"Il mondo delle streghe" - читать интересную книгу автора (Norton Andre)

PARTE SECONDA l’avventura di Verlaine

Capitolo primo Le nozze dell’ascia

Il mare era cupo e grigio, del colore della lama di un’ascia che non avrebbe mai acquistato lucentezza per quanto venisse levigata, di uno specchio d’acciaio appannato da un’umidità che era impossibile rimuovere. E il cielo era piatto: era difficile distinguere la linea che separava l’aria dall’acqua.

Loyse si rannicchiò sul cornicione, sotto la finestra. Temeva l’abisso, perché quella torretta che sporgeva dalle mura stava affacciata direttamente sopra le rocce maligne e spumeggianti della costa, e lei soffriva di vertigini. Eppure spesso saliva lassù perché, quando si guardava in quel vuoto, turbato solo, talvolta, dal volo di un uccello in picchiata, si poteva vedere la libertà.

Le sue mani sottili, dalle dita lunghe, premevano la pietra ai lati della feritoia, mentre si sporgeva un poco più in avanti, sforzandosi di vedere ciò che temeva, come si sforzava di fare molte cose che il suo corpo e la sua mente avrebbero voluto rifiutare. Per essere la figlia di Fulk, bisognava costruirsi una corazza interiore di ghiaccio e di ferro che nessuna ferita della carne, nessuna tentazione dello spirito poteva schiantare. E lei era impegnata ad erigere quella roccaforte interiore da più della metà degli anni della sua breve vita.

C’erano state molte donne a Verlaine, perché Fulk era un uomo dagli appetiti gagliardi. E Loyse le aveva viste venire ed andare fin dall’infanzia, e le aveva studiate freddamente. A nessuna Fulk aveva accordato il titolo di consorte, nessuna gli aveva dato altri figli… Quello era il grande rammarico di Fulk e, fino ad ora, la grande soddisfazione di Loyse. Verlaine, infatti, non spettava a Fulk per diritto di sangue: era passata a lui solo grazie al matrimonio con la madre di Loyse, e finché Loyse viveva, Fulk poteva continuare a tenersela, insieme ai ricchi diritti di saccheggio sulla spiaggia e nell’entroterra. A Karsten c’erano i parenti della madre di Loyse, che si sarebbero affrettati a rivendicare la signoria, se lei fosse morta.

Ma se Fulk avesse avuto un figlio maschio da una delle donne ben disposte — o mal disposte — che si era portate nell’enorme letto della stanza padronale, allora avrebbe potuto rivendicare ben più del diritto di restare signore di Verlaine per tutta la vita, in forza delle nuove leggi emanate dal Duca. Secondo l’antica consuetudine, per l’eredità valevano i diritti della madre; ma ora valevano quelli del padre, e solo nel caso che non vi fossero eredi maschi prevaleva la vecchia legge.

Loyse amava il suo filo sottile di potere e di sicurezza e vi si aggrappava perché era la sua unica speranza. Se Fulk fosse stato ucciso in una delle scorrerie di confine, o assassinato da qualche vendicativo rappresentante d’una famiglia spodestata, lei e Verlaine avrebbero trovato la libertà. Ah, allora tutti avrebbero veduto cosa sapeva fare una donna! Avrebbero scoperto che lei non si era limitata a piangere in segreto, per tutti quegli anni, come credeva tanta gente.

Si scostò dal cornicione e attraversò la stanza. Era fredda per il soffio del mare, e resa tetra dalla mancanza del sole. Ma lei era abituata al freddo ed all’oscurità: ormai facevano quasi parte del suo essere.

Passò oltre il letto a baldacchino, e si fermò davanti ad uno specchio. Non era lo specchio di una dama raffinata, ma uno scudo rombico, levigato e lucidato con ore di paziente fatica, che rifletteva un’immagine leggermente distorta. E guardare quell’immagine, affrontare con fermezza ciò che le diceva, faceva egualmente parte della rigorosa disciplina che Loyse imponeva a se stessa.

Era minuta: ma quella era l’unica caratteristica femminile che aveva in comune con le donne che davano piacere ai seguaci di suo padre, o con quelle più aggraziate che Fulk teneva per sé. La sua figura era snella e diritta come quella di un ragazzo, e solo le lievi curve proclamavano la sua femminilità. I capelli, intrecciati sulle spalle, scendevano fin sotto la cintola: erano folti, ma lisci e di un biondo così pallido da sembrare bianchi come quelli di una vecchia, quando non li investiva la luce del sole: e le ciglia e le sopracciglia, egualmente incolori, conferivano al suo volto un’espressione stranamente vacua, priva d’intelligenza. La pelle, tirata sulle ossa delicate del viso e del petto, era liscia e pallida; persino le labbra sottili erano del rosa più fievole. Era una creatura sbiancata, cresciuta nel buio: ma in lei c’era una vitalità forte quanto la lama flessibile che un esperto schermitore preferisce all’arma più goffa e pesante degli inesperti.

All’improvviso, le sue mani si congiunsero, si strinsero convulsamente. Poi le staccò, le lasciò ricadere lungo i fianchi: ma sotto le ampie maniche erano ancora strette a pugno, con le unghie piantate nel palmo. Loyse non si voltò verso la porta, non mostrò di aver notato il cigolio della serratura. Sapeva fino a che punto poteva spingersi nella sua sottile sfida a Fulk, e non indietreggiava mai da quel limite. Qualche volta, pensava con disperazione, suo padre non si accorgeva neppure della sua ribellione!

La porta sbatté contro la parete. Il signore di Verlaine trattava sempre ogni barriera come se dovesse espugnare una fortezza nemica. Entrò con il passo di un uomo che ha appena strappato le chiavi d’una città dalla punta della spada di un comandante sconfitto.

Se Loyse era la creatura incolore del buio, Fulk era il signore del sole e della luce sfolgorante. La bella figura cominciava a mostrare i segni della sua vita movimentata, ma era ancora magnifica: la testa coronata dai capelli d’oro rosso era portata con arroganza principesca, i lineamenti cesellati erano appena un po’ appesantiti. Molti, a Verlaine, veneravano il loro signore. Aveva una generosità aperta e capricciosa, quand’era soddisfatto, e i suoi vizi erano ben compresi e condivisi dai suoi uomini.

Loyse scorse l’immagine riflessa nello specchio, e le parve che facesse sbiadire ancora di più la sua. Ma non si voltò.

«Salve, Nobile Fulk.» La sua voce era atona.

«Nobile Fulk, eh? È così che parli a tuo padre, ragazza? Vieni qui e una volta tanto dimostra di avere nelle vene qualcosa di più del ghiaccio!»

Le posò una mano sulla spalla, sotto la treccia, e la costrinse a girarsi, stringendola con una forza che le avrebbe lasciato un livido per una settimana. L’aveva fatto apposta: lei lo sapeva, ma non mostrò di essersene accorta.

«Sono venuto a portarti una notizia che farebbe spiccare salti di gioia a una ragazza come si deve, e tu mi guardi con quella faccia da pesce morto,» protestò giovialmente Fulk. Ma l’espressione che aveva negli occhi non era allegria.

«Non mi hai ancora dato la notizia, mio signore.»

Le dita di Fulk strinsero più forte, come cercassero le ossa per stritolarle.

«Sicuro, non te l’ho data! Eppure è una notizia che farebbe battere il cuore ad ogni ragazza! Nozze e letto, ragazza mia, nozze e letto!»

Volutamente, Loyse finse di fraintenderlo: ma provava una paura che non aveva mai conosciuto.

«Hai deciso di dare una dama a Verlaine, mio signore? Che la fortuna ti conceda una bella sposa.»

Fulk non allentò la stretta; la scrollò, simulando un ammonimento scherzoso, ma con una forza che la faceva soffrire.

«Sarai una donna da niente, ma non sei stupida, anche se credi di ingannare gli altri. Dovresti essere ormai una femmina, alla tua età. Almeno, adesso avrai un consorte per farne la prova. E ti consiglio di non tentare i tuoi trucchi con lui. Preferisce compagne di letto molto docili!»

Ciò che Loyse aveva sempre temuto più di ogni altra cosa era accaduto: e non riuscì a trattenersi in tempo dal tradire i suoi sentimenti.

«Un matrimonio richiede il libero consenso…» Poi s’interruppe, vergognandosi di quell’incrinatura momentanea.

Fulk rideva, felice di averle strappato quella protesta. Spostò la mano, stringendole la nuca in una morsa che le fece sfuggire dalle labbra un’esclamazione soffocata. Poi, come se muovesse un pupazzo inanimato, la fece girare su se stessa, volgendola verso lo scudo, tempestandola di parole che la ferivano più di qualunque percossa.

«Guarda quella specie di ricotta che tu chiami faccia! Credi che un uomo potrebbe accostarvi le labbra senza chiudere gli occhi ed augurarsi di essere altrove? Rallegrati, ragazza, di aver qualcosa, oltre quella faccia e quel corpo ossuto, per allettare un corteggiatore. Acconsentirai liberamente a prendere per marito chiunque ti voglia. E sii lieta di avere un padre capace di concludere un negoziato come quello che ho ottenuto per te. Faresti meglio a buttarti in ginocchio ed a ringraziare i tuoi dei, perché Fulk sa provvedere alla sua famiglia!»

Le sue parole erano un rombo di tuono; Loyse non vedeva immagini nello specchio, ma solo gli orrori nebulosi della sua fantasia. A quale dei bruti che facevano parte del seguito di Fulk stava per essere gettata… a tutto vantaggio di suo padre?

«Lo stesso Karsten…» Nell’esultanza crescente di Fulk c’era una sorta di stupore. «Karsten, pensa! E questa massa informe di pasta malcotta parla di consenso! Sei veramente stupida!» La lasciò, con una spinta improvvisa che la mandò a sbattere contro lo scudo. Il metallo urtò rumorosamente sulla parete. Loyse si sforzò di mantenere l’equilibrio, vi riuscì, e si volse verso il padre.

«Il Duca!» Non poteva crederlo. Perché il signore di un ducato doveva chiedere in moglie la figlia di un barone della costa, anche se la stirpe di sua madre era antica e nobilissima?

«Sì, il Duca!» Fulk sedette ai piedi del letto, dondolando i piedi. «Un colpo di fortuna! Una buona stella ha sorriso sulla tua culla, ragazza mia. L’araldo di Karsten è arrivato questa mattina, con l’offerta di nozze dell’ascia per te.»

«Perché?»

Fulk smise di agitare i piedi. Non fece smorfie, ma la sua espressione era seria.

«Vi sono molte buone ragioni, come dardi puntati contro la sua schiena!» Alzò le mani e cominciò ad enumerare sulle dita.

«Primo: il Duca, nonostante tutta la sua potenza, era un comandante di mercenari prima d’impadronirsi di Karsten, e credo che non sappia neppure chi è sua madre, per non parlare del padre. Ha schiacciato i nobili che hanno cercato di osteggiarlo. Ma questo è avvenuto una decina di anni fa, e adesso non ha più voglia d’indossare l’armatura per stanare con il fuoco i ribelli dalle loro rocche. Ha conquistato il ducato, e vuole goderselo in pace. Una moglie proveniente dai ranghi di coloro che ha contrastato in passato è un dono di pace. E anche se Verlaine non è la signoria più ricca di Karsten, il sangue della sua stirpe è nobilissimo… non me lo ripeterono forse abbastanza quando venni qui a corteggiare tua madre? Eppure io non ero privo di blasone: ero il figlio minore di Farthom, delle colline del nord!» Torse le labbra, ricordando certi torti subiti in passato.

«E poiché tu sei l’erede di Verlaine, vai benissimo.»

Loyse rise. «Non può essere vero, mio signore, che io sia l’unica fanciulla in età da marito di tutto Karsten.»

«È giusto. E il Duca potrebbe cercare altrove. Ma come ho detto, figlia carissima, tu offri certi altri vantaggi. Verlaine è una signoria costiera, con diritti antichissimi, e il Duca ha ambizioni più pacifiche, adesso, della conquista violenta. Che ne diresti, Loyse, se qui ci fosse un porto capace di attirare tutto il traffico del nord?»

«E cosa farebbe Forte Sulcar se venisse a sorgere un simile porto? Coloro che giurano nel nome di Sul sono gelosi delle loro prerogative.»

«Coloro che giurano nel nome di Sul, forse, presto non potranno più giurare,» ribatté Fulk, con una calma sicurezza carica di convinzione. «Hanno vicini turbolenti, che diventano sempre più pericolosi. Ed Estcarp, cui potrebbero rivolgersi per chiedere aiuto, è un guscio vuoto, divorato dalla dedizione alla stregoneria. Basta una spinta, e quella terra cadrà nella polvere immonda che avrebbe dovuto seppellirla già da molto tempo.»

«Quindi, per la mia stirpe e per il progetto di un porto, il Nobile Yvian si offre di sposarmi,» insistette Loyse, ancora incapace di credere che fosse vero. «Eppure, quel possente signore è veramente libero di inviare qui la sua ascia per concludere un matrimonio? Io vivo reclusa in una fortezza lontana da Kars, tuttavia ho sentito parlare di una certa Aldis che dà ordini, prontamente obbediti da tutti coloro che portano le insegne del Duca.»

«Yvian avrà Aldis e… sì, una cinquantina d’altre come lei, e questo non ti riguarda, ragazza. Dagli un figlio… se il tuo sangue annacquato può formare un uomo, del che io dubito! Dagli un figlio, e tieni la testa alta alla tavola ducale, ma non infastidirlo con la pretesa che ti faccia più compagnia di quanto impone la cortesia. Rallegrati degli onori: e se sei saggia, tratterai con gentilezza Aldis e le altre. Yvian non ha fama di essere un uomo paziente o facile alla tolleranza.» Fulk scese dal letto e si accinse ad uscire. Ma prima di andarsene, sganciò una piccola chiave dalla catena che portava alla cintura, e la gettò alla figlia.

«Nonostante la tua faccia spettrale, non dovrai andare a nozze senza quello che ti spetta. Ti manderò Bettris: lei ha occhio per gli ornamenti e ti aiuterà a scegliere vesti adatte. E veli per coprirti il viso: ne avrai bisogno! E tieni d’occhio Bettris; non permettere che prenda per sé più di quanto possa portar via con tutte e due le mani!»

Loyse afferrò la chiave con un gesto così impaziente che Fulk rise. «In questo sei femmina… gli ornamenti ti piacciono come alle altre. Ancora un paio di tempeste, tanto, e potremo rimpiazzare quello che ti porterai via.»

Uscì, lasciando la porta spalancata. Quando Loyse lo seguì per richiuderla, tenne stretta nella mano la chiave, come se fosse un tesoro. Per mesi, per anni, aveva sognato di entrare in possesso di quel piccolo oggetto metallico. Adesso le era stato consegnato ufficialmente, e nessuno le avrebbe impedito di cercare ciò che voleva veramente, nel magazzeno di Verlaine.

Diritto di saccheggio sui relitti, sopra le onde e sulla riva! Dal giorno in cui Forte Verlaine era stato edificato sulle alture, tra due promontori pericolosi, il mare aveva portato ai suoi signori una ricca messe. E il magazzeno era un’autentica sala del tesoro, che si apriva soltanto per ordine del signore. Fulk doveva essere convinto di aver concluso un buon affare con Yvian, per permetterle di far bottino indiscriminatamente. Loyse non si preoccupava della compagnia di Bettris. La più recente concubina di Fulk era avida quanto bella, e non avrebbe degnato d’uno sguardo ciò che avrebbe scelto Loyse, purché avesse avuto la possibilità di cercare qualcosa per sé.

Loyse fece saltare la chiave dalla mano destra alla sinistra, e per la prima volta un sorriso incurvò le sue labbra pallide.

Fulk sarebbe rimasto sorpreso delle scelte che lei avrebbe compiuto nel tesoro di Verlaine! E forse si sarebbe stupito, se avesse saputo quante cose conosceva delle mura che lui considerava come barriere inviolabili. Il suo sguardo guizzò per un momento verso la parete cui era appeso lo specchio.

Poi sentì bussare frettolosamente alla porta. Loyse sorrise di nuovo, questa volta con un’espressione di disprezzo. Bettris non aveva impiegato molto ad obbedire agli ordini di Fulk. Ma almeno, quella donna non osava entrare nella stanza della figlia del suo amante senza essere invitata a farlo. Loyse andò alla porta.

«Il Nobile Fulk…» cominciò la ragazza che stava sulla soglia: la sua bellezza formosa era vivida quanto quella virile di Fulk.

Loyse mostrò la chiave. «Eccola.» Non chiamò per nome l’altra, non le diede alcun titolo, ma scrutò le spalle tornite che erompevano dalla veste drappeggiata sulle curve lussureggianti. Dietro Bettris c’erano due servitori che reggevano un grosso cofano. Loyse inarcò le sopracciglia, e l’altra rise, nervosamente.

«Il Nobile Fulk vuole che tu scelga le vesti da sposa, signora. Ha detto di non aver riguardi.»

«Il Nobile Fulk è generoso,» rispose Loyse con voce atona. «Vogliamo andare?»

Le donne evitarono la grande sala della fortezza, perché la stanza del tesoro si trovava ai piedi della torre in cui erano gli appartamenti privati della famiglia. Loyse ne era lieta; si teneva sempre lontana dall’animazione della casa di suo padre. E quando giunse finalmente alla porta aperta dalla sua chiave, si compiacque nel vedere che solo Bettris osava seguirla all’interno. I servi spinsero avanti il grosso cofano e si ritirarono.

Tre globi fissati al soffitto irradiavano luce su scrigni e casse, balle e sacchi. Bettris si allisciò la veste sui fianchi, con il gesto d’una venditrice che, al mercato, si accinge a contrattare. I suoi occhi scuri sfrecciavano da un mucchio all’altro; e Loyse, riponendo la chiave nella borsa, si affrettò ad alimentarne l’avidità.

«Non credo che il Nobile Fulk ti negherebbe di scegliere qualcosa anche per te. Anzi, me l’ha detto lui stesso: ma vorrei avvertirti di essere discreta e non troppo avida.»

Le mani grassocce volarono dai fianchi di Bettris al seno semiscoperto. Loyse si diresse verso il tavolo posto al centro della stanza, alzò il coperchio di uno scrigno. Batté le palpebre, nel vedere le ricchezze che vi erano racchiuse. Mai, prima di quel momento, si era resa conto che le rapine compiute da Verlaine nel corso degli anni avessero fruttato tanto. Da un groviglio di catene e di collane liberò una grande spilla, ornata di pietre rosse e d’intarsi, un gingillo che non era di suo gusto, ma che s’intonava con la bellezza straripante della sua accompagnatrice.

«Qualcosa del genere,» suggerì, porgendola.

Le mani di Bettris si protesero, poi si ritrassero di scatto. Socchiudendo le labbra rosse, la donna deviò lo sguardo dalla spilla a Loyse, e da Loyse alla spilla. Vincendo la ripugnanza, la fanciulla accostò il massiccio gioiello alla scollatura della veste dell’altra, dominando l’impulso di ritrarsi al contatto di quella carne morbida.

«Ti sta bene, prendila!» Nonostante il suo desiderio, le parole di Loyse erano brusche come un ordine. Ma l’altra abboccò all’amo. Concentrando l’attenzione sulle gemme, la donna si accostò al tavolo: e Loyse, per il momento, si sentì libera di fare ciò che voleva.

Sapeva cosa cercare, ma non era certa del posto in cui si doveva trovare. Lentamente, la fanciulla si mosse tra i mucchi di casse di cofani. Alcuni erano macchiati da incrostazioni saline, e da altri esalavano lievi profumi esotici. Dopo aver messo tra sé e Bettris una piccola barriera di casse, trovò uno scrigno che le parve promettente.

L’aspetto fragile di Loyse era ingannevole. Come aveva dominato le proprie emozioni in attesa di quel giorno, aveva allenato inflessibilmente anche il proprio corpo. Il coperchio era pesante, ma lo sollevò. E l’odore d’olio, la vista delle stoffe scolorite, le dissero che era sulla pista buona. Scostò i drappi, temendo di macchiarsi le mani e di rivelare la natura della sua ricerca. Poi estrasse un usbergo di maglia, appoggiandoselo contro le spalle per misurarselo. Troppo grande… forse non sarebbe riuscita a trovare nulla che si adattasse alla sua figura esile.

Frugò ancora. Un secondo giaco… un terzo… la cassa doveva essere appartenuta ad un armaiolo. In fondo ce n’era uno che doveva essere stato confezionato su misura per il figlioletto di qualche sovrano. Loyse lo prese, e vide che richiedeva ben pochi cambiamenti, per adattarsi alla sua figura. Rimise il resto nella cassa, e arrotolò il giaco perché occupasse il minor spazio possibile.

Bettris era affascinata dal cofano dei gioielli, e Loyse era certa che s’era già nascosta addosso più di un monile. Ma questo le lasciava la possibilità di proseguire le sue ricerche, muovendosi apertamente tra la cassa portata dai servitori e le sue fonti di rifornimento e aggiungendo stoffe di seta e di velluto ed un mantello di pelliccia per coprire il resto.

Per compiacere Bettris e per stornare i sospetti, Loyse scelse anche diversi gioielli, e poi chiamò i servi perché portassero la cassa nella sua stanza. Temeva che Bettris pretendesse di aiutarla a togliere gli oggetti dal cofano. Ma il suo trucco aveva funzionato; la donna smaniava dalla voglia di andare ad esaminare il suo bottino, e non si trattenne.

Con una rapidità quasi furiosa, temperata dalla prudenza e dalla precisione di un piano studiato minuziosamente in anticipo, Loyse si mise al lavoro. Scaricò sul letto le pezze di stoffa scelte frettolosamente, i pacchi di merletti e di ricami. Poi s’inginocchiò, sgombrando la cassapanca dove era riposto il suo guardaroba attuale. Diverse cose erano già pronte da molto tempo. Ma c’era tutto il resto. Con una cura che non aveva riservato alle stoffe più splendide, Loyse radunò la dote che intendeva portarsi via da Verlaine, indosso, nella borsa, nelle sacche della sella.

L’usbergo di maglia, vestiti di cuoio, armi, elmo, monete d’oro, una manciata di gioielli. Su questi buttò di nuovo i suoi abiti, assestandoli con la meticolosità di una brava massaia. Il suo respiro era un po’ affrettato: ma aveva già chiuso la cassapanca e stava spiegando sul letto il resto del suo bottino quando udì il passo nel corridoio… Fulk che tornava a riprendersi la chiave.

Impulsivamente, Loyse prese un velo bordato di fili d’argento, lieve come una ragnatela costellata di rugiada, e se lo drappeggiò sulla testa e sulle spalle: le stava malissimo, lo sapeva, ma adesso che aveva realizzato il suo intento si sentiva abbastanza generosa per permettere che suo padre ridesse di lei. Tenendo il velo sul capo, andò a mettersi in posa davanti allo scudo che fungeva da specchio.