"Il mondo delle streghe" - читать интересную книгу автора (Norton Andre)Capitolo secondo NaufragioLe circostanze su cui Loyse aveva contato per trovare la libertà si volsero contro di lei nei giorni seguenti. Infatti, anche se Yvian di Karsten non venne personalmente a Verlaine per vedere la sposa che aveva scelto e l’eredità che lei gli avrebbe portato, inviò un seguito adeguato per farle onore. Loyse venne chiamata ad assistere all’arrivo, e sotto la maschera d’impassibilità ribolliva d’impazienza e di disperazione crescente. Alla fine, puntò tutte le sue speranze sul banchetto nuziale, perché senza dubbio in quell’occasione i fumi del vino avrebbero annebbiato la mente di tutti, nel forte. Fulk teneva a far colpo sui cortigiani del Duca con la sua prodigalità. Avrebbe fornito i tesori liquidi della sua signoria, e quella sarebbe stata l’occasione migliore per la realizzazione dei piani di Loyse. Ma prima scoppiò la tempesta: una furia di vento e di onde quale Loyse non aveva mai visto, sebbene conoscesse quella costa fin dalla nascita. Gli spruzzi erano così alti da investire le finestre della sua stanza. Bettris e l’ancella che Fulk aveva mandato per aiutarla a preparare gli abiti tremavano ogni volta che il pugno del vento scuoteva le pietre della mura. Bettris si alzò, lasciando cadere sul pavimento un rotolo di splendida seta verde e spalancando gli occhi scuri. Mosse le dita e tracciò il sacro segno imparato nell’infanzia, nel suo villaggio dimenticato. «Una tempesta stregata,» disse con un filo di voce, sopraffatto dall’urlo della bufera. Loyse udì solo un mormorio. «Non siamo ad Estcarp.» Loyse accostò un pezzo di merletto al raso e l’imbastì. «Noi non abbiamo potere sul vento e sulle onde, e quelli di Estcarp non ne lasciano i confini. È una tempesta, ecco tutto. E se vuoi far piacere al Nobile Fulk, non devi tremare ad ogni mareggiata, perché sono piuttosto frequenti, a Verlaine. Come credi,» chiese, soffermandosi per infilare un ago, «che sia stato acquisito il nostro tesoro?» Bettris si voltò verso di lei, con le labbra tirate sui dentini affilati in un ghigno da volpe. «Io sono nata sulla costa, e ho visto molte tempeste. Sì, dopo andavo sulla spiaggia con i raccoglitori. Ed è più di quanto tu ti sia mai degnata di fare, mia signora! Ma non ho mai visto una tempesta simile, e non ne ho mai sentita descrivere una eguale in tutta la mia vita! C’è il male, in essa, ti dico… un grande male!» «È male per coloro che devono affidarsi alle onde.» Loyse posò il suo lavoro. Si accostò alla finestra; ma non scorse nulla oltre le trine di spuma che nascondevano la semioscurità del giorno. L’ancella non fingeva neppure di lavorare. Si era rannicchiata accanto al focolare dove il corallo marino bruciava convulsamente, e si dondolava avanti e indietro, premendosi le mani sul petto come per placare un dolore. Loyse le andò vicino. Provava poca pietà e poco interesse per le donne del castello… da Bettris alle sguattere. Ora, controvoglia, chiese: «Stai male, ragazza?» La ragazza era più linda di quanto lo fossero di solito le sue pari. Forse le era stato ordinato di pulirsi, prima di presentarsi a lei. Ma quando alzò la testa, il suo viso attirò l’attenzione della figlia di Fulk. Non era una ragazza di villaggio, una contadinella trascinata nella fortezza per il piacere d’un cortigiano e poi rimasta a fare la sguattera. Il suo volto era la maschera d’una paura che da tanto tempo era parte di lei da averla modellata come un vasaio modella l’argilla. Eppure, sotto la paura, c’era qualcosa d’altro. Bettris rise con voce stridula. «Non è il mal di pancia che la divora, solo il ricordo. Anche lei è stata gettata a terra dal mare. Non è così, sguattera?» Colpì con la morbida scarpa di pelle il fianco della ragazza, e per poco non la fece cadere nel fuoco. «Lasciala in pace!» Per la prima volta, Loyse lasciò balenare la sua fiamma interiore. Si era sempre tenuta lontano dalla spiaggia, dopo le tempeste, perché non poteva far nulla per contrastare il dominio di Fulk, e non voleva vedere cose che non avrebbe più potuto dimenticare. Bettris si agitò, a disagio. Di fronte a Loyse si sentiva sempre incerta, e non osò risponderle. «Caccia via quell’idiota. Non lavorerà finché infuria la tempesta… e neppure dopo, per un po’. È un peccato, perché è esperta nell’uso dell’ago, altrimenti già da molto tempo sarebbe finita a ingrassare le anguille.» Loyse si accostò al grande letto su cui era stata già stesa molta della sua roba. C’era uno scialle, piuttosto semplice tra le sete fulgide e le stoffe preziose. Lo prese e lo portò accanto al camino, lo gettò sulle spalle dell’ancella tremante. Senza badare allo sbalordimento di Bettris, s’inginocchiò, posò le mani sulle mani della ragazza e, guardando quel volto teso, si sforzò di far dimenticare ad entrambe le truci usanze di Verlaine che, in modi diversi, le avevano profondamente cambiate. Bettris le tirò la manica. «Come osi?» scattò Loyse. L’altra non cedette, con un sogghigno ironico sulle labbra carnose. «Si sta facendo tardi, signora. Il Nobile Fulk sarebbe contento di sapere che ti occupi di questa sguattera mentre lui s’incontra con i dignitari del Duca per la firma del contratto nuziale? Devo dirgli perché non vuoi venire?» Loyse la guardò freddamente. «Farò il volere del mio signore in questo, come in altre cose, ragazza. Non pensare di dar lezione a Lasciò con riluttanza le mani dell’ancella, e le disse: «Rimani qui. Nessuno ti verrà vicino. Capisci? Nessuno!» L’altra aveva capito? Aveva ripreso a dondolarsi avanti e indietro, straziata dall’antica sofferenza impressa nella sua mente offuscata, anche dopo che le cicatrici erano svanite dal suo corpo. «Non c’è bisogno che tu mi vesta.» Loyse si rivolse a Bettris, e l’altra arrossì. Non era capace di tenerle testa, e lo sapeva. «Ti sarebbe utile conoscere un po’ gli incantesimi noti a tutte le donne, signora,» rispose bruscamente. «Potrei insegnarti ad indurre un uomo a voltarsi al tuo passaggio. Se mettessi solo un poco di tinta scura sulle ciglia e le sopracciglia, e un po’ di pomata rosa sulle labbra…» Aveva dimenticato l’irritazione: il suo istinto creativo riprese il sopravvento. Scrutò Loyse con aria critica, impersonalmente, e la fanciulla si sorprese ad ascoltarla, nonostante il disprezzo che provava per Bettris e tutto ciò che rappresentava. «Sì, se tu volessi ascoltarmi, signora, forse riusciresti a distogliere gli occhi del tuo signore da quella Aldis per il tempo necessario ad accorgersi di te. E vi sono anche altri modi per incantare un uomo.» Si passò sulle labbra la punta della lingua. «Posso insegnarti molte cose, signora: e sarebbero armi molto utili, per te.» Si fece più vicina: la luce dei lampi si rifletteva nei suoi occhi. «Yvian mi ha chiesta così come sono,» rispose Loyse, respingendo l’offerta di Bettris e tutto ciò che Bettris rappresentava. «Quindi dovrà accontentarsi di quel che avrà!» E questo è vero più di quanto tu possa immaginare, aggiunse tra sé. Bettris scrollò le spalle. «Si tratta della tua vita, signora. E prima che finisca, scoprirai che non puoi piegarla al tuo volere.» «Ho mai potuto farlo?» chiese sottovoce Loyse. «E adesso vai. Come hai detto, si fa tardi, ed io ho molto da fare.» Assistette alle cerimonie della firma del contratto con l’abituale, tranquilla rassegnazione. Gli uomini che il Duca aveva inviato per condurre la sposa a Kersten erano tre tipi molto diversi, e lei li studiò con interesse. Hunold era stato compagno di Yvian ai tempi in cui il Duca era un mercenario. Aveva una reputazione, come soldato, che era giunta persino in una località isolata come Verlaine. Stranamente, il suo aspetto non si accordava con la sua fama e con la sua occupazione. Loyse si era aspettata di vedere un uomo simile al siniscalco di suo padre — forse un po’ più raffinato — ma si trovò davanti ad un cortigiano affettato, languido, abbigliato di sete, che sembrava non aver mai sentito sulle spalle il peso di un usbergo. Il mento arrotondato, gli occhi dalle lunghe ciglia, le guance lisce gli conferivano un ingannevole aspetto giovanile ed un’aria quasi tenera. E Loyse, cercando di confrontare quell’uomo con ciò che aveva sentito raccontare sul suo conto, provò un senso di paura. Siric, che rappresentava il Tempio della Fortuna, e che l’indomani avrebbe pronunciato le parole rituali mentre lei posava le mani sull’ascia di guerra, facendola sposa di Yvian come se fosse stato lo stesso Duca a stringerla, era vecchio. Aveva il volto rubizzo, e sulla sua fronte bassa pulsava una vena azzurra. Mentre ascoltava o parlava con mormorii sommessi, masticava continuamente minuscoli dolciumi, pescandoli in una scatola che il suo servitore gli teneva sempre a portata di mano; e la gialla veste sacerdotale si tendeva su una pancia di proporzioni notevoli. Il Nobile Duarte apparteneva all’antica nobiltà. Ma, a sua volta, non sembrava molto in armonia con il suo ruolo. Piccolo e magro, con un tic che gli faceva fremere il labbro inferiore e l’aria turbata di un uomo costretto a svolgere una missione che detestava, parlava solo quando veniva interrogato. Ed era l’unico dei tre che prestasse qualche attenzione alla sposa. Loyse si accorse che la guardava con aria pensierosa, ma nel suo atteggiamento non c’era nulla che esprimesse pietà o una promessa d’aiuto. Si sarebbe detto, piuttosto, che lei fosse il simbolo di molti guai che avrebbe voluto allontanare dalla sua strada. Loyse era lieta che la consuetudine le permettesse di sottrarsi al banchetto di quella sera. L’indomani avrebbe dovuto assistere all’inizio del pranzo di nozze: ma non appena avesse incominciato a scorrere il vino… sì… allora! Aggrappandosi a quel pensiero, si affrettò a ritornare nella sua stanza. Aveva dimenticato la cucitrice, e trasalì nel vedere una figura profilata contro la finestra. Il vento si andava placando: la tempesta era ormai quasi passata. Ma c’era un altro suono: il lamento di una sofferenza disperata. E l’aria salmastra l’investì, spirando dalla finestra aperta. Esasperata dalle preoccupazioni, tesa al pensiero di ciò che doveva accadere e che doveva prepararsi ad affrontare durante le prossime ventiquattro ore, Loyse attraversò fulmineamente la stanza e afferrò la finestra, scostando la ragazza per richiuderla. Sebbene il vento fosse cessato, le nubi erano ancora squarciate dai lampi. E in uno di quei bagliori, Loyse vide ciò che l’altra doveva osservare già da molto tempo. Sospinte verso le zanne delle rocce, c’erano navi… due… tre navi. Erano vascelli ben diversi dai mercantili di piccolo cabotaggio che lei aveva visto trascinare alla catastrofe dalla corrente infida, ricchezza e maledizione di Verlaine. Quelle navi potevano solo far parte della flotta di qualche principe navigatore. Eppure, nei lampi incessanti che le permettevano di scorgerle solo per pochi secondi, Loyse non riuscì a notare la minima attività a bordo dei vascelli: nessuno tentava di sventare il disastro. Erano vascelli fantasma che veleggiavano verso la morte, senza che gli equipaggi mostrassero di preoccuparsene. Le lanterne dei cacciatori di relitti, dei predatori della costa, si stavano già muovendo a grappoli, uscendo dalla porta di Verlaine. Un uomo che si trovasse sul posto al momento opportuno avrebbe potuto nascondere qualche ricca preda tutta per sé, nella confusione generale, anche se la mano pesante di Fulk e la pronta impiccagione di coloro che venivano colti in flagrante avevano ridotto al minimo quei furti. Avrebbero gettato le reti per tirare a terra i relitti galleggianti, eseguendo compiti cui erano allenati da molto tempo. E in quanto a coloro che fossero giunti a riva ancora vivi… Loyse trascinò via la ragazza, chiuse e sbarrò la finestra. Ma, con sua sorpresa, il viso che l’ancella volse verso di lei non era più turbato da antichi terrori. Negli occhi scuri si leggeva intelligenza, eccitazione, una forza crescente. Teneva la testa leggermente inclinata, come se cercasse di captare un suono nel fragore bronzeo del temporale. Era sempre più evidente: qualunque fosse stata la sua posizione sociale prima che il mare la portasse a Verlaine, non era una comune ragazza da caserma. «Ciò che è rimasto a lungo nell’edificio.» Il tono della ragazza era remoto: parlava come se attingesse ad un’esperienza diretta che Loyse non sapeva immaginare. «Scegli, scegli bene. Perché questa notte si decide il fato di intere nazioni, e di molti uomini!» «Chi sei?» chiese Loyse, mentre la ragazza continuava a trasformarsi sotto i suoi occhi. Non era un mostro; non assumeva forma di bestia o d’uccello come, a quanto si diceva, potevano fare le streghe di Estcarp. Ma ciò che era rimasto nascosto, ferito quasi mortalmente, dentro il suo essere, aveva ripreso a lottare per ritrovare la vita. «Chi sono? Nessuno… niente. Ma sta per giungere qualcuno più grande dell’io che viveva un tempo. Scegli bene, Loyse di Verlaine… e vivrai. Scegli male… e morirai, come io sono morta, poco a poco, giorno per giorno.» «Quella flotta…» Loyse si voltò a mezzo verso le finestre. Possibile che fossero invasori, temerari al punto di sacrificare le navi pur di assicurarsi una testa di ponte sul promontorio e di aprirsi la strada verso Verlaine? Era un pensiero assurdo. Le navi erano spacciate; pochi marinai sarebbero giunti vivi a riva, e là avrebbero scoperto che gli uomini di Verlaine avevano preparato loro una feroce accoglienza. «Flotta?» le fece eco la ragazza. «Non c’è nessuna flotta… solo la vita… o la morte. Tu hai in te qualcosa di noi, Loyse. Dai buona prova di te, e vinci!» «Qualcosa di voi? Chi sei… che cosa sei?» «Io sono nessuno; sono nulla. Chiedimi piuttosto che cos’ero, Loyse di Verlaine, prima che la tua gente mi strappasse al mare.» «Che cos’eri?» chiese l’altra, obbediente, come una bambina che reagisse al comando di un’adulta. «Ero una di Estcarp, donna della costa. Ora capisci? Sì, io avevo il Potere… fino a quando mi fu strappato nella sala, qui sotto, mentre gli uomini ridevano e acclamavano. Perché il dono è nostro — suggellato in noi donne — finché i nostri corpi rimangono inviolati. Per Verlaine ero solo un corpo di femmina, null’altro. Perciò persi ciò che mi faceva vivere e respirare… persi me stessa. «Puoi comprendere cosa significa perdere te stessa?» Scrutò Loyse. «Sì, quasi credo che tu lo sappia, perché ora ti accingi a proteggere ciò che è tuo. Il mio dono è scomparso, schiacciato come si può schiacciare l’ultima brace di un fuoco indesiderato; ma ne sono rimaste le ceneri. Quindi ora so che qualcuna, più grande di quanto avessi mai sperato di diventare, sta per giungere sospinta dalla tempesta. E lei deciderà più d’uno dei nostri futuri!» «Una strega!» Loyse non rabbrividì: la sua eccitazione divampò. Il potere delle donne di Estcarp era leggendario. Lei aveva assorbito avidamente tutte le dicerie che erano giunte dal nord, sul conto di quelle donne e dei loro doni. E adesso si sentiva bruciare per l’occasione perduta. Perché non aveva saputo prima dell’esistenza di quella donna, perché… «Sì, una strega. Ci chiamano così, quando ci capiscono poco. Ma non credere di poter sapere di più da me, Loyse. Io sono soltanto il tizzone di un fuoco spento da molto tempo. Impiega la tua volontà e la tua intelligenza per aiutare colei che sta per giungere.» «Volontà e intelligenza!» Loyse rise, bruscamente. «Ho l’intelligenza e la volontà, ma non ho potere, qui. Non l’ho mai avuto. Nessun soldato mi obbedirà, o frenerà la mano al mio ordine. Faresti meglio a rivolgerti a Bettris. Quando mio padre è in buona con lei, Bettris riesce talvolta a farsi obbedire dai suoi uomini.» «Dovrai solo approfittare dell’occasione quando si presenterà.» L’altra si lasciò scivolare lo scialle dalle spalle, lo ripiegò con cura e lo posò sul letto, mentre si avviava verso la porta. «Approfitta dell’occasione ed usala bene, Loyse di Verlaine. E questa notte dormi profondamente, perché la tua ora non è ancora giunta.» Uscì dalla porta prima che Loyse potesse muoversi per trattenerla. E poi la stanza le parve stranamente vuota, come se l’ancella avesse portato via una vita pulsante che aveva atteso in un angolo buio. Lentamente, Loyse si tolse la veste da cerimonia, tornò ad intrecciarsi i capelli senza l’aiuto dello specchio. Inspiegabilmente, non voleva guardare in quello specchio, ora, perché aveva quasi la sensazione che qualcosa d’altro potesse sbirciare al di sopra della sua spalla. Molte azioni empie ed immonde erano state compiute nella grande sala di Verlaine, da quando Fulk ne era diventato il padrone. Ma ora Loyse era convinta che a decidere la sua sorte futura era stato l’atto che aveva avuto come vittima la donna di Estcarp. Era così assorta nei suoi pensieri da dimenticare, quasi, di essere alla vigilia delle nozze. Per la prima volta da quando li aveva nascosti, non tirò fuori gli indumenti in fondo alla cassapanca, per esaminarli e rallegrarsi della prospettiva che le offrivano. Lungo la spiaggia il vento gemeva, sebbene non scagliasse più in alto le montagne di spruzzi. E coloro che si erano radunati in attesa della messe delle onde e delle rocce erano impazienti. La flotta che era apparsa così splendida dalla camera di Loyse, era ancora più imponente vista dalla riva. Hunold si strinse il mantello intorno alla gola e guardò nell’oscurità. Non erano navi di Karsten, e quel naufragio poteva tornare utile al Ducato. Era fermamente convinto che stavano per assistere agli ultimi momenti di una forza nemica. Ed era un bene che, date le circostanze, lui fosse lì a tener d’occhio Fulk. Le dicerie avevano ingigantito il bottino di Verlaine. E quando Yvian avesse sposato quella pallida nullità, avrebbe potuto chiedere conto di tutto il tesoro, in nome della moglie. Sì, la Fortuna aveva sorriso, quando aveva inviato Hunold sulla spiaggia, quella notte, ad osservare e ad ascoltare ed a raccogliere gli elementi per un rapporto al Duca. Ormai certi che le navi condannate non sarebbero riuscite a superare il promontorio, gli uomini usciti dal forte piazzarono le lanterne lungo la riva. Se quegli sciocchi a bordo dei vascelli avessero cercato di arrivare a terra in prossimità di quei fari, tanto meglio: avrebbero risparmiato ai saccheggiatori il tempo e la fatica di dar loro la caccia. E così fu che i raggi, protesi al di sopra delle onde, inquadrarono la prima prua. Era alta, sollevata dai frangenti: si alzarono grida tra gli spettatori, e scommesse furono frettolosamente offerte ed accettate circa il punto in cui sarebbe andata a sfasciarsi. Si sollevò e poi si avventò in avanti, verso le rocce. E poi… scomparve. Quelli sulla spiaggia si trovarono di fronte all’impossibile. In un primo momento alcuni, i più ricchi d’immaginazione, furono certi di aver visto il relitto d’una nave sfasciata, certi che si dibattesse vicino alle loro reti. Ma non c’era nulla, tranne la spuma dell’acqua battuta dal vento. Niente nave e niente relitto. Nessuno si mosse. In quel momento, erano tutti inchiodati, incapaci di credere ai loro occhi. Si stava avvicinando un’altra di quelle navi superbe. Puntava verso il tratto di rocce su cui Hunold stava a fianco di Fulk, come se un timoniere invisibile ne guidasse la rotta. Avanzava maestosa, e nessun uomo era aggrappato alle sartie, nessun essere vivente era visibile sul ponte. Ancora una volta le onde sollevarono il loro carico per scagliarlo sulle zanne della scogliera. E questa volta era così vicino alla riva che Hunold pensò che un uomo avrebbe potuto balzare sul ponte deserto, dal luogo in cui lui si trovava. La prua si alzò, si alzò, e la polena fantasticamente scolpita mostrò al cielo le fauci spalancate. Poi si abbassò… e le acque turbinarono. E scomparve! Hunold tese la mano, afferrò la spalla di Fulk, e vide nel pallore stravolto del viso dell’altro lo stesso terrore incredulo. E quando la terza nave si avvicinò, puntando diritta verso la scogliera, gli uomini di Verlaine fuggirono urlando in preda al panico. Le lanterne abbandonate illuminarono la spiaggia dove le reti fluttuavano sull’acqua, senza aver catturato neppure una tavola sfasciata. Più tardi, una mano afferrò quella rete, l’afferrò e la strinse nell’ultimo, disperato sforzo per aggrapparsi alla vita. Un corpo rotolò nella risacca, ma la rete resistette, e la mano resistette. Poi vi fu la lunga, lenta avanzata verso la riva, fino a quando una figura esausta e dolorante giacque prona sulla sabbia e si addormentò. |
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