"Il mondo delle streghe" - читать интересную книгу автора (Norton Andre)

Capitolo terzo La strega prigioniera

In generale, gli abitanti di Verlaine ammettevano che la flotta scomparsa fosse stata un’illusione inviata dai demoni. E Fulk non sarebbe riuscito a costringere uno solo dei suoi uomini a scendere sulla spiaggia, la mattina dopo. Anzi, non tentò neppure di dare un simile ordine.

Era necessario concludere le nozze prima che a Kars giungesse la notizia ed offrisse un legittimo pretesto per rifiutare l’erede di Verlaine. Per placare le paure superstiziose che i tre agenti ducali potevano nutrire, Fulk, con una certa riluttanza, li condusse nella sala del tesoro, offrendo a ciascuno di loro un prezioso ricordo, e scegliendo una spada tempestata di gemme quale pegno della sua ammirazione per il valore guerresco del Duca. Tuttavia continuava a sudare, e stentava a reprimere l’impulso di andare ad ispezionare gli angoli bui della scala e del corridoio.

Notò che nessuno dei suoi ospiti faceva allusione a quanto era accaduto sulla scogliera, e si chiese se quello era un buono o un cattivo segno. Solo quando furono nella sala del consiglio privato, un’ora prima della cerimonia, Hunold trasse dalla sopravveste foderata di pelliccia un piccolo oggetto e lo mostrò delicatamente in una chiazza di pallido sole.

Siric piegò la pancia sulle ginocchia e sbuffò un paio di volte, tendendosi incuriosito a guardarlo.

«Che cos’è, Nobile Comandante? Che cos’è? Hai rubato il giocattolo ad un marmocchio del villaggio?»

Hunold sollevò l’oggetto nel cavo della mano. Sebbene fosse modellato rozzamente, la forma era piuttosto evidente… una barca, E per albero c’era uno stecco spezzato.

«Questa, Voce Reverendissima,» rispose sottovoce Hunold, «è la possente nave, o una delle possenti navi che abbiamo visto avventarsi verso la catastrofe, questa notte. Sì, è un giocattolo: ma non uno dei soliti. E per la sicurezza di Karsten debbo chiederti, Nobile Fulk, quali rapporti intrattieni con le figlie delle tenebre… le streghe di Estcarp.»

Fulk, punto sul vivo, fissò la barca di legno. Il suo volto impallidì, poi si oscurò, quando il sangue lo invase. Ma lottò furiosamente per calmarsi. Se avesse sbagliato, ora, avrebbe perduto la partita.

«Avrei mandato gli spigolatori alle scogliere per ricevere una flotta di barche giocattolo e per saccheggiarle?» Riuscì a simulare una serenità che non provava. «Immagino che tu l’abbia ripescato dal mare questa mattina, Nobile Comandante. Ma che cosa t’induce a credere che facesse parte di una magia di Estcarp, o che le navi viste da noi fossero nate da questo trucco?»

«Questa è stata raccolta sulla sabbia stamattina, sì,» ammise Hunold. «E conosco da un pezzo le illusioni delle streghe. A conferma, abbiamo trovato qualcosa d’altro sulla spiaggia, i miei uomini ed io; un grande tesoro, tale da rivaleggiare con quelli che ci hai mostrati e che il mare ha portato alla tua fortezza. Marc; Jothen!» Alzò la voce, e due scudieri del Duca entrarono, portando una prigioniera strettamente legata, che sembravano trattare con evidente imbarazzo.

Fulk era abituato a vedere prigionieri incrostati di sale e strappati alle fauci del mare, e li trattava in modo sbrigativo. Ed una volta, per giunta, s’era trovato di fronte ad un problema identico e l’aveva risolto per il meglio. Hunold lo aveva sconvolto, ma solo per un momento. Ormai aveva ritrovato tutta la sua sicurezza.

«Dunque,» disse, riassestandosi sul seggio con il sorriso di chi assiste al divertimento di individui meno raffinati ed evoluti, «avete preso una strega.» Squadrò arditamente la donna. Era magra, ma c’era spirito, in lei… sarebbe stato divertente. Forse Hunold avrebbe voluto incaricarsi di domarla. Nessuna di quelle streghe era mai bella; e quella aveva l’aria di aver lottato per un mese contro le onde. Studiò più attentamente le vesti che coprivano quel corpo scarno.

Erano di cuoio… gli indumenti che si portavano sotto gli usberghi di maglia metallica! Quindi aveva preso le armi, quella. Fulk si scosse. Una strega armata e quella flotta fantasma! Forse Estcarp aveva deciso di muoversi… e di muoversi contro Verlaine? Estcarp aveva molti conti da regolare con lui, sebbene fino ad ora nessuno, lassù al nord, avesse dato segno di essere al corrente delle sue attività. Ma era meglio accantonare quel problema per esaminarlo più tardi: ora doveva pensare a Hunold ed a ciò che avrebbe dovuto fare per conservare l’alleanza di Karsten.

Evitò scrupolosamente di incontrare gli occhi della prigioniera. Ma cercò di riaffermare la sua vecchia superiorità.

«A Kars non si sa ancora, Nobile Comandante, che queste streghe possono piegare un uomo alla loro volontà, con il solo potere degli occhi? Vedo che i tuoi scudieri non hanno preso precauzioni contro un attacco del genere.»

«Si direbbe che tu conosca piuttosto bene queste streghe.»

Prudenza, si disse Fulk. Hunold non si era assicurato un posto alla destra di Yvian grazie alla sola forza del suo braccio. Era meglio non provocarlo troppo: bastava dimostrargli che il signore di Verlaine non era né un traditore né uno sciocco.

«Estcarp ha già pagato altri tributi al nostro promontorio,» disse sorridendo.

Vedendo quel sorriso, Hunold lanciò un ordine ai suoi uomini. «Tu, Marc! Buttale il mantello sulla testa!»

La donna non si era mossa, non aveva proferito alcun suono, quando l’avevano condotta lì dentro. Era come avessero a che fare con un corpo privo d’anima e di mente. Forse era stordita dalle traversie subite in mare, dall’urto contro qualche roccia della scogliera. Tuttavia, nessuno degli uomini di Verlaine avrebbe allentato la vigilanza solo perché la prigioniera non gridava o implorava o si dibatteva inutilmente. Mentre le pieghe del mantello le si avvolgevano intorno alla testa ed alle spalle, Fulk si sporse dal seggio e parlò: le sue parole erano dirette alla donna, più che agli uomini cui sembrava rivolgersi… nella speranza di strapparle qualche reazione che gli rivelasse il suo stato di coscienza.

«E non ti ho neppure detto, Nobile Comandante, come si possono disarmare queste streghe? È una procedura molto semplice… e qualche volta piacevole.» Deliberatamente, si addentrò nei dettagli più osceni.

Siric rise, sorreggendosi con le mani la pancia sussultante. Hunold sorrise.

«Voi di Verlaine conoscete veramente piaceri molto sottili,» ammise.

Solo il Nobile Duarte rimase in silenzio, fissandosi le mani posate sulle ginocchia, mentre agitava nervosamente le dita. Un lento, cupo rossore si diffuse sulle guance magre, sotto la corta barba da vecchio.

La figura avviluppata non si mosse, non protestò.

«Portatela via.» Fulk diede l’ordine, in una piccola dimostrazione di potere. «Consegnatela al siniscalco, che la terrà al sicuro per il nostro futuro piacere. Per ogni piacere, infatti, c’è il momento giusto.» Era ridiventato un ospite tutto cortesia, sicuro della propria posizione. «Ed ora dobbiamo pensare al piacere del nostro Duca… la consegna della sua sposa.»

Fulk attese. Nessuno avrebbe potuto intuire la tensione con cui ascoltò le successive parole di Hunold. Fino a quando Loyse non fosse stata davanti all’altare, nella cappella poco usata, con le mani sull’ascia, mentre Siric pronunciava la formula di rito, Hunold poteva chiamarsi fuori, in nome del suo padrone. Ma quando Loyse fosse diventata Duchessa di Karsten, sia pure nominalmente, Fulk sarebbe stato libero di procedere per la strada che aveva scrupolosamente preordinata e tracciata.

«Sì, sì.» Siric sbuffò e si alzò faticosamente in piedi, affrettandosi ad assestare le pieghe della cappa. «Il matrimonio… Non dobbiamo fare aspettare la signora, eh, Nobile Duarte? Sangue giovane, sangue impaziente. Venite, venite, miei signori… alle nozze!» Quella parte spettava a lui e una volta tanto quel giovane soldato di ventura dagli occhi di ghiaccio non avrebbe potuto avere il ruolo principale. Era molto più dignitoso e conveniente che il Nobile Duarte, della più antica schiatta nobiliare di Karsten, portasse l’ascia e sposasse per procura la promessa del loro sovrano. Era stato un suo saggio suggerimento, quello, ed Yvian l’aveva ringraziato con calore, prima della loro partenza da Kars. Sì, Yvian avrebbe scoperto… anzi, stava scoprendo che con il potere della Confraternita del Tempio e l’appoggio delle vecchie famiglie nobili, non avrebbe più dovuto ascoltare i mestatori come Hunold. Con la celebrazione del matrimonio, il sole di Hunold si sarebbe avviato al tramonto!


Faceva freddo. Loyse procedette in fretta lungo la balconata della grande sala che era il cuore del forte. Era rimasta mentre tutti brindavano, ma non aveva neppure risposto ai pii auguri di felicità che le venivano rivolti… felicità! Loyse non sapeva neppure cosa fosse. Voleva solo la libertà.

Quando sbatté la porta dietro di se, sistemò le tre sbarre che avrebbero potuto resistere persino ad un ariete, e si mise al lavoro. Si strappò i gioielli dalla gola, dalla testa, dalle orecchie e dalle dita, e li gettò in un mucchio. Scostò con un calcio la lunga veste orlata di pelliccia. Alla fine, si mise davanti allo specchio, sopra uno scialle, troppo emozionata per sentire il freddo che filtrava dalle pareti circostanti; sciolse i capelli e se li lasciò ricadere sulle spalle, in un manto che le copriva i fianchi nudi. Ciocca per ciocca, li aggredì implacabilmente con le forbici, lasciandoli cadere sullo scialle. Prima li tagliò all’altezza del collo, e poi più attentamente e con maggiore impaccio, riducendoli corti, come ci si poteva aspettare di vederli sotto un camaglio metallico ed un elmo. I trucchi che aveva rifiutato di usare nonostante i consigli di Bettris, ora li adottò con scrupolosa concentrazione. Strofinò delicatamente un miscuglio di fuliggine sulle sopracciglia pallide, e poi sulle ciglia corte e folte. Era così intenta ai dettagli che non aveva considerato il risultato d’insieme. Ora, scostandosi un po’ dallo specchio, scrutò con aria critica la propria immagine, stupita da ciò che vedeva.

Il suo morale migliorò: era quasi sicura che avrebbe potuto attraversare la grande sala senza che Fulk la riconoscesse. Corse al letto e cominciò a vestire gli indumenti che aveva preparato. La cintura con le armi si adattava alla perfezione intorno alla sua vita. Fece per prendere le sacche da sella, ma la sua mano si mosse lentamente. Perché era così riluttante ad abbandonare Verlaine? Aveva subito le cerimonie di quel giorno nascondendo i suoi propositi, tenendoli celati come il tesoro più prezioso. E sapeva che il banchetto era l’occasione migliore per fuggire. Loyse pensava che nessuna sentinella in servizio dentro o fuori del forte sarebbe stata troppo zelante, quella notte… E inoltre, lei conosceva un’uscita segreta.

Eppure qualcosa la tratteneva, facendole sprecare momenti decisivi. Il desiderio di tornare sulla balconata affacciata sulla sala, di spiare i banchettanti, la spinse verso la porta senza che quasi se ne rendesse conto.

Cosa aveva detto l’ancella? qualcuna stava arrivando sulle ali della tempesta… approfitta dell’occasione ed usala bene, Loyse di Verlaine! Ebbene, quella era la sua occasione, ed era disposta a servirsene con tutta la saggezza che la vita nella casa di Fulk l’aveva costretta ad acquisire.

Tuttavia, quando si mosse, non si diresse verso il passaggio segreto, ignoto a Fulk ed ai suoi uomini, bensì verso la porta. E mentre lottava contro l’impulso assurdo ed avventato, la sua mano scostò le sbarre, e lei si trovò nel corridoio. I tacchi degli stivali ticchettavano sulla scala che l’avrebbe condotta alla balconata.

Come il calore del centro del forte non saliva a riscaldarla, il rumore era solo un brusio in cui nessuna voce, nessun canto la raggiungeva sotto forma di parole comprensibili. Gli uomini bevevano e mangiavano, e ben presto avrebbero pensato ad altri spassi. Loyse rabbrividì, e tuttavia continuò ad indugiare, fissando la lunga tavola e coloro che vi sedevano, come se fosse necessario controllare i loro movimenti.

Siric, che nella cappella di Verlaine era riuscito ad assumere per breve tempo una sua dignità — o forse erano stati i paramenti a conferirla fugacemente al suo corpo gonfio — era di nuovo tutto pancia, e si ingozzava del contenuto d’una fila interminabile di piatti, sebbene i suoi commensali fossero passati già da un po’ al vino.

Bettris, che non aveva alcun diritto di sedere là fino alla partenza di Loyse — e lo sapeva benissimo, perché Fulk pretendeva, capricciosamente, il rispetto delle formalità — era stata attenta a cogliere il momento propizio. Ora, ornata della sgargiante spilla proveniente dal tesoro, si appoggiava al bracciolo scolpito del seggio del suo amante. Ma, notò Loyse da spettatrice attenta, di tanto in tanto Bettris lanciava di sottecchi occhiate calcolatrici al Nobile Comandante Hunold, mentre lasciava che le sue spalle bianche e tornite, incorniciate dalla stoffa rossovino della veste, accentuassero quel subdolo richiamo.

Il Nobile Duarte stava raggomitolato, occupando solo due terzi del suo seggio, e guardava nel calice che teneva in mano come se vi leggesse un messaggio che avrebbe preferito ignorare. Il taglio semplice della veste color prugna, l’espressione contratta del volto di vecchio, gli davano quasi l’aspetto di un mendicante in quell’assemblea festosa, e non fingeva neppure di divertirsi.

Loyse pensò che doveva andarsene… subito! Con gli abiti di pelle e l’usbergo di maglia, avvolta in un mantello da viaggio che la faceva apparire come un’ombra scura tra le molte ombre, irriconoscibile per gli occhi obnubilati dal vino, sarebbe stata al sicuro per un po’. Ed era freddo, più freddo di quando la brina dell’inverno screziava le mura, sebbene fosse già primavera avanzata. Loyse mosse un passo, poi un altro, prima che l’ordine muto che l’aveva condotta lì la spingesse di nuovo alla balaustrata.

Hunold si stava tendendo verso suo padre, per parlargli. Era un bell’uomo: l’interesse di Bettris per lui era prevedibile. Il suo volto astuto, con i capelli che avevano il colore del manto di una volpe, aveva un colorito virile vivido quanto quello di Fulk. Fece un gesto rapido con le mani, e Fulk proruppe in una grande risata: l’eco giunse fino alle orecchie di Loyse.

Ma sul volto di Bettris era apparsa un’improvvisa espressione delusa. Strinse la manica di Fulk, posata sul bracciolo del seggio, e le sue labbra formarono parole che Loyse non riuscì ad intuire. Fulk non girò neppure la testa per guardarla. Alzò la mano di scatto per scostarla, spingendola lontano dal tavolo, e Bettris cadde goffamente nella polvere, dietro i seggi.

Il Nobile Duarte si alzò, posando il calice. Le bianche mani esili venate d’azzurro strinsero l’ampio collo di pelliccia della veste, come se egli fosse il solo, tra tutti, a sentire il freddo che intirizziva Loyse. Parlò lentamente: si capiva che stava esprimendo una protesta. E dal modo in cui voltò le spalle alla tavola, apparve chiaro che non si aspettava una risposta educata da parte dei suoi commensali.

Hunold rise, e Fulk batté il pugno sul tavolo per chiamare il coppiere, mentre il più vecchio degli inviati del Duca si avviava fra le tavole degli invitati meno importanti, ai piedi del podio, per salire la scala che portava al suo appartamento.

Vi fu un movimento, alla porta della sala. Entrarono alcuni uomini armati e corazzati, e si diressero verso il podio. Il clamore si attenuò, mentre le guardie avanzavano, tenendo in mezzo un prigioniero. Loyse vide che sospingevano un uomo con le mani legate dietro la schiena; ma non comprese perché gli avessero infilato la testa in un sacco, in modo che quello procedeva a tentoni, barcollando, reagendo agli strattoni.

Fulk mosse il braccio, sgombrando un tratto del piano del tavolo, fra sé e Hunold, e fece volare via il calice di Duarte: il vino rimasto spruzzò Siric, che protestò energicamente senza che nessuno gli desse ascolto. Da una tasca, il signore di Verlaine estrasse un paio di monete, le gettò in aria e lasciò che roteassero sul tavolo prima di cadere mettendo in mostra una faccia. Le spinse verso Hunold, offrendogli il diritto del primo tiro.

Il Nobile Comandante le prese, le esaminò con un commento scherzoso, poi le lanciò. I due uomini chinarono la testa, poi Fulk raccolse le monete per tirarle a sua volta. Bettris, come dimentica del rude trattamento di poco prima, si era avvicinata di nuovo, e fissava i dischi roteanti con occhi ansiosi come quelli degli uomini. Quando le monete caddero, si aggrappò di nuovo al seggio di Fulk, come se il risultato le avesse dato un coraggio nuovo, mentre Fulk rideva e rivolgeva un ironico gesto di saluto all’ospite.

Hunold si alzò e girò intorno al tavolo. Gli uomini che circondavano il prigioniero si scostarono al suo avvicinarsi; non cercò di rimuovere il sacco che gli copriva la testa, ma le sue dita afferrarono il giubbotto di cuoio macchiato, per aprirne i fermagli. Con uno strattone, lo lacerò fino alla cintola, e dai presenti si levò un grido.

Il Nobile Comandante strinse con la mano la spalla della prigioniera, volgendosi a fronteggiare i sogghigni degli uomini. Poi, dimostrando una forza sorprendente per quella sua figura snella, se la issò sulla spalla, incamminandosi verso la scala. Fulk non fu il solo a protestare per il mancato spettacolo, ma Hunold scosse il capo e proseguì.

Fulk l’avrebbe seguito? Loyse non attese. Come avrebbe potuto opporsi a Fulk… o anche a Hunold? E perché, tra tutte le donne che in passato erano state prede involontarie di Fulk e dei suoi uomini, lei doveva aiutare proprio quella? Sebbene lottasse contro la consapevolezza di dover intervenire, si sentiva trasportata, costretta ad agire contro la sua volontà.

Si affrettò a rientrare nella sua camera: era molto più facile correre con quell’abbigliamento che con le vesti adatte al suo sesso. Ancora una volta, le tre sbarre scesero con un tonfo. Loyse si tolse il mantello, senza badare all’immagine dell’esile giovinetto riflessa dallo specchio. E poi l’immagine si alterò, quando lo specchio diventò una porta.

Oltre il varco c’era soltanto l’oscurità. Loyse doveva affidarsi alla memoria, alle innumerevoli esplorazioni che aveva compiuto fin da quando, tre anni prima, aveva scoperto per caso quell’aspetto di Verlaine che nessun altro pareva sospettare.

C’erano gradini; li contò mentre li scendeva correndo. Un corridoio e, in fondo, una brusca svolta. Loyse faceva scorrere la mano lungo la parete per guidarsi, cercando di calcolare la strada esatta per giungere a destinazione.

Incontrò un’altra scala: ma questa saliva. Poi apparve un cerchietto di luce su una parete: uno spioncino, che doveva guardare entro una stanza occupata. Loyse si alzò in punta di piedi, per sbirciare all’interno. Sì, era una delle camere da letto degli ospiti.

Il Nobile Duarte, ancora più avvizzito e scarno senza la sopravveste dall’ampio collo di pelliccia, passò davanti al letto e si fermò davanti al fuoco, tendendo le mani verso le fiamme, muovendo le labbra sottili come se masticasse una parola od un pensiero che non poteva sputare.

Loyse proseguì. Il secondo spioncino era buio: senza dubbio quella era la stanza assegnata a Siric. Affrettò il passo per raggiungere l’ultimo, dove un cerchietto dorato indicava la presenza della luce. Era così sicura che cercò la serratura del passaggio segreto senza neppure guardare.

Borbottii… suoni di una zuffa. Loyse premette con tutte le sue forze la molla segreta. Ma nessuno l’aveva mai oliata: non c’era stata ragione di tenerla in buono stato d’efficienza. Si bloccò. Loyse arretrò e puntellò la spalla contro la porta, poggiando entrambe le mani contro l’altra parete dello stesso passaggio, ed usando tutte le sue energie; e quando la porta si aprì, riuscì a non cadere aggrappandosi ai bordi dell’apertura.

Si girò di scatto, sguainando la spada con la prontezza che aveva acquisito esercitandosi continuamente in segreto. La faccia sbalordita di Hunold si volse verso di lei dal letto, dove stava lottando per tener ferma la vittima che si dibatteva. Con prontezza felina, scivolò dalla parte opposta, lasciando la donna, e balzò verso la cintura appesa alla spalliera della sedia più vicina.