"L’uomo disintegrato" - читать интересную книгу автора (Bester Alfred)

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Alle nove del mattino seguente il viso da manichino di T8 apparve sullo schermo dell’apparecchio telefonico di Reich.

— La linea è sicura? — chiese bruscamente.

Reich gli indicò il Sigillo Governativo di garanzia.

— Benissimo — disse T8. — Penso di aver eseguito egregiamente quanto mi chiedevate. Ieri sera ho avuto modo di captare i pensieri di Akins. Prima di riferirvi i risultati, è bene che vi avverta che esiste una possibilità d’errore quando si capta un primo grado. Akins ha reagito immediatamente con una cauta resistenza.

— È naturale.

— Craye D’Courtney arriverà da Marte a bordo dell’Astra mercoledì mattina. Si recherà subito a casa di Marie Beaumont dove rimarrà per una notte.

— Una notte? — ripeté Reich. — E poi? Che piani ha?

— Questo non lo so. A quel che sembra D’Courtney si propone di prendere provvedimenti drastici.

— Contro di me?

— Forse. Secondo Akins, D’Courtney è in un periodo di violenta tensione e il suo sistema di adattamento è in pezzi. L’Istinto della Vita e l’Istinto della Morte si sono scissi in lui. Sotto l’azione di questo crollo emotivo cede rapidamente.

— La mia vita dipende da questo — gridò Reich. — Parlate chiaro.

— Akins vedrà D’Courtney mercoledì mattina, nel tentativo di dissuaderlo dai suoi pericolosi disegni. Akins teme gli sviluppi di questa situazione ed è deciso a fare il possibile per arrestarlo in tempo.

— Ma non dovrà intervenire. Io stesso lo arresterò. Ormai si tratta di autodifesa, non più di un assassinio, T8! Avete fatto un buon lavoro.

— Oggi è lunedì. Dovete tenervi pronto per mercoledì.

— Mi terrò pronto — assicurò Reich con una smorfia. — E anche voi fareste meglio a essere pronto.

— Ci ho ripensato — disse T8. — Non ci tengo ad andare oltre il punto a cui già sono arrivato.

— All’inferno voi e il vostro punto!

— Vi ho riferito quanto più vi premeva sapere. Sono stato una buona spia, come mi avete definito. Ho avuto il compenso che mi spettava, siamo pari e patta.

— Sentite — disse Reich sinistro — non posso cavarmela da solo e voi lo sapete. Ci eravamo accordati in questi termini. Ho bisogno che voi assecondiate la mia azione mercoledì in casa di Marie Beaumont. Avrò bisogno di voi dopo, per difendermi dalla polizia. Vi avevo detto che si trattava di una decina di settimane. Un giorno per l’assassinio e sessantanove per mascherarlo.

— Spiacente — disse T8. — Non posso aiutarvi.

— Non avete idea di come sarete spiacente tra poco — rispose Reich. Sfiorò con un dito il Sigillo e questo rotolò a terra. Era veramente una straordinaria contraffazione e il solo esserne in possesso avrebbe potuto creare guai seri se il governo ne fosse venuto a conoscenza. Reich indicò con un cenno il cristallo del registratore. — Volete risentire la conversazione?

La faccia di T8 divenne livida. — Avete registrato la nostra conversazione? Voi…

— E tale rimarrà finché la faccenda non sarà chiusa. Poi vi spedirò il cilindro di cristallo e un martello.

— Se mai la Polizia… significherebbe Disintegrazione. Non ve ne rendete conto?

— Disintegrazione per entrambi. Me ne rendo conto. — La voce di Reich s’incrinò. — Miserabile verme che non siete altro! Pensate che io permetta che qualcosa si frapponga tra me e il sangue di quel bastardo? — Cercò di padroneggiarsi. — Vi batterete con me fino alla fine, e io mi batterò fino all’ultimo sangue. Non dimenticate che anch’io sono in uno stato anormale. Anch’io mi sto disgregando.


Reich passò tutto quel lunedì a preparare il suo piano di battaglia. L’ideò come si inventa la trama di un romanzo o il motivo di una canzone. Ne abbozzò le linee essenziali con la delicatezza con cui un artista copre il foglio bianco di sottili arabeschi prima di tracciare il segno definitivo. Ma lui non lo tracciò. Mercoledì notte il suo istinto assassino avrebbe completato l’abbozzo. Per il momento mise da parte i suoi piani e la notte di lunedì si addormentò… per risvegliarsi con un urlo, in preda all’incubo dell’Uomo senza Volto.

Ma la mattina di martedì riesaminò il suo piano e ne rimase soddisfatto. Era audace, ben congegnato e sicuro. Comprendeva un trucco per rendersi invisibile al momento di attaccare D’Courtney; un cronoteleruttore per proiettare fuori dal flusso del tempo gli eventuali difensori; un ingegnoso inganno per defraudare tutte le telespie della loro pericolosa facoltà di percezione telepatica; un ultimo imprevedibile colpo assassino per distruggere per sempre il suo nemico.

Martedì pomeriggio Reich lasciò presto la Torre per fare una capatina in Sheridan Place agli Studios Winter.

Per ragioni sentimentali la vecchia libreria Winter era rimasta intatta in uno stretto passaggio tra due degli imponenti edifici. Così essa lasciava al di sopra tanto più spazio e luce, e costituiva, con la sua antica Protezione Donaldson, un tipico monumento dei tempi andati. Si era specializzata in dischi piezoelettrici, piccoli cristalli con eleganti montature. L’ultima moda consisteva in opere tascabili per signora. Winter disponeva anche di scaffali gremiti di seducenti libri antichi.

— Vorrei acquistare qualcosa di speciale per un amico a cui ho dimenticato di fare un regalo — disse Reich al commesso.

Fu immediatamente subissato da una valanga di oggetti e di suggerimenti.

— Non vedo niente di abbastanza speciale — si lamentò. — Perché non assumete una telespia per evitare tutta questa fatica ai vostri clienti? — Cominciò ad aggirarsi per il negozio, con un corteggio di premurosi commessi alle calcagna. Dopo aver recitato con sufficiente convinzione la sua parte e prima che il direttore preoccupato potesse mandare a chiamare un commesso telespia per l’occasione, Reich si fermò accanto agli scaffali dei libri.

— Che cosa c’è qui? — chiese con aria incuriosita.

— Libri antichi, signor Reich. — I commessi cominciarono a spiegare che genere di libri erano e come li stampavano un tempo, mentre Reich identificava con uno sguardo cauto il volume ingiallito e macchiato che era lo scopo della sua visita. Se lo ricordava bene. Gli aveva dato un’occhiata cinque anni prima, e aveva preso, su un certo particolare, un appunto nel taccuino nero su cui segnava tutto quanto gli potesse tornar utile. Il vecchio Geoffrey Reich non era il solo a credere nell’efficacia dei piani ben preparati.

— Interessante. Di che si tratta? — disse Reich prendendo in mano quel volume ingiallito. Giochi di società di Nita Noyes. — Di che epoca è? Credete che davvero facessero riunioni e inviti tanto tempo fa?

I commessi lo assicurarono che gli antichi erano modernissimi in tanti modi sorprendenti.

— Ma guarda un po’! — disse Reich. — Bridge da luna di miele… Whist alla prussiana… Ufficio postale… Sardina. Ma che cosa diavolo può essere? Pagina 96. Vediamo un po’.

Reich sfogliò il volume finché trovò una pagina dal presuntuoso titolo Giochetti ameni. — Ma guarda — rise, indicando il ben noto paragrafo.

Un giocatore viene scelto a fare da Sardina. Si spengono tutte le luci e la Sardina si nasconde da qualche parte in casa. Dopo qualche minuto gli altri ne vanno in cerca separatamente. Il primo che la trova non lo dice a nessuno, ma si nasconde con lei, là dove l’ha trovata. Successivamente ogni giocatore trovando le Sardine si unisce al gruppo finché tutti si trovano nascosti in un unico posto e l’ultimo giocatore, che è il perdente, vien lasciato vagare solo al buio.

—  Lo prendo — disse Reich. — È proprio quello che ci vuole per un de… per un amico.


Quella sera passò tre ore a deturpare accuratamente il resto del volume. Con fumo, acidi, inchiostro e forbici rese illeggibili le spiegazioni degli altri giochi e ogni bruciatura, taglio, macchia erano come altrettanti colpi inferti al corpo di D’Courtney. Quando questi suoi pseudo delitti furono compiuti, delle istruzioni relative a ogni gioco non restavano che pochi frammenti. Solo Sardina rimaneva intatto.

Reich infilò il libro in una grossa busta su cui scrisse l’indirizzo di un famoso perito e lo lasciò cadere nella buca della posta pneumatica. Vi cadde con un lieve tonfo, e un’ora dopo era di ritorno con il sigillo dell’approvazione ufficiale del perito. Le mutilazioni di Reich erano state interpretate come semplici segni di antichità e non avevano destato sospetti.

Fece avvolgere il libro in un elegante pacchetto, lo sigillò come era l’uso, e lo spedì a Marie Beaumont. Venti minuti dopo ricevette la risposta, naturalmente scritta dalle mani della donna.

Carissimo! Pensavo che ti fossi dimenticato di mio fascino. Vieni a casa Beaumont stasera. Abbiamo un ricevimento. Giocheremo giochi di tuo bel regalo. Accluso vi era un ritratto di Marie scolpito nel centro di un rubino sintetico.

Reich rispose: Abbattutissimo. Per stasera, niente. Ho perduto uno dei miei milioni.

Lei rispose: Mercoledì ti darò uno dei miei.

Lui rispose: Lieto di accettare. Porterò ospiti. Ti bacio. E andò a dormire.

E gridò alla vista dell’Uomo senza Volto.


Mercoledì mattina Reich visitò i laboratori della Sacramento e ne approfittò per scivolare non visto nella Segreta e impadronirsi di uno ionizzatore Rhodopsin, un tubo di rame grande la metà di una capsula fulminante, ma pericoloso il doppio di un normale cronoteleruttore.

Sarebbe scoppiato il finimondo se si fosse notata tale perdita nella stesura dell’inventario settimanale, e uno dei brillanti giovanotti avrebbe potuto aver guai con il governatore e buscarsi una condanna; ma per quel giorno il corpo di D’Courtney sarebbe già stato un cadavere putrescente.

Mercoledì pomeriggio Reich si recò in Melody Lane, nel cuore del quartiere dei Panty, e fece una capatina alla casa psicomusicale. Ci lavorava una ragazza molto sveglia che aveva composto certi motivetti spiritosi per il Reparto Vendite e canzonette di grande effetto per l’Ufficio Pubblicità ai tempi in cui la Sacramento si batteva all’ultimo sangue per soffocare certi moti operai, lassù nella Cintura degli Asteroidi.

Si chiamava Duffy Wygs; lei insisteva nell’affermare che Duffy non era un soprannome. Per anni e anni si era usato quel nome nella sua famiglia.

— Bene, Duffy? — La baciò.

— Bene, signor Reich. Ancora questo orribile tweed? Si capisce che non avete una donna che pensi a voi. — Lo guardò con aria strana. — Un giorno o l’altro ricorrerò a una telespia pro-Cuori Solitari e le farò diagnosticare il vostro modo di baciare. Insisto col credere che baciando non intendiate affatto far proposte.

— È così.

— Non siete affatto carino.

— Un uomo deve difendersi, Duffy. Quando bacia una ragazza non fa che dare il bacio d’addio al proprio denaro.

— Gli uomini! — esclamò la ragazza con aria disgustata. — Benissimo, bello mio. Che problema vi assilla?

— Il gioco d’azzardo — disse Reich. — Ellery West, il direttore del Reparto Ricreazione, si lamenta che alla Sacramento si gioca troppo. Personalmente me ne infischio.

— Così volete una canzone anti-azzardo?

— Sì, una cosa del genere. Qualcosa che impressioni. Qualcosa di non eccessivamente banale. Che abbia un’azione ritardata, non un effetto immediato. Preferisco che le influenze si esercitino a livello del subconscio.

Duffy annuì, prendendo rapidamente qualche appunto.

— E per favore, che sia un motivo sopportabile. Dovrò sorbirmelo Dio solo sa da quante persone, cantato, fischiettato, mugolato.

— I miei motivi si ascoltano sempre volentieri!

— Sì, ma una volta sola. Comunque, qual è il motivo più persistente che abbiate composto?

— Persistente?

— Come quegli slogan pubblicitari che non riuscite mai a togliervi di mente.

— Oh, li chiamiamo Pepsi.

— Perché?

— Perché dicono che il primo fu scritto secoli fa per le forme primitive di radio e televisione da un tipo che si chiamava Pepsi. Sarà! Io non lo so. Una volta ne scrissi uno. — Duffy trasalì al ricordo. — Non posso sopportare di ripensarci neppure adesso. Mi perseguitò per un anno intero.

— Scherzate.

— Parola d’onore. Era Tira, disse Molla. Lo scrissi per quel Panty sul matematico pazzo. Volevano qualcosa che ne rovinasse il successo, e furono accontentati. La gente si disgustò talmente che dovettero ritirare il Panty. Ci persero una fortuna.

— Fatemelo sentire.

— Non voglio infliggervi questo tormento.

— Su Duffy! Sono curioso.

— Ve ne pentirete.

— Non vi credo.

— E allora va bene, vecchio stupido — disse la ragazza e attirò a sé il pannello multivocale. — Questo vi ripagherà del vostro tiepido bacio. — Fece scorrere delicatamente le dita sul pannello. Nella stanza echeggiò un motivetto di ossessionante, indimenticabile banalità. Era la quintessenza stessa della banalità: Reich non aveva mai udito niente di simile. Qualunque melodia si cercasse di richiamare alla memoria, invariabilmente quel dannato motivetto si sovrapponeva. Poi Duffy cominciò a cantare con vocetta ossessionante:


Otto, amico; sette, amico;

sei, amico; cinque, amico;

quattro, amico; tre, amico;

due, amico. Uno!

Tira, disse Molla,

Molla, disse Tira.

Paura, Tensione, Ansietà

cominciano già.


— Mi sono servita di un trucchetto geniale per comporre questo motivo — disse Duffy continuando a suonare. — Notate la battuta dopo uno! È una semicadenza. Poi ce n’è un’altra dopo già. Così la canzone finisce con una semicadenza e non si può mai smettere di cantarla. La battuta finale vi costringe a ripeterla continuamente in un giro vizioso, così: Paura, Tensione, Ansietà cominciano già. RITORNELLO. Paura, Tensione, Ansietà cominciano già. RITORNELLO. Pau…

— Duffy! — protestò Reich.

— E c’è un’altra cosa — continuò lei dolcemente. — Gli ultimi due versi sono composti da tredici sillabe. Rimarreste sorpreso dell’effetto che hanno sul subcosciente. Contatele. Paura, Tensione, Ansie…

Reich si alzò in piedi tappandosi le orecchie.

— Quanto durerà questa tortura?

— Non meno di un mese.

— Paura, tensione, ans… Sono rovinato. Non c’è modo di uscirne?

— Ma certo — disse Duffy. — È facile. Prendervela con me. — Si strinse a lui e lo baciò. Reich restò impassibile. — Villano — mormorò Duffy. — Antipatico. Asino, sciocco. Quando ti deciderai ad accorgerti della mia esistenza? Svegliati, marmotta! Perché non ti mostri intelligente come ti credo?

— Perché sono più intelligente — disse Reich, e se ne andò.

La canzonetta gli si era insinuata nella mente e continuò a risuonargli dentro per tutta la strada. Tira disse Molla, Molla disse Tira. Paura, Tensione, Ansietà cominciano già. Un perfetto schermo mentale per un non-esper. Quale telespia avrebbe potuto penetrarlo? Paura, Tensione, Ansietà cominciano già.

— Ottimo — mugolò Reich, e prese una Cavalletta per raggiungere il banco di pegni di Jeremy Church nella zona Nord-ovest della città.

Paura, Tensione, Ansietà cominciano già.


La gestione di un Monte di pegni è tra le professioni più antiche che ci siano. Dilaga dalle profondità del passato alle estreme propaggini del futuro, immutabile come l’ambiente stesso del Monte di pegni. Addentrandovi nello scantinato che fungeva da deposito, ingombro di oggetti di ogni epoca, avevate l’impressione di trovarvi in un Museo dell’Eternità. E lo stesso Church, rinsecchito, bieco, col viso disfatto e segnato da un doloroso logorìo interiore, sembrava veramente l’ultimo rappresentante della stirpe umana.

Church uscì dall’ombra e si trovò faccia a faccia con Reich, illuminato dai raggi di sole che cadevano obliqui sul banco. Non trasalì. Non riconobbe Reich. Quasi sfiorando il suo mortale nemico andò a porsi dietro il banco e disse; — Desiderate, prego?

— Salve, Jerry.

Senza alzare lo sguardo Church stese la mano attraverso il banco. Reich fece per afferrarla. L’altro la ritirò rapidamente.

— No — disse Church con un ghigno che fu come una risata isterica. — Non questo, grazie. Datemi quello che volete impegnare.

La telespia aveva voluto tendergli la sua piccola trappola maligna, e Reich c’era cascato. Non importava.

— Non ho niente da impegnare, Jerry.

— Sei diventato così povero? Come cadono i potenti. Ma c’è da aspettarselo, eh? Tutti cadiamo.

Church gli gettò uno sguardo obliquo cercando di captarne il pensiero. Ci si provasse pure. Paura, Tensione, Ansietà cominciano già. Provasse pure a superare la barriera dello stupido motivetto che gli risuonava in testa.

— Tutti cadiamo — ripeté Church. — Tutti.

— È vero, Jerry. Io non ancora. Sono stato fortunato.

— Io invece ho avuto la sfortuna di incontrare te — disse l’esper con amarezza.

— Jerry, non sono stato io a portarti sfortuna — disse Reich. — È stato il tuo stesso destino che ti ha rovinato. Io non…

— Bastardo — disse Church con calma spaventosa. — Falso, bugiardo, sporco cannibale. Fuori di qui. Non voglio avere niente a che fare con te.

— Non vuoi neppure il mio denaro? — Reich trasse di tasca dieci banconote un po’ gualcite da dieci sovrane l’una e le mise sul banco. Paura, Tensione, Ansietà cominciano già.

—  Vorrei che ti squarciassero il cuore. Vorrei che il tuo sangue imbevesse la terra. Vorrei che i vermi ti divorassero gli occhi da vivo. Non è il tuo denaro che voglio.

— Allora che cosa vuoi, Jerry?

— Te l’ho detto — urlò l’esper. — Che ti si geli il sangue!

— Che cosa vuoi, Jerry? — ripeté Reich, senza staccare gli occhi da quel viso riarso. Paura, Tensione, Ansietà, cominciano già. Riusciva ancora a dominare Church. Non era importante che Church fosse stato un secondo grado, perché il dominio non era una questione telepatica ma di personalità. Otto, amico; sette, amico; sei, amico; cinque, amico. Aveva sempre dominato Church e avrebbe sempre continuato a dominarlo.

— Che cosa vuoi? — chiese Church cupamente.

Reich sbuffò. — Tu sei la telespia, tu lo devi dire.

— Non posso captare niente. Quella stupida musica crea una grande confusione.

— Allora te lo dirò io. Voglio una pistola.

— Che cosa?

— Una pistola. Arma antica. Lancia proiettili!

— Non ho niente di simile, qui.

— Sì che ne hai, Jerry. Keno Quizzard me ne ha parlato tempo fa. L’ha vista: d’acciaio e apribile. Molto interessante come antichità.

— Per che scopo te ne vuoi servire?

— Leggimi nel pensiero, Jerry e scoprirai tutto. Niente che non sia innocente.

Church assunse un’espressione concentrata. Poi desistette, disgustato. — Non mi contagerai con quel monotono motivetto.

Scomparve nell’ombra. Si udì un lontano sbattere di cassetti metallici, poi il tintinnìo di un involucro protettivo frantumato. Church tornò con in mano un oggetto d’acciaio brunito e lo depose sul banco accanto al denaro. Premette un pulsante e l’oggetto metallico si aprì rivelando un tirapugni d’acciaio, una pistola a tamburo e uno stiletto.

— Perché la vuoi? — chiese ancora Church.

— Speri che voglia farne qualcosa per cui potrai ricattarmi? — disse Reich con un sorriso. — Spiacente, è un regalo.

— Un regalo pericoloso. — Church gli lanciò quel suo sguardo obliquo che era come un ghigno o una risata. — Vuoi rovinare qualcun altro, eh?

— È un regalo per un mio amico. Il dottor T8.

— T8! — Church lo guardò sorpreso.

— Lo conosci? Fa collezione di cose antiche.

— Sì, lo conosco. — Church cominciò a ridacchiare sussultando. — Ma comincio a conoscerlo meglio ora. Comincio a compatirlo. — Smise di ridere e guardò Reich con sguardo penetrante. — Naturale! Sarà un bellissimo regalo per Gus. Proprio un magnifico regalo. Perché è carica.

— Ah sì?

— Cinque belle cartucce. Magnifico regalo per Gus. — Fece scattare una leva. Dalla pistola uscì il cilindro rivelando cinque scompartimenti contenenti ciascuno il fondo di ottone di un proiettile.

— Cinque denti di serpente per Gus.

— Ti ho detto che il mio scopo è assolutamente innocuo — disse Reich con voce dura. — Toglieremo questi denti.

Church lo fissò attonito, poi cominciò a far cenni di finta complicità. — Sì, sì, li estrarremo — canticchiò con voce stranamente gaia. Scomparve un attimo nel buio e tornò con due piccoli arnesi. — Un regalo per Gus — canticchiò con tono quasi isterico. — Un regalo per il nostro bravo, ricco, felice, piccolo Gus! — Con gesto rapido tolse i proiettili da ogni cartuccia, rimise i bossoli di ottone al loro posto, inserì nuovamente il cilindro e pose l’arma accanto al denaro.

— Nessun pericolo — disse vivacemente. — Nessun pericolo per il nostro caro piccolo Gus.

Guardò Reich con sguardo interrogativo. Reich tese entrambe le mani. Con una spinse il denaro verso Church, con l’altra prese l’arma. In quel momento Church cambiò di nuovo espressione. Quella sua aria di allegra malizia scomparve. Afferrò i polsi di Reich in una stretta ferrea e si curvò sul banco con un’espressione di ardente concentrazione.

— No, Ben — disse, chiamandolo per nome per la prima volta. — Non è questo il prezzo. Lo sai. Malgrado quella stupida canzone che hai in testa so che lo sai.

— Benissimo, Jerry — disse Reich con voce ferma senza allentare la presa sulla pistola. — Qual è il prezzo?

— Non voglio denaro. C’è stato troppo fra noi perché ci sia ancora bisogno di denaro.

— Che cosa vuoi, Jerry?

— So che Gus lavora per te.

— Non l’hai captato certo da me.

— L’ho captato da Pres, ma non importa dove; lo so, stai macchinando qualcosa di pericoloso per Gus, vero? Qualcosa di simile a quello che infliggesti a me.

— Con una pistola scarica? Tu stesso hai allontanato il pericolo, Jerry. Ricordatelo.

— Nel caso che me lo chiedessero?

— E perché te lo dovrebbero chiedere?

— Non mi importa di quello che vuoi fare a Gus. Mi importa di quello che puoi fare a me.

— Che cosa vuoi? Qual è il tuo prezzo?

— Voglio essere riammesso — disse l’ex-esper. — Voglio essere riammesso nella Lega. Voglio sentirmi di nuovo vivo. Questo è il prezzo.

— Che cosa posso fare io? Non sono un esper. Non appartengo alla Lega.

— Hai patteggiato con me. Hai patteggiato con T8. Potresti patteggiare con la Lega. Potresti ottenere la mia riammissione.

— Impossibile.

— Tu puoi corrompere, ricattare, intimidire, lusingare, abbagliare, affascinare. Puoi farlo, Ben. Fallo per me. Aiutami, Ben. Io ti ho già aiutato una volta.

— E l’ho pagata assai cara.

— E io? Che cosa ho pagato io? — urlò Church. — Io ho pagato con la mia stessa vita.

— Tu hai pagato per la tua stupidità.

— Per l’amor di Dio, Ben, aiutami! Aiutami oppure uccidimi. Non ho fegato abbastanza per farlo io stesso.

— Non ho la possibilità di pagarti un tale prezzo, Jerry. Nessuno l’avrebbe.

— Benissimo. Ascolta. — Church strinse ancor più forte i polsi di Reich e si curvò in avanti. — Ecco quello che puoi fare. Vai alla polizia. Vai da Powell. Digli cos’è successo realmente nell’affare Swingle. Sarà una confessione compromettente, ma te la caverai Ben. Un uomo potente come te se la cava sempre. E io sarò a posto. Potrò tornare a far parte della Lega. Cosa ne dici?

Dopo una pausa Reich disse bruscamente: — Penso che la cosa migliore per te, Jerry, sarebbe il suicidio.

La telespia si ritrasse come se fosse stata improvvisamente scottata.

— Ora dimmi il prezzo — disse Reich.

Con aria decisa Church sputò sul denaro. — Da te non voglio niente — disse. Si volse e scomparve nell’ombra dello scantinato.

Finché non venne distrutta per ragioni ormai dimenticate nel tenebroso caos della fine del XX secolo, la Pennsylvania Station rappresentò, a New York City, e all’insaputa di milioni di viaggiatori, un legame tra passato e futuro. Gli abbonati che s’affrettavano giù per le scale mobili del lato orientale verso i piani inferiori raramente alzavano lo sguardo a osservare le imponenti colonne e gli archi a tutto sesto dell’interno. E i turisti che passavano attoniti e trafelati di rado sapevano che tutto quello era già esistito nel passato. E non potevano sapere che sarebbe esistito anche nel futuro. La gigantesca stazione riproduceva al suo interno le imponenti Terme di Caracalla dell’antica Roma. Tale era pure il grande palazzo di Marie Beaumont, soprannominata dai suoi numerosi nemici intimi la Mummia Dorata.

Ben Reich scendeva lentamente la scalinata orientale con il dottor T8 al fianco e l’ordigno di morte in tasca.

I suoni delle voci, della musica… lo spasimo che gli serrava il petto in un alternarsi di odio e di terrore… Paura, Tensione, Ansietà. Il miscuglio di cibi, di vini, di dorata ostentazione… Paura, Tensione…

La dorata trappola della morte, qualcosa che non succedeva più da settant’anni. Un’arte perduta, come perdute erano la flebotomia e l’alchimia. Lui avrebbe ripristinato la morte violenta. Non gli affrettati delitti degli psicopatici e dei violenti, ma il delitto perfettamente congegnato…

— In nome di Dio! — mormorò T8. — State attento. State rivelando le vostre intenzioni assassine.

Otto, amico; sette, amico…

—  Così va meglio. Ecco una delle telespie che fanno da segretario alla signora Beaumont.

Un giovanotto alto e dinoccolato, molto affettato, tutto folti capelli biondi giubbetto lilla e pantaloni argentei, esclamò: — Dottor T8! Signor Reich, sono senza parola, veramente.

Sei, amico; cinque, amico…

T8 scambiò una stretta di mano con il segretario. Salve, Glas, piacere di vedervi. Abbiamo sentito la vostra mancanza alle riunioni della Lega.

Mi fa piacere che me lo diciate, ma non che non lo pensiate. Ma cosa passa per la mente del signor Reich?

Una canzoncina idiota che lo perseguita come gli slogan pubblicitari.

Come quella vecchia storia di Mark Twain su quella poesia ossessionante?

Esattamente, Reich è afflitto dallo stesso male.

Volete dire che questo grand’uomo ha veramente qualcosa di umano?

Di superumano. T8 lanciò uno sguardo misto di rispetto e di malizia al suo potente padrone.

Farsi strada tra i gruppi degli ospiti era come immergersi in un acquario tropicale. Guizzi di balenanti, iridescenti pesci umani. Tavole imbandite, simili a bianche, fredde isole di corallo. Voci simili a bolle di spuma, improvvise e gorgoglianti. L’incessante ribollire della festa ondeggiante in rapidi cerchi intorno alle celebrità della serata.

Marie Beaumont fendeva le acque, le braccia stese, gli occhi spalancati, il busto eretto, il corpo rimodellato dalla pneumochirurgia.

— Ben, carissimo! — Lo abbracciò con pneumatica intensità. — È troppo, troppo meraviglioso! Non hai ancora trovato quel milione che avevi perduto?

— L’ho proprio ora tre le braccia.

— Attenzione, Don Giovanni. Ogni istante di questo divino ricevimento verrà accuratamente registrato.

Al di sopra della spalla di lei Reich gettò un’occhiata a T8, rigido e attento come una guardia del corpo. T8 gli fece un cenno rassicurante col capo.

— Vieni che ti presento tutti quelli che vale la pena di conoscere — disse Marie prendendolo per un braccio. Con la sua voce di pavone strillò: — Avremo secoli per noi due più tardi.

La luce emanata dalle ampie volte cambiò ancora tingendosi di un altro dei colori dello spettro. E cambiarono colore anche i costumi. Le carnagioni che prima splendevano di un chiarore rosato ora s’avvolsero di una fosforescenza misteriosa.

Symon Zigerra… Jeanny von Chalk… Tom Moyse, che ancora lo odiava per quel brutto tiro che gli aveva giocato alla conferenza in onore di Tycho… Gloria Blomefield Jr., provocante come in quella domenica di settembre in cui le aveva strappato la formula Blomefield resistendole… Bill Winter… Bart Van Tuerk… Edmund Barr, che bisognava trovare il modo di ricattare… Tony Asj, che portava ancora al dito quel diamante che lui le aveva regalato quando gli si era data per riavere certe azioni della Società Stellare. Non era mai riuscita a ottenerle, ma aveva avuto il diamante. Aveva sentito dire che lo incolpava di essere sleale.

Alla sua sinistra T8 diede il segnale preordinato.

Pericolo.

Paura, Tensione, Ansietà, cominciano già. RITORNELLO: Paura, Tensione, Ansietà cominciano già.

Marie gli stava presentando l’altro suo segretario, tutto affettazione, tutto folti capelli color rame, giubbetto rosso e pantaloni blu di Prussia.

— Larry Ferrar, Ben. Larry moriva dal desiderio di conoscerti.

Quattro, amico; tre, amico…

— Signor Reich! Sono troppo emozionato. Non riesco a spiccicare parola.

Due, amico. Uno!

Il giovanotto ricambiò il sorriso di Reich e si allontanò. Mentre riprendevano il loro giro per la sala, T8 riassicurò Reich con un cenno. Di nuovo le luci mutarono colore. Sembrò che parte dei costumi degli ospiti si dissolvesse e Reich, che non aveva mai ceduto alla moda di indossare abiti con schermi ultravioletti, se ne stette tranquillo nel suo completo impenetrabile, seguendo con disprezzo i rapidi scambi di avidi sguardi intorno a lui.

T8 segnalò: Pericolo!

Tira, disse Molla…

Glas apparve a fianco di Marie. — Madame — bisbigliò — un lieve contrattempo.

— Che cosa c’è?

— Il giovane Chervil. Galen Chervil.

Il viso di T8 si contrasse.

— Ebbene? — Marie cercò di individuarlo tra la folla.

— A sinistra della fontana. È un impostore, Madame. L’ho telespiato. Non ha vinto. È uno studente che ha scommesso che sarebbe riuscito a entrare. Vuol rubare un vostro ritratto come prova.

— Un mio ritratto? — disse Marie. — Cosa pensa di me?

— È estremamente difficile sondarlo. Penso che gli piacerebbe rubarvi qualcos’altro oltre il ritratto.

— Ah sì? — chiocciò Marie estremamente interessata.

— Certo, Madame. Devo allontanarlo?

— No. — Marie lanciò un ultimo sguardo al giovanotto, poi gli volse le spalle. — Avrà quel che cerca.

— E non dovrà rubare — disse Reich.

— Geloso? — squittì lei. — Mettiamoci a tavola.

In risposta a una segnalazione urgente di T8, Reich si fermò un momento.

— Reich, bisogna che rinunciate.

— Siete pazzo! Perché mai?

— Il giovane Chervil.

— Ebbene?

— È un secondo grado.

— Dannazione!

— È un ragazzo precoce, di intelligenza vivacissima. L’ho conosciuto in casa di Powell domenica scorsa. Marie Beaumont non invita mai telespie a casa sua. Sono l’unico qua dentro. Contavo su questo.

— E quel ragazzino è riuscito a introdursi qui!

— Rinunciate, Reich. Sono in grado di reagire alle interferenze dei due segretari: sono solo dei terzo grado. Ma non posso garantirvi di tener testa a loro e insieme a un secondo grado, anche se è solo un ragazzo. È giovane, e può darsi che si senta troppo eccitato per riuscire a captare chiaramente. Ma non posso promettere nulla.

— Io non cedo — grugnì Reich. — Non mi capiterà più un’occasione come questa. Ma anche se sapessi che mi si presenterebbe ancora, non desisterei. Ne sarei incapace. Sento troppo l’odore della preda e…

— Allora bisogna fare il possibile per allontanare il giovane Chervil.

— Da escludere. Avete visto come l’ha guardato Marie?

— E allora che cosa pensate di fare?

— Affrontare la situazione.

— Non riuscirete mai…

Reich fissò il viso nervoso di T8. — So che cercate l’occasione per sgusciare via. Ma non ce la farete. Ci siamo dentro tutt’e due, fino alla rovina.

Ricompose il viso sconvolto e raggiunse la sua ospite su un divano disposto accanto a una delle tavole.

Ribolliva d’impazienza in attesa della parola definitiva di T8. Era compito di T8 individuare in quale parte della casa si teneva nascosto D’Courtney. Osservava ansiosamente l’esper aggirarsi tra la folla degli invitati captando, frugando, cercando, finché ritornò con un cenno negativo del capo e gli indicò Marie Beaumont. Evidentemente Marie era la sola fonte di informazione, ed era troppo eccitata perché le si potesse facilmente rubare la notizia. Era un altro dell’infinita serie di imprevisti che dovevano essere risolti dall’istinto dell’assassino.

Fra una portata e l’altra Reich si alzò e si diresse alla fontana. T8 gli tagliò la strada.

— Cosa volete fare, Reich?

— Non è evidente? Levarle dalla testa il giovane Chervil.

— Reich, non avvicinatevi a quel ragazzo!

— Fatemi passare. — Reich emanò un’onda di prepotenza così selvaggia che la telespia arretrò. T8 lanciò un segnale di allarme e Reich cercò di controllarsi.

— È un rischio, lo so, ma non così grave come credete. In primo luogo è giovane e inesperto. Secondo si è intrufolato qui senza diritto, e quindi è un po’ agitato. Terzo non dev’essere poi così pronto, perché altrimenti non si sarebbe lasciato telespiare facilmente dai segretari.

— Riuscite a sdoppiare il pensiero?

— Ho in mente quella canzone e la mia situazione è abbastanza delicata da farmi sembrare un piacere lo sdoppiamento. Ora levatevi di mezzo e andate a intercettare la Mummia Dorata.

Chervil stava mangiando solo accanto alla fontana, tentando goffamente di mostrarsi disinvolto.

Reich si accomodò tranquillamente accanto al ragazzo. — Sono Ben Reich — disse.

— Io sono Gally Chervil. Voglio dire Galen. Io… — Era rimasto visibilmente impressionato dal nome di Reich.

Paura, Tensione, Ansietà…

—  Quella dannata canzonetta — mormorò Reich. — Sentita per la prima volta l’altro giorno. Non riesco a liberarmene. Otto, amico; sette, amico; cinque, amico… Oh, in nome di Dio! Ditemi qualcosa, Chervil, prima che diventi pazzo!

— Di cosa potrei parlarvi?

— Mai venuto prima dalla Mummia Dorata?

— Intendete dire in questa casa?

— Già. Lei sa che siete qui senza invito, sapete?

— No!

Reich annuì. Paura, Tensione…

— Dovrei darmela a gambe?

— Senza il ritratto?

— Ma sapete anche questo? Ci deve essere una telespia qui in giro.

— Ce ne sono due: segretari speciali per ricevimenti. Gente come voi sono il loro pane.

— E il ritratto, signor Reich? Ci ho scommesso cinquanta dollari. Voi dovete sapere bene che cosa è una scommessa. Siete un giocat… un finanziere voglio dire.

— Contento che non sia una telespia, eh? Non importa, non mi offendo. Vedete quell’arco? Passateci dritto sotto e poi girate a destra. Troverete uno studio. Sulle pareti si allineano i ritratti di Marie, tutti in pietre sintetiche. Servitevi a vostro gradimento. State certo che non sentirà mai la mancanza di quello che vi prenderete. — Il ragazzo balzò in piedi.

— Grazie, signor Reich. Un giorno o l’altro vi ricambierò il favore.

— Che cosa farete, ad esempio?

— Bene, ne resterete sorpreso. Si dà il caso che io sia… — Si trattenne e arrossì. — Lo scoprirete da voi, signore. — Si avviò per la grande sala verso l’arco nord.

Quattro, amico, tre, amico, due, amico. Uno!

Reich ritornò accanto alla sua ospite.

— Traditore — disse lei. — Con quale bellezza mi hai tradito?

— Con il giovane Chervil — rispose. — Mi ha chiesto dove tieni i tuoi ritratti.

— Ben! Non gliel’avrai detto?

— Ma certo che gliel’ho detto. È andato a prendersene uno. Poi se la batterà. Sai che sono geloso.

Lei balzò dal divano e si avviò ancheggiando verso l’arco nord.

— Fatto — disse Reich.

Alle undici il rituale della cena aveva portato i convitati a tal punto di eccitazione che tutti desideravano solitudine e oscurità. Marie Beaumont non aveva mai deluso i suoi ospiti, e Reich sperava che la Mummia Dorata non avrebbe deluso neppure lui, quando T8 apparve con aria soddisfatta e preoccupata insieme.

— Non so come ve la siate cavata — sussurrò. — Trasmettete sete di sangue su ogni lunghezza d’onda.

— Il ragazzo non ha capito nulla?

— Proprio niente. Avete ragione. È agitato, fuori dal suo normale equilibrio.

— E io lo so a chi deve questo suo stato. Dov’è D’Courtney? — Reich afferrò il braccio di T8. — Non ditemi che non è in questa casa. Ne sento la presenza: mi aspetta.

T8 sottrasse il braccio alla sua stretta. — Sì, è qui. Ha solo due guardie del corpo fornite da Marie. Akins aveva ragione. È gravemente malato…

— All’inferno. Ci penserò io a curarlo. Dov’è?

— Passate sotto l’arco occidentale. Girate a destra. Salite le scale. Percorrete un corridoio. Girate a destra. Vi troverete nella Galleria. Aprite la porta tra il quadro del Ratto di Lucrezia e quello del Ratto delle Sabine. Salite la scalinata fino a un’anticamera. Lì ci saranno le due guardie. D’Courtney è là dentro. È l’antico appartamento nuziale costruito dal nonno di Marie.

— L’appartamento nuziale? Mi piace questo particolare.

La Mummia Dorata cominciò a richiamare a sé l’attenzione degli ospiti.

Con viso animato e lucido di sudore, la donna salì su una specie di palco innalzato tra le due fontane, sotto il bagliore di una luce rosea, e batté le mani per chiedere silenzio: ciac, ciac, ciac. Le palme umide batterono una contro l’altra e nelle orecchie di Reich l’eco tuonò: morte, morte, morte.

— Miei cari! — gridò la donna. — Stasera ci divertiremo moltissimo. Ora organizzeremo un bel gioco di società.

Un brontolìo trattenuto si alzò dalla folla degli ospiti e una voce disse: — Sono proprio qui in giro turistico.

Tra le risate, Marie continuò: — Non preoccupatevi! Giocheremo a un magnifico vecchio gioco e giocheremo al buio.

La compagnia si rianimò, mentre le luci diffuse cominciavano ad affievolirsi. Solo il palco rimase illuminato, e in quel chiarore Marie mostrò un vecchio libro tutto strappato; il regalo di Reich.

Paura…

Marie voltò lentamente le pagine, concentrandosi per decifrare i caratteri inconsueti.

Tensione…

—  Il gioco — gridò Marie — si chiama Sardina. Non è meraviglioso?

Ha abboccato. Fra tre minuti sarò invisibile. Reich si tastò le tasche. C’erano: la pistola scarica e il Rhodopsin. Paura, Tensione, Ansietà, cominciano già.

— Un giocatore — disse Marie — viene scelto a fare da Sardina. Si spengono tutte le luci e la Sardina si nasconde.

Mentre Marie cercava di orientarsi nella spiegazione, la grande sala cadde in una fitta oscurità ad eccezione di un unico roseo chiarore sul palcoscenico.

— Successivamente ogni giocatore trovando le Sardine si unisce al gruppo finché tutti si trovano a starsene nascosti in un solo posto e l’ultimo giocatore che è il perdente viene lasciato solo a vagare nel buio. — L’ultimo raggio di luce scomparve. Reich era finalmente invisibile. Aveva mezz’ora per sgusciare ai piani superiori, uccidere D’Courtney e ritornare a partecipare al gioco. T8 doveva tener lontani dal suo campo d’azione i due segretari. Non c’era pericolo. Ci sarebbe riuscito anche uno sciocco: l’unico problema era la presenza del giovane Chervil. L’avrebbe affrontato.

Attraversò la sala principale e si fece strada tra le persone che si affollavano presso l’arco ovest. Lo attraversò, entrando nella sala di musica. Da un piano aperto provenivano note discordi, attutite. Concentrato in se stesso, Reich non si curò di nulla e voltò a destra, cercando a tentoni le scale. Dal primo piano gli giunsero un’imprecazione e un tonfo, poi un rumore di passi rapidi e qualcosa di morbido urtò contro di lui.

— Se mi toccate — gridò la voce di Duffy Wygs con tono isterico — vi ucciderò.

Reich si sentì gelare. — Duffy! — esclamò e subito avrebbe voluto mordersi la lingua.

— Ma chi è? Il signor Reich?

— Sì.

La mano di lei gli tastò il braccio e avvertì la trama del tessuto. — Dio vi benedica, signor Reich. — S’appoggiò a lui debolmente. — Dio benedica questo orribile tweed.

— Che cosa c’è Duffy? Non ti va che qualcuno si occupi di te?

— Non mi va la compagnia.

— Allora torna in Melody Lane.

Gli si aggrappò al braccio. — È la prima e l’ultima volta che vengo qui. Come si può uscire da questo porcile?

— Torna nella sala principale e sali su per la scalinata.

— Ma non riesco a orientarmi. Accompagnatemi fuori di qui signor Reich. Ho bisogno di una guardia del corpo.

Tormentato da una furiosa impazienza si mise a cercare delle scuse. Una voce disgustata disse dietro di lui; — Posso farvi un favore, signor Reich?

— Chi è?

— Un fuggiasco, Galen Chervil. Un po’ a terra.

Otto, amico; sette, arnico; sei, amico; cinque, amico…

La figura del giovane Chervil si disegnò indistintamente nell’ombra. — Ho dovuto darmela a gambe per fuggire via da quel… ritratto. Sto ancora correndo fra attacchi di nausea. Non sono mai stato più felice di perdere cinquanta dollari.

Quattro, amico; tre, amico; due, amico. Uno!

— Anch’io me la sto battendo — disse Duffy.

— Come i bambini perduti nel bosco — disse Chervil. — Alta società! Ma che schifo. Battiamocela insieme.

— Sapete orientarvi nel buio?

Tira, disse Molla; Molla, disse Tira…

— Ci riuscirò. Datemi la mano, Duffy.

— Come fate a sapere il mio nome?

— Per puro caso. Non sono in me stesso stasera. Venite con noi, signor Reich?

Paura, Tensione, Ansietà, cominciano già.

— No — disse Reich con voce soffocata. — Mi piacerebbe, ma è impossibile. Voi ragazzi andatevene. Su!

I due si allontanarono in fretta.


Ai piedi della scalinata fu costretto a passare su di una barriera di corpi che, con braccia tenaci come tentacoli di polipo, cercavano di trascinarlo giù. Salì le scale, diciassette eterni gradini, e proseguì a tastoni attraverso uno stretto corridoio tappezzato di velluto. Improvvisamente qualcuno gli sbarrò il passaggio. Una donna gli si incollò.

— Ciao, Sardina — gli bisbigliò all’orecchio. — Ohi! — esclamò sentendo la dura massa della pistola nel suo taschino.

Si liberò di lei e andò a battere il naso contro la parete di fondo del corridoio. Allora girò a destra; aprì la porta e si trovò in una galleria a volta, lunga più di quindici metri.

Anche qui le luci erano spente ma le tele fluorescenti, splendendo sotto l’azione dei raggi ultravioletti, riempivano la galleria di un vivo bagliore. Era vuota.

Tra una livida Lucrezia e una folla di floride Sabine si apriva una porta di bronzo lucido. Reich si fermò, trasse dalla tasca posteriore il piccolo ionizzatore Rhodopsin e cercò di bilanciare il tubo di rame tra il pollice e l’indice. Le sue mani erano scosse da un tremito così violento che non riusciva a controllarne i movimenti.

Finalmente bilanciò la capsula Rhodopsin, poi spalancò la porta di bronzo; nove gradini portavano all’anticamera. Reich premette il pollice contro il tubo di rame col movimento che si usa per lanciare una biglia.

Mentre il proiettile Rhodhopsin descriveva una traiettoria per l’anticamera Reich distolse lo sguardo. Ci fu un freddo lampo purpureo. Reich salì i gradini di corsa. I due guardiani di casa Beaumont sedevano sulla panca dove lui li aveva colpiti, i visi abbassati, il senso visivo distrutto, il senso del tempo abolito, i centri motori sconvolti da un susseguirsi di corti circuiti. Erano fuori dal mondo.

Se qualcuno fosse entrato e avesse scoperto i guardiani prima della completa esecuzione dell’azione, sarebbe stata la rovina. Se i guardiani si fossero risvegliati prima che tutto fosse finito, sarebbe stata la rovina. Qualunque imprevisto poteva rappresentare la rovina.

Abbandonando l’ultimo rimasuglio di umanità, Reich spalancò una porta intarsiata di gioielli ed entrò nella camera nuziale.