"Il Volo Dell'angelo Di Pietra" - читать интересную книгу автора (O'Connell Carol)1Aveva finalmente smesso di piovere e il cielo era tutto un vorticare d'ali. I falchi pescatori stridevano tuffandosi in cerca di cibo e la donna si chiese se i pesci li sentissero arrivare. Un falco lasciò cadere il pesce sull'erba. Era così intento a dilaniare la preda che non badò alla donna che si avvicinava, sorridendo compiaciuta. La signorina Augusta Trebec era certa che, se si fosse reincarnata, sarebbe tornata sulla terra coperta da un bel manto piumato. Dio non sprecava talenti e lei aveva tutte le caratteristiche di uno spietato uccello predatore. La brezza che proveniva dal fiume le incollava il vestito alle gambe nude. Anche da lontano, gli abitanti di Dayborn avrebbero riconosciuto all'istante la figura alta e slanciata che percorreva a grandi passi l'argine artificiale del Mississippi. Un improvviso spiraglio di luce attraverso le nuvole fece brillare la massa bianca dei suoi capelli, evidenziando le rare ciocche ancora nere. Augusta trasalì per una fitta alla spalla e spostò la borsa della spesa sul fianco opposto, mentre affrontava la ripida discesa di terriccio. Raggiunto il piano, procedette più lenta verso la sua casa, quasi nascosta tra gli alberi. Attraverso il fitto fogliame poteva scorgerne una finestra, scura e rotonda come un occhio. La casa aveva quarantasette stanze ed era in piedi da quasi un secolo e mezzo. Lei si augurava che andasse presto in rovina, sbriciolandosi in una nuvola di polvere. Per questo aveva trascurato totalmente la manutenzione nei cinquant'anni trascorsi dalla morte di suo padre. Sostò davanti al cottage di Henry Roth, una casetta di mattoni rossi dal tetto di ardesia. Il giardino risplendeva di fiori esotici disposti in sgargianti fasce ondulate. Le era sempre piaciuta quella casa, per la struttura semplice e l'utilizzo razionale dello spazio. Se fosse stata sua, avrebbe lasciato che nel giardino crescessero spontanei i fiori di campo. Ma Henry era un artista e non poteva fare a meno di perfezionare la natura. C'era uno sconosciuto sulla soglia del cottage, e nel vialetto d'accesso era parcheggiata una macchina grigia. Sebbene Augusta non si intendesse di automobili, riconobbe il simbolo della Mercedes sul cofano. La targa era nascosta dai cespugli e con essa la provenienza del veicolo e del suo proprietario. Il visitatore di Henry era alto, ben oltre il metro e ottanta, un pezzo d'uomo, visto di spalle. Mentre si allontanava dalla porta, Augusta ne ammirò il profilo: il naso era un vero spettacolo, formidabile, quasi un'arma per importanza e lunghezza. L'uomo si girò e le fu di fronte. Aveva occhi grandi orlati da palpebre pesanti e piccole iridi blu. Pareva il rospo della favola, che, dopo il bacio di una bella fanciulla, non avesse ben completato la trasformazione in principe. Augusta gli andò incontro lungo il vialetto. Lo sconosciuto le rivolse un rispettoso cenno del capo, la versione moderna di un inchino da gentiluomo. Non era giovanissimo, ma non c'erano fili grigi tra i capelli castani che potessero aiutarla a stabilire quanti anni avesse. Gli era abbastanza vicina da notare il tessuto del suo abito con gilet, e dallo spessore della stoffa giudicò che venisse dal Nord, da un autunno più freddo. «Salve» fece lui, con un sorriso strano e seducente. Augusta ricambiò istintivamente il sorriso, ma non appena se ne rese conto richiuse le labbra in un'espressione più dignitosa e meno compromettente. «Henry non sarà di ritorno da New Orleans prima di sera.» «Grazie, ripasserò più tardi.» Le porse un biglietto da visita. La formalità di quel gesto la conquistò. Lui indicò la borsa della spesa. «Posso darle una mano?» A quel che pareva era di buona famiglia, o quantomeno era stato educato come si deve. Dall'accento si sarebbe detto originario della zona nord-orientale del paese. Augusta gli piazzò fra le braccia la spesa, e l'uomo parve stupirsi nel constatarne il peso notevole. Lei sorrise: nella vita aveva portato pesi ben maggiori. Il suo abito di cotone leggero nascondeva un corpo in ottima forma, allenato a camminare e a sopportare la fatica. Studiò il biglietto: «Charles Butler, consulente». E di seguito una serie impressionante di titoli accademici. Il signor Butler le spiegò di aver perso le tracce di un'amica carissima. «Forse lei l'ha vista.» Frugò nella tasca interna della giacca e le allungò una pagina di giornale ripiegata. Augusta spiegò il foglio e si trovò sotto gli occhi la foto un po' sgranata di un angelo di pietra. Era una pagina del «Louisiana Herald» della domenica precedente, parte di un servizio sui giardini famosi lungo la River Road. La didascalia citava l'autore della scultura: Henry Roth, di Dayborn. «Quella statua è stata commissionata all'artista cinque mesi fa» disse l'uomo. «Somiglia talmente alla mia amica che credo abbia posato per lui.» Estrasse dal portafoglio la foto di una giovane donna con capelli biondi e occhi verdi. «È stata qui. Io la conoscevo.» Augusta ripiegò la pagina di giornale e gliela restituì. «Ora non c'è più. È morta all'improvviso.» Nel silenzio che seguì, osservò lo sguardo dell'uomo affollarsi di domande. Lo aveva turbato in modo grave e deliberato, tanto da renderlo incapace di parlare. «Può lasciare qui la macchina.» Si voltò e, dirigendosi verso la strada, gli fece cenno di seguirla. «La mia casa è a due passi, appena attraversato il cimitero.» Lui le andò dietro lento, muovendosi meccanicamente lungo il sentiero fino a raggiungere uno spiazzo coronato da un cerchio d'alberi e costellato di piccole casette, ognuna riservata a un defunto. I tetti delle tombe erano sormontati da croci di pietra o crocefissi in ferro. Le sepolture più modeste erano sigillate da lastre di cemento. Qua e là occhieggiavano mazzi scoloriti di fiori appassiti. Erano lì dal giorno di Ognissanti, lo stesso giorno in cui era arrivata la forestiera e Babe Laurie aveva abbandonato con violenza questo mondo, lasciando una brutta macchia rossa sul ciglio della strada. Lo scricchiolio delle scarpe sulla ghiaia era coperto dall'incessante canto degli uccelli. Augusta decise che il silenzio attonito di Charles Butler era indice di sincerità. Sembrava proprio che avesse detto la verità: era un uomo in cerca di un'amica, evidentemente molto amata. Lo sceriffo non aveva mai ritrovato il corpo. La giovane donna non era sepolta in terreno consacrato, ma la sua morte era certa. Nei racconti della gente, il sangue da lei versato era diventato un fiume. E una bimba era scomparsa, svanita nel nulla. Girando intorno al monumento, Augusta indicò il volto dell'angelo. «Direi che c'è una bella somiglianza. È la donna della foto?» L'espressione dell'uomo, mentre leggeva la data della morte, passò dall'angoscia al sollievo: il decesso risaliva a diciassette anni prima. Eppure non c'erano dubbi, era proprio Mallory. Charles Butler fissava i tratti scolpiti delicatamente, i lunghi occhi obliqui, gli zigomi alti, le labbra piene. Le ali spiegate davano la sconvolgente illusione che la pietra si librasse nell'aria. L'angelo stringeva fra le braccia una bambina. Sentì uno strattone alla manica e abbassò lo sguardo, incontrando i sereni occhi azzurri dell'anziana donna. «È lei l'amica che cercava?» «No. La mia amica era molto piccola quando questa donna è morta.» Augusta indicò la figura adagiata fra le braccia dell'angelo. «Be', quella era la figlia di Cassandra. Scappò, o la portò via qualcuno, non si è mai saputo.» La piccola scolpita nella pietra dimostrava sei o sette anni. L'età corrispondeva. Sì, la bambina era Mallory, adesso ne era certo. Così, dopo tutti quei mesi di ricerche, si ritrovava là dove tutto era cominciato. «Lei ha idea di cosa sia accaduto alla figlia?» «No» rispose Augusta. «I diciassette anni trascorsi tra il giorno della sua scomparsa e quello del suo ritorno in paese sono un mistero per tutti.» «È tornata?» «Tre giorni fa.» «Ed è «Sicuro! E, a detta di chi l'ha vista, è anche in ottima forma.» Charles scrutò gli occhi astuti dell'anziana donna, rendendosi conto solo in quel momento dello scherzo crudele di cui era stato vittima. Le rivolse uno sguardo di rimprovero. «Forse le ho giocato un brutto tiro» disse lei. «Ma sono vecchia. Mi diverto come posso.» Il suo sorriso si allargò lentamente in un ghigno sfacciato. Nonostante gli anni, il volto della donna recava ancora tracce dell'antica, sconvolgente bellezza. Charles tornò indietro nel tempo e la vide giovane, senza rughe e con i capelli corvini. Augusta gli indicò una finestra rotonda che spuntava dagli alberi oltre il cimitero. «Abito là, sulla collina.» «Quale collina?» Nelle sue peregrinazioni lungo la sponda occidentale del Mississippi non aveva ancora visto neppure un'altura. «Secondo la relazione dell'agrimensore governativo la mia casa è situata a tre metri sul livello del mare.» Il tono era aggressivo. «Da queste parti, equivale a una montagna.» Lo prese a braccetto e insieme percorsero il sentiero che usciva dal cimitero. «Dove posso trovare la mia amica? Sa dove alloggia?» «Come no. Tutto il paese lo sa. Ho sentito che si fa chiamare Mallory, ma ignoro se quello sia il nome o il cognome.» «Il suo nome è Kathy, però Mallory è il solo a cui risponde.» Si girò a dare un'altra occhiata all'angelo. E così Mallory aveva finalmente ritrovato la strada di casa. «Allora, tutto quadra!» esclamò la donna, lieta della scoperta. «La figlia di Cass Shelley si chiamava Kathy. Ma lo sceriffo Jessop conosce la sua amica con il solo nome di Mallory. Era inciso all'interno del vecchio orologio da tasca che aveva con sé. Quando vede lo sceriffo, non gli dica nulla di diverso.» «Perché no?» E che cosa c'entrava uno sceriffo con… «Lui non è dalla parte di Kathy. Non gli dica nulla che possa tornargli utile. Oh, ma lei ancora non sa che un tizio di qui è stato ammazzato e che Kathy è stata arrestata subito dopo.» Charles si bloccò di colpo, levando gli occhi al cielo. «Forza, mi racconti tutto. Ma proprio tutto.» A stento riuscì a mantenere un tono cortese. «Presumo che l'omicidio e l'arresto siano collegati, ma non voglio dare nulla per scontato, non con lei. Che cosa è successo?» Augusta prolungò il silenzio, strizzando gli occhi come se stesse leggendo un contratto stampato in caratteri minuscoli. Charles mosse i piedi nervosamente, ma subito ritrovò il controllo e rimase in attesa, con la testa inclinata. «Cosa è successo?» ripeté lei, prima di concedersi un'altra pausa esasperante. «Il giorno in cui Kathy è tornata sono accadute parecchie cose strane. Il vicesceriffo ha rischiato di morire d'infarto. Poi è spuntato il cadavere di Babe Laurie, con la testa sfondata da un sasso. Ma mi perdoni, non sto rispettando l'ordine dei fatti. Per prima cosa, qualcuno ha spezzato le mani all'idiota servendosi di un pianoforte.» « Con una lieve pressione sul braccio, la donna lo indusse a riprendere il cammino. «Be', è abbastanza sicuro che abbia avuto una parte nell'infarto del vicesceriffo. Il suo cuore era malandato. Non ha retto allo spavento. E la sua amica ha spaventato parecchie persone, arrivando a quel modo.» Augusta aggrottò la fronte. «Conta di presentarsi alla prigione e di incontrare Kathy, dico bene?» «Sì.» Gli pareva un buon piano, o almeno un buon punto di partenza. «Lo sceriffo le farà molte domande sul conto dell'indiziata. Se Kathy avesse voluto raccontargli qualcosa, qualunque cosa, lo avrebbe fatto lei stessa, non crede?» Secondo la donna, che finalmente si presentò come Augusta Trebec, Mallory si era rifiutata di aprire bocca. La signorina Trebec l'aveva saputo dalla proprietaria del Jane's Café, che portava i pasti alla detenuta. Da tre giorni Mallory se ne stava seduta sul bordo del letto, fissando il soffitto della cella. Immobile, non diceva una parola. Una o due volte Jane, la proprietaria dell'omonimo caffè, aveva visto Mallory ridacchiare mentre lo sceriffo Jessop dava in escandescenze. «Jane dice che lo sta facendo impazzire. Ma se adesso lei va da Jessop…» «Capisco il problema.» Non voleva creare complicazioni a Mallory né rischiare di rovinarle il divertimento. La signorina Trebec gli disse che le visite alla prigione erano consentite solo al mattino. Inoltre, Charles apprese che Mallory non era accusata di aver spezzato le dita all'idiota. A macchiarsi di quella speciale cattiveria era stato il tizio poi assassinato. Incoraggiante davvero. Imboccarono un viale fiancheggiato da antichi alberi i cui rami più alti formavano una volta verde scuro. Chiazze di sole pomeridiano punteggiavano il terreno. «Sono querce del Sud, Charles aveva visto in passato delle querce centenarie, ma nessuna di dimensioni tanto imponenti. Certo dovevano essere più vecchie di… «Hanno trecento anni, decennio più, decennio meno» spiegò la signorina Trebec. Charles respinse l'idea che gli stesse leggendo nel pensiero. Era impossibile, come era impossibile che ci riuscissero gli amici che regolarmente lo battevano a poker. Era la sua faccia, mobile ed espressiva, a lasciar trapelare tutto quanto gli passasse per la mente, in ogni circostanza. «Significa che le querce furono piantate per una casa precedente?» Lei annuì. «Per iniziativa di un esperto, senza dubbio. Ce ne sono quattordici varietà nell'area qua attorno» e con la mano indicò i boschi circostanti. «La prima casa fu distrutta da un'inondazione e la mia fu costruita sopra le macerie.» «Ecco spiegata la collina.» «Proprio così, signor Butler. È una casa molto solida. Difficile distruggerla.» A giudicare dal tono, la considerava una sfida. A ovest, oltre i tronchi, s'intravedeva una distesa verde che arrivava fino all'argine. Un uccello planò tra le felci. In fondo al viale comparve Casa Trebec. Al pian terreno, le finestre e una porta erano incastonate in una parete di mattoni grigi, sormontata da un'imponente struttura simile a un tempio greco. Otto colonne bianche alte due piani sostenevano il pesante frontone del tetto, nel quale si apriva una finestra rotonda. Il tutto versava in uno stato di evidente trascuratezza. Un denso manto di foglie circondava la casa, allungando robusti tentacoli verdi fin sulle colonne. Due scalinate simmetriche elegantemente ricurve salivano da terra per incontrarsi al piano nobile. In fondo alla veranda si apriva una massiccia porta scolpita. «Le chiamano scale da corteggiamento» spiegò Augusta, indicandole. «Ai tempi di mio nonno, una ragazza non saliva mai davanti a un gentiluomo. E questo per proteggere il giovanotto. Una sola occhiata alle caviglie della fanciulla era sufficiente a rendere il fidanzamento praticamente inevitabile. Con queste scale, invece, uomini e donne potevano salire separatamente.» Charles seguì la padrona di casa in un atrio semibuio, e di lì in una stanza grande e luminosa. «Questa cucina risale soltanto al 1883» continuò la donna. «Quella originale era situata in un edificio separato, là dove adesso ci sono le scuderie.» Con la mano accennò a una finestra attraverso la quale Charles scorse un cavallo in un recinto. Gli piacevano le cucine, e quella era una meraviglia, così piena di sole. Era accessoriata con tutte le comodità del Ventesimo secolo: forno a microonde, lavastoviglie, macinacaffè automatico. Pentole e tegami di rame pendevano dalla mensola di un focolare di pietra grande abbastanza da contenere un bue intero. Su un'ampia tavola coperta da una tovaglia a scacchi campeggiava un blocco aperto sul disegno di un gufo bianco. Accanto c'era un fascio di bozze con alcune correzioni riportate in rosso. Augusta colse la direzione del suo sguardo. «Scrivo monografie sugli uccelli locali.» Charles posò la borsa della spesa sul ripiano e un sibilo attrasse la sua attenzione: in cima al frigorifero un grosso gatto di un giallo rossiccio lo studiava con occhi a fessura. «Avanti, signor Butler, si metta seduto un attimo» lo invitò la signorina Trebec. Rivolgendosi alla donna, Charles fissava l'animale che dall'alto del frigo seguiva ogni sua mossa. «L'uomo che Mallory è accusata di aver ucciso…» «Babe Laurie?» Augusta mise ì barattoli di succo di arancia surgelato nel freezer, spostando la coda del gatto per chiudere lo sportello. Poi azionò la macchina del caffè. « « Mentre preparava le tazze per il caffè, gli raccontò che Babe Laurie aveva iniziato a fare il predicatore itinerante in tenera età. Con gli anni era diventato la figura più rappresentativa e carismatica della New Church, nata tre decenni prima, quando Babe portava i calzoni corti e tutti lo chiamavano ancora Baby. «Non mi scandalizzerei troppo se saltasse fuori che l'ha ammazzato la sua amica. Non piaceva nemmeno a me.» Portò in tavola una zuccheriera e una lattiera appartenenti a due servizi diversi, ciascuna un pezzo da museo dal valore inestimabile. «Alloggerà al Dayborn bed amp; breakfast?» Charles annuì e trasse di tasca il foglio di giornale con la foto dell'angelo di pietra. «Immagino che lo scultore, il signor Roth, conoscesse molto bene Cass Shelley.» «Sì. E conosceva bene anche Kathy. La bambina passava giornate intere nello studio di Henry. Le ho detto che il corpo di Laurie è stato trovato vicino alla vecchia casa degli Shelley?» «Chi è stato a scoprirlo?» «La sua amica. Si è imbattuta nel cadavere di Babe abbandonato sul ciglio della strada, mentre stava riportando in paese il vicesceriffo infartuato. Perché è stata lei a salvare l'inutile vita del vicesceriffo, accompagnandolo al pronto soccorso con la macchina della polizia. Travis è ancora in ospedale, in condizioni critiche.» «Ma se il vicesceriffo era con lei quando Mallory ha trovato il cadavere…» «Il vicesceriffo guidava verso Dayborn quando ha avuto l'infarto… Babe era un po' più indietro, in un tratto di strada che Kathy, procedendo in direzione opposta, aveva già percorso. Avrebbe potuto ucciderlo prima d'incontrare Travis.» A un tratto il gatto balzò sul tavolo, proprio accanto alla mano di Charles. «Poco fa ha detto che Mallory ha riportato in paese la macchina della polizia. Era a piedi?» La donna fece segno di sì. «Era diretta alla sua vecchia casa. È su questo lato del ponte, non troppo distante dalla piazza del paese.» La signorina Trebec gli servì il caffè e finì di riporre la spesa. Quando l'ospite mosse la mano verso la zuccheriera, il gatto soffiò, inarcando la schiena. Evidentemente Charles aveva violato qualche norma del galateo vigente in quella casa. Con cautela allontanò la mano dallo zucchero e la lasciò bene in vista accanto alla tazza. Il gatto si sdraiò, allungando il corpo snello sulla tovaglia quadrettata. Al secondo tentativo di Charles di procurarsi lo zucchero, il gatto tese i muscoli pronto al balzo, per rilassarsi solo quando la mano tornò ubbidiente al suo posto. L'animale lo teneva sotto controllo. Augusta Trebec tornò verso il tavolo. «Non tocchi la gatta. Non le piace la gente. È randagia, cresciuta nei boschi. Quando l'ho trovata, aveva la pelliccia lacerata in più punti e delle piume di gallina in bocca. Capii subito che era una ladra. Sa essere davvero crudele. Pensi che a volte fa le fusa appena prima di attaccare.» Charles scrutò con attenzione gli occhi obliqui del felino. La signorina Trebec rimproverò la gatta, spiegandole che quando c'erano visite non doveva salire sul tavolo. L'animale ci pensò un po' su prima di scendere. Poi sbandierò alta la coda, spiccò un salto e sparì. «Allora, ha pensato a una storia da rifilare allo sceriffo?» Lui scosse il capo. Raccontare frottole non era il suo forte. I suoi rari tentativi di mentire, quasi sempre intrapresi su istigazione di Mallory, si erano sempre rivelati fallimentari. «Non potrebbe portarle un messaggio lei? Dirle che sono qui e che intendo aiutarla?» «Mi spiace deluderla, ma è una pessima idea,» rispose la donna. «Tra me e lo sceriffo Jessop non corre buon sangue. Sono anni che ci punzecchiamo a ogni occasione. Non mi lascerebbe sola con quella ragazza neanche un secondo.» «Devo vedere Mallory, ma non voglio crearle problemi» e indicò il ritaglio di giornale posato sul tavolo: «Lei crede che Henry Roth mi aiuterebbe?». «Ma, signor Butler…» «Mi chiami Charles, la prego.» «Va bene, Charles. E tu mi chiamerai Augusta. Sì, Henry potrebbe aiutarti. Sappi, però, che è muto: portati dietro carta e penna.» «Mio padre era sordomuto. Il signor Roth conosce il linguaggio dei segni?» «Sì. Kathy e sua madre erano le uniche in paese in grado di comunicare con lui in quel modo.» Così Mallory conosceva il linguaggio dei segni. Nell'ultima mezz'ora aveva imparato più cose circa l'infanzia della ragazza di quante il compianto Louis Markowitz, suo vecchio amico e padre adottivo di Kathy, fosse riuscito a scoprire in tanti anni. Per quanto ne sapeva Louis, Mallory era nata a dieci anni nelle strade di New York, dove campava facendo la ladra. Augusta uscì dalla cucina diretta in veranda: aspettava un'ospite e voleva vederla arrivare. Charles la seguì, chiedendosi dove fosse finita la gatta. Poi vide i suoi occhi scintillare nell'ombra di un portaombrelli di porcellana. Era pronta ad attaccare e lo fissava. «Stai attento a non fare uscire la gatta» si raccomandò Augusta passando accanto al portaombrelli. «Non sopporto che la povera bestia si illuda di riuscire a catturare un uccello per cena.» «Credevo che i gatti fossero esperti in quell'arte.» «Se la cava bene con i topi, perché corre più veloce di loro. Gli uccelli, invece, la vedono arrivare e spiccano il volo. Colpa di quel suo pelo fulvo. Sembra un falò che guizza fra l'erba.» Charles assentì. Mallory aveva lo stesso problema: non passava mai inosservata. Chissà dov'era stata durante gli ultimi mesi? Non certo a Dayborn, dove la sua recente apparizione aveva causato un infarto, un ferimento e un assassinio. Charles si stava chiudendo la porta alle spalle quando dallo spiraglio vide la gatta avventarglisi contro, con la bocca semiaperta a mostrare i denti bianchi e aguzzi. |
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