"La città proibita" - читать интересную книгу автора (Brackett Leigh)

13.

Lentamente, Len si rialzò in piedi. La testa gli doleva sordamente, e provava un senso di nausea che lo faceva vacillare, ma il desiderio di allontanarsi da quel luogo era così intenso, così imperioso, che egli costrinse il proprio corpo a camminare, malgrado tutto. Girò intorno al cadavere di Dulinsky, evitando con cura le macchie scure che imbrattavano la polvere in quel punto, e passò davanti al giudice Taylor. Non si parlarono, né si guardarono. Len proseguì, camminando verso Refuge, fino a quando non si trovò a pochi metri dalla piazza, dove c’era un frutteto ai margini della strada, e poi s’incamminò tra i meli, e quando pensò di essere riparato dalla vista di coloro che potevano trovarsi sulla strada, scivolò a sedere sull’erba alta, mise la testa tra le ginocchia, e vomitò. Un gelo terribile era sceso sul suo corpo, che era scosso da un tremito continuo. Aspettò che tutto questo passasse, insieme ai conati di nausea, e poi si alzò nuovamente in piedi, e proseguì, tenendosi a occidente, al riparo degli alberi.

Si udiva un rumore confuso in distanza, verso il fiume. Uno sbuffo di fumo si sollevò lento nell’aria chiara, e poi un altro, e d’un tratto si udì un sordo, tumultuoso rombo, e l’intera riva del fiume parve scoppiare in fiamme, e il fumo salì ribollente, nero e grasso e molto denso, illuminato in basso dalle fiamme che venivano dai barili di pece e dal petrolio delle lampade. Ora le strade del paese erano ingombre di carri e di cavalli e di gente che correva in preda al panico. Qua e là, qualcuno aiutava un ferito. Len li evitò, passando per i vicoli e attraversando i campi periferici. Il fumo diventava sempre più nero e denso, saliva ribollendo nel cielo e nascondeva l’azzurro e trasformava il sole in un livido, minaccioso disco ramato. E ora nel fumo c’erano delle scintille, e pezzi di materia infiammata scagliati verso l’alto. Quando raggiunse un posto più elevato, Len vide che c’erano degli uomini sui tetti di alcune case, e sulla chiesa e sul municipio, uomini che si passavano dei secchi d’acqua per bagnare gli edifici. Di là, poté vedere anche la riva del fiume. Il nuovo magazzino stava bruciando, e anche gli altri quattro che erano stati di proprietà di Dulinsky, ma la distruzione non si era fermata là. C’era un tramestio, uno scuotere di armi e un ondeggiare di piccoli gruppi di uomini, e lungo tutta la linea dei moli e dei magazzini nuovi fuochi si stavano sviluppando.

Sull’altra riva del fiume, Shadwell osservava ma non si muoveva.

Le stalle e le baracche del recinto dei mercanti erano in fiamme, quando Len vi giunse. Nugoli di scintille erano caduti sulle masse di fieno e biada, e altre scintille cominciavano a consumare le tettoie di legno dei ripari. Len corse nella baracca che aveva occupato, e afferrò il suo zaino di tela, e la sua coperta. Quando uscì dalla porta, sentì che stavano arrivando degli uomini, e si rifugiò frettolosamente tra gli alberi che sorgevano da un lato. Le foglie verdi e asciutte si stavano già increspando, e i rami erano scossi da un bizzarro vento malato. Una banda di contadini stava arrivando dal fiume. Si fermarono ai margini del recinto, ansando, guardandosi intorno con occhi brillanti e feroci. Gli stalli adibiti alle vendite all’asta erano ancora intatti, uno dei contadini, un gigante dalla barba rossa, dalle guance infuocate e dalla voce che rombava come un tuono, puntò il braccio in quella direzione, e urlò qualcosa riguardo ai cambiavalute nel Tempio. Tutti mandarono avide grida, come una muta di cani famelici giunti alla tana del procione, e corsero verso la lunga fila di banchi e capannoni, fracassando tutto ciò che si poteva rompere, e ammucchiando i rottami, e appiccando fuoco a ogni cosa con una torcia brandita da uno di essi. Poi essi proseguirono, calpestando e fracassando e incendiando tutto ciò che incontravano sulla loro strada. Len pensò al giudice Taylor, che se ne stava da solo al centro della strada, intento a fissare il cadavere di Dulinsky. Avrebbe avuto molte altre cose da osservare, prima che quella giornata fosse finita.

Proseguì con cautela tra gli alberi, avvicinandosi al fiume, sempre tenendosi al riparo, attraverso un crepuscolo spettrale e sulfureo. L’aria era soffocante per il sentore di bruciato, di pece e legno e olio e pelli. La cenere cadeva, come una neve grigia e bruciante. Poteva sentire la campana del paese che suonava disperatamente a distesa, segnalando l’incendio, ma non poté vedere molto in quella direzione, a causa del fumo e degli alberi. Poi arrivò sulla riva del fiume, in un punto molto distante da quello del nuovo magazzino, e cominciò a percorrere la strada che portava ai moli, guardandosi intorno, cercando Esaù.

Tutta la riva del fiume, per quanto poteva scorgere davanti a lui, era una solida parete di fiamma. Il calore aveva cacciato tutti, e alcuni erano discesi lungo la riva del fiume, oltre il rudere del nuovo magazzino, uomini con gli occhi bianchi e sbarrati nei volti anneriti dalla fuliggine, uomini dalle mani ustionate e dagli abiti strappati e bruciati e lo sguardo pieno di disperazione. Tre o quattro erano curvi su qualcuno che stava disteso sul terreno, gemendo e sussultando, e c’erano altri seduti qua e là, come se si fossero spinti fino a quel punto, e poi si fossero arresi. Quasi tutti, però, si limitavano a stare in piedi a guardare, come impietriti. Un uomo aveva ancora in mano un secchio pieno d’acqua.

Len non vide Esaù tra loro, e cominciò ad avere paura. Si avvicinò a diversi uomini, e chiese loro notizie, ma essi si limitarono a scuotere il capo, o non risposero, tenendo gli occhi fissi sulla scena di distruzione, incapaci di sentire e di vedere altre cose che non fossero le fiamme e la devastazione. Finalmente uno di loro, un impiegato di nome Watts, che era venuto spesso in ufficio per affari, disse, in tono amaro:

«Non preoccupatevi di lui. È salvo più di tutti noi».

«Cosa volete dire?»

«Voglio dire che nessuno l’ha visto da quando è cominciato il disastro. È scappato, lui e la ragazza».

«La ragazza?» domandò Len, sorpreso dal tono di voce di Watts.

«La figlia del giudice Taylor, e chi se non lei? E dov’eravate voi… nascosto in qualche buco, lontano? E dov’è Dulinsky? Credevo che quel figlio di puttana fosse un grande combattente… da come l’avevo sentito vantarsi!»

«Io ero sulla strada a nord,» disse Len. «E Dulinsky è morto. Così penso che abbia combattuto più duramente di tutti quanti voi».

Un uomo che era vicino si era voltato, nell’udire pronunciare il nome di Dulinsky. Sotto la maschera di sporcizia e di fumo, i capelli striati e gli abiti bruciacchiati e laceri, Len impiegò un po’ di tempo prima di riconoscere Ames, il proprietario di magazzini che era venuto al fiume con Dulinsky e con l’altro uomo, quel mattino, per osservare il nuovo magazzino e scuotere il capo quando Dulinsky aveva chiesto di rimanere uniti.

«Morto,» disse. «È morto davvero?»

«Gli hanno sparato. È stato un contadino, un certo Burdette».

«Morto,» disse Ames. «Mi dispiace. Avrebbe dovuto vivere. Avrebbe dovuto vivere abbastanza a lungo per poter essere impiccato». Alzò le braccia, e agitò i pugni, verso le fiamme e il fumo. «Guardate, guardate che cosa ci ha fatto!»

«Non era solo,» disse Watts. «I Colter erano con lui, fin dall’inizio».

«Se anche voi foste rimasti al suo fianco, tutto questo non sarebbe accaduto,» disse Len. «Ve lo aveva chiesto, signor Ames. A voi, e a Whinnery, e a tutti gli altri. L’aveva chiesto all’intero paese. E che cosa è successo? Avete ballato tutti, e lo avete festeggiato e applaudito, la notte scorsa… sì, c’eravate anche voi, Watts, vi ho visto!… e poi non appena si è sentito odore di guai, siete scappati tutti, come conigli. Non c’è stato nessuno, sulla strada a nord, nessuno che abbia alzato un dito! Hanno lasciato a Mike il compito di combattere, e di farsi ammazzare».

Len aveva alzato la voce, parlando in tono duro e aspro, senza neppure rendersi conto di quanto stava facendo. Gli uomini che erano stati abbastanza vicini per sentire si erano avvicinati.

«A me sembra,» disse Ames, «Che, per essere uno straniero, vi stiate interessando maledettamente ai fatti nostri. Perché? Cosa vi fa pensare che spetti a voi tentare di cambiare le cose? Ho lavorato duramente per tutta la vita, e onestamente, per costruire quello che avevo, e poi venite voi, e Dulinsky…».

Si interruppe. Le lacrime gli uscivano dagli occhi, e scendevano sul volto sporco di fuliggine, e la bocca gli tremava, come quella di un bambino.

«Sì,» disse Watts. «Perché? Da dove venite? Chi vi ha mandato, per darvi il diritto di chiamarci vigliacchi perché non abbiamo voluto violare la legge?»

Len si guardò intorno. C’erano degli uomini tutt’intorno a lui, ora. I loro volti erano maschere grottesche di collera e di fumo. Il fumo si innalzava in una nube fuligginosa, e le fiamme rombavano, un suono che pareva il brontolio di un enorme felino, felice perché stava consumando la ricchezza di Refuge. In paese, la campana aveva smesso di suonare.

Qualcuno pronunciò il nome di Bartorstown, e Len cominciò a ridere.

Watts allungò le mani, e lo colpì.

«Buffo, vero? Va bene, da dove venite?»

«Da Piper’s Run. Ci sono nato e cresciuto».

«Perché non ci siete rimasto? Perché siete venuto qui a provocare guai?»

«Mente,» disse un altro uomo. «Certo che viene da Bartorstown! Sono loro che vogliono far tornare le città».

«Non importa,» disse Ames, con voce sorda e minacciosa. «Lui c’era dentro, ha aiutato Dulinsky, c’era dentro fin dall’inizio». Si voltò, e le sua mani si mossero avidamente, come cercando di afferrare qualcosa. «Dovrebbe esserci rimasto un pezzo di corda non bruciata, a Refuge».

Istantaneamente, la gente parve invasata.

«Una corda,» disse qualcuno. «Sì. La troveremo». E un altro disse, «Cercate quell’altro straniero bastardo. Li impiccheremo entrambi allo stesso albero». Alcuni cominciarono a correre lungo la riva del fiume, e gli altri cominciarono a esplorare i cespugli, alla ricerca di Esaù. Watts e altri due afferrarono Len, e lo fecero cadere a terra, tempestandolo con una gragnuola di pugni e di calci. Ames rimase in disparte, e osservò la scena, e il suo sguardo andava alternativamente da Len all’incendio.

Gli uomini ritornarono. Non avevano trovato Esaù, ma avevano trovato una corda, la fune che era servita per ormeggiare una lancia, a poca distanza da quel punto. Watts e gli altri sollevarono Len, costringendolo ad alzarsi in piedi. Uno di essi fece un rozzo nodo scorsoio, e infilò il collo di Len nel cappio. La corda era bagnata. Era vecchia e logora e molle, e odorava di pesce. Len scalciò, violentemente, e riuscì a liberare le braccia. Lo presero di nuovo, e lo trascinarono e lo spinsero verso gli alberi, una massa confusa e compatta di uomini che avanzava disordinatamente, in impeti improvvisi di movimento, con Len che si dibatteva al centro, usando tutte le sue armi, i pugni, i calci, le ginocchia e i gomiti, tentando di liberarsi. E pur nella confusione del momento, pur nel cuore della lotta, egli si rendeva conto confusamento, con quell’istintiva, bizzarra consapevolezza che prendeva gli uomini vicini alla morte, di non combattere contro degli uomini, ma contro il vasto, spaurito, ottuso continente, da un mare all’altro, e da nord a sud, milioni di case e di persone e di campi e di villaggi, che dormivano tutti comodamente, al sicuro, e non volevano essere disturbati. La corda era fredda, e gli graffiava il collo, e lui aveva paura, e capiva di non poter lottare contro le idee, contro le convinzioni e contro il modo di vivere di cui quegli uomini rappresentavano soltanto una minuscola, trascurabile parte.

Era stordito, confuso, per il pestaggio violento ricevuto, e per il colpo alla testa ricevuto sulla strada a nord, e per gli stivali che avevano calpestato il suo corpo, e così non riuscì a capire con esattezza quanto stesse accadendo: solo che, a un certo punto, gli parve che ci fossero molti più uomini, molti più corpi intorno a lui, un più violento, ondeggiante tumulto. Venne gettato da una parte, rudemente. Le mani che lo avevano tenuto stretto avevano apparentemente lasciato la presa. Urtò un tronco d’albero, e scivolò lungo di esso, cadendo a sedere sul terreno. C’era un volto, sopra di lui. Aveva gli occhi azzurri e una barba color sabbia, con due ampie fasce grige, una a ciascun lato della bocca. Disse a quel volto:

«Se non foste in tanti, potrei uccidervi tutti».

E il volto gli rispose:

«Tu non vuoi uccidere me, Len. Avanti, ragazzo, alzati».

Gli occhi di Len si riempirono improvvisamente di lacrime.

«Signor Hostetter,» disse. «Signor Hostetter». Alzò le braccia e si aggrappò a lui, e gli parve di essere ritornato indietro, a un’altra ora di oscurità e di terrore, e Hostetter lo fece alzare in piedi vigorosamente, e gli tolse la corda dal collo,

«Corri,» gli disse. «Corri come il diavolo».

Len si mise a correre. Era confuso, smarrito, eppure si mise a correre. C’erano diversi altri uomini insieme a Hostetter, e dovevano avere caricato duramente la massa della gente di Refuge, con i pali e i ramponi delle loro barche, perché gli uomini di Refuge erano stati dispersi. Ma essi non intendevano lasciar scappare Len senza combattere, e l’intervento di Hostetter e dei suoi uomini li aveva convinti di avere visto giusto, parlando di un complotto della gente di Bartorstown. Ora erano decisi a mettere le mani anche su Hostetter, e gridavano, e imprecavano, si radunavano di nuovo e cercavano tutto quello che si poteva usare come un’arma, sassi, rami caduti, pezzi di terra. Len vacillò, barcollò, durante la corsa, e Hostetter gli mise una mano sotto il braccio, e lo sorresse.

«La barca ci aspetta,» disse. «Più in giù».

Degli oggetti cominciarono a volare nell’aria, intorno a loro. Una pietra colpì alla schiena Hostetter, ed egli incassò la testa tra le spalle, abbassando il cappello dalla larga tesa, come un lottatore. Entrarono in un’alta macchia d’alberi, e sbucarono dall’altra parte, e poi Len parve immobilizzarsi, s’irrigidì, pur continuando a correre.

«Esaù!» gridò. «Non possiamo andarcene senza Esaù».

«È già a bordo,» disse Hostetter. «Avanti, non rallentare!»

Continuarono a correre, attraverso il pendio di un pascolo che declinava fin quasi sul ciglio dell’acqua, e le mucche si dispersero lentamente, con le code in aria, impassibili, imperturbabili, nel loro angolo sicuro. In fondo al declivio c’era un’altra macchia d’alberi, che cresceva direttamente sulla riva, e nascosta tra di essi c’era una grossa barca a vapore. Sulla coperta c’erano due uomini armati di grandi asce, pronti a tagliare le gomene. Il fumo cominciò a sbuffare più forte dalla ciminiera solitaria, come se un fuoco già pronto fosse stato improvvisamente attizzato con violenza. Len vide Esaù, che si sporgeva dalla murata, e c’era qualcuno accanto a lui, una persona dai capelli biondi e dalla lunga gonna.

C’era una tavola che andava dalla riva alla murata. La percorsero, e furono sul ponte, e Hostetter gridò un ordine agli uomini che brandivano le asce. I sassi avevano ripreso a volare nell’aria, ed Esaù afferrò Amity e la trascinò dall’altra parte, al riparo della cabina. Le asce saettarono. Si udirono altre grida, e gli uomini di Refuge, guidati da Watts, e da altri due, corsero verso la plancia. Len non vide Ames tra loro. Le gomene furono recise, e caddero serpentine nell’acqua. Hostetter, Len, e altri uomini, presero dei lunghi pali, e cominciarono a spingere con forza, appoggiandoli alla riva. La plancia cadde in acqua, insieme a Watts e agli altri due uomini che vi erano sopra. Ci fu un brontolio e uno sferragliare, sotto coperta, il ponte parve tremare, e delle scintille cominciarono a uscire dal fumaiolo. La barca cominciò a muoversi nella corrente. Watts era immerso fino alla cintola nell’acqua fangosa, e li minacciava agitando i pugni, un uomo che non aveva combattuto per salvare il proprio paese, ma che era disposto a tutto per vendicare i suoi rancori.

«Ora vi conosciamo!» gridò, e la sua voce giunse sottile, per la distanza che ormai li separava. «Non ve la caverete!»

Gli uomini che si ammassavano sulla riva, dietro di lui, gridarono a loro volta. Le loro voci si fecero più deboli, ma la nota d’odio rimase, insieme alla minaccia dei loro gesti. Len si volse a guardare in direzione di Refuge. Ormai erano quasi al centro del fiume, e lui poteva vedere oltre la riva. Il fumo nascondeva quasi completamente il paese, ma quello che vedeva era sufficiente. Ciò che i contadini di Burdette avevano risparmiato, ora veniva reclamato imperiosamente dall’incendio che si allargava.

Len scivolò a sedere sul ponte umido, con la schiena appoggiata alla cabina. Mise le braccia intorno alle ginocchia, e vi appoggiò la testa, e provò un desiderio irresistibile di piangere, di piangere come un bambino, ma era troppo stanco anche per fare questo. Rimase seduto là, semplicemente, cercando di rendere la sua mente vuota come tutto il resto del suo corpo in quel momento. Ma non poteva farlo, e nella sua mente continuava a vedere Dulinsky fermarsi di botto, e cadere lentamente in ginocchio nella polvere calda della strada di settentrione, e sentiva l’odore di un grande incendio, e nelle sue orecchie risuonava la voce aspra di Burdette, che diceva:

«Non ci saranno città in mezzo a noi!»

Era molto strano, vedere quelle cose, sentirle, in un succedersi monotono che non lasciava spazio ad altri pensieri, ad altri sentimenti, ad altre cose.

Dopo qualche tempo, si accorse che c’era qualcuno in piedi, davanti a lui. Sollevò il capo, e vide Hostetter, che teneva il cappello in mano e si asciugava stancamente la fronte con la manica della giacca.

«Ebbene, ragazzo,» disse, «Sei riuscito a soddisfare il tuo desiderio. Andiamo a Bartorstown».