"Guerra al grande nulla" - читать интересную книгу автора (Blish James)

CAPITOLO TERZO

(Una voce): - Cleaver? Cleaver! Sveglia, pigrone. Cleaver! Cosa diavolo avete combitato in tutto questo tempo?

Cleaver emise un gemito e tentò di voltarsi. Al suo primo movimento, il mondo cominciò a dondolare in modo lento, nauseante. Ardeva dalla febbre. Gli pareva di avere la bocca piena di pece rovente.

— Cleaver, svegliati! Sono io, Agronski. Dov’è il Padre? Ma che cosa è successo? Perché non abbiamo più avuto vostre notizie? Attento, stai per…

L’avvertimento arrivò troppo tardi e, del resto, Cleaver non avrebbe potuto capirlo. Aveva dormito profondamente e non aveva nessuna idea della sua posizione nello spazio e nel tempo. Al movimento convulso che egli aveva fatto per sottrarsi a quella voce che gli trafiggeva l’udito, l’amaca aveva descritto un arco di 90 gradi, scodellandolo sul pavimento.

Colpì il suolo con violenza, e si prese la maggior parte del colpo sulla spalla sinistra, ma fu molto se Cleaver si accorse di qualche cosa. I suoi piedi, che non facevano ancora parte integrante del corpo, rimasero in aria, impigliati nelle maglie dell’amaca.

— Ma che diavolo?…

Udì uno scalpiccio breve, simile a un rumore di gusci di noce che cadessero su di un tetto, e poi il tonfo di qualcosa che colpiva il pavimento accanto alla sua testa.

— Cleaver, stai male? Resta fermo per un momento, giusto il tempo di liberarti i piedi. Mike… puoi accendere la luce, per favore? C’è qualcosa che non va in questa casa.

Un istante dopo, i muri si misero a brillare d’una luce giallastra, che fu in breve sostituita dalla luce bianca e cruda delle reticelle. Cleaver si coprì gli occhi con un braccio, ma inutilmente: era troppo faticoso. Il volto grassoccio e ansioso di Agronski comparve librandosi direttamente su di lui, come un pallone frenato. Cleaver non riuscì a vedere Michelis, e in quel momento la cosa non gli dispiacque. La presenza di Agronski era già abbastanza difficile a capirsi.

— Si può… sapere… che accidente… — cominciò, ma in quel momento sentì che le labbra gli si screpolavano dolorosamente agli angoli, come se fossero state incollate insieme mentre dormiva. Non aveva alcuna idea del tempo che era trascorso.

Agronski parve capire la domanda incompiuta.

— Siamo venuti dai Laghi in elicottero — disse. — Eravamo preoccupati del vostro silenzio, e abbiamo pensato che sarebbe stato meglio rientrare coi nostri mezzi, piuttosto che tornare con uno dei voli delle linee regolari, mettendo così sull’avviso i Lithiani… nel caso che qui fosse accaduto qualcosa di spiacevole.

— Piantala di frastornarlo — intervenne Michelis, apparendo improvvisamente, sulla soglia. — Lo vedi anche tu, che si è preso una malattia. Non mi piace rallegrarmi dei mali altrui, ma preferisco questo che l’ipotesi dei Lithiani.

Il chimico, alto e dal mento sporgente, aiutò Agronski a rimettere in piedi Cleaver. Questi tentò, malgrado il dolore, di aprire la bocca. Non ne uscì che una specie di gracidio roco.

— Non parlare — gli disse Michelis, con dolcezza. — Rimettiamo nell’amaca. Vorrei sapere dove è andato a finire il Padre. È il solo, qui, che possa occuparsi di un malato.

— Scommetto che è morto — esclamò Agronski con uno scoppio di voce, un’espressione di allarme sul volto. — Sarebbe qui di sicuro, se potesse. Deve essere un male contagioso, Mike.

— Peccato, non ho portato i miei guanti sterilizzati — disse Michelis seccamente. — Cerca di stare fermo, Cleaver, o ti prendo a scapaccioni. Agronski, hai fatto cadere la sua bottiglia d’acqua, farai bene ad andare a prendergliene un’altra perché ne ha bisogno. E guarda se il Padre non ha lasciato per caso nel laboratorio qualcosa che assomigli a una medicina.

Agronski uscì dal campo visivo di Cleaver e, con sua grande esasperazione, Michelis fece altrettanto. Irrigidendo tutti i suoi muscoli contro il dolore, Cleaver dischiuse le labbra ancora una volta:

— Mike…

Subito, Michelis ricomparve. Teneva tra pollice e indice un batuffolo di cotone, umido di qualche soluzione, e con questo pulì delicatamente labbra e mento di Cleaver.

— Non ti agitare. Agronski è andato a prenderti da bere. Tra poco potrai parlare. Non avere fretta.

Cleaver si rilassò un poco. Lui aveva fiducia in Michelis, ma essere costretto a lasciarsi curare come un bambino era più di quanto potesse sopportare, e due lagrime di rabbia impotente gli scorsero lentamente sulle guance. Michelis gliele asciugò con un gesto rapido, quasi distratto.

Agronski ritornò portando alcune pillole nel palmo della mano.

— Ho trovato queste — disse. — Ce ne sono delle altre in laboratorio e la pressa per pillole del Padre è ancora fuori. Ci sono anche il mortaio e il pestello, ma sono stati puliti.

— Va bene, proviamo con queste — disse Michelis. — Hai visto nient’altro?

— No. C’è però una siringa a bollire nello sterilizzatore, se ciò può rivelarti qualcosa.

Michelis sbottò in un’imprecazione breve e concisa.

— Può rivelarmi che ci deve essere la giusta antitossina in qualche angolo di questa baracca — aggiunse. — Ma, a meno che Ramon non abbia lasciato delle istruzioni, non sarà facile trovare quale sia.

Parlando, sollevò la testa di Cleaver e gli introdusse le pastiglie in bocca, sulla lingua. L’acqua che seguì le pillole era fredda al primo contatto, ma una frazione di secondo più tardi fu come fuoco liquido. Cleaver boccheggiò, e nello stesso tempo Michelis gli strinse le narici. Le pillole furono inghiottite d’un colpo.

— Nessuna traccia del Padre?

— No, nessuna, Mike. Tutto è in ordine e il suo corredo è al suo posto. Le due tute da giungla sono nell’armadio.

— Forse è andato da qualcuno — disse Michelis con aria pensosa. — Chissà quanti Lithiani ha fatto in tempo a conoscere ormai. Li aveva in simpatia.

— Con un malato da curare? No, non è da lui, Mike. Ma forse è semplicemente uscito per qualche commissione, contando di rientrare al più presto…

— Sì, e l’hanno mangiato gli orchi, perché si è dimenticato di battere per tre volte il piede in terra prima di attraversare un ponte.

— Bravo, bravo: scherzaci sopra…

— No, credimi, non sto affatto scherzando. È proprio il tipo di stupidaggine che può causare la morte di un individuo in una cultura diversa dalla sua. Però non riesco a immaginare che una cosa simile succeda proprio a Ramon.

— Mike…

Michelis fece un passo e si chinò su Cleaver. Il suo volto, visto dal malato attraverso un velo di lacrime, pareva galleggiare alla deriva, staccato da tutto. Disse:

— Bene, Paul, raccontaci che cosa è successo. Ti stiamo ascoltando.

Ma era troppo tardi. La doppia dose di sedativo aveva sopraffatto Cleaver. Poté soltanto scuotere il capo, e quel movimento fece allontanare il volto di Michelis in un turbine di aloni iridati.


Ma, fatto strano, non si addormentò del tutto. Aveva già avuto quasi una normale notte di sonno, e cominciava la giornata in forza e salute. La conversazione degli altri due membri del Comitato e l’ossessiva consapevolezza della sua necessità di parlare loro prima che Ruiz-Sanchez ritornasse, contribuivano a mantenerlo, se non sveglio del tutto, almeno in uno stato di leggera trance. Inoltre, la presenza nel suo organismo di trenta grani di acido acetilsalicilico aveva notevolmente aumentato il suo consumo di ossigeno, cosa che determinava in lui non soltanto una sensazione di vertigine, ma anche una specie di precaria eccitazione emotiva. Il fatto che il combustibile che veniva bruciato per conservare quello stato di eccitazione fosse in parte il substrato proteico delle sue stesse cellule gli era ignoto, ma se anche lo avesse saputo la cosa non l’avrebbe certamente allarmato, nello stato in cui era.

Le voci continuavano a giungergli, e ad esse erano frammisti brandelli di sogni, così vicini alla superficie della sua coscienza da parere stranamente reali e nello stesso tempo assurdi e deprimenti. Negli intervalli semicoscienti egli faceva enormi quantità di progetti, tutti semplici e grandiosi a un tempo, per assumere il comando della spedizione, per comunicare con le autorità terrestri, per consegnare documenti segreti comprovanti che Lithia era inabitabile, per scavare una galleria sotto il Messico fino al Perù, per fare esplodere Lithia mediante una sola possente fusione di tutti i suoi atomi leggeri in un solo ed unico atomo di Cleaverium, l’elemento originario da cui era nato l’universo e il cui simbolo era alpha con zero…

Agronski: — Mike, vieni qui a vedere, tu che sai leggere il lithiano. Ci sono dei simboli sulla tavoletta dei messaggi, presso la porta.

(Dei passi.)

Michelis: — Dice che in questa casa c’è un malato. I segni non sono così disinvolti e abili da essere stati fatti da. un indigeno. Gli ideogrammi sono difficili a tracciarsi rapidamente, se non si ha molta pratica. Deve essere stato Ramon a scriverli.

Agronski: — Se almeno potessimo sapere dove è andato. Strano che non abbiamo visto il messaggio quando siamo arrivati.

Michelis: — Non ci vedo nulla di strano. Era buio, e non lo cercavamo.

(Passi. La porta che si chiude, senza sbattere. Rumore di passi. Scricchiolio di sedili.)

Agroski: — Be’, bisognerà cominciare a pensare al nostro rapporto. A meno che queste maledette giornate di venti ore non mi abbiano confuso del tutto, la nostra permanenza qui volge alla fine. Sei sempre dell’opinione di aprire il pianeta?

Michelis: — Sì. Non ho ancora visto nulla per convincermi che ci sia su Lithia il minimo pericolo per noi. Eccettuato forse la malattia di Cleaver, ma non credo che il Padre lo avrebbe lasciato solo, se fosse veramente grave. E non vedo come i terrestri potrebbero nuocere a questa società lithiana: troppo stabile, economicamente, emotivamente e sotto ogni altro aspetto.

(«Pericolo, pericolo» diceva qualcuno nel sogno di Cleaver. «Esploderà. È tutto un complotto clericale.» Poi tornò parzialmente desto, e si accorse di quanto gli facesse male la bocca.)

Agronski: — Secondo te, perché questi due buffoni non ci hanno mai chiamato?

Michelis: — Non ne ho la minima idea. E non voglio farmela se non quando avremo parlato con Ramon. O quando Paul non sia in grado di mettersi a sedere e di accorgersi della nostra presenza.

Agronski: — Non mi piace l’aria che tira, Mike. Questa città si trova esattamente nel cuore della rete di comunicazione di tutto il pianeta: è proprio per questo che l’abbiamo scelta, per tutti i diavoli! E ciò nonostante, nemmeno una parola, Cleaver malato, il Padre scomparso… Il fatto è che ci sono un mucchio di cose che non sappiamo ancora di Lithia, questo è quanto.

Michelis: — Anche del Brasile centrale c’è un mucchio di cose che tuttora non sappiamo, per non parlare di Marte o della Luna.

Agronski: — Nulla d’essenziale, Mike. Quello che sappiamo della periferia del Brasile ci dà tutte le informazioni che ci occorrono sull’interno… perfino informazioni sui pesci che mangiano la gente, come diavolo si chiamato, i pirana. Ma per Lithia è diverso. Non sappiamo se le informazioni periferiche che possediamo siano pertinenti, o se si tratti di osservazioni accidentali. Qualche cosa di enorme potrebbe essere nascosto sotto la superficie, senza che noi si possa scoprirlo.

Michelis: — Agronski, piantala di parlare come il supplemento domenicale di un quotidiano. Sottovaluti la tua stessa intelligenza. Quale specie di enorme segreto potrebbe esserci? Che i Lithiani sono antropofagi? Che sono capi di bestiame riservato ai pasti di divinità ignote, viventi nella giungla? O che siano invece super-esseri sotto mentite spoglie, capaci di far compiere voltafaccia alle anime, lavare i cervelli, fermare i cuori, congelare il sangue, strappare le viscere? Nello stesso istante in cui tenti di dare corpo a un’ipotesi del genere, non puoi fare a meno di respingerla in quanto assurda: è una paura che può allarmarti soltanto in astratto. Non c’è bisogno neppure di esaminarla, né di studiare un piano per affrontarla se dovesse risultare vera.

Agronski: — D’accordo, ma per il momento preferisco lasciare in sospeso il mio giudizio. Se risulterà che tutto è a posto, qui, e intendo alludere a Cleaver e al Padre, probabilmente mi schiererò dalla tua parte. Non ho nessuna ragione valida per votare contro questo pianeta, lo ammetto.

Michelis: — Meglio così. Sono certo che Ramon è favorevole all’apertura del pianeta, così che il nostro voto sarà unanime. Non vedo quali obiezioni potrebbe sollevare Cleaver.

(Cleaver stava testimoniando davanti a un tribunale riunito nella sala dell’Assemblea Generale dell’ONU a New York, con un dito puntato drammaticamente, ma con più rammarico che trionfo, su Ramon Ruiz-Sanchez, della Compagnia di Gesù. Al suono del suo nome, il sogno svanì ed egli si accorse che c’era un po’ più di luce nella stanza. L’alba, o per meglio dire il succedaneo umido e grigiastro che ne faceva le veci su Lithia, stava sorgendo. Si chiese che cosa avesse potuto dire alla corte dell’ONU. I suoi argomenti erano stati decisivi e convincenti, abbastanza buoni da poter venire usati anche da sveglio; ma non riusciva a ricordarne una sola parola. Gliene restava soltanto una sensazione, quasi il gusto delle parole, ma nulla della loro sostanza.)

Agronski: — Si sta facendo giorno. Faremmo meglio a piantarla lì.

Michelis: — Hai assicurato l’elicottero? Mi par di ricordare che il vento, qui, è molto più forte che non sia nel nord.

Agronski: — Sì, e l’ho anche riparato sotto il copertone. Non ci resta altro che appendere le nostre amache…

(Un suono.)

Michelis: — Sssh! Che cos’è stato?

Agronski: — Eh?

Michelis: — Ascolta.

(Dei passi. Fiochi, ma Cleaver li conosceva. Costrinse i suoi occhi a restare aperti, ma non c’era altro da vedere che il soffitto. Il suo colore uguale e la movenza dolce in cui s’incurvava a formare una cupola di nulla, lo fecero subito, una volta ancora, sprofondare nelle nebbie del trance.)

Agronski: — Sta venendo qualcuno.

(Uno scalpiccio.)

Agronski: — È il Padre. Mike, guarda di qua, lo vedrai subito. Ha l’aria normale. Trascina un po’ i piedi, forse, ma chi non lo farebbe, dopo aver passato tutta una notte fuori di casa a far bisboccia?

Michelis: — Forse sarà meglio andargli incontro sulla porta, piuttosto che saltargli addosso dopo che sia entrato. Dopo tutto, non ci aspetta. Penserò io alle amache.

Agronski: — Hai ragione, Mike.

(Dei passi che si allontanano da Cleaver. Un rumore di pietra che sfiora pietra: la ruota della porta che gira.)

Agronski: — Ben tornato, Padre! Siamo appena arrivati e… Gran Dio, che cosa è successo? Siete ammalato anche voi, Padre? C’è forse qualche cosa che… Mike, Mike! Vieni a darmi una mano…

(Qualcuno stava correndo. Cleaver ordinò ai muscoli del collo di sollevare la testa, ma essi rifiutarono di obbedire. La sua nuca sembrava voler sprofondare sempre di più nel duro cuscino dell’amaca. Dopo una breve agonia senza fine, gridò:)

Cleaver: — Mike!

Agronski: — Mike!

(Con un sospiro rantolante, Cleaver, infine, perse la sua lunga battaglia. Si era addormentato.)