"Coraline" - читать интересную книгу автора (Gaiman Neil)ICoraline scoprì quella porta poco dopo aver traslocato con la famiglia. La casa era molto vecchia, con una soffitta, una cantina e un giardino pieno di erbacce e di grossi e vecchi alberi. Date le sue notevoli dimensioni, però, non era occupata esclusivamente dalla famiglia di Coraline. I suoi ne possedevano solo una parte. Nel resto dell’edificio abitavano altre persone. Nell’appartamento del pianterreno, sotto quello di Coraline, vivevano Miss Spink e Miss Forcible. Le due donne erano anziane e grassocce, e occupavano l’appartamento in compagnia di alcuni vecchi terrier scozzesi che portavano nomi come Hamish, Andrew e Jock. In passato Miss Spink e Miss Forcible erano state attrici, e Miss Spink in persona lo aveva rivelato a Coraline, non appena si erano conosciute. — Vedi, Caroline — le aveva detto Miss Spink, sbagliando a pronunciare il nome — sia io che mia sorella Forcible eravamo attrici famose, ai nostri tempi. Calcavamo le scene, tesoruccio. Ehi, togli quella torta di frutta da sotto il muso di Hamish o avrà mal di pancia per tutta la notte. — Mi chiamo Coraline. Non Caroline. Coraline — le aveva fatto notare la bambina. Nell’appartamento sopra quello di Coraline, nel sottotetto, viveva un vecchio pazzo con un paio di baffoni enormi. Le aveva detto che stava ammaestrando un circo di topi, ma non permetteva a nessuno di vederlo. — Un giorno, piccola Caroline, quando tutto sarà pronto, il mondo intero assisterà alle meraviglie del mio circo. Mi domanderai perché adesso non puoi vederlo. Me lo hai appena chiesto, vero? — No — aveva risposto Coraline sottovoce. — Le ho chiesto di non chiamarmi Caroline. Il mio nome è Coraline. — La ragione per cui adesso non puoi vedere il mio circo — aveva detto l’uomo del piano di sopra — è che i topi non sono ancora pronti e non hanno provato abbastanza. Inoltre si rifiutano di suonare le canzoni che ho scritto per loro. Tutte le canzoni che ho scritto per i topi fanno Secondo Coraline, quel circo di topi non esisteva affatto. Anzi, era convinta che il vecchio si fosse inventato tutto. Il giorno dopo il trasloco, Coraline andò in esplorazione. Esplorò il giardino. Era davvero grande: in fondo, nel punto più lontano, c’era un vecchio campo da tennis, ma in casa nessuno giocava a tennis, così il campo era pieno di buche e la rete addirittura decrepita; c’era anche un roseto, pieno di arbusti striminziti e coperti di polvere; c’era un giardino giapponese tutto di rocce; c’era un cerchio delle fate, fatto di funghi velenosi marrone e umidicci, che puzzavano tremendamente se uno ci andava a finire sopra per sbaglio. C’era anche un pozzo. Il giorno in cui la famiglia di Coraline si era trasferita lì, Miss Spink e Miss Forcible si erano subito premurate di spiegare alla bambina quanto fosse pericoloso quel pozzo, e l’avevano messa in guardia perché ne stesse alla larga. Perciò Coraline non aveva perso tempo e aveva subito cominciato a cercarlo, per sapere con precisione dove si trovasse e poterne stare effettivamente alla larga. L’aveva trovato il terzo giorno, in un prato pieno di erbacce accanto al campo da tennis, dietro un boschetto: un muretto di mattoni basso e circolare, quasi nascosto dall’erba alta. Il pozzo era stato coperto con alcune tavole, per impedire che qualcuno ci cadesse dentro. In una delle assi c’era un piccolo buco, e Coraline aveva trascorso un pomeriggio intero a gettarci dentro ghiande e sassolini e ad aspettare, canticchiando, di sentire il Era anche andata in cerca di animali. Aveva trovato un porcospino, una pelle di serpente (ma non il serpente), una roccia che pareva proprio una rana, e poi un rospo che pareva proprio una roccia. C’era anche un altezzoso gatto nero che si sedeva sui muretti e sulle ceppaie per osservarla, ma che sgattaiolava subito via se lei gli andava vicino e cercava di giocarci. Aveva trascorso così le prime due settimane nella nuova casa: esplorando il giardino e i dintorni. Sua madre la chiamava all’ora di pranzo e di cena, e Coraline doveva assicurarsi di uscire ben coperta, perché quell’anno l’estate era davvero freschetta. Tuttavia, ogni giorno uscì ed esplorò, finché cominciò a piovere e fu costretta a restare in casa. — E adesso che faccio? — domandò. — Leggi un libro — le rispose sua madre. — Guarda un video. Gioca con i tuoi giocattoli. Va’ a dare fastidio a Miss Spink o a Miss Forcible, o a quel vecchio pazzo che abita sopra di noi. — No — disse Coraline. — Non mi va di fare queste cose. Voglio esplorare. — A essere sincera non mi interessa quello che fai — disse sua madre — purché tu non metta in disordine. Coraline andò alla finestra e guardò la pioggia che cadeva. Non era una pioggia del tipo che ti permette di uscire, ma dell’altro tipo, cioè quella che scroscia violentemente dal cielo e tocca terra schizzando dappertutto. Era il tipo di pioggia che fa sul serio, e ciò che stava facendo, in quel momento, era trasformare il giardino in una specie di zuppa umida e fangosa. Coraline aveva guardato tutti i video. Si era stufata dei giocattoli e aveva letto tutti i libri che possedeva. Accese la televisione. Passò da un canale all’altro, ma c’erano solo uomini in giacca e cravatta che parlavano del mercato azionario, e programmi sportivi. Alla fine trovò qualcosa da guardare: la seconda parte di un programma di storia naturale su una faccenda che si chiamava mimetismo. E vide animali, uccelli e insetti che si mimetizzavano tra le foglie e i ramoscelli o tra gli altri animali, per fuggire da cose o creature che avrebbero potuto far loro del male. Il programma le piaceva, ma finì troppo presto e venne seguito da un altro su una fabbrica di dolci. Era arrivato il momento di parlare con suo padre. Il papà di Coraline era in casa. Tutti e due i genitori lavoravano con il computer, perciò passavano molto tempo in casa. Ciascuno aveva il suo studio personale. — Ciao, Coraline — le disse suo padre quando la vide entrare nello studio, ma non si voltò verso di lei. — Uffa — disse Coraline. — Piove. — Eh già — replicò suo padre. — A catinelle. — No, è una semplice pioggia. Posso andare fuori? — Tua madre che ne dice? — Dice: «Con un tempo così non esci di sicuro, Coraline Jones.» — Allora è no. — Ma io voglio continuare la mia esplorazione. — Bene, puoi esplorare l’appartamento — le suggerì suo padre. — Tieni! Eccoti un foglio e una penna. Conta tutte le porte e tutte le finestre. Fa’ un elenco di tutte le cose blu. Organizza una spedizione per trovare lo scaldabagno. E lasciami lavorare in santa pace. — Posso andare in salotto? — Il salotto era la stanza in cui i Jones tenevano i mobili costosi (e scomodi) che la nonna di Coraline aveva lasciato alla sua morte. A Coraline non era permesso entrarci. Nessuno ci entrava. A fin di bene. — Se non metterai in disordine. E se non toccherai niente. Coraline ci pensò su, poi prese carta e penna e cominciò a esplorare l’appartamento. Trovò lo scaldabagno (era in un armadio a muro della cucina). Contò tutte le cose blu (153). Contò le finestre (21). Contò le porte (14). Delle porte che aveva trovato, tredici si aprivano e si chiudevano normalmente. La quattordicesima, piuttosto grande e in legno marrone intagliato, nell’angolo più lontano del salotto, era chiusa a chiave. — E da quella porta dove si va? — domandò a sua madre. — Da nessuna parte, tesoro. — Dovrà pur portare da qualche parte. La madre scosse la testa. — Vieni a vedere — disse a Coraline. Allungò la mano e prese un mazzo di chiavi da sopra la cornice della porta di cucina. Le esaminò e ne scelse una, la più vecchia, la più grossa, la più nera, la più arrugginita. Quindi andarono in salotto. La mamma infilò la chiave nella serratura e la girò. La porta si spalancò. Aveva ragione. Non portava da nessuna parte. Dava su un muro di mattoni. — Quando questa casa non era ancora divisa — disse la madre di Coraline — questa porta conduceva da qualche parte. Quando poi hanno diviso l’edificio in appartamenti, hanno semplicemente deciso di murarla. Dall’altra parte c’è un appartamento libero, ancora in vendita. Richiuse la porta e rimise il mazzo di chiavi sulla cornice della porta di cucina. — Non hai dato i giri con la chiave — osservò Coraline. Sua madre si strinse nelle spaile. — Perché dovrei? — domandò. — Tanto non porta da nessuna parte. Coraline non disse nulla. Ormai era quasi buio e la pioggia continuava a cadere, tamburellando sui vetri delle finestre e offuscando i fari delle macchine che passavano nella strada davanti a casa. Il padre di Coraline smise di lavorare e preparò la cena. Coraline era disgustata. — Papà — disse — un’altra delle tue — Stufato di patate e porri, guarnito con dragoncello e gruviera fusa — ammise suo padre. Coraline sospirò. Quindi andò al freezer e tirò fuori una pizzetta e patatine fritte da riscaldare al microonde. — Lo sai che le ricette non mi piacciono — disse al padre, mentre la sua cena continuava a girare nel forno a microonde e i numeretti rossi sul display facevano il conto alla rovescia per tornare allo zero. — Se lo assaggiassi, magari il mio stufato ti piacerebbe — disse il papà di Coraline. Ma lei fece segno di no con la testa. Quella notte, Coraline giaceva sveglia nel suo letto. Aveva smesso di piovere e lei si era quasi addormentata, quando qualcosa cominciò a fare Qualcosa fece Coraline scese dal letto e guardò verso l’ingresso, ma non notò niente di strano. Percorse tutto il corridoio. Dalla stanza dei genitori proveniva un sommesso russare — suo padre — e un saltuario mormorio nel sonno — sua madre. Coraline si chiese se l’avesse sognato, quel rumore che aveva sentito. Qualcosa si mosse. Poco più che un’ombra, che filò rapidamente in fondo all’ingresso buio, come un piccolo frammento di notte. Si augurò che non fosse un ragno. I ragni mettevano Coraline in uno stato di profonda agitazione. La sagoma nera entrò in salotto e Coraline, con un po’ di nervosismo, le andò dietro. La stanza era buia. L’unica luce veniva dall’ingresso e Coraline, che era ferma sulla soglia della stanza, gettava un’enorme ombra distorta sulla moquette del salotto: sembrava una gigantessa allampanata. Si stava giusto chiedendo se fosse il caso di accendere la luce, quando vide la sagoma nera uscire lentamente da sotto il divano. Si fermò per un istante, poi sfrecciò in silenzio sulla moquette, in direzione dell’angolo più remoto, dove non c’erano mobili. Coraline accese la luce. In quell’angolo non c’era niente. Niente altro che una vecchia porta aperta su un muro di mattoni. Era sicura che sua madre avesse richiuso la porta, che adesso, però, era leggermente aperta. Giusto di uno spiraglio. Coraline si avvicinò e guardò dentro. Non c’era niente, solo un muro di mattoni rossi. Chiuse la vecchia porta di legno, spense la luce e tornò a letto. Sognò sagome nere che strisciavano da una parte all’altra, schivando la luce, fino a concentrarsi tutte insieme sotto la luna. Piccole sagome nere con occhietti rossi e aguzzi denti gialli. Che cominciarono a cantare: Le loro voci erano un sussurro acuto e vagamente lamenroso. E a Coraline misero addosso una grande agitazione. Poi sognò degli spot pubblicitari, e finalmente smise di sognare. |
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