"I guardiani della notte" - читать интересную книгу автора (Luk'janenko Sergej)

Capitolo 3

Mi piace camminare per la città al tramonto. Ma senza diventare invisibile, altrimenti rischi di essere investito a ogni istante. Così la gente si limita a trapassarti con lo sguardo senza notarti. Ma ora mi toccava lavorare allo scoperto.

Il giorno non fa per noi. Per quanto buffo, gli alleati della Luce lavorano di notte quando si attivano le Forze delle Tenebre. Non si può mai dire di che siano capaci le Forze delle Tenebre. I vampiri, i mutantropi. I maghi neri di giorno sono tenuti a vivere come comuni esseri umani.

Per la maggior parte, s'intende.

Ora camminavo avanti e indietro intorno alla stazione Tul'skaja. Come mi aveva consigliato il Capo, avevo perlustrato tutte le stazioni della linea circolare in cui avrebbe potuto scendere la ragazza con l'infernale vortice nero. Avrebbe dovuto lasciare una traccia, seppure debole, almeno distinguibile. Avevo deciso di setacciare i rami radiali.

Una stazione idiota, un quartiere idiota. Due uscite, dislocate a una discreta distanza l'una dall'altra. Il mercato, il pomposo grattacielo della polizia tributaria, l'immenso caseggiato. C'erano tante di quelle emanazioni oscure che individuare la traccia del vortice malefico era problematico.

Soprattutto se qui lei non si era fatta viva.

Perlustrai tutto, cercando di scovare l'aura della ragazza, spiando talora attraverso il Crepuscolo l'invisibile uccello, che aveva nidificato sulla mia spalla. La civetta sonnecchiava. Anche lei non percepiva nulla, e dire che ero persuaso che i suoi poteri fossero migliori dei miei nella ricerca.

Una volta i poliziotti mi controllarono i documenti. Per due volte venni importunato da alcuni giovani sciroccati che volevano darmi quasi gratis, per soli cinquanta dollari, un phon cinese, un giocattolino e un minuscolo telefonino coreano.

E qui persi il controllo. Scacciai il molesto venditore ed effettuai una rimoralizzazione. Lieve, nei limiti del consentito. Forse il ragazzo si sarebbe cercato un altro lavoro. O forse no…

Ma in quell'istante fui afferrato per i gomiti. Fino a un momento prima non c'era nessuno e ora dietro le mie spalle stava una coppietta. Una ragazza simpatica, robusta, dai capelli rossi e un ragazzo dal viso cupo.

— Tranquillo — disse la ragazza. Nella coppia era lei il capo, lo intuii all'istante. — Guardiano del Giorno.

Luce e Tenebre!

Mi strinsi nelle spalle e li fissai.

— Identificati! — intimò la ragazza.

Non aveva senso mentire, la mia aura era stata filmata già da un pezzo e individuare la mia identità era solo questione di tempo.

— Anton Gorodeckij.

Erano in attesa.

— Altro — ammisi. — Agente della Guardia della Notte. Allontanarono le mani dai miei gomiti. E addirittura arretrarono di un passo. Non sembravano affatto amareggiati.

— Andiamo nel Crepuscolo! — intimò il giovane.

Non dovevano essere vampiri. Anche questo era un bene. Si poteva confidare su una certa obiettività. Sospirai e passai da una realtà all'altra.

La prima sorpresa consisteva nella giovane età della coppia. La ragazza strega aveva all'incirca venticinque anni e lo stregone trenta, più o meno come me. Avevo pensato che all'occorrenza avrei potuto persino rammentarmi i loro nomi: alla fine degli anni Settanta di streghe e di stregoni ne erano nati pochi.

La seconda sorpresa fu l'assenza della civetta sulla mia spalla. O meglio, c'era: potevo sentirne gli artigli, potevo vederla, ma soltanto in un momento di particolare tensione. Era possibile che l'uccello avesse cambiato realtà insieme con me e si trovasse a un livello più profondo del Crepuscolo.

La faccenda era sempre più interessante.

— Guardiano del Giorno — ripeté la ragazza. — Alisa Donnikova, Altra.

— Pet'ka Nesterov, Altro — borbottò il ragazzo.

— Ci sono problemi?

La ragazza mi trapassava col suo sguardo "firmato" strega. A ogni secondo diventava sempre più simpatica e seducente. Certo io ero protetto da un intervento diretto, era impossibile farmi un incantesimo, ma la cosa era piuttosto d'effetto.

— Non siamo noi ad avere problemi. Anton Gorodeckij. lei ha avuto un contatto non regolare con un essere umano.

— Sì? E quale?

— Un'interferenza di settimo grado — ammise malvolentieri la strega. — Ma un fatto è un fatto. Inoltre l'ha spinto verso la Luce.

— Dobbiamo fare rapporto? — A un tratto trovai la situazione esilarante. Del settimo grado. Una sciocchezza. Era un'azione al limite tra la magia e la banale conversazione.

— Lo faremo.

— E che cosa scriviamo? Che un agente della Guardia della Notte ha stimolato leggermente nell'uomo la repulsione per la truffa?

— Violando così l'equilibrio stabilito — disse lo stregone, scandendo le parole.

— Ma no! E quale danno ne ricavano le Tenebre? Se il ragazzo smetterà di vivere di piccoli espedienti, la sua vita peggiorerà. Sarà più morale, ma più infelice. Secondo il testo del Patto sull'equilibrio delle forze questa non è da ritenersi una violazione dell'equilibrio.

— Un sofisma — buttò lì la ragazza. — Lei è un agente della Guardia. Ciò che si può perdonare a un comune Altro, nel suo caso è un atto illegale.

Aveva ragione, si trattava di una piccola violazione, eppure…

— Mi infastidiva. Quando effettuo una perlustrazione ho il diritto di ricorrere a un'interferenza magica.

— Era in servizio, Anton?

— E come mai di giorno?

— Ho un incarico speciale. Potete chiedere informazioni ai vostri superiori. O meglio, avete il diritto di chiedere informazioni ai vostri superiori.

La strega e lo stregone si scambiarono un'occhiata. Per quanto opposti fossero i nostri scopi e la nostra morale, i nostri uffici erano tenuti a collaborare.

E, per dirla tutta, nessuno ama immischiare i propri superiori.

— Ammettiamo, Anton — convenne malvolentieri la strega — che possa cavarsela con un'ammonizione verbale.

Mi guardai intorno. Nella nebbia grigia la gente camminava lentamente. Gente comune, incapace di uscire dal proprio piccolo mondo. Noi, invece, eravamo Altri, non importava che io fossi un alleato della Luce e loro, i miei interlocutori, alleati delle Tenebre. Con loro avevo molte più cose in comune che non con qualunque altro normale essere umano.

— A quale condizione?

Non si può giocare a rimpiattino con le Tenebre.

Le regole sono fatte per essere infrante. Non si può scendere a compromessi. E, cosa assai più rischiosa, accettare doni. Ma le regole sono fatte per essere violate.

— Nessuna.

Guardai Alisa, cercando di individuare l'insidia nelle sue parole. Pet'ka era visibilmente contrariato dal comportamento della socia, si era adirato, voleva smascherare l'adepto della Luce con le prove del suo crimine. Significava che si poteva anche non prenderlo in considerazione.

In che cosa consisteva la trappola?

— Per me è inaccettabile — dissi, scoprendo con sollievo l'insidia. — La ringrazio, Alisa, per l'offerta di accomodamento reciproco. Posso acconsentire, ma prometto in un'analoga situazione di perdonare anche a voi una leggera interferenza magica, inclusa una di settimo grado.

— Va bene, Altro — acconsentì subito Alisa. Tese la mano e io la strinsi. — L'accordo individuale è concluso.

La civetta sulla mia spalla frullò le ali. Le sue strida infuriate mi colpirono l'orecchio. E di lì a un istante l'uccello si materializzò nel Crepuscolo.

Alisa arretrò, le sue pupille divennero di colpo due fessure verticali. Il ragazzo stregone perse subito la sua sbarra di difesa.

— Accordo concluso! — ripeté minacciosa la strega.

Che era successo?

Avevo capito in ritardo che non si doveva trattare in presenza di Ol'ga. Anche se… Che c'era poi di così terribile in quel che era accaduto? Come se altri agenti della Guardia non avessero mai concluso alleanze simili anche in mia presenza, o non fossero mai scesi a compromessi, non avessero collaborato con le Forze delle Tenebre, compreso il Capo! Non è auspicabile, certo! Ma bisogna!

Il nostro scopo non è annientare le Forze delle Tenebre. Il nostro scopo è mantenere l'equilibrio. Le Tenebre scompariranno soltanto quando gli umani vinceranno dentro di sé il Male. E noi spariremo soltanto se gli umani preferiranno le Tenebre alla Luce.

— L'accordo è concluso — dissi alla civetta in tono maligno. — Accettalo. Si tratta di una sciocchezza. Una banale collaborazione.

Alisa sorrise, mi salutò con la mano. Prese lo stregone per il gomito e insieme si ritirarono. Ancora un istante e, uscendo dal Crepuscolo, avrebbero camminato lungo il marciapiede. Come una coppia qualunque.

— Perché ti agiti? — chiesi io. — Nel lavoro non si può fare a meno di compromessi!

— Hai commesso un errore.

La voce di Ol'ga era strana, non adeguata al suo aspetto esteriore. Morbida, vellutata, melodiosa. Così parlano i mutanti gatti, non gli uccelli.

— Bene, bene. Allora sai parlare…

— Sì.

— E come mai prima tacevi?

— Prima andava tutto bene.

— Esco dal Crepuscolo, d'accordo? E così tu intanto puoi spiegarmi in che cosa ho sbagliato. I piccoli compromessi con gli agenti delle Tenebre sono una parte inevitabile del nostro lavoro.

— Tu non hai una qualifica che ti consenta di fare dei compromessi.

Il mondo intorno ridiventò a colori. Questo accade di solito quando con la videocamera si vira dal seppia tipico del vecchio cinema alla normale pellicola. L'analogia era molto felice. Il Crepuscolo è un po' come il vecchio cinema. Vecchio, arcaico, rimosso dall'umanità perché la vita risulti più facile.

M'inabissai nel metrò, apostrofando la mia invisibile interlocutrice: — Che c'entra qui la qualifica?

— Un Guardiano di livello alto è in grado di prevedere le conseguenze di un compromesso e di sapere se si tratta di una concessione che si neutralizza reciprocamente o invece di una trappola da cui si ricaverà più perdita che guadagno.

— Non credo che un'interferenza di settimo grado ci arrecherà un danno!

Un uomo che mi passava accanto mi fissò stupito. Stavo già per indirizzargli una frase del tipo: "Sono uno psicopatico, ma sono innocuo." Una di quelle frasi che riescono sempre a placare la curiosità eccessiva. Ma l'uomo aveva già affrettato il passo, giungendo forse da solo alla stessa conclusione.

— Anton, tu non sei in grado di prevedere le conseguenze. Hai reagito a una situazione leggermente fastidiosa in modo inadeguato. Il tuo piccolo sortilegio ha provocato un'intromissione da parte degli agenti delle Forze delle Tenebre. Sei sceso a compromessi con loro. Ma la cosa più triste è che non c'era nessun bisogno di quella interferenza magica.

— Sì, sì, lo ammetto. E ora che cosa facciamo?

La voce dell'uccello si ravvivò, si colorì di intonazioni. Forse era rimasto troppo a lungo senza parlare.

— Ora non fare nulla. Speriamo bene per il futuro.

— Riferirai al Capo dell'accaduto?

— No. Per il momento no. Siamo soci, non è così?

Mi sentii riscaldare il cuore. Gli errori sono errori, ma per quel repentino miglioramento nei rapporti con la mia partner ne era valsa la pena.

— Grazie. Che cosa consigli?

— Fai tutto quello che si deve. Segui la traccia. Avrei preferito ricevere un consiglio più originale…

— Andiamo.

Verso le due, oltre alla linea circolare avevo già perlustrato anche tutta la linea grigia. Forse sarò un pessimo operativo, ma non poteva sfuggirmi la traccia che avevo già individuato il giorno prima. La ragazza col vortice infernale sopra la testa non doveva essere uscita di lì. Evidentemente occorreva ricominciare dal luogo in cui ci eravamo incontrati.

Alla stazione Kurskaja uscii dal metrò, comprai a un distributore una confezione di insalata e un bicchiere di caffè. Un'occhiata agli hamburger e ai wurstel mi fece venire la nausea, malgrado la quantità puramente simbolica di carne che contenevano.

— Vuoi qualcosa? — chiesi alla mia invisibile compagna di viaggio.

— No, grazie.

In piedi sotto il nevischio raspavo con la forchetta nell'insalata Olivier, sorseggiando caffè bollente. Un barbone, che evidentemente contava sul fatto che prendessi una birra e gli lasciassi la bottiglia vuota, mi scansò e se ne andò a scaldarsi nella metropolitana. La giovane venditrice serviva i passanti affamati, una folla di persone senza volto fluiva di stazione in stazione. Alla bancarella dei libri il rivenditore aveva rifilato con aria mesta un libro all'acquirente. Che si lagnava.

— Forse sono di cattivo umore… — borbottai.

— Perché?

— Vedo tutto in una luce cupa. La gente è una massa di idioti o bastardi, l'insalata è congelata, le scarpe umide.

L'uccello sulla mia spalla stridette beffardo.

— No, Anton. Non è un problema d'umore. Senti approssimarsi qualcosa d'infernale.

— Non mi sono mai distinto per la mia capacità di percezione.

— Ma guarda un po'!

Diedi un'occhiata alla stazione. Cercai di scrutare i volti. Qualcuno sembrava percepire qualcosa. Chi non era né del tutto essere umano, né del tutto Altro provava un senso di ansia, di oppressione, ma non potendo comprenderne le cause manteneva in apparenza un'aria serena e florida.

— Le Tenebre e la Luce… Che può succedere, Ol'ga?

— Di tutto. Tu hai allontanato la catastrofe, ma le conseguenze saranno semplicemente devastanti. È l'effetto del contenimento.

— Il Capo non me ne aveva parlato.

— Perché mai? Tu hai agito bene. Adesso almeno hai una chance.

— Ol'ga, quanti anni hai? — chiesi. Tra gli umani questa domanda avrebbe potuto apparire offensiva. Per noi l'età aveva un'importanza relativa.

— Tanti, Anton. Mi rammento, per esempio, dell'Insurrezione.

— Della Rivoluzione?

— Dell'Insurrezione sulla piazza del Senato. — La civetta fece un risolino. Io tacqui. Facile che Ol'ga fosse anche più vecchia del mio Capo.

— Che rango hai, socia?

— Nessuno. Sono stata privata di tutti i diritti.

— Scusa.

— Non fa nulla. Mi sono rassegnata da un pezzo.

Il suo tono restava energico, persino beffardo. Ma qualcosa mi diceva che Ol'ga non si era rassegnata affatto.

— Se non sono troppo importuno, perché ti hanno ficcato in questo corpo?

— Non c'era scelta. Sopravvivere nel corpo di un lupo è di gran lunga più complicato.

— Aspetta… — Gettai l'insalata avanzata nel cestino. Fissai la spalla, senza vedere, naturalmente, la civetta. Per questo occorreva andare nel Crepuscolo. — Chi sei tu? Se sei un mutantropo, perché stai con noi? E se invece sei un mago, perché hai ricevuto un castigo così strano?

— Questo esula del tutto dalla nostra questione, Anton. — Per un istante la sua voce fu percorsa da una pungente nota metallica. — Tutto cominciò dal fatto che scesi a compromessi con le Tenebre. Che feci con loro un piccolo accordo. Mi sembrava di aver valutato le conseguenze e invece mi sbagliavo.

Ah, era così…

— Per questo dunque ti sei messa a parlare? Avevi deciso di mettermi in guardia, però sei arrivata tardi…

Silenzio.

Era come se Ol'ga fosse pentita della propria sincerità.

— Continuiamo a lavorare — dissi. E in quel momento nella mia tasca trillò il telefono.

Era Larisa. Ma come, faceva due turni di seguito?

— Anton, attento… Hanno trovato le tracce della tua ragazza. Stazione Perovo.

— Cazzo! — mi limitai a dire. Lavorare nei quartieri dormitorio era un tormento.

— Già — concordò Larisa. Non aveva nessuna stoffa come operativo… perciò forse stava al centralino. Ma era una intelligente. — Anton, fiondati a Perovo. I nostri si sono concentrati tutti lì, seguono le tracce. E c'è dell'altro. Laggiù hanno rilevato un Guardiano del Giorno.

Non ci capivo più niente: possibile che le Forze delle Tenebre fossero già al corrente di tutto? E non vedessero l'ora che si scatenasse l'inferno? Non era un caso che mi avessero fermato…

Sciocchezze. Una catastrofe a Mosca non era nell'interesse delle Forze delle Tenebre. Per la verità, nemmeno si sarebbero presi la briga di fermare il vortice: era contro la loro natura.

Così evitai d'infilarmi nella metropolitana. Presi un'auto, il che avrebbe dovuto darmi un certo margine di vantaggio, anche se piccolo. Sedetti accanto al conducente, un intellettuale dal viso smunto e dal naso con la gobba, sui quaranta. La macchina era nuovissima e il conducente dava l'impressione di uno più che benestante. Era persino strano che arrotondasse dando passaggi.

… Perovo. Un quartiere sterminato. Folle di persone. La Luce e le Tenebre, tutto s'intrecciava in un unico groviglio. Una fila di locali che proiettavano aloni luminosi e oscuri da tutti i lati. Lavorare quaggiù era come cercare un granello di sabbia sul pavimento di una discoteca sovraffollata, sotto le luci stroboscopiche…

Vantaggi pochi per me, o meglio nessuno. Ma avevano ordinato di andare e bisognava andare. Forse mi avrebbero chiesto di eseguire un'identificazione.

— Chissà perché ero convinto che avremmo avuto fortuna — mormorai, guardando la strada lastricata. Superammo Losinyj ostrov, l'"Isola degli alci", anche questo un luogo poco gradevole, dove avvenivano i sabba delle Forze delle Tenebre. E non sempre nell'osservanza dei diritti degli umani. Per cinque notti l'anno eravamo tenuti a tollerare tutto.

— Anch'io lo credevo… — bisbigliò Ol'ga.

— Come faccio a competere con gli operativi? — Scossi la testa.

Il conducente mi guardò di sottecchi. Il tragitto doveva essergli andato a genio. Non dovetti trattare sul prezzo. Ma un essere umano che parla da solo fa sempre pensare a qualcosa di insano.

— Ho cannato una cosa… — comunicai con un sospiro al conducente. — O meglio: l'ho eseguita male. Credevo di concludere oggi il mio incarico e invece si sono arrangiati senza di me.

— E perché ha tanta fretta? — s'incuriosì lui. Non sembrava un tipo particolarmente loquace, ma le mie parole l'avevano interessato.

— Mi hanno ordinato di andare — spiegai.

Interessante: chissà per chi mi aveva preso…

— E di che si occupa?

— Sono un programmatore. — Era una risposta onesta, dopotutto.

— Strepitoso — osservò il conducente. Chissà che ci trovava di strepitoso… — E le basta per vivere?

La domanda era retorica, e lo dimostrava il fatto che non avevo preso il metrò. Ma comunque risposi: — Perfettamente.

— Non glielo chiedo tanto per dire — fece il conducente. — Il mio gestore del server sta per lasciare il lavoro…

«Il mio…» Però!

— Personalmente lo vedo come un segno del destino. Do un passaggio a uno che si rivela essere un programmatore. Mi pare che lei sia predestinato. — Scoppiò a ridere, come per attenuare quelle affermazioni troppo perentorie. — Lavora con le reti locali?

— Sì.

— Ho una rete a cui sono collegate una cinquantina di macchine. Bisogna tenerla in ordine. Paghiamo bene.

Senza volere accennai un sorriso. Un bell'affare. Una rete locale. Uno stipendio niente male. E nessuno che pretenda che tu dia la caccia di notte ai vampiri, che beva il sangue e fiuti le tracce nelle strade gelate…

— Le lascio il mio biglietto da visita? — L'uomo infilò la mano nella tasca della giacca. — Pensi un po'…

— No, grazie. Purtroppo non sono io a decidere se posso lasciare il mio lavoro.

— È forse del KGB? — chiese il conducente, adombrandosi.

— No, di un'organizzazione più seria — risposi io. — Di gran lunga più seria. Ma simile.

— Hmm, già… — L'uomo tacque. — Peccato. Avevo già pensato che fosse un segno del cielo. Tu credi nel destino?

Al "tu" era passato con leggerezza e disinvoltura. Questo mi piacque.

— No.

— Perché? — si stupì sinceramente il conducente, come se avesse sempre avuto a che fare con fatalisti.

— Il destino non esiste. È dimostrato.

— Da chi?

— Da noi al lavoro.

Scoppiò a ridere.

— Grande! Allora vuol dire che non era destino! Dove devo lasciarti?

Eravamo già sullo Zelënyj Prospekt.

Mi misi a scrutare intorno, passando dallo stadio della realtà ordinaria a quello del Crepuscolo. Non riuscivo a distinguere nulla, i miei poteri erano insufficienti. Ma percepii. Attraverso una nebbiolina grigia baluginò un mucchio di lucine fioche. Come se tutto l'ufficio si fosse radunato lì…

— Eccoli…

Ora, trovandomi nella realtà ordinaria, non potevo scorgere i colleghi. Calpestavo la grigia neve di città in direzione del giardino tra i caseggiati e il viale sommerso da montagne di neve. Rari alberelli gelati, sequenze di orme che parevano quelle di ragazzini che avessero ruzzolato sulla neve o di ubriachi in cerca di una scorciatoia.

— Fa' un segno con la mano, ti hanno visto — mi suggerì Ol'ga.

Riflettei un po' e seguii il suo consiglio. Pensassero pure che sapevo benissimo passare con la vista da uno stadio di realtà a un altro.

Dopo essermi guardato intorno soprattutto per rispettare la procedura, creai il Crepuscolo e vi entrai.

C'era l'intero ufficio al completo. Tutta la sezione di Mosca.

Al centro stava Boris Ignat'evič. Vestito leggero, con un berrettino di pelo, ma chissà perché con la sciarpa. Lo vidi scendere dalla sua BMW, marcato stretto dalle guardie del corpo.

Accanto a lui c'erano gli operativi. Igor' e Garik: due perfetti guerrieri. Musi di pietra, spalle squadrate, facce ottuse e impenetrabili. Si capiva subito: avevano alle spalle otto classi, l'istituto e le squadre speciali di polizia. Nel caso di Igor' era vero alla lettera. Garik aveva invece due lauree. Malgrado la somiglianza esteriore e il comportamento pressoché identico nella sostanza, differivano decisamente. Il'ja sembrava un intellettuale raffinato, ma era difficile che qualcuno si lasciasse ingannare dagli occhiali dalla montatura sottile, dalla fronte alta e dallo sguardo innocente. Semën era un tipo esaltato: basso, tarchiato, con lo sguardo scaltro, indossava una logora giacca di nylon. Un provinciale giunto nella capitale. Per di più negli anni Sessanta, da uno dei tanti colcos modello. Erano agli antipodi. In compenso ciò che li accomunava era una splendida abbronzatura e un'espressione mesta del viso. Erano stati strappati dallo Sri Lanka nel bel mezzo delle ferie e non sembravano affatto godersela nella Mosca invernale. Ignat, Danila e Farid non c'erano, anche se potevo ancora sentire le loro tracce fresche. In compenso dietro le spalle del Capo stavano, senza mimetizzarsi affatto, ma quasi indistinguibili a una prima occhiata, i mutantropi Orso e Tigrotto. Quando li notai, mi sentii a disagio. Non erano dei semplici guerrieri. Erano dei grandissimi guerrieri. Non li convocavano per cose da poco.

E di specialisti l'ufficio ne aveva parecchi.

Nella sezione analitica ce n'erano cinque. Nel gruppo scientifico erano tutti specialisti, salvo Julja che però aveva solo tredici anni. Nell'archivio non ce n'erano e non se ne sentiva il bisogno.

— Salve! — dissi.

Uno accennò un saluto, qualcun altro sorrise. Ma ora erano altre le mie preoccupazioni. Boris Ignat'evič mi ordinò con un gesto di avvicinarmi, dopodiché proseguì il discorso che aveva evidentemente interrotto: — … non è nel loro interesse. E questo ci rallegra. Non ci daranno nessun aiuto… e va bene, è magnifico…

Era chiaro. Parlavano dei Guardiani del Giorno.

— Possiamo rintracciare la ragazza senza essere ostacolati e Danila e Farid ce l'hanno quasi fatta. Credo che sia questione di cinque-sei minuti… Eppure ci è stato inviato un ultimatum.

Afferrai lo sguardo di Tigrotto. Oh, il suo sorriso non faceva sperare nulla di buono… Era di sesso femminile. Tigrotto era in realtà una ragazza, ma il soprannome "Tigre" era decisamente inadatto a lei.

I nostri operativi non amavano quella parola, "ultimatum"!

— Il mago nero non è dei nostri. — Il Capo avvolse tutti nel suo sguardo annoiato. — Chiaro? Dobbiamo trovarlo per neutralizzare il vortice malefico. Dopodiché lo consegneremo alle Forze delle Tenebre.

— Lo consegneremo? — sottolineò incuriosito Il'ja.

Il Capo rifletté per un istante.

— Già, è giusto sottolinearlo. Noi non lo elimineremo e non gli impediremo di mettersi in contatto con le Forze delle Tenebre. Da quanto ho capito, neppure loro sanno chi è.

I volti degli operativi s'inacidirono. Qualunque mago nero nel territorio controllato era per noi una bella seccatura. Fosse pure registrato e rispettasse il Patto. Un mago di tale forza poi…

— Avrei preferito un'altra evoluzione degli eventi — disse Tigrotto in tono soave. — Boris Ignat'evič, durante lo svolgimento del nostro incarico potrebbero verificarsi delle situazioni indipendenti dalla nostra volontà…

— Temo che non si possano consentire situazioni simili — tagliò corto il Capo, che così, d'istinto, senza intenzione alcuna, simpatizzava per Tigrotto. Ma la ragazza subito tacque.

Anch'io avrei taciuto.

— Direi che è tutto… — Il Capo mi fissò. — È bene che tu sia venuto, Anton. Intendevo proprio parlarne in tua presenza…

Senza volere, mi irrigidii.

— Ieri ti sei comportato in modo corretto. Già, per la verità ti avevo incaricato di cercare i vampiri al solo scopo di sorvegliarli. Non è soltanto per le tue doti operative, Anton… è che ormai da un pezzo la tua situazione si è fatta complicata. Per te uccidere un vampiro è molto più difficile che per chiunque di noi.

— Sbaglia a pensarla così, Capo — dissi.

— Sono felice di sbagliarmi. Accetta la riconoscenza di tutti i Guardiani della Notte. Hai ucciso un vampiro e hai eliminato la traccia della vampira. E una traccia molto marcata. La tua esperienza nel lavoro d'indagine resta inadeguata. Persino con questa ragazza. La situazione era fuori norma, ma tu hai fatto una scelta umana… e così hai perso tempo. E l'impronta dell'aura era straordinaria. Ho capito fin dal primo istante dove cercarla.

Ero sconvolto. Nessuno che sorridesse, sogghignasse o mi fissasse con un sorrisetto maligno. Eppure mi sentivo umiliato. La civetta bianca, che nessuno vedeva, sussultò sulla mia spalla. Inspirai l'aria del Crepuscolo, fresca, inodore, un'aria che non era aria. Chiesi: — Boris Ignat'evič, per quale motivo mi ha dirottato sulla linea circolare, se già sapeva qual era il quartiere giusto?

— Potevo sempre sbagliarmi — replicò lui con una nota di stupore. — E poi te lo ripeto… quando si esegue un lavoro d'indagine è meglio non fidarsi dell'opinione del superiore più alto in grado. In guerra si è sempre soli.

— Ma io non ero solo — dissi piano. — E per la mia partner questo incarico è estremamente importante, lei lo sa meglio di me. Mandandoci a controllare dei quartieri che già si sapeva che erano vuoti… lei l'ha privata della sua occasione di riabilitarsi.

Il volto del Capo era di pietra: non trapelava nulla se lui non lo voleva.

— Il vostro incarico non è ancora concluso — replicò. — Anton, Ol'ga… resta ancora la vampira che deve essere neutralizzata. Qui nessuno ha il diritto di turbare il vostro lavoro: lei ha violato l'accordo. E poi c'è il ragazzo che ha mostrato una straordinaria resistenza alla magia. Occorre ritrovarlo e convogliare la sua forza a favore della Luce. Al lavoro!

— E la ragazza?

— È già stata localizzata. Gli specialisti cercheranno di neutralizzare il vortice. Se non si riuscirà, e sarà così, allora scopriremo chi ha lanciato la maledizione. Ignat, è compito tuo!

Mi voltai: Ignat era già accanto a lui. Alto, prestante, un bel giovane biondo, con la figura di un Apollo e il viso da star del cinema. Si muoveva senza farsi notare anche se questo nella realtà ordinaria non lo salvava dall'attenzione pressante che gli tributava il gentil sesso. Del tutto eccessiva.

— Non rientra nella mia qualifica — disse cupo Ignat. — Non è che sia il mio orientamento preferito!

— Con chi dormire lo sceglierai quando non sei in servizio — tagliò corto il Capo. — Ma in servizio decido io per te su tutto. Persino su quando andare al gabinetto.

Ignat si strinse nelle spalle. Mi guardò, come in cerca di solidarietà, e bofonchiò: — È una discriminazione…

— Qui non sei negli Stati Uniti — ripeté il Capo, e la sua voce si fece insidiosamente gentile. — Sì, certo si tratta di una discriminazione, è sfruttamento di un dipendente nella violazione delle sue esigenze personali.

— E non potrei averlo io questo incarico? — chiese timidamente Garik.

L'atmosfera si surriscaldò. Che Garik nelle questioni amorose fosse un fiasco totale non era un segreto per nessuno. Qualcuno scoppiò a ridere.

— Igor', Garik, voi continuerete a cercare la vampira — disse il Capo, quasi avesse preso sul serio la proposta. — Lei ha bisogno di sangue. L'hanno fermata proprio all'ultimo momento, ora sta impazzendo per la fame e per l'eccitazione. Aspettatevi una vittima da un momento all'altro! Anton, tu e Ol'ga cercate il ragazzino.

Tutto chiaro.

Di nuovo l'incarico più insignificante e più inutile.

In città si preparava una catastrofe infernale, in città c'era una giovane, selvaggia, affamata vampira! E io dovevo cercare un ragazzino dotato di notevoli poteri magici…

— Abbiamo la sua autorizzazione?

— Sì, certo. — Il Capo aveva ignorato la mia timida mossa.

Ruotai su me stesso e, in segno di protesta, uscii dal Crepuscolo. Il mondo sussultò, riempiendosi di colori e di suoni. Spuntai come un pezzo di idiota in mezzo a un giardinetto. A un osservatore esterno sarebbe apparso oltremodo strano. Le tracce erano sparite… e io me ne stavo in piedi su un monticello di neve, con intorno una distesa intatta.

È così che nascono i miti. Dalla nostra imprudenza, dai nostri nervi spezzati, da scherzi malriusciti e gesti esemplari.

— Niente di che — dissi, e avanzai con noncuranza verso il viale.

— Grazie… — mormorò una voce sommessa e tenera al mio orecchio.

— Di che, Ol'ga?

— Di esserti ricordato di me.

— Per te è davvero così importante eseguire l'incarico?

— Molto importante — rispose l'uccello dopo una breve pausa.

— Allora dovremo darci parecchio da fare.

Saltando sui monticelli di neve e sulle pietre — doveva esserci stato un ghiacciaio lì, oppure qualcuno aveva giocato a tirare le pietre in giardino — mi diressi verso il viale.

— Hai del cognac? — chiese Ol'ga.

— Del cognac? Sì, ce l'ho.

— Buono?

— Cattivo non può essere, se è vero cognac.

La civetta ridacchiò. — Inviteresti allora una signora a bere del caffè e del cognac?

Già m'immaginavo una civetta che beve dal piattino il cognac e per poco non mi sbellicai dal ridere.

— Con piacere. Andiamo in taxi?

— Lei vuole scherzare, ragazzo! — replicò all'istante Ol'ga.

Già. Ma quando era stata intrappolata in quel corpo d'uccello? E questo non le impediva di leggere i libri?

— Esiste una cosa che si chiama televisore — bisbigliò l'uccello.

Tenebre e Luce! Ero certo che i miei pensieri fossero al sicuro!

— La telepatia più dozzinale può sostituire perfettamente un'esperienza di vita… anche una profonda esperienza di vita — proseguì maliziosa Ol'ga. — Anton, i tuoi pensieri sono imperscrutabili per me. E dopotutto sei il mio partner.

— Ma io sono così in generale… — Feci un gesto con la mano. Era sciocco negare l'evidenza. — E che facciamo col ragazzino? Ce ne infischiamo dell'incarico? Non è affatto serio…

— È serissimo! — replicò Ol'ga contrariata. — Anton, il Capo ha ammesso di essersi comportato in modo scorretto. Ed è stato indulgente con noi, conviene approfittarne. La vampira ha puntato il ragazzo, capisci? Per lei è come un panino che non ha finito di addentare, che le è stato tolto di bocca. Lui è appeso a un filo. Lei ora ha il potere di attirarlo in qualunque tana in qualunque angolo della città. Ma questo è un vantaggio anche per noi. Non c'è bisogno di cercare una tigre nella giungla quando si può legare un capretto in un campo.

— A Mosca questi capretti…

— Questo ragazzo è appeso a un filo. La vampira non ha esperienza. Stabilire un contatto con una nuova vittima è più difficile che non attirarne una vecchia. Credimi.

Sussultai, scacciando un sospetto idiota. Sollevai la mano per fermare un'auto e dissi cupo: — Ti credo. Ti credo ora e per sempre.