’addome. Il feto scalciò e lui emise un sospiro di sollievo.

Cazie tornò con la borsa. Jackson applicò un cerotto antidolorifico sul collo della ragazzina e il volto di lei si rilassò quasi all’istante. Il cerotto conteneva un potente miscuglio di inibitori dei nervi del dolore, endorfine e la dose più alta legalmente concessa di stimolatori dei centri del piacere. Lizzie cominciò a sogghignare come un’idiota.

Le tastò il braccio e le chiese di spostare le spalle in una serie di posizioni. Lei fu in grado di farlo. Gli altri arti non avevano subito danni. Lui le bioanalizzò la spina dorsale, il collo e gli organi interni: nessun danno. L’unità traumatologica portatile evidenziò la frattura, guidò i due pezzi di osso in allineamento e spruzzò gesso istantaneo dal gomito al polso e attorno a due dita, come ancoraggio. Jackson si appoggiò sui gomiti.

Ecco fatto. Il gesso, il Depuratore Cellulare e lo stesso corpo della ragazzina avrebbero fatto il resto.

— Lizzie… — chiamò Diana/Vicki, ricordando a Jackson che c’era anche lei. La voce della donna si incrinò. Jackson la guardò. Non aveva idea del tipo di rapporto tra loro due, ma il volto della donna più anziana mostrava amore e paura. La cosa lo sconcertò. Forse la ragazzina era sua figlia, una Viva non modificata geneticamente? Avuta prima del Cambiamento? Non era probabile.

— Lizzie, stai bene?

— Ovvio che non sta bene, ha un braccio rotto — intervenne acida Cazie nello stesso momento in cui Jackson, con tono professionale, la tranquillizzava: — È tutto sotto controllo. — Diana/Vicki lanciò a tutt’e due un’occhiata di disprezzo.

— Lizzie, tesoro?

Cazie la scimmiottò in modo sarcastico: — "Diana, tesoro?" Dovete dare qualche spiegazione, tutt’e due. La documentazione pubblica dice che hai cambiato nome in "Victoria Turner". Non dice però che ci fai qui, entrata di straforo nella mia fabbrica.

Vicki, che era stata inginocchiata accanto alla ragazzina sognante, si alzò e fronteggiò Cazie. Vicki era più alta, più vecchia e aveva un aspetto più selvatico con la tunica da Viva mezzo smangiata e i capelli tagliati corti e scompigliati dal sonno. Irrigidì le mascelle, e Jackson ebbe l’istantanea impressione che avesse affrontato sfide che lui non immaginava nemmeno. Sollevò gli occhi con rabbia mentre squadrava Cazie.

A Jackson apparve un combattimento ad armi pari.

— Cosa ci faccio "entrando di straforo nella tua fabbrica" è provvedere che una tribù intera non muoia di freddo questo inverno — disse Vicki scimmiottando le parole. — Non mi aspetto che la cosa ti preoccupi.

— Non hai la minima idea di quello che mi preoccupa o meno — rispose freddamente Cazie. — Quello di cui dovresti preoccuparti "tu" è una bella denuncia per violazione di domicilio con effrazione.

— Oh, che terrore. Ascolta, Cazie Sanders, per quanto tempo ancora quelli della tua razza…

— "La mia" razza? Diversa dalla tua, immagino?

— …resteranno ciechi di fronte a quello che succede attorno? Le risposte semplici si sono esaurite. Niente più beni di consumo, perline colorate e coni a energia in cambio dei voti che mantengono al potere la vostra razza.

— Oh, mio Dio, marxismo riciclato — commentò Cazie con disprezzo. — Prendete i mezzi di produzione, vero? E voi due fate parte dell’avanguardia dell’esercito.

— Non penso…

— È ovvio. Ma chi sei tu, alla fine? Una specie di Mulo rinnegato che è tornato alla vita primitiva fra i Vivi per alimentare il proprio ego? Una dea bianca in mezzo ai selvaggi, eh? Patetico.

Vicki guardò a lungo Cazie. Il suo volto cambiò. Quindi, in maniera pacata: — Chi sono io? Io sono la persona che ha condotto l’Ente di Controllo per gli Standard Genetici ad arrestare Miranda Sharifi e poi ha portato avanti la battaglia civile legale per la sua liberazione.

Era la prima volta che Jackson vedeva Cazie in svantaggio. Il suo volto piccolo e vivido registrò shock, incredulità, riluttante accettazione. C’era qualcosa in Vicki Turner che intimava di crederle. Il modo di stare con i piedi leggermente divaricati, come se avesse resistito a lungo contro il vento. Oppure il modo di fare la guardia su Lizzie, che giaceva sul pavimento in un illuminato stupore provocato dei sedativi di Jackson. O forse soltanto il volto di Vicki, carico di un complesso rammarico. Non era certo l’espressione che Jackson si sarebbe aspettato.

Vicki continuò tranquillamente: — Abbiamo ancora bisogno dell’energia-Y. È l’unica cosa di cui abbiamo davvero bisogno da voi, voi cercherete di fermarci e per questo si perderanno ancora moltissime vite. Proprio come durante le Guerre del Cambiamento. Vite che avrebbero potuto continuare, a causa del Depuratore Cellulare, fino a cent’anni. Voi avete le armi, le enclavi, i sofisticati sistemi di sicurezza elettronica che non avete mai permesso ai Vivi di imparare a conoscere. Ma loro "stanno" imparando, Cazie Sanders. Non sono stata io a introdurmi nel tuo sistema per trafugare dati, lo ha fatto "Lizzie". Ci sono molte giovani Lizzie là fuori, che imparano ogni giorno di più. Abbiamo il numero dalla nostra parte. Siamo in dieci contro uno di voi.

Lo aveva detto: l’incubo di ogni Mulo. Il timore che giaceva sotto le feste frenetiche, le orribili mode e la stupida competizione sociale per ammazzare il tempo: "Non guardatevi alle spalle. Potrebbero guadagnare terreno. Loro sono molti più di noi".

— E sai la cosa peggiore? — proseguì Vicki con la stessa voce serena come la morte. — Non riuscite nemmeno ad accorgervene. Non per stupidità, figuriamoci. Per volontaria cecità, per la quale meriterete esattamente il prezzo che finirete per pagare.

— Oh Dio, risparmiami almeno la retorica melodrammatica — ribatté Cazie. Si era ripresa dall’inaspettato attacco di Vicki. — La legge è perfettamente chiara. E tu la stai violando.

Con grande sorpresa di Jackson, Vicki sorrise. — La legge funziona soltanto quando la maggioranza le consente di farlo. Non lo sai? Certo che no. Tu sei un semplice codice binario: acceso per tuo interesse proprio, spento per quello di tutti gli altri. Perfino un bambino poteva trafugare i tuoi dati e lo ha fatto.

Cazie reagì furiosamente: — I sofismi ad hominem non sono argomentazioni.

— Tu non sei un hominem. Non sei nemmeno un sinonimo. Sei un codice ridondante nelle informazioni umane, e sei già obsoleta.

La donna stava "giocando". Lì in piedi, quella stracciona rinnegata rideva della sua ex moglie, stava giocando con Cazie, con la situazione. Quanta sicurezza di sé occorreva per riuscire a giocare in quel modo? O invece che sicurezza di sé si trattava forse di autogiustificazione?

All’improvviso Jackson non fu certo di riuscire a distinguere la differenza.

Cazie replicò: — Parole di sfida. Non potere. — Digitò qualcosa sull’unità mobile e un robot della sicurezza si attivò. Si sollevò dal pavimento della fabbrica imbrattato di sporcizia e si affrettò verso di loro. Un debole scintillio demarcò i margini della bolla a energia che gettò su Vicki.

— Lei sta valicando i limiti della proprietà privata della TenTech — cantilenò il robot. — Ora sarà immobilizzata in attesa di ulteriori istruzioni.

Vicki continuò a sorridere. Jackson vide il volto di Cazie rabbuiarsi.

— Sta valicando i limiti della proprietà privata della TenTech. Ora sarà…

— Spegnilo — ordinò Jackson prima ancora di rendersi conto che lo stava facendo. Le due donne lo fissarono: era chiaro che, assorbite nella loro battaglia, si erano dimenticate della sua presenza. Cazie gli sorrise e digitò qualcosa sull’unità mobile: il robot smise di recitare.

— No — disse Jackson. — Volevo dire… spegnilo del tutto. Non la arrestiamo.

— Oh, sì invece — ribatté Cazie.

Jackson si sentì pervadere da una reazione violenta, un flusso di puri ormoni che non seppe etichettare. O non volle farlo. Si riversò in una singola frase e, mentre la pronunciava, lui comprese che non significava soltanto quello che dicevano le parole: — Non sei tu a gestire la TenTech.

— È esattamente quello che faccio — replicò lei.

— Chi altri sennò? Tu? Tu non controlli nemmeno i resoconti finanziari del giorno, figuriamoci poi quelli operativi. Lascia fare a me, Jack. Tu occupati della tue conoscenze mediche.

Le sue obsolete conoscenze mediche, voleva dire. Lo stava stuzzicando di nuovo, ma quella volta senza sortire alcun effetto, il che significava che si sentiva alle corde. Cazie alle corde. All’improvviso, lui si accorse di amare quell’idea.

— Non ho alcuna intenzione di lasciare fare a te, Cazie. Dirigo io, adesso. Spegni la bolla di protezione.

Lei digitò un codice sull’unità mobile. Il robot si mosse verso l’ingresso. Vicki, ingabbiata nel campo di energia scintillante e vuoto come in uno scatolone traslucido, venne trascinata verso le porte dello stabilimento.

— Cazie. Disattiva il robot.

— Prendi quella ragazzina impasticcata e ingessata, Jack. Ce ne andiamo.

— Disattivalo. Sono io il padrone della TenTech, non tu.

— Possediamo ognuno un terzo della TenTech — ribatté lei seccamente. Il robot continuò ad avanzare verso la porta, incapsulando Vicki.

— Gestisco anche il terzo di Theresa — replicò Jackson. E, di punto in bianco, allungò una mano e prese l’unità mobile di Cazie prima che lei si rendesse conto che l’avrebbe fatto, o che potesse farlo.

— Ridammela!

— No — rispose lui e la fissò con espressione decisa, vedendo avvicinarsi la tempesta. Suo malgrado, sentì il sangue ribollirgli. Dio, come era bella, la donna più desiderabile che avesse mai visto. Cazie ghermì l’unità mobile che lui teneva nella mano destra. Jackson le afferrò l’avambraccio con la sinistra e lo scansò con facilità. Perché non aveva mai pensato che era più forte di Cazie? Si sarebbe dovuto imporre fisicamente con lei anni prima. Il suo pene si irrigidì.

— Ho detto dammela. Subito.

— No — rispose Jackson sorridendo. Maledizione, non conosceva i codici, altrimenti l’avrebbe disattivato da solo. Be’, poteva sempre tirare a indovinare. O, pensiero strano, chiederlo a Lizzie. Cazie restò immobile, senza divincolarsi nella sua presa, la pelle dorata arrossita per la rabbia, gli occhi dalle pagliuzze verdi, ardenti.

Jackson non aveva mai provato un tale potere su di lei.

Cazie piegò la testa verso la mano sinistra di lui, ancora stretta sul suo avambraccio. Lui avvertì un dolore penetrante che lo sorprese a tal punto da fargli aprire le dita. C’era del sangue che vi sgorgava sopra. Lei lo aveva morso. Sotto di lui, la ragazzina sul pavimento disse qualcosa.

— Il tuo problema è questo, Jackson — disse Cazie. — Non sei mai pronto per il contrattacco.

Due lunghi tagli gli percorrevano il dorso della mano. Tagli netti, non provocati dai denti, e profondi. Cazie aveva delle lame retrattili impiantate fra i denti.

Il sangue venoso creò una pozza rosso scuro sul pavimento accanto a Lizzie, che ripeté qualcosa. Jackson non capì. Era sotto shock? No, la testa non gli girava e non provava nausea, e la ferita non era grave. Cazie era in grado di controllare la sporgenza delle lame. Il suo shock era totalmente emotivo: nessuno si comportava con coerenza.

Inclusa la ragazza sul pavimento. Lo guardava dal basso, con occhi da drogata, in un obnubilamento sorridente da sedativi, da un’improvvisa pozza d’acqua fra le gambe e ridacchiava. — Sta uscendo il bambino.

— Oh, Cristo — sbottò Cazie. — D’accordo, tu riporti la ragazzina alla sua "tribù" e io resterò qui con la Signorina Paladina-degli-Oppressi finché non sarà arrivata la polizia. Ci sarà pure qualcuno nell’accampamento dei Vivi che sappia fare quello che c’è da fare per un parto.

— Quel qualcuno sono io — rispose Vicki, inginocchiandosi presso Lizzie, tenendole le mani. Qualcosa nel tono della sua voce commosse Jackson. O forse lo era solo dal proprio bisogno di opporsi a Cazie in campo medico, il suo unico terreno sicuro.

— La signorina Turner ha ragione, Cazie. Deve restare con la ragazza.

— Deliziosa sollecitudine materna — commentò Cazie. — Cosa vuoi che faccia, Jackson, che le faccia arrestare tutt’e due?

— Nessuna delle due. Almeno finché non sarà tutto finito.

— E tu farai partorire la ragazza qui, sul pavimento della fabbrica?

— Certamente no. Non partorirà ancora per qualche ora. — Le mani di Jackson tastarono delicatamente il ventre e scoprirono che il bambino era podalico.

Il Cambiamento, rifletté lui tristemente, non aveva mutato alcuni aspetti chiave dell’evoluzione umana. Il canale di nascita era ancora molto più stretto della testa di un bambino e la cervice era ancora adatta solo per un parto a testa in avanti. Lizzie, alla prima gravidanza, era soltanto all’ottavo mese.

Tuttavia, sarebbe potuta andare peggio. Il dermalizzatore fetale di Jackson mostrava una posizione podalica accettabile, prima le natiche, le anche flesse, le ginocchia estese, i piedi accanto alle spalle, piuttosto che quella più pericolosa, la podalica completa, a piedi in avanti. La testa era flessa in avanti, ruotabile nella regione inferiore. Il feto, un maschietto, pesava approssimativamente 2.800 grammi, il battito cardiaco era costante a 160, lo sviluppo normale. Il cordone ombelicale non mostrava prolassi e la placenta non era rovesciata: sarebbe uscita tranquillamente dopo la nascita che, Jackson stimò, sarebbe avvenuta nel giro di qualche ora. Lizzie, tuttavia, aveva già una dilatazione di cinque centimetri. Era a metà strada.

Sarebbe potuta andare molto peggio.

— Lizzie — disse Jackson. — Adesso ti prenderò in braccio. Ti porteremo in un posto più confortevole.

— Che sarebbe? — chiese Cazie. — Non avrai intenzione di portarla… di portarle all’enclave, eh?

Lizzie disse, senza alcuna ansia: — Voglio tornare a casa. — Non sembrava una futura madre: appariva soltanto come una ragazzina sorridente e mezzo addormentata. Jackson sospirò.

— Benissimo. Ti porteremo a casa. Ma, Lizzie, ascoltami, io resterò con te. Il bambino è capovolto, mi capisci? Dovrò restare con te per farlo ruotare al momento giusto.

La ragazzina sollevò lo sguardo su di lui. Negli occhi neri e drogati, Jackson vide sbalordito un lampo di sollievo coerente. Si era aspettato che protestasse, anche se debolmente, all’idea che un medico Mulo si occupasse di lei. Non era cresciuta con le unità mediche, quando i politici ne avevano fornite? Forse, però, Lizzie era diversa dalla maggior parte dei Vivi per quella Vicki Turner. Oppure, forse, Jackson non conosceva i Vivi quanto aveva pensato.

Cazie domandò: — Hai intenzione di entrare in un accampamento di Vivi soltanto con una pistola? Accompagnando una criminale che, puoi giurarci, io farò arrestare?

Jackson si alzò, sollevando Lizzie fra le braccia. La ragazza era in grado di camminare, ma metterla in posizione eretta avrebbe accelerato il parto. Lui non voleva affrontare un parto podalico, seppure semplice, in un’aeromobile. Affrontò Cazie. — Sì. È proprio quello che farò. Tu puoi venire con me o no. A te la scelta.

Cazie esitò. In quel momento di esitazione Jackson provò un impeto di speranza. C’era forse del vero rispetto nel suo sguardo? Per lui? Qualsiasi cosa fosse, svanì.

— È un’aeromobile per due, Jack.

Se n’era dimenticato. — Benissimo, porterò tutt’e due all’accampamento: in tre possiamo anche stringerci nell’aeromobile. Tu resterai qui e ne chiamerai un’altra.

— Io chiamerò i poliziotti, ecco cosa farò.

— Benissimo. Chiama i poliziotti. Possono venire anche loro all’accampamento. Faremo una bella festicciola.

Portò Lizzie attraverso lo stabilimento, dove ormai tutto era immobile se si eccettuava il singolo muletto che Lizzie aveva riprogrammato, che continuava a sollevare il nulla: aveva ripreso a lavorare perché Lizzie aveva commesso un errore? Forse non era poi un pirata informatico bravo come sosteneva Vicki. Oppure il segnale di Cazie dall’aeromobile aveva fatto partire una specie di interferenza o di codice di sovrapposizione. Jackson non sapeva abbastanza di sistemi industriali per tirare a indovinare. Alle sue spalle sentì Cazie parlare in linea. — Emergenza, polizia, codice 655, maledizione, Robert, rispondi.

Vicki si sedette sul sedile del passeggero cullando Lizzie in grembo. Due donne mezze nude con gli abiti stracciati, bagnate dalle acque di Lizzie, coi capelli appiccicosi, che puzzavano di sangue, sudore, sporcizia e liquido amniotico. L’aeromobile era molto stretta.

Vicki aveva una tendenza irritante a cogliere i suoi pensieri. Mentre l’aeromobile decollava chiese: — E quando è stata l’ultima volta che hai giocato al dottore con i Vivi, dottore?

Lui non rispose. L’aeromobile volò attraverso il passaggio che aprì nello scudo di sicurezza. Lizzie disse sognante: — Ne arriva un’altra. È così strano, sento ma non…

Jackson guardò la consolle dell’aeromobile. L’intervallo fra le contrazioni si era accorciato: dieci minuti. Così "in fretta". Accelerò. — Vola a ovest — indicò Vicki. — Seguì quel fiume.

"L’accampamento" si rivelò essere una fabbrica abbandonata per la lavorazione della soia. Soltanto i Vivi avevano mangiato soia: ormai non lo faceva più nessuno e tutte le ditte produttrici di soia erano andate in bancarotta. L’edificio era dotato di finestre e costituito da cemespugna grigia, malridotto e rappezzato in qualche modo. Tutto attorno si estendevano campi che venivano riconquistati da erbacce, cespugli, arbusti di acero e sicomoro. I rami sparuti erano spogli. Jackson aveva dimenticato quanto fosse orribile la natura non modificata geneticamente a novembre, in particolare su quelle alte colline, basse montagne, o qualsiasi cosa fossero.

Fece atterrare l’aeromobile davanti alla porta principale dell’edificio che era caduta, o era stata divelta, dai cardini, e poi riattaccata goffamente con del filo di ferro. All’interno, Jackson lo sapeva perfettamente, i macchinari dovevano essere stati rimossi da lungo tempo per usarne le parti, oppure depredati durante le Guerre del Cambiamento, oppure ancora vandalizzati. Non c’era nulla di più inutile, ormai, dell’agricoltura su vasta scala.

Nel momento stesso in cui l’aeromobile atterrò, furono circondati. L’orda sembrava proprio un’orda, anche se Jackson contò soltanto undici persone, spinse i volti contro i finestrini, sogghignando. Vestiti con abiti più caldi di quelli di Vicki e Lizzie, avevano comunque un aspetto primitivo: vecchie tute sintetiche dai colori sgargianti indossate sopra o sotto tuniche tessute; volti non modificati geneticamente col mento sfuggente, le sopracciglia attaccate, la fronte troppo bassa, gli occhi storti. A un uomo più anziano mancava addirittura un incisivo. E quello spettacolo dopo il Cambiamento! Che aspetto avevano quelle persone prima dell’avvento del Depuratore Cellulare?

— Lizzie!

— Sono Lizzie e Vicki!

— Sono tornate, loro.

— Lizzie e Vicki…

— Apri la portiera, Jackson — disse Vicki. Come aveva fatto a diventare lei quella che comandava?

L’orda minacciò di introdursi direttamente nell’aeromobile. Vicki passò fuori Lizzie: la ragazzina sorrise, mezzo drogata, mentre il pancione quasi completamente nudo si irrigidiva in una nuova contrazione. Jackson scese dall’altra parte. Un giovanotto, grande, grosso, forte, lo fissò con espressione truce. Un ragazzetto lo guardò male e serrò i pugni.

Vicki intervenne: — È un medico. Lascialo in pace, Scott. Shockey, tu prendi Lizzie. Portala con attenzione: è in travaglio.

— Non me ne frega niente a me se lui è un dottore — disse il ragazzo. — Perché mai hai portato qui uno di "quelli", Vicki? E dove sono i coni, loro?

— Perché Lizzie ha bisogno di lui. Non abbiamo preso nessun cono.

La folla produsse un rumore sub-verbale che Jackson non riuscì a interpretare.

L’interno dell’edificio era buio. Jackson si rese conto che le luci non funzionavano più e che l’unica illuminazione proveniva dalle finestre di plastica. Gli occorse qualche minuto per adeguare la vista all’oscurità. La stanza era grande, anche se meno dello stabilimento di Willoughby. Tre lati del perimetro erano divisi in loculi schermati da scaffali, vecchi mobili, sezioni di cemespugna rotta, macchinari inutilizzabili e sventrati, tronchi. In ogni loculo c’erano pagliericci di fortuna e oggetti personali. Attraverso la finestra a sud, Jackson scorse un tendone di plastica trasparente e flessibile, probabilmente rubato, teso a un metro e mezzo di altezza sopra il terreno sfruttato: un campo di alimentazione all’aperto.

Nel centro aperto della stanza erano disseminati divani mezzi rotti, sedie, tavoli, tutti raccolti attorno a un piccolo cono a energia-Y portatile di quelli utilizzati nei campeggi. Quella sala comune era più calda rispetto all’esterno, ma la temperatura non si avvicinava nemmeno lontanamente a quella che Jackson considerava adeguata.

— È il solo cono che funziona ancora nell’accampamento e non è studiato per uno spazio così grande — spiegò Vicky. — I falò sono un problema: è molto difficile ottenere una corretta ventilazione attraverso la cemespugna. Abbiamo elaborato un progetto per una cucina economica, che rappresenta il nostro piano ausiliario ai coni della TenTech. Nel frattempo condividiamo il cono che abbiamo. Da voi, ovviamente, se lo sarebbe accaparrato la famiglia più ricca.

— Potevate migrare a sud — ribatté Jackson.

— Qui è più sicuro. Tutti gli altri stanno migrando a sud per l’inverno. Noi non siamo bene armati.

— Ohhhh — fece Lizzie, intuendo confusamente. — Ooohhhh… ne sento arrivare un’altra…

Una bella donna negra di mezz’età arrivò correndo. — Lizzie! Lizzie!

— È tutto a posto, Annie — disse Vicki. — Dottore, questa è la madre di Lizzie.

La madre di Lizzie non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Afferrò la prima parte di Lizzie che ebbe a portata di mano, la ragazza era ancora in braccio al giovanotto corpulento, e la strinse forte. — Portala qui dentro, Shockey. Attento, tu! Non è mica un sacco di tela, lei! — Jackson notò Vicki sorridere, un sorriso per niente divertito, a bocca storta. Dovevano esserci delle storie fra le due donne. Tre donne. Shockey si concentrò per portare il suo gonfio, inerme e sorridente fardello all’interno di uno dei loculi-dormitorio.

Annie bloccò lo stretto passaggio col suo ampio corpo. — Grazie, dottore, ma adesso può anche andare via, lei. Non abbiamo nessun bisogno di aiuto, noi, per la nostra gente. Addio.

— Sì che avete bisogno, signora. Ne avete bisogno. Sarà un parto podalico. Devo ruotare il feto nel momento giusto per…

— Non è un feto, è un bambino!

Vicki intervenne. — Per l’amor di Dio, Annie, levati di torno. È un medico.

— È un Mulo, lui.

— Se non si sposti, ti sposterò io.

Nonostante tutto, anche se il ragazzetto dallo sguardo truce si era avvicinato, Jackson provò un impeto di impazienza. Era possibile che i Vivi minacciassero "sempre" di ricorrere alla violenza fisica? Era seccante. Intervenne con fermezza: — Signora, "io" sposterò lei se non lascerà che mi occupi della paziente.

— Caspita, Jackson — commentò Vicki — non me lo sarei mai aspettato da te. — Il suo tono, così simile a quello di Cazie, lo fece infuriare. Scansò la madre di Lizzie e si inginocchiò accanto alla ragazza che giaceva sorridendo sul letto. Un sottile materasso di plastica non consumabile, coperto di tute in plastica riciclata. L’unico arredamento era costituito da un cassettone ammaccato e da una sedia in plastica fusa che sembrava essere stata utilizzata, un tempo, per esercitazioni di tiro al bersaglio. Le pareti erano ricoperte dal genere di quadri di metallo su legno finto a colori sgargianti che i Vivi amavano tanto e che riproducevano una gara di scooter su nuvole di bambagia. Sulla scrivania c’era un terminal Jansen-Sagura e una biblioteca di cristallo del tipo utilizzato dagli scienziati che ottenevano i fondi maggiori. Jackson li guardò sbigottito.

Gli occhi scuri di Lizzie erano allegri e cercavano di nascondere il dolore. — Non mi fa per niente male, a me. Quando Sharon ha avuto "il suo" bambino, lei strillava, lei…

— Sharon non aveva assistenza medica — disse Vicki. — Nessun profitto per i Muli.

Jackson commentò: — Non avreste dovuto distruggere i depositi.

— Perché no? Voi avevate smesso di rifornirli.

Non era andato fin lì per discutere di scelte politiche con un Mulo rinnegato. Jackson infilò una mano nella borsa. — Cos’è quello? — chiese Annie. Si profilò sopra il letto come un angelo vendicatore. Emanava un forte odore femminile, muscoso e stranamente erotico. Jackson si chiese come avrebbe fatto in condizioni simili a garantire dell’asetticità. Prima del Depuratore Cellulare.

— È un cerotto per anestesia locale. Per estendere l’apertura vaginale il più possibile e prevenire lacerazioni prima che io esegua l’episiotomia.

— Niente tagli — disse Annie. — Lizzie starà benissimo, lei! Vada fuori!

Jackson la ignorò. Una mano lo prese per le spalle e lo strattonò indietro proprio mentre applicava il cerotto a Lizzie. A quel punto Vicki afferrò Annie, e le due donne si misero a bisticciare finché Jackson non udì una voce alle spalle che diceva: — Annie, adesso smettila, tesoro.

Lizzie continuava a sorridere a Jackson, rasserenata dalla droga, mentre il suo pancione si tirava e allentava, tremando per le possenti contrazioni. Gli strinse la mano. Jackson si voltò e vide un bell’uomo di almeno ottant’anni, forte e sano come erano diventati gli ottantenni in quel periodo, che faceva allontanare Annie dal loculo. Alle spalle di Annie che si ritirava, c’era un’intera folla di Vivi, silenziosa e ostile.

Jackson si voltò di nuovo verso Lizzie.

— Che posso fare? — chiese Vicki in tono deciso.

— Niente. Resta lontano. Lizzie, voltati sul fianco sinistro… bene.

Passò un’altra ora prima che lui dovesse eseguire l’episiotomia. Mentre lui produceva velocemente il lungo taglio, non sarebbe uscita alcuna testa di bambino prima di aprire il passaggio, Lizzie sorrise e mormorò qualcosa. Il vecchio, Billy, era miracolosamente riuscito a tenere zitta Annie. Presente, ma zitta.

— D’accordo, Lizzie, spingi. — Quello era l’inconveniente dei sedativi che aveva in circolo: erano stati scelti per evitare la barriera della placenta, ma riducevano molto il bisogno o il desiderio di Lizzie di concentrarsi su una cosa come spingere. — Forza, spingi. Fa’ finta di dover cagare una zucca!

Lizzie ridacchiò. Attraverso il sangue materno si presentò il piccolo sedere del bambino. Jackson aspettò che l’ombelico del piccolo avesse superato il perineo, quindi lo afferrò per le anche e tirò verso il basso finché non apparvero le scapole. Con grande attenzione, ruotò il bambino finché le spalle furono in posizione antero-posteriore. Quando furono uscite anche le spalle, girò indietro il corpicino, per un parto a testa in giù, quello che probabilmente avrebbe provocato i minori traumi.

— Spingi di nuovo, Lizzie, più forte… "più forte"…

Lei lo fece. Finalmente uscì la testa del piccolo. Nessun trauma cerebrale visibile, buon tono muscolare, edemi ed ecchimosi minimi. Cullando le soffici e umide natiche del bambino nelle mani, Jackson si sentì serrare improvvisamente la gola. Controllò il neonato con il monitor e quindi lo appoggiò, sporco di sangue e fluidi, sul petto della madre. Il loculo era nuovamente pieno di gente: la riservatezza, evidentemente, non era un valore per i Vivi. Estrasse la placenta, tagliò il cordone ombelicale e prese dalla borsa una siringa del Cambiamento.

L’intera folla trasse un sospiro collettivo.

— Aaahhhhh! — Jackson sollevò lo sguardo, sorpreso.

In tono completamente diverso da quello che le aveva sentito usare fino a quel momento, Vicky intervenne: — Ne "hai" una!

— Una siringa del Cambiamento? Ovvio. — Quindi comprese. — Voi non ne avete, fuori dalle enclavi.

— Il nostro tasso di natalità è più alto del vostro — commentò lei con una smorfia. — E le nostre scorte minori. Quando le siringhe hanno smesso di apparire, qualche anno fa, voi Muli le avete ritirate e immagazzinate tutte.

— Quindi i vostri bambini…

— Si ammalano. Alcuni, quanto meno. Potrebbero morire. Non sai che sono state combattute battaglie armate per il possesso delle siringhe restanti?

Lo sapeva, ovviamente. Ma vedere la cosa nei notiziari era diverso dal vedere gli occhi di quella folla che fissavano in modo vorace la siringa, dall’avvertire la loro tensione, dal sentire l’odore della loro disperata avidità. Chiese in fretta: — Quanti bambini non-Cambiati ci sono nella vostra… nella vostra tribù?

— Ancora nessuno. Ma ci era rimasta una sola siringa, per Lizzie. La prossima gravidanza… Quante siringhe hai, Jackson?

— Altre tre… — rischiò di aggiungere "con me", ma si accorse in tempo dell’errore che avrebbe commesso. — Potete tenerle.

Iniettò il neonato che, prevedibilmente, cominciò a piangere. Da qualche parte, fuori dal loculo, la voce di un uomo gridò bruscamente: — Poliziotti Muli, sono qui, loro!

Vicki gli sorrise. Il sorriso lo sorprese: franco, stanco, eppure, in qualche modo, cameratesco, come se aiutare Lizzie a partorire il bambino e aver consegnato le altre siringhe avesse cambiato i rapporti fra Jackson e la tribù di Vivi. Gli occorse qualche istante per accorgersi che il sorriso era finto. Vicki, tuttavia, gli disse dolcemente: — Hai intenzione di permettere che quella strega arresti la tua paziente, Jackson?

Lizzie era stesa e rideva come una pazza stringendo il suo bambino: o la ditta farmaceutica aveva esagerato con la dose di stimolatori del piacere nel cerotto, oppure Lizzie aveva un’indole materna. Il piccolo piangeva forte. La gente gridava e discuteva nello spazio angusto: alcuni si congratulavano con Lizzie, altri minacciavano i poliziotti (un’assurdità, dovevano essere armati e protetti come fortezze), alcuni pretendevano di sapere come mai non ci fossero nuovi coni-Y. L’odore di umanità ammassata era sopraffacente. Jackson fissò il sorriso di Vicki. Pensò alla rabbia di Cazie, a come lo avrebbe schernito.

Vicki riprese, in mezzo al frastuono: — Hai detto a Cazie che tu avevi due terzi delle azioni della TenTech, le tue e quelle di tua sorella. Potresti far cadere le accuse.

— Perché mai dovrei farlo?

Lei si limitò a indicargli tutto quello che aveva attorno: il bambino, la stanza fredda, i Vivi laceri, le discussioni, i poliziotti che lui intuiva dietro la parete di persone biologicamente inattaccabili da malattie e fame ma non dal freddo, dalla violenza o dall’avidità di altra gente. All’improvviso Jackson pensò a Ellie Lester che riteneva i nativi, elementi di seconda classe, schiavi "Vivi" molto divertenti e la mancanza di potere una cosa buffa, a differenza di Cazie invece, che la considerava soltanto noiosa.

— Sì — disse. — Farò cadere le accuse.

— Sì — fece eco Vicki e smise di sorridere, socchiudendo gli occhi e osservandolo accuratamente, come se si stesse chiedendo quale uso avrebbe potuto fare di lui.