"Il mondo delle streghe" - читать интересную книгу автора (Norton Andre)

Capitolo secondo Caccia nella brughiera

La luce dell’alba non annunciava l’avvento del sole, poiché l’aria era saturata da una nebbia densa. Simon si alzò in piedi e si guardò alle spalle. C’erano due rozze colonne di pietra rossastra, e più oltre non c’era un cortiletto, ma un tratto della stessa brughiera verdegrigia che si perdeva nella muraglia di nebbia. Petronius aveva avuto ragione: quello era un mondo che non conosceva.

Stava rabbrividendo. Sebbene avesse portato con sé il soprabito, non aveva il cappello, e l’umidità gli incollava i capelli sulla testa, e gli scorreva sul collo e sulle guance. Aveva bisogno di un rifugio… di una meta. Lentamente, Simon girò su se stesso. Entro il cerchio dell’orizzonte non si scorgeva neppure un edificio. Con una scrollata di spalle, decise di allontanarsi in linea retta dalle colonne di roccia: una direzione valeva l’altra.

Mentre procedeva sulle zolle fradice, il cielo si rischiarò, la nebbia si alzò, e il territorio cambiò lentamente. C’erano altri ammassi di pietre rosse, e il terreno ondulato presentava un maggior numero di salite e discese. Davanti a lui, ad una distanza che non era in grado di giudicare, una linea accidentata tagliava il cielo e suggeriva la presenza di colline o montagne. E l’ultimo pasto se lo era concesso molte ore prima. Strappò una foglia da un arbusto e la masticò distrattamente: aveva un sapore pungente, ma non sgradevole. Poi udì i suoni della caccia.

Un corno echeggiò, in una serie di note ascendenti, cui risposero un latrato ed un grido soffocato. Simon si mise a correre. Quando giunse sul ciglio di un burrone, ebbe la certezza che il chiasso proveniva dall’altra parte della spaccatura, e si avviò in quella direzione. Con la prudenza ispiratagli dall’addestramento nei commandos, si nascose a terra fra due macigni.

La donna irruppe per prima dagli arbusti sulla scarpata di fronte. Correva: le lunghe gambe mantenevano il ritmo costante ed ostinato di chi ha alle spalle un lungo inseguimento, e davanti una meta lontana. Sul limitare della stretta valle, esitò e si guardò indietro.

Contro lo sfondo verdegrigio della vegetazione, lo snello corpo eburneo, nascosto a malapena dagli stracci che erano tutto il suo vestiario, parve spiccare nella luce fioca dell’alba. Con un gesto impaziente, si ributtò all’indietro le ciocche dei lunghi capelli neri, si passò le mani sul viso. Poi cominciò a procedere lungo la cresta del pendio, in cerca di un punto dove fosse possibile scendere.

Il corno squillò, e gli rispose il latrato. La donna trasalì convulsamente, e Simon si rialzò a mezzo dal nascondiglio, quando si rese conto all’improvviso che, in quella caccia feroce, lei doveva essere la selvaggina.

Si lasciò cadere di nuovo su un ginocchio, mentre la donna liberava freneticamente i suoi stracci impigliati in un roveto. La forza dello strattone la fece sdrucciolare oltre il ciglio della scarpata. Non gridò, ma le sue mani si protesero verso un arbusto, mentre cadeva: e i rami la sorressero. Quando cercò di trovare un appiglio per rimettersi in piedi, comparvero i segugi.

Erano animali bianchi e magri: i corpi scarni si girarono con fluidità incredibile, quando giunsero sull’orlo della valle. Con i nasi aguzzi puntati verso la donna, lanciarono ululati trionfanti.

La donna si contorse, tendendo convulsamente le gambe per trovare un appiglio sullo stretto cornicione sulla destra, il cornicione che poteva permetterle di discendere sul londovalle. Forse vi sarebbe riuscita, se non fossero sopraggiunti i cacciatori.

Erano a cavallo, e quello che portava sulle spalle il corno restò in sella, mentre il suo compagno smontava e andava ad affacciarsi, scostando i segugi a calci e sberle. Quando vide la donna, si portò la mano sulla fondina.

La donna lo vide, a sua volta, e interruppe i vani tentativi di raggiungere il cornicione: restò appesa all’arbusto, volgendo verso di lui il viso inespressivo. L’uomo sogghignò estraendo l’arma, come se assaporasse l’impotenza della sua preda.

Poi il proiettile sparato dalla pistola di Simon lo centrò. Con un urlo, l’uomo mosse qualche passo in avanti, barcollando, e precipitò dalla scarpata.

Prima che l’eco dello sparo e dell’urlo si fosse spenta, l’altro cacciatore si buttò al coperto, e Simon cominciò a capire meglio di che calibro fossero coloro che aveva affrontato. I segugi, impazziti, presero a correre avanti e indietro, riempiendo l’aria con i loro guaiti.

Ma la donna tentò un ultimo sforzo e trovò l’appiglio sul cornicione. Scese precipitosamente sul fondo del canalone, nascondendosi tra le rocce e gli arbusti. Simon vide un lampo nell’aria. Con la punta piantata nel suolo, a due pollici dal posto in cui s’era acquattato per sparare, un piccolo dardo vibrò e poi restò immobile. L’altro cacciatore era deciso a combattere.

Dieci anni prima, Simon aveva giocato a quel gioco quasi tutti i giorni, e ci si era divertito. E aveva scoperto che certe azioni, una volta apprese dai muscoli e dal corpo, non vengono dimenticate facilmente. Si trascinò fra gli arbusti più fitti per nascondersi ed attendere. I segugi cominciavano a stancarsi: molti si erano buttati a terra, ansimando. Ormai era solo questione di aver pazienza, e Simon ne aveva in abbondanza. Vide fremere la vegetazione e sparò una seconda volta… Gli rispose un grido.

Dopo qualche istante, messo in guardia dallo scricchiolio dei cespugli, si spinse strisciando sul ciglio della valle, e si trovò faccia a faccia con la donna. Gli occhi neri, obliqui nel viso triangolare, lo scrutarono intenti, acutissimi: Simon si sentì sconcertato. Poi, mentre le afferrava la spalla con la mano per trascinarla al coperto, provò una viva sensazione di pericolo, un bisogno disperato di continuare a muoversi attraverso la brughiera. La salvezza stava oltre il limitare della brughiera, nella direzione da cui era venuto.

La sensazione era così forte che Simon si sorprese a trascinarsi di nuovo tra le rocce, prima di alzarsi in piedi per mettersi a correre, misurando il passo su quello di lei, mentre l’abbaiare dei segugi diventava più debole dietro di loro.

Sebbene avesse già dovuto correre senza dubbio per molte miglia, la sua compagna manteneva un’andatura che gli costava fatica reggere. Finalmente giunsero in un luogo dove la brughiera cominciava a lasciar posto a stagni acquitrinosi circondati da erbe altissime. Fu allora che un soffio di vento portò di nuovo fino a loro il richiamo lontano di un corno. A quell’eco, la donna rise, lanciando un’occhiata a Simon, quasi chiedendogli di condividere la sua gaiezza. Indicò gli stagni, con un gesto, come per suggerire che là sarebbero stati al sicuro.

Un quarto di miglio più avanti, la nebbia si avvolgeva in spire, addensandosi, estendendosi per tagliare il loro cammino, e Simon la studiò. Forse sarebbero stati in salvo, entro quella cortina, ma forse si sarebbero perduti. E stranamente quella nebbia pareva provenire da un’unica sorgente.

La donna alzò il braccio destro. Da una larga fascia metallica che le cingeva il polso scaturì un lampo di luce, diretto verso la nebbia. Con l’altra mano, lei gli accennò di restare immobile, e Simon scrutò in quella coltre fitta, quasi certo di scorgervi il movimento di sagome scure.

Venne un grido: le parole erano incomprensibili, ma il tono di sfida era inequivocabile. La sua compagna rispose con una cadenza cantilenante. Ma quando giunse la risposta, lei vacillò. Poi si riscosse e guardò Simon, tendendo la mano in un gesto quasi supplichevole. Simon la prese, stringendola nel pugno: aveva intuito che l’aiuto richiesto era stato rifiutato.

«E adesso?» chiese. Forse la donna non riusciva a comprendere le parole, ma era certo che lei ne aveva indovinato il significato.

Delicatamente, la donna si inumidì la punta dell’indice e l’alzò nel vento che spirava ributtandole i capelli all’indietro, scostandoli dal volto segnato da un livido violaceo alla mascella e da ombre nere sotto gli zigomi. Poi, tenendo la mano di Simon, lo tirò sulla sinistra, immergendosi nelle pozzanghere fetide dove la schiuma verdastra si spezzava al loro passaggio, incollandosi in chiazze viscose alle gambe di lei ed ai calzoni infradiciati di Tregarth.

Girarono intorno all’acquitrino, e la nebbia che ne isolava la parte interna proseguì parallelamente a loro, escludendoli. La fame che Simon provava era ormai tormentosa, le scarpe fradice gli laceravano i piedi. Ma il suono del corno s’era disperso. Forse quel percorso aveva sconcertato i segugi.

La sua guida si fece largo tra le canne, ed uscì su una cresta sopraelevata dove c’era una specie di strada, indurita dall’uso, ma non più ampia d’un sentiero. La seguirono, procedendo più rapidamente.

Doveva essere pomeriggio avanzato, anche se in quella luce grigia e neutra era difficile valutare le ore, quando la strada cominciò a salire. Più avanti c’erano le scarpate di roccia rossa, che ascendevano quasi come una muraglia scabra, squarciata da un varco che accoglieva la strada.

Erano quasi arrivati a quella barriera quando la fortuna li abbandonò. Dall’erba, accanto al sentiero eruppe un piccolo animale scuro che passò correndo tra i piedi della donna, facendole perdere l’equilibrio: lei cadde sull’argilla battuta. Per la prima volta fece udire la sua voce, lanciando un grido di dolore, e si strinse la caviglia destra. Simon si affrettò a scostarle le mani e, attingendo alle conoscenze apprese sul campo di battaglia, si chinò per valutare la lesione. Non c’erano fratture: ma sotto il suo tocco la donna trattenne il fiato, bruscamente. Era chiaro che non avrebbe potuto proseguire. Poi, ancora una volta, giunse il suono del corno.

«Questo decide tutto!» disse Simon, più a se stesso che alla donna. Corse verso il varco. La strada si snodava fino a un fiume che scorreva nella pianura, allo scoperto. Eccettuati i pinnacoli di roccia che vigilavano il passo, non c’era nulla che rompesse la superficie piatta del terreno, per miglia e miglia. Si girò verso la scarpata e l’esaminò attentamente. Lasciò cadere il soprabito, si sfilò le scarpe scalciando e provò a cercare appigli. Dopo qualche secondo raggiunse un cornicione che, visto dalla strada, appariva solo come un’ombra. Ma era abbastanza largo per assicurare un riparo: e avrebbero dovuto accontentarsene.

Quando Simon scese, la donna si trascinò verso di lui, strisciando sulle mani e sulle ginocchia. Unendo le loro forze, raggiunsero il rifugio, e si acquattarono così vicini in quella depressione di roccia erosa dal vento che Simon sentì il calore del respiro affrettato di lei sulla guancia, quando si voltò a guardare il sentiero.

Si accorse che lei tremava, scossa da brividi che la squassavano dalla testa ai piedi quando il vento l’investiva. Goffamente, l’avvolse nella giacca bagnata, e la vide sorridere, sebbene la curva delle labbra fosse deturpata dalla lacerazione di un recente colpo. Non era bella, decise: era troppo magra, troppo pallida, troppo esausta. Anzi, sebbene il corpo fosse esposto dal disordine degli stracci, non provava per lei il minimo interesse maschile. E mentre quel pensiero gli attraversava la mente, si rese conto che in qualche modo lei comprendeva quella valutazione, e la trovava divertente.

La giovane donna si trascinò verso l’orlo della depressione, si mise a spalla a spalla con lui; poi rialzò il polso della giacca, appoggiandosi sul ginocchio il polso cinto dal bracciale. Di tanto in tanto, stropicciava le dita su un cristallo ovale incastonato nella fascia metallica.

Tra i sibili del vento, potevano udire il corno, la risposta dei segugi. Simon estrasse l’automatica. Le dita della sua compagna lasciarono il braccialetto per toccare brevemente l’arma, come se in quel modo lei potesse comprenderne la natura. Poi annuì, mentre i punti bianchi che erano segugi uscivano dagli alberi, in fondo alla strada. Li seguivano quattro cavalieri: Simon li osservò.

La tranquillità con cui si avvicinavano indicava che non si aspettavano difficoltà. Forse non conoscevano ancora la sorte toccata ai loro compagni, al burrone. Forse credevano di stare ancora inseguendo una sola preda e non due. E si augurò che fosse veramente così.

Avevano le teste coperte da elmi metallici crestati, con strane visiere abbassate per nascondere la metà superiore dei volti. Indossavano indumenti che sembravano una via di mezzo tra la camicia e la giacca, allacciati dalla cintola alla gola. Le cinture erano larghe una ventina di pollici e sostenevano armi chiuse nelle fondine, coltelli, e varie borse ed oggetti che Simon non seppe identificare. Le brache erano aderenti, e gli stivali terminavano a punta all’esterno delle gambe. Sembravano in uniforme: gli indumenti erano dello stesso taglio e della stessa stoffa verde-azzurra, e sul lato destro dei giachi spiccavano simboli identici.

I segugi scarni, dalle teste piatte come quelle dei serpenti, salirono turbinando la strada e si avventarono ai piedi della roccia: alcuni si rizzarono sulle zampe posteriori, raspando l’aria sotto il cornicione. Simon, ricordando il dardo che l’aveva mancato di poco, sparò per primo.

Con un grido soffocato, il primo dei cacciatori vacillò e sdrucciolò dalla sella; lo stivale s’impigliò nella staffa e il cavallo, proseguendo la corsa, trascinò il corpo inerte lungo la strada. Vi fu un grido, quando Simon sparò un secondo colpo. L’uomo si strinse il braccio mentre si buttava al riparo: il cavallo che trascinava ancora il morto superò il varco e si lanciò verso la pianura del fiume.

I segugi smisero di abbaiare. Ansimando, si buttarono ai piedi della guglia: i loro occhi sembravano scintille di fuoco giallo. Simon li scrutò con disagio crescente. Conosceva i cani da guerra: li aveva visti utilizzare come sentinelle. Questi erano grossi animali, capaci di uccidere: lo si capiva dalla loro postura mentre osservavano e attendevano. Avrebbe potuto centrarli uno ad uno, ma non osava sprecare le munizioni.

Sebbene la giornata fosse stata semibuia, si rendeva conto che la notte sarebbe stata anche peggio, con la totale oscurità: e stava scendendo rapidamente. Il vento che spirava dagli acquitrini investiva gelido il loro rifugio.

Simon si mosse, ed uno dei segugi balzò su, vigile, puntando le zampe anteriori sulla roccia e levando un ululato minaccioso. Una mano salda strinse il braccio di Simon, trascinandolo indietro nella posizione precedente. Ancora una volta, ricevette un messaggio attraverso quel contatto. Sebbene la loro situazione sembrasse disperata, la donna non appariva intimorita. Simon intuì che stava aspettando qualcosa.

Potevano sperare di arrampicarsi fino in cima alla scarpata? Nel crepuscolo, la vide scuotere i capelli scarmigliati, come se gli avesse letto nel pensiero.

I segugi tornarono a quietarsi, sdraiandosi ai piedi della parete, e tennero gli sguardi puntati in direzione delle loro prede. Chissà dove — Simon si sforzava di vedere nel crepuscolo — chissà dove i loro padroni dovevano essere in movimento, decisi a raggiungere i fuggitivi. Simon sapeva di essere un ottimo tiratore, ma le condizioni stavano rapidamente cambiando in favore degli altri.

Tenne stretta l’automatica, pronto ad agire al minimo suono. La donna si scosse, con un’esclamazione soffocata, un respiro ansimante. Simon non ebbe bisogno di sentirsi tirare per il braccio, per volgersi a guardarla.

Nella semioscurità, un’ombra si mosse all’estremità del cornicione. E la donna gli strappò dalla mano la pistola, di sorpresa, ne batté rabbiosamente il calcio su quella cosa strisciante.

Vi fu uno squittio acuto, troncato bruscamente. Simon si affrettò a riprendere l’arma e solo quando la riebbe saldamente in mano guardò l’essere che si contorceva con la schiena spezzata. Denti bianchi ed aguzzi in una testa piatta e stretta, saldata ad un corpo peloso, gli occhi rossi vivi di qualcosa che lo sbalordì… intelligenza animale! Stava morendo, ma si contorceva ancora per raggiungere la donna, esalando un lieve sibilo tra le zanne, con un intento maligno che traspariva da ogni linea del corpo straziato.

Disgustato, Simon mosse il piede di scatto, colpendo il fianco dell’essere, e lo scagliò nel vuoto, tra i segugi.

Li vide disperdersi, separarsi indietreggiando come se avesse gettato in mezzo a loro una bomba a mano. Tra i loro guaiti, udì un suono più incoraggiante, la risata della donna che gli stava accanto. Vide che aveva gli occhi illuminati da una luce di trionfo. Lei annuì e rise di nuovo, mentre Simon si sporgeva a scrutare quello stagno d’ombra che lambiva la base del pinnacolo, nascondendo il corpo dell’essere.

Gli uomini nascosti là sotto avevano forse sguinzagliato contro di loro un altro cacciatore? Eppure la paura, la rapida ritirata dei cani che adesso turbinavano a parecchi metri di distanza, sembravano indicare altrimenti. Se avevano cacciato in compagnia dell’essere ucciso, non l’avevano fatto per libera scelta. Accettando quella possibilità come un altro dei misteri del mondo in cui era finito — di sua volontà — Simon si preparò a vegliare per tutta la notte. Se l’attacco silenzioso del piccolo animale era stato una mossa degli assedianti, forse sarebbero usciti allo scoperto per insistere.

Ma, con l’infittirsi delle tenebre, dal basso non salirono altri suoni che Simon poteva interpretare come segnali d’attacco. I cani s’erano sdraiati in semicerchio ai piedi del pinnacolo, vagamente visibili a causa della pelle bianca. Tregarth pensò di nuovo alla possibilità di salire fino in cima alla roccia… avrebbero potuto anche attraversarla, se la caviglia della donna fosse migliorata. Quando fu completamente buio, lei si mosse. Gli posò per un momento le dita sul polso, poi gliele insinuò nel cavo della mano. Mentre vigilava e ascoltava, Simon si accorse di un’immagine che prendeva forma nella sua mente. Un coltello… lei voleva un coltello! Liberò la mano, estrasse il temperino, e se lo vide strappare ansiosamente dalle dita.

Quello che avvenne poi, Simon non riuscì a comprenderlo: ma ebbe il buon senso di non intromettersi. Il cristallo opaco incastonato nel bracciale irradiò una luce fioca, da fuoco fatuo. In quel barlume, vide che la donna si feriva con la punta del temperino alla base del pollice. Una goccia di sangue spicciò sulla pelle e cadde sul cristallo: per un momento, il liquido denso oscurò il chiarore.

Poi, dall’ovale uscì una luce più intensa, un raggio di fiamma. La sua compagna rise di nuovo: una risata sommessa, soddisfatta. In pochi secondi, il cristallo ridivenne opaco. Lei posò la mano sulla pistola, e Simon lesse in quel gesto un altro messaggio. L’arma non era più necessaria: sarebbero arrivati i soccorsi.

Il vento della palude, con i suoi sbuffi putridi, gemeva intorno alle lingue di roccia. La donna tremava di nuovo; la cinse con un braccio, attirandola a sé, per unire il calore di entrambi. Nell’arco del cielo balenò la spada zigzagante di un fulmine purpureo.