"Il quinto giorno" - читать интересную книгу автора (Schätzing Frank)

11 aprile

Vancouver Island e Clayoquot Sound, Canada

Anawak era furioso.

L'animale, dalla testa alla coda, misurava oltre dieci metri. Era una delle più grandi orche migratrici che avesse mai visto, un esemplare imponente. Nelle fauci semiaperte, luccicavano le tipiche file serrate di piccoli denti a forma di cono. Verosimilmente l'animale era già molto vecchio, tuttavia sembrava scoppiare di energia. Solo se si guardava con attenzione si notavano i punti in cui la pelle bianca e nera aveva perso splendore e appariva opaca e ricoperta di croste. Aveva un occhio chiuso e l'altro coperto.

Sebbene quell'orca fosse gigantesca, ormai non era più pericolosa per i salmoni. Era distesa su un fianco nella sabbia umida. Era morta.

Lui aveva riconosciuto subito l'orca: era indicata nel suo archivio con la sigla J-19, ma era stata soprannominata Gengis per la pinna dorsale ricurva come una sciabola. Girò intorno all'animale e, a breve distanza da esso, vide John Ford — il direttore del programma di ricerca sui mammiferi marini dell'acquario di Vancouver — che conversava con Sue Oliviera, la direttrice del laboratorio di Nanaimo, e un terzo uomo. Si trovavano sotto gli alberi nei pressi della spiaggia. Ford fece cenno ad Anawak di avvicinarsi e gli presentò lo sconosciuto: «Il dottor Ray Fenwick, del Canadian Department of Fisheries and Oceans».

Fenwick era venuto per eseguire l'autopsia. Dopo aver saputo della morte di Gengis, Ford aveva consigliato, tanto per cambiare, di non fare gli esami a porte chiuse, ma direttamente sulla spiaggia. Voleva far vedere l'anatomia di un'orca al maggior numero possibile di giornalisti e di studenti. «Inoltre sulla spiaggia fa un altro effetto», aveva detto. «Non è così asettico e distante. Proprio sotto il naso abbiamo un'orca morta e il mare. È il suo spazio vitale, non il nostro. È quasi davanti alla porta di casa sua. Se facciamo qui l'autopsia, susciteremo più comprensione, più compassione, più sgomento. È un trucco, ma funzionerà.»

Avevano discusso quell'eventualità in quattro: Ford, Fenwick, Anawak e Palm della stazione di ricerca marina sulla Strawberry Island, una minuscola isola nella baia di Tofino. Da quella postazione, la squadra della Strawberry Island monitorava l'ecosistema del Clayoquot Sound. Palm era un'autorità per quanto riguardava la popolazione delle orche. Si erano subito trovati d'accordo nel condurre l'autopsia in pubblico perché avrebbe attirato l'attenzione. E le orche avevano davvero bisogno di attenzione.

«Dall'aspetto, si direbbe morta per un'infezione batteriologica», osservò Fenwick, rispondendo a una domanda di Anawak. «Ma non mi azzarderei a dire altro.»

«Già», disse Anawak cupo. «Ricordate cosa successe nel 1999? Sette orche morte. E tutte infettate.»

«The torture never stops…» Sue Oliviera canticchiò il verso di una canzone di Frank Zappa, poi guardò Anawak e, con aria da cospiratrice, gli fece un cenno del capo. «Vieni un po' con me.»

Anawak la seguì fino al cadavere dell'orca. Lì accanto erano già pronte due valigie di metallo e un container con le attrezzature per l'autopsia. Aprire un'orca era ovviamente ben diverso dal praticare un'autopsia su un essere umano. Era un lavoro durissimo, che comportava una grande fuoriuscita di sangue e una puzza bestiale.

«Tra poco arriverà la stampa con al rimorchio un'orda di dottorandi e di studenti», disse Sue, gettando un'occhiata all'orologio. «Visto che il destino ci ha fatti incontrare in questo luogo di lutto, possiamo cogliere l'occasione per parlare delle analisi dei tuoi campioni.»

«Avete scoperto qualcosa?» chiese Anawak.

«Più o meno.»

«E avete già informato la Inglewood.»

«No, ho pensato che prima fosse meglio parlarne tra noi.»

«Il modo in cui lo dici mi fa pensare che non siano buone notizie.»

«Mettiamola così: da una parte siamo meravigliati, dall'altra siamo perplessi», borbottò Sue. «Per quanto riguarda i mitili, non esiste letteratura che li descriva.»

«Avrei potuto giurare che erano cozze zebrate», disse lui.

«In un certo senso sì. Ma anche no.»

«Spiegati.»

«Ci sono due possibili interpretazioni», cominciò Sue. «O abbiamo a che fare con un parente della cozza zebrata, oppure con una mutazione. Quelle… cose sembrano cozze zebrate, hanno le stesse stratificazioni, ma nel loro bisso c'è qualcosa di bizzarro. I filamenti che formano il piede sono particolarmente spessi e lunghi. Per scherzo tra noi le abbiamo chiamate 'cozze a reazione'.»

«Come?»

Sue fece una smorfia. «Non ci è venuto in mente niente di meglio. Ne abbiamo molte vive e dispongono… Insomma, non si comportano come di solito fanno le cozze zebrate, ma, entro certi limiti, possiedono una capacità di navigazione. Aspirano l'acqua e poi la sputano fuori. Il colpo le spinge in avanti. Inoltre utilizzano i filamenti di bisso per stabilire la direzione. Come piccole eliche. Non ti ricorda qualcosa?»

«Le seppie per nuotare usano una spinta simile a quella dei razzi», esclamò Anawak.

«Alcune. Ma c'è anche un altro parallelo. Ci possono arrivare solo i cervelloni, ma per fortuna di quelli in laboratorio ne abbiamo a sufficienza. Parlo dei dinoflagellati. Alcuni di questi organismi unicellulari hanno due flagelli alla fine del corpo. Con uno determinano la direzione; l'altro lo fanno ruotare per spostarsi in avanti», spiegò Sue.

«Non ci stiamo spingendo un po' troppo in là?»

«Diciamo che si potrebbe intravedere una convergenza. Ci si attacca a tutto. Comunque non conosco altri mitili che si muovano nello stesso modo. Questi sono mobili come un banco di pesci. E, nonostante la conchiglia, riescono in qualche modo a spingersi.»

«Ciò spiegherebbe come abbiano potuto raggiungere la carena della Barrier Queen in alto mare», rimuginò Anawak. «Ed è questo che vi meraviglia?»

«Sì.»

«E cos'è che vi lascia perplessi?» chiese lui.

Sue si avvicinò al fianco dell'orca morta e accarezzò la pelle nera. «Quei frammenti di tessuto che hai preso sott'acqua. Non sappiamo da che parte incominciare… Per essere precisi, non possiamo nemmeno incominciare. La sostanza si è decomposta. Quel poco che abbiamo potuto analizzare ci porta alla conclusione che la sostanza appesa allo scafo e quella sul tuo coltello sono la stessa cosa. E questo è tutto, perché non siamo in grado di ricondurla a nulla di conosciuto.»

«Quindi la cosa che ho scacciato dallo scafo a colpi di coltello era E.T.?»

«La capacità di contrazione del tessuto è del tutto sproporzionata. Di grande consistenza e nel contempo enormemente flessibile. Non sappiamo cosa sia.»

Anawak aggrottò la fronte. «Segni di bioluminescenza?»

«Possibile. Come mai lo chiedi?»

«Perché ho avuto l'impressione che quella cosa per un attimo abbia lampeggiato.»

«Quella cosa che ti ha steso, vuoi dire?»

«Sì, è balzata fuori non appena ho smosso il rivestimento.»

«Probabilmente l'hai tagliata e lei non l'ha trovato particolarmente divertente. Anche se dubito che questo tessuto possieda qualcosa di simile a un sistema nervoso, qualcosa che le faccia provare dolore. In sostanza è solo… un ammasso di cellule.»

Un gruppo di persone stava attraversando la spiaggia, diretto verso di loro. Alcuni reggevano una telecamera, altri avevano bloc-notes.

«Si comincia», disse Anawak.

«Sì.» Sue li guardò, perplessa. «Che facciamo, ora? Devo mandare i dati alla Inglewood? Temo che non sappiano cosa farsene. Detto chiaramente, vorrei avere altri campioni. In particolare di quel tessuto.»

«Mi metto in contatto con Roberts», propose Anawak.

«Bene. Buttiamoci nella mischia.»

Fenwick e Ford si mossero, preparandosi ad agire. Anawak osservò l'orca e si sentì travolgere dalla rabbia e dalla disperazione. Era davvero deprimente. Gli animali erano stati lontani per settimane e adesso ce n'era uno morto sulla spiaggia. «Merda!»

Sue aggrottò la fronte e borbottò: «Risparmiati il malumore per la stampa».

L'autopsia durò oltre un'ora, durante la quale Fenwick, assistito da Ford, estrasse le viscere, il cuore, il fegato e i polmoni, spiegando contemporaneamente la struttura anatomica dell'orca. Venne tirato fuori il contenuto dello stomaco: una foca semidigerita. A differenza delle stanziali, le orche transienti e quelle offshore mangiavano leoni marini, focene e delfini e talvolta attaccavano anche i grandi misticeti.

Fra gli spettatori, i giornalisti scientifici erano la minoranza. La maggior parte era costituita da reporter televisivi o della carta stampata. In sostanza, dunque, erano pressoché digiuni di nozioni scientifiche. Così Fenwick illustrò anzitutto le caratteristiche specifiche della struttura del corpo. «La forma è quella di un pesce, ma solo perché la natura ha dotato di questa struttura genetica un essere che si trasferisce dalla terra all'acqua. Una cosa del genere accade spesso: la chiamiamo convergenza. Specie completamente diverse, quando incontrano determinate esigenze ambientali, si sviluppano in modo convergente, quindi negli effetti con strutture simili.»

Allontanò una parte della spessa pelle esterna e fece uscire il grasso. «Ancora una differenza: pesci, anfibi e rettili sono a temperatura variabile, cioè a sangue freddo; ciò significa che la loro temperatura corporea corrisponde alla temperatura dell'ambiente circostante. I merluzzi, per esempio, ci sono sia a capo Nord sia nel Mediterraneo, solo che a capo Nord abbiamo misurato una temperatura corporea di 4 °C, mentre i merluzzi del Mediterraneo hanno una temperatura di 24 °C. Per i cetacei non è così. Sono a sangue caldo. A sangue caldo come noi.»

Anawak osservò i presenti. Fenwick aveva appena detto una cosa da niente, che però funzionava sempre: «come noi». A quelle parole, la gente drizzava le orecchie. I cetacei sono come noi. Rieccola, la stretta linea di confine all'interno della quale gli uomini cominciano a dare valore alla vita.

«Che si trattengano nell'Artico o nella Bassa California, i cetacei hanno sempre una temperatura costante di 37 °C», proseguì Fenwick. «Per questo formano uno strato di grasso che noi chiamiamo 'blubber'. Vedete questa massa grassa bianca? L'acqua assorbe il calore, ma questo strato impedisce che il calore corporeo vada disperso». Si guardò intorno. Le sue mani inguantate erano rosse e vischiose per il sangue e il grasso dell'orca. «Ma nel contempo il blubber può essere una condanna a morte per i cetacei. I problemi di tutti i mammiferi marini che s'incagliano sono due: il peso del corpo e questo straordinario strato di grasso. Una balenottera azzurra lunga trentatré metri e pesante centotrenta tonnellate è quattro volte più pesante del più grande sauro che sia mai comparso sulla faccia della Terra, ma anche un'orca arriva a nove tonnellate. Solo in acqua, grazie alla legge di Archimede — secondo cui ogni corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al peso del volume di liquido spostato — possono esistere esseri di queste dimensioni. A terra, le balene sono schiacciate dal loro stesso peso, e l'effetto isolante del grasso fa il resto, perché non possono rilasciare il calore che ricevono dall'ambiente. Molti dei cetacei incagliati muoiono per shock da surriscaldamento.»

«Anche questa?» chiese un giornalista.

«No. Negli ultimi anni, di tanto in tanto, ci sono capitati animali il cui sistema immunitario non funzionava più. Morivano per infezione. J-19 aveva ventidue anni. Non era un animale giovane, però, in media, le orche vivono trent'anni. Quindi si tratta di una morte prematura e non si vedono segni di lotta. Credo sia stata un'infezione batteriologica.»

Anawak fece un passo avanti. «Se volete sapere a che cosa è dovuta, possiamo spiegarvelo», disse, sforzandosi di mantenere un tono oggettivo. «Gli esami tossicologici dimostrano che le orche, passando davanti alla British Columbia, si contaminano con PCB e altri veleni dispersi nell'ambiente. Quest'anno abbiamo trovato nel tessuto grasso delle orche centocinquanta milligrammi di PCB. Nessun sistema immunitario umano avrebbe la minima possibilità di resistere.»

I giornalisti si girarono verso di lui. Nei loro occhi, Anawak vide un insieme di sgomento e concitazione. Aveva appena dato loro una storia di cui scrivere. Sapeva di avere il gruppo in pugno.

«Il problema peggiore è che questi veleni si accumulano nel grasso», proseguì. «Ciò significa che vengono trasferiti al cucciolo col latte materno. Ci dicono che i bambini vengono al mondo con l'AIDS e noi inorridiamo. Allora, vi prego, estendete un po' il vostro orrore e comunicate anche quello che avete visto qui. Nessuna specie al mondo è più avvelenata delle orche.»

«Dottor Anawak…» Un giornalista si schiarì la voce. «Che cosa succede se gli uomini mangiano la carne di questi cetacei?»

«Assumono una parte dei veleni.»

«Con conseguenze mortali?»

«Sul lungo periodo è probabile.»

«Esiste una responsabilità, anche indiretta, delle imprese che scaricano i veleni in mare o delle industrie del legno nella malattia e nella morte di molti uomini?»

Ford gli gettò una rapida occhiata. Anawak esitò. Era un punto delicato. Naturalmente quell'ipotesi era fondata, ma l'acquario di Vancouver cercava di evitare ogni scontro diretto con le industrie della zona, e si sforzava di percorrere le vie diplomatiche. Dipingere l'élite politica ed economica della British Columbia come una potenziale banda di assassini avrebbe inasprito il confronto. E Anawak non voleva mettere i bastoni tra le ruote a Ford.

«Mangiare carne contaminata inevitabilmente danneggia la salute umana», rispose.

«Ma la carne viene consapevolmente contaminata dalle industrie», lo incalzò il giornalista.

«Proprio in merito a questo stiamo cercando soluzioni. In collaborazione coi responsabili.»

«Capisco.» Il giornalista annotò qualcosa. «Penso specialmente alle persone della sua terra, dottor…»

«La mia terra è questa», lo interruppe Anawak.

Il giornalista lo guardò, sbalordito. Come avrebbe potuto capire? Probabilmente aveva fatto ricerche accurate.

«Non volevo dire questo», affermò. «Intendevo le sue origini…»

«Non è che nella British Columbia si mangi molta carne di balena o di foca», lo interruppe di nuovo Anawak. «Invece ci sono pesanti avvelenamenti tra gli abitanti del Circolo Polare. In Groenlandia e Islanda, in Alaska e ancora più a nord, nel Nunavut, e naturalmente anche in Siberia, in Kamčatka, nelle Aleutine e ovunque i mammiferi marini siano l'alimento quotidiano. Il problema non è tanto dove gli animali si avvelenano. Il problema è che migrano.»

«Crede che le balene siano consapevoli dell'avvelenamento?» chiese una studentessa.

«No.»

«Ma lei nelle sue pubblicazioni parla di una certa intelligenza. Se gli animali dovessero capire che nel loro cibo c'è qualcosa che non va…»

«Gli uomini fumano finché non muoiono di cancro ai polmoni. Sono perfettamente consapevoli dell'avvelenamento, eppure continuano a fumare e gli uomini sono indubbiamente più intelligenti delle balene.»

«Come fa a esserne così sicuro? Magari è esattamente il contrario.»

Anawak sospirò. «Dobbiamo vedere i cetacei come cetacei», replicò, sforzandosi di mantenere un tono pacato. «Sono molto specializzati, ma è proprio questa specializzazione che li limita. Un'orca è un siluro vivente con una linea perfettamente idrodinamica, però le mancano gambe e mani prensili, non ha mimica e non ha la vista bipolare. Lo stesso vale per i delfini, le focene e per ogni specie di odontoceti o misticeti. Non sono piccoli semiumani. Forse le orche sono più intelligenti dei cani, i beluga sono così intelligenti da essere consapevoli della propria individualità e i delfini possiedono senza dubbio un cervello singolare. Ma, per favore, si chieda, in fin dei conti, a che cosa li ha portati. I pesci abitano lo stesso spazio vitale di delfini e balene, il loro stile di vita è per molti aspetti simile, eppure hanno una quantità di neuroni che riempirebbe un quarto di ditale».

Anawak fu quasi felice di sentire la suoneria attutita del suo cellulare. Fece un cenno a Fenwick perché continuasse l'autopsia, si allontanò un poco e rispose.

«Ah, Leon», disse Shoemaker. «Puoi schiodarti da dove sei adesso?»

«Forse. Cos'è successo?»

«È di nuovo qui.»

La rabbia di Anawak era incontenibile.

L'ultima volta che era ritornato precipitosamente a Vancouver Island, Jack Greywolf e i suoi compagni della Seaguard si erano già allontanati, lasciando dietro di loro due imbarcazioni cariche di turisti infuriati, che strillavano per essere stati fotografati e osservati come bestie. Shoemaker li aveva calmati a stento, offrendo a tutti una seconda escursione gratuita. Poi le acque si erano calmate. Tuttavia Greywolf aveva ottenuto ciò che voleva. Aveva creato scompiglio.

Alla Davies stavano valutando le varie possibilità. Dovevano procedere contro gli ambientalisti o ignorarli? Seguire le vie ufficiali significava andare in tribunale. Per le organizzazioni serie, la gente come Greywolf era una spina nel fianco, ma un processo avrebbe offerto a un'opinione pubblica disinformata un quadro distorto. Senza dubbio, molti sarebbero stati disposti a simpatizzare con Greywolf e coi suoi slogan. In via non ufficiale, invece, avrebbero potuto impelagarsi in un'approfondita discussione. Ma a che cosa conducessero le discussioni con Greywolf era dimostrato dalle sue varie condanne. Dipendeva da loro se lasciarsi intimidire o no. Oltretutto non sarebbe stato molto utile. Avevano molto lavoro e forse Greywolf avrebbe smesso di seccarli. Così avevano deciso d'ignorarlo.

Forse era stato un errore, pensava Anawak, mentre guidava il piccolo gommone a motore lungo la costa del Clayoquot Sound. Probabilmente la smania di mettersi in mostra di Greywolf sarebbe stata soddisfatta se gli avessero almeno scritto una lettera per esprimergli il loro biasimo. Qualcosa che gli segnalasse che era tenuto in considerazione.

Anawak esaminava con attenzione la superficie dell'acqua. L'imbarcazione andava veloce e lui non voleva rischiare di spaventare le balene o addirittura di ferirle. Più volte, in lontananza, scorse le imponenti code; a un certo punto, poi, non distante da lui, spuntò tra le onde una pinna dorsale nera e splendente. Nel frattempo, lui parlava via radio con Susan Stringer, che si trovava sul Blue Shark.

«Che cosa fanno quei tipi?» chiese. «Stanno diventando violenti?»

La radio gracchiò. «No», disse la voce di Susan. «Fanno fotografie, come l'ultima volta, e c'insultano.»

«Quanti sono?»

«Due barche: sulla prima ci sono quattro persone, tra cui Greywolf; sulla seconda ce ne sono tre. Cielo! Adesso si sono messi a cantare.» Tra i fruscii della radio, arrivò debolmente un rumore ritmato. «Suonano il tamburo», gridò Susan. «Greywolf picchia sul tamburo e gli altri cantano. Canzoni indiane! Non capisco nulla.»

«Restate calmi, capito? Non cedete alle provocazioni. Tra pochi minuti sarò lì.»

«Scusa, Leon, ma… Che razza d'indiano è, quel bastardo? Non so che cosa stia facendo, però, se chiama gli spiriti dei suoi antenati, voglio almeno sapere che cosa comparirà.»

«Jack è un millantatore», disse Anawak. «Non è un indiano.»

«No? Pensavo…»

«Sua madre è una mezza indiana. Tutto lì. Vuoi sapere qual è il suo vero nome? O'Bannon, Jack O'Bannon. Altro che Greywolf.»

Ci fu una pausa, mentre Anawak si avvicinava alle barche a tutta velocità. Adesso il rumore dei tamburi arrivava fino a lui.

«Jack O'Bannon», ridacchiò Susan. «È fantastico. Penso che gli dirò subito…»

«Non farai proprio nulla. Mi vedi?»

«Sì.»

«Non fare nulla. Aspetta e basta», le ordinò Anawak. Poi mise via la radio e fece un'ampia curva, che lo portò verso il mare aperto. Ormai vedeva chiaramente la scena. Il Blue Shark e la Lady Wexham si trovavano in mezzo a due gruppi di megattere molto distanziati tra loro. Qua e là si scorgevano code e nuvole di vapore. Lo scafo bianco della Lady Wexham, lungo ventidue metri, splendeva nella luce del sole. Due piccole e malridotte imbarcazioni da pesca sportiva, entrambe dipinte di rosso vivo, giravano intorno al Blue Shark; erano così vicine che sembravano pronte all'arrembaggio. Il battito del tamburo si fece più forte e si confuse con un canto monotono.

Se Greywolf si era accorto dell'avvicinamento di Anawak, non lo dava a vedere. Stava in piedi sulla sua barca, batteva un tamburo indiano e cantava. Il suo seguito — due uomini e una donna — cantava con lui e, di tanto in tanto, lanciava imprecazioni e maledizioni. Ma non era tutto: i membri del gruppetto fotografavano le persone sul Blue Shark oppure tiravano loro qualcosa di luccicante. Anawak socchiuse gli occhi. Erano pesci. No, resti di pesce. Alcuni passeggeri si rannicchiavano, altri li tiravano indietro. Quasi cedette all'impulso di andare addosso alla barca di Greywolf, per vedere come quel colosso se la sarebbe cavata in mare, ma si dominò.

Si avvicinò alla barca e gridò: «Smettila, Jack! Parliamo».

Greywolf non si voltò neppure, continuando instancabilmente a suonare il tamburo. Anawak guardò i volti nervosi e stressati dei turisti. Poi dalla radio giunse una voce: «Ciao, Leon, che piacere vederti!»

Era lo skipper della Lady Wexham, che si trovava a un centinaio di metri di distanza. Le persone sul ponte stavano appoggiate al parapetto e guardavano l'altra imbarcazione assediata. Alcuni scattavano foto.

«Tutto bene, da voi?» s'informò Anawak.

«Tutto bene. Che facciamo con quello stronzo?»

«Non lo so ancora. Magari tento un approccio pacifico.»

«Fammi sapere se devo buttarlo in mare.»

«Prenderò in considerazione la proposta.»

Le barche rosse a motore degli ambientalisti avevano intanto iniziato a urtare il Blue Shark. Ogni volta che la sua barca cozzava contro lo scafo, Greywolf vacillava, però non smetteva di suonare il tamburo. Le piume sul suo capo ondeggiavano al vento. Dietro le barche si levò una coda e poi un'altra, ma nessuno si curava delle balene. Susan Stringer guardava Greywolf con ostilità.

«Ehi, Leon, Leon!» Una passeggera del Blue Shark si mise a gesticolare verso Anawak. Era Alicia Delaware. Lui la riconobbe per via degli occhiali blu. «Chi sono quelli? Perché sono qui?»

Anawak rimase stupito. Ma quella ragazza non gli aveva detto e ripetuto che era in procinto di partire? Mah, comunque, al momento non aveva importanza. Accostò la barca a quella di Greywolf, si mise di traverso e batté le mani. «Okay, Jack. Grazie. Avete suonato bene. Ora dimmi che cosa vuoi.»

Greywolf cantò a voce ancora più alta. Un monotono alzarsi e abbassarsi di sillabe dal suono arcaico, lamentose e nel contempo aggressive.

«Jack, maledizione!»

Improvvisamente scese il silenzio. Il colosso lasciò penzolare il tamburo e si girò verso Anawak. «Posso esserle utile?»

«Di' ai tuoi di smetterla, così possiamo parlare. Parleremo di tutto, però adesso smettetela.»

I lineamenti di Greywolf s'indurirono. «Non la smetteremo», gridò.

«Cos'è questa sceneggiata? Dove vuoi arrivare?»

«Volevo spiegartelo all'acquario, ma tu eri troppo occupato per starmi a sentire.»

«Sì, non avevo tempo.»

«E ora non ho tempo io.»

I compagni di Greywolf risero ed esultarono.

Anawak cercò di contenere la rabbia. «Ti faccio una proposta, Jack. Tu la pianti con questa storia e noi ci troviamo stasera alla Davies in modo che tu possa spiegarci che cosa, secondo te, dovremmo fare.»

«Dovete sparire. Ecco cosa dovete fare.»

«Perché? Che facciamo di male?»

Nelle immediate vicinanze si levarono due isole scure, rugose e macchiate come roccia. Balene grigie. Molto vicine. Sarebbero stati splendidi soggetti fotografici, ma Greywolf aveva rovinato l'escursione.

«Andatevene», gridò Greywolf. Guardò i passeggeri del Blue Shark e alzò le braccia. «Andatevene e non disturbate la natura. Vivete in sintonia con lei, invece di osservarla in questo modo. Le vostre navi a motore appestano l'aria e l'acqua. Ferite gli animali con le vostre eliche. Li braccate per una foto. Li uccidete col rumore. Questo è il mondo delle balene. Andatevene. Non è posto per gli uomini.»

Che tirata, pensò Anawak, chiedendosi se Greywolf credesse davvero a quello che diceva. I suoi compagni lo applaudirono, entusiasti. «Jack! Posso ricordarti che lo stiamo facendo per proteggere le balene? Noi facciamo ricerca! Il whale watching ha fornito alla gente un nuovo punto di vista su questi animali. Se intralci il nostro lavoro, danneggi gli interessi della natura.»

«E tu sai quali sono gli interessi di una balena?» chiese Greywolf in tono di scherno. «Sei capace di guardare nelle loro teste, signor ricercatore?»

«Jack, lascia perdere queste stronzate indiane. Che cosa vuoi?»

Greywolf rimase per un attimo in silenzio. I suoi compagni avevano smesso di scagliare i pezzi di pesce addosso agli occupanti del Blue Shark e lo guardavano. «Vogliamo raggiungere l'opinione pubblica», rispose infine.

«Ma dove sarebbe l'opinione pubblica? Qui non la vedo», replicò Anawak, con un ampio movimento del braccio. «Vedo soltanto qualche persona su una barca. Per favore, Jack, parliamo, se vuoi, ma lascia a noi il compito di raggiungere l'opinione pubblica. Confrontiamoci. Tuttavia chi perde deve darsi per vinto.»

«Ridicolo», disse Greywolf. «Così parla l'uomo bianco.»

«Merda!» Anawak perse la pazienza. «Io sono meno 'uomo bianco' di te, Mister O'Bannon. Torna coi piedi per terra!»

Greywolf lo fissò come se avesse appena incassato un pugno. Poi sul suo volto si aprì un sorriso. Indicò la Lady Wexham. «Secondo te, perché la gente sulle vostre barche sta fotografando e filmando con tanta solerzia?»

«Riprendono te e i tuoi stupidi trucchetti.»

«Bene.» Il sorriso di Greywolf si allargò. «Molto bene.»

Di colpo, Anawak comprese. Tra i passeggeri della Lady Wexham c'erano dei giornalisti. Greywolf li aveva invitati a partecipare allo spettacolo. Maledetto bastardo!

Stava per fare un commento tagliente, quando si accorse che Greywolf fissava la Lady Wexham e la indicava col braccio teso. Allora seguì il suo sguardo e rimase senza fiato.

Proprio davanti alla nave, una megattera si era catapultata fuori dall'acqua. Per sollevare così in alto quel corpo massiccio era necessaria una spinta mostruosa. Per un momento sembrò quasi che l'animale si sostenesse esclusivamente sulla coda. Solo la punta della pinna caudale era ancora sott'acqua; il resto del corpo era dritto in aria e sovrastava il ponte della Lady Wexham. Si vedevano chiaramente i lunghi solchi sulla mascella e sulla parte inferiore del ventre. Le enormi pinne laterali erano aperte e parevano ali di un bianco vivo, con marezzature nere e bordi nodulosi. Sembrava che l'animale volesse uscire del tutto dall'acqua. Un coro di stupore generale si levò dalla Lady Wexham. Poi il corpo imponente si rovesciò lentamente su un fianco e colpì la superficie dell'acqua creando un'esplosione di spuma.

Le persone in coperta si ritrassero e la Lady Wexham sembrò rivestirsi di una cappa di schiuma. Quindi apparve qualcosa di scuro e di massiccio. Una seconda megattera uscì dagli abissi, come se qualcosa l'avesse sparata fuori. Era molto vicina alla nave, circondata da una nuvola di lucenti goccioline d'acqua.

Ancor prima che dalle barche si levassero grida di terrore, Anawak seppe che quel balzo non avrebbe mancato il bersaglio.

La megattera colpì con tanta violenza la Lady Wexham che l'imbarcazione oscillò paurosamente, cigolando e gemendo. Poi l'animale s'immerse e le persone in coperta caddero bocconi. Intorno alla nave, l'acqua schiumava e vorticava. D'un tratto, molti dorsi scuri si avvicinarono e due teste balzarono di nuovo fuori dall'acqua, gettandosi con tutto il loro peso contro lo scafo.

«Questa è la vendetta», gridò Greywolf, come invasato. «La vendetta della natura!»

La Lady Wexham era lunga ventidue metri, quindi molto più lunga di una megattera. Era stata autorizzata dal ministero dei Trasporti e rispondeva alle norme di sicurezza della guardia costiera canadese per le navi passeggeri: era sicura in caso di tempesta, di frangenti alti diversi metri e persino di scontro fortuito con una balena che fosse pigramente uscita dall'acqua. La Lady Wexham era stata concepita per essere sicura anche in quel caso.

Ma non per un attacco.

Anawak sentì che i motori erano stati azionati. Sotto la violenza dei corpi in caduta, la nave si era minacciosamente inclinata di lato. Su entrambi i ponti di osservazione regnava un panico indescrivibile. Tutti i vetri erano andati in frantumi. Si levavano grida ovunque, le persone s'intralciavano a vicenda senza rendersene conto. La Lady Wexham si mise in movimento, ma non andò molto lontano. Un altro cetaceo si catapultò fuori dall'acqua e si scagliò contro la parete laterale del ponte. Neanche quell'attacco sarebbe stato sufficiente per affondare la nave, però la fece oscillare ancora di più.

I pensieri di Anawak correvano all'impazzata. Probabilmente lo scafo si era già squarciato in alcuni punti. Doveva fare qualcosa. Forse poteva allontanare gli animali.

Portò la mano sulla leva del gas.

Nello stesso istante, grida altissime squarciarono l'aria. Non arrivavano dalla Lady Wexham, bensì da un punto alle sue spalle. Si voltò di scatto.

La scena aveva qualcosa di surreale. Proprio sopra la barca degli animalisti si levava il gigantesco corpo di una megattera. Sembrava quasi non avere peso: un essere di monumentale bellezza, con la bocca incrostata, tesa verso le nuvole, che se ne stava lì, a dieci-dodici metri sopra le teste degli uomini. Per un attimo che sembrò eterno, l'animale rimase sospeso, girandosi lentamente su se stesso e muovendo le gigantesche pinne, come se facesse dei cenni.

Anawak scrutò quel gigante. Non aveva mai visto nulla di così terribile e magnifico al contempo. Jack Greywolf, gli uomini sul Blue Shark, lui stesso… Tutti tenevano la testa sollevata, con gli occhi sbarrati, aspettando di capire cosa sarebbe successo.

«Mio Dio», sussurrò Anawak.

Il corpo della megattera si abbassò, come al rallentatore, e la sua ombra si allungò sulla barca rossa degli ambientalisti. Cresceva sopra la prua del Blue Shark, diventando sempre più lunga. Infine il corpo del gigante ricadde. Veloce, sempre più veloce…

Anawak diede gas e lo zodiac balzò in avanti. Anche la barca di Greywolf aveva fatto una partenza lampo, ma la sua direzione era sbagliata ed essa sbandò verso Anawak. Si scontrarono. Anawak fu sbalzato all'indietro, ma riuscì a vedere che un compagno di Greywolf era caduto in mare e che lo stesso Greywolf aveva perso l'equilibrio. Poi la barca degli attivisti proseguì veloce nella direzione opposta, mentre il suo gommone si diresse a tutto gas verso il Blue Shark. In un'esplosione di schiuma, le nove tonnellate del corpo della megattera schiacciarono sotto di sé la barca rossa, la spinsero sott'acqua e colpirono la prua del Blue Shark, la cui poppa si sollevò quasi in verticale. Gli escursionisti, nelle loro tute color arancione, vorticavano nell'aria. Per un attimo il Blue Shark si bilanciò sulla punta, girò sul proprio asse e si rovesciò su un fianco. Anawak abbassò la testa e il suo gommone passò rapido sotto lo zodiac che si stava ribaltando, urtò qualcosa di massiccio al di sotto della superficie dell'acqua e lo scavalcò. A fatica, Anawak riuscì a riprendere il timone, sterzò bruscamente e rallentò.

Quella davanti ai suoi occhi era una scena incredibile. Della barca degli ambientalisti erano rimasti solo relitti. Il Blue Shark si era capovolto e, tra le onde, alcune persone nuotavano, gridando selvaggiamente, mentre altre rimanevano immobili. Le loro tute si erano gonfiate automaticamente, ma Anawak temeva che qualcuno fosse morto, schiacciato dal peso dell'animale. Un po' più in là, vide la Lady Wexham rimettersi in movimento sbandando, circondata da dorsi e code. Un colpo improvviso scosse la nave che s'inclinò ancora di più.

Con cautela, per non ferire nessuno, Anawak guidò il gommone verso la gente in mare. Intanto, sulla frequenza 98, comunicò la propria posizione. «Problemi», disse poi, ansimando. «Probabilmente dei morti.»

Tutte le imbarcazioni avrebbero ricevuto la richiesta d'aiuto. Non aveva tempo per spiegare cos'era successo. A bordo del Blue Shark c'era una dozzina di passeggeri, oltre a Susan Stringer e al suo assistente. Poi c'erano gli ambientalisti. In tutto una ventina di persone, ma in acqua se ne vedevano di meno.

«Leon!»

Era Susan! Stava nuotando verso di lui. Anawak le afferrò le mani e la tirò a bordo. Tossendo e ansimando, lei si lasciò cadere sul fondo del gommone. A una certa distanza, Anawak scorse le pinne dorsali di diverse orche, che, sollevando le teste nere, sembravano dirette verso il luogo del disastro.

Si muovevano come se fossero consapevoli della loro meta e questo ad Anawak non piaceva affatto.

Poi individuò Alicia, che reggeva fuori dall'acqua la testa di un giovane la cui tuta non si era gonfiata. Anawak avvicinò la barca alla studentessa e, aiutato da Susan, issò a bordo il giovane svenuto. Alicia strinse le mani di Anawak, ma rimase aggrappata al gommone e aiutò Susan a portare a bordo altre persone. Alcuni si avvicinavano con le proprie forze, allungavano le braccia e le due donne li aiutavano a salire. La barca si riempì in fretta; i superstiti si aggrappavano a essa con frenesia. Intanto Anawak continuava a perlustrare la superficie dell'acqua.

«Là ce n'è un altro!» gridò Susan.

Poco lontano galleggiava un corpo. Era a faccia in giù, ma, a giudicare dalle spalle larghe, si trattava di un uomo. Non aveva la tuta. Uno degli ambientalisti.

«Presto!»

Anawak si sporse oltre il parapetto, con Susan accanto. Presero l'uomo per le braccia e lo sollevarono.

Fu facile.

Troppo facile.

La testa dell'uomo cadde all'indietro, rivelando gli occhi ormai spenti. Anawak comprese perché era così leggero: era troncato alla vita. Gli mancavano le gambe e il bacino. Dal torso pendevano strisce di carne, arterie e viscere. Susan annaspò e lo lasciò andare. Il cadavere si rovesciò, sfuggi alla presa di Anawak e ricadde in acqua.

A destra e a sinistra, le pinne delle orche solcavano l'acqua. Erano almeno dieci, forse di più. Un colpo scosse lo zodiac. Anawak balzò al timone, diede gas e partì. Davanti a loro, tre dorsi imponenti uscirono dalle onde e s'inarcarono, Anawak virò di colpo. Le tre orche emersero. Altre due arrivavano dalla parte opposta, dirigendosi verso l'imbarcazione. Anawak fece un'altra virata. Sentiva gridare e piangere. Anche lui era preso da un terrore che lo attraversava come una corrente elettrica e gli faceva venire la nausea… Eppure una parte di lui guidava imperterrita lo zodiac, in uno slalom tra i corpi bianchi e neri che cercavano di sbarrargli la strada.

Da destra sentì qualcosa fracassarsi rumorosamente. D'istinto voltò il capo e vide la Lady Wexham sommersa da una nube di schiuma.

Più tardi si sarebbe ricordato che era stato quel momento di disattenzione a determinare il suo destino. Se non fosse rimasto a guardare la grande nave, forse ce l'avrebbero fatta. Di certo avrebbe visto il dorso picchiettato di grigio, avrebbe scorto la balena emergere e sollevare la coda dall'acqua proprio nella loro direzione.

E invece, quando vide la coda piombare sibilando su di lui, era troppo tardi. Vennero colpiti sul fianco. Normalmente un urto simile non sarebbe bastato a ribaltare il gommone, ma stavano andando troppo veloci ed erano molto inclinati nella virata. Fatalmente, l'imbarcazione fu colpita proprio nel momento di massima instabilità. Venne scagliata in alto, per un momento si librò nel nulla, poi cadde su un fianco e si capovolse.

Anawak fu scaraventato fuori.

Volava. Volteggiava nell'aria. Poi finì contro la schiuma e l'acqua verde. Un attimo dopo era sott'acqua e sprofondava nel buio, senza orientamento, senza la percezione del sopra e del sotto. Fu attraversato da un gelo paralizzante. A fatica, si riscosse, riuscì a tornare in superficie, boccheggiando, poi finì di nuovo con la testa sott'acqua. Stavolta il gelo gli entrò nei polmoni. Fu preso dal panico. Batteva disperatamente i piedi e muoveva con frenesia le braccia, ormai completamente fuori di sé. Tossendo e sputando, riuscì ancora una volta a tornare in superficie, ma dell'imbarcazione non c'era traccia. Nel suo campo visivo entrò solo la costa, che si alzava e si abbassava. Si voltò, fu sollevato da un'onda e finalmente vide le teste degli altri. Ma non di tutti… Forse di una mezza dozzina. Da una parte c'era Alicia e dall'altra Susan. In mezzo, c'erano le nere pinne dorsali delle orche. Solcavano l'acqua attraverso il gruppo dei naufraghi, poi s'immersero. Una delle teste umane sparì sott'acqua e non riemerse più.

Una donna anziana vide l'uomo andare sotto e lanciò un grido. Sbatteva incontrollabilmente le braccia, come impazzita. Nei suoi occhi c'era orrore puro. «Dov'è la barca?» urlò.

Dov'è la barca? pensò Anawak. Non sarebbero riusciti ad arrivare a riva nuotando. Se avessero raggiunto l'imbarcazione, magari avrebbero potuto salirci sopra e sperare di non essere aggrediti. Se fosse stata capovolta, rimaneva comunque la possibilità di aggrapparsi a essa. Ma la barca sembrava sparita e la donna chiedeva aiuto a voce sempre più alta.

Anawak nuotò verso di lei. La donna lo vide arrivare e gli tese le mani. «La prego», singhiozzò. «Mi aiuti.»

«Sì, sì», gridò Anawak. «Ma stia calma!»

«Sto annegando!»

«Non annegherà.» Anawak si diresse verso di lei a lunghe bracciate. «Non può annegare. La tuta la sostiene.»

Ma la donna non gli diede retta. «Mi aiuti! Mio Dio, non lasciarmi morire! Non voglio morire!»

«Non abbia paura, io…»

Improvvisamente gli occhi della donna si spalancarono e lei fu trascinata sott'acqua. Il suo urlo finì in un gorgoglio.

Qualcosa sfiorò le gambe di Anawak.

Fu preso da un terrore indicibile. Si sollevò un poco e lanciò uno sguardo all'intorno, riuscendo a individuare lo zodiac che galleggiava, capovolto. Tra il gruppo di naufraghi e l'isola della salvezza c'erano solo poche bracciate. Solo pochi metri… e tre siluri neri che stavano piombando sulle persone in acqua.

Come paralizzato, Anawak fissò le orche che attaccavano. Una voce nella sua testa diceva: Nessuna orca ha mai attaccato un uomo! Nei confronti degli esseri umani, le orche sono curiose, pacifiche, o addirittura indifferenti. Le balene non attaccano le navi. No, non lo fanno. Nulla di tutto ciò può essere vero….

Era così sconcertato che, benché avesse sentito il rumore, non capì subito che cosa fosse. Era un rombo, un ruggito che si avvicinava e diventava sempre più forte. Poi fu afferrato da un cavallone e qualcosa di rosso scivolò tra lui e le balene. Venne preso e trascinato a bordo.

Greywolf non gli prestò la minima attenzione. Guidò l'imbarcazione verso il resto del gruppo, si chinò di nuovo e afferrò le braccia tese di Alicia. Senza sforzo la sollevò dall'acqua e la sistemò su una panca. Anawak si sporse e afferrò un uomo ansimante, tirandolo su a fatica. Poi scrutò la superficie dell'acqua alla ricerca degli altri. Dov'era Susan?

Infine la vide. «Là!» urlò.

Emergeva tra due creste di onde, sorreggendo una donna semisvenuta. Le orche avevano circondato lo zodiac rovesciato e si avvicinavano da tutte le parti. Le loro lucide teste nere solcavano l'acqua. Nelle bocche appena aperte splendevano file di denti color avorio. Di lì a pochi secondi avrebbero raggiunto Susan e l'altra donna. Ma Greywolf era di nuovo al timone e manovrava la barca con sicurezza.

Anawak cercò di afferrare Susan.

«Prima la donna», gridò lei.

Aiutato da Greywolf, portò la donna al sicuro. Susan cercò d'issarsi a bordo con le proprie forze, ma invano. Dietro di lei, l'orca s'immerse. Nel mare deserto e apparentemente privo di vita era rimasta solo Susan. Non c'era nessuno oltre lei.

«Leon?»

Allungò le braccia, negli occhi il terrore. Anawak le afferrò la mano destra.

Nell'acqua verde-azzurra, qualcosa di molto grande e veloce stava riemergendo. La mandibola si spalancò, file di denti chiari sullo sfondo di un palato rosa, e si richiuse appena al disotto della superficie. Susan gridò, poi si mise a picchiare il pugno sulla bocca che la teneva stretta. «Vattene!» urlava. «Via, animale di merda!»

Anawak strinse con forza il giubbotto della donna. Susan lo guardava. Nei suoi occhi c'era un terrore mortale.

«Susan! Dammi l'altra mano.»

La teneva stretta, deciso a non cedere, ma l'orca aveva afferrato Susan alla vita e la tirava con una forza incredibile. Susan emise un grido, prima soffocato, poi acuto, e smise di colpire la bocca dell'orca. Poi fu strappata dalle mani di Anawak con una violenza inaudita. Lui vide la sua testa sparire sott'acqua, le sue braccia, le dita tese. L'orca spietata la stava trascinando sotto. Per un istante, si vide ancora scintillare la tuta, sfaccettata come in un caleidoscopio, poi essa sbiadì, si dissolse, sparì.

Anawak fissò l'acqua, sbalordito. Dal fondo salì qualcosa di luccicante. Un getto di bolle d'aria. Scoppiarono sulla superficie producendo schiuma.

Tutt'intorno l'acqua era colorata di rosso.

«No», sussurrò.

Greywolf lo prese per le spalle e lo trattenne. «Non c'è più nessuno», disse. «Andiamocene.»

Anawak era stordito. Quando l'imbarcazione si mise in moto, rombando, lui barcollò e si rimise in equilibrio. La donna che Susan aveva salvato sedeva su una delle panche laterali e gemeva, mentre Alicia le parlava con voce tremante. L'uomo che aveva tirato fuori dall'acqua fissava davanti a sé. A una certa distanza, Anawak sentì un rumore tumultuoso, girò la testa e vide la nave bianca circondata da pinne e dorsi. A quanto pareva, la Lady Wexham riusciva appena ad avanzare, piegata com'era su un fianco.

«Dobbiamo tornare indietro», gridò Anawak. «Non ce la fanno.»

Greywolf lanciò la barca a tutta velocità verso la costa. Senza voltarsi, disse: «Scordatelo».

Anawak gli si avvicinò, strappò il walkie-talkie dal supporto e chiamò la Lady Wexham. Ma lo skipper non rispose. «Dobbiamo aiutarli, Jack! Maledizione, torna indietro…»

«Non se ne parla! Con la mia barca non abbiamo la minima possibilità. Possiamo considerarci fortunati di essere ancora vivi.»

E il peggio era che aveva ragione.

«Victoria?» urlava Shoemaker al telefono. «Che diavolo stanno facendo a Victoria? Cosa vuol dire: 'hanno fatto richiesta'? A Victoria hanno una loro guardia costiera. Nel Clayoquot Sound ci sono dei passeggeri in acqua, forse sta anche affondando una nave, una skipper è morta e noi dovremmo aver pazienza?» Rimase ad ascoltare, andando avanti e indietro nel negozio. Poi si fermò di colpo. «Che vuol dire: 'non appena possibile'? Non me ne frega niente! Allora devono mandare qualcun altro… Come? Mi stia a sentire…»

Benché Shoemaker fosse a qualche metro da lui, la voce nella cornetta strillava al punto che pure Anawak la sentiva. Nella stazione regnava il caos. C'era anche Davie, il direttore. Lui e Shoemaker parlavano in continuazione in qualche cornetta o apparecchio, davano istruzioni oppure stavano ad ascoltare, sbalorditi. In Shoemaker, lo stupore raggiunse il culmine. Infine l'uomo abbassò il ricevitore e scosse la testa.

«Cos'è successo?» chiese Anawak a Shoemaker. Poi gli fece segno di parlare a bassa voce e gli si avvicinò. Durante l'ultimo quarto d'ora, da quando Greywolf aveva portato la sua barca malridotta a Tofino, la Davies Whaling Station si era riempita di gente. La notizia dell'attacco si era diffusa come un lampo. L'uno dopo l'altro erano arrivati anche gli altri skipper che lavoravano per la Davies. Ormai le frequenze erano disperatamente sature. I commenti sarcastici dei pescatori che si trovavano nelle vicinanze e che avevano fatto rotta sul luogo della disgrazia — «Ah, ragazzi, ma si può essere così stupidi da non riuscire a evitare una balena…» — erano cessati. Chi cercava di portare soccorso veniva immediatamente aggredito. E le ondate degli attacchi sembravano estendersi lungo tutta la costa. Ovunque era scoppiato l'inferno, senza che nessuno fosse in grado di dire che cosa stesse succedendo davvero.

«La guardia costiera non ci può mandare nessuno», sibilò Shoemaker. «Sono tutti fuori, al largo di Victoria e Ucluelet. Dicono che ci sono molte imbarcazioni in difficoltà.»

«Che cosa? Anche là?»

«Pare che ci siano stati molti morti.»

«Sto giusto ricevendo qualcosa da Ucluelet», gridò loro Davie. Si appoggiò dietro il banco e girò la manopola della sua radio a onde corte. «Un peschereccio ha ricevuto la richiesta di soccorso di uno zodiac e stava prestando soccorso quand'è stato attaccato. Se l'è svignata.»

«È stato attaccato da cosa?»

«Non ricevo più niente. È sparito.»

«E la Lady Wexham?» chiese Shoemaker.

«Nulla. La Tofino Air è uscita con due aerei. Ho appena avuto un breve contatto.»

«E allora?» gridò Shoemaker senza fiato. «Vedono la Lady

«Sono appena partiti, Tom», rispose Davie.

«Perché su quegli aerei non ci siamo anche noi?»

«Domanda stupida, perché…»

«Maledizione, quelle sono le nostre imbarcazioni! Perché non ci siamo anche noi, su quei maledetti aerei?» Shoemaker correva avanti e indietro, completamente fuori di sé. «Cos'è successo alla Lady Wexham

«Dobbiamo aspettare.»

«Aspettare? Non possiamo aspettare! Io vado.»

«Che vuoi dire?» domandò Davie.

«Là fuori c'è ancora uno zodiac, no? Possiamo prendere il Devilfish e andare a vedere.»

«Sei impazzito?» gridò uno degli skipper. «Non hai sentito quello che ha raccontato Leon?! È una faccenda per la guardia costiera.»

«Però là non c'è nessuna maledetta guardia costiera!» strillò Shoemaker.

«Forse la Lady Wexham si potrà mettere in salvo da sola. Leon ha detto…»

«Forse, forse! Io vado.»

«Basta!» Davie sollevò le mani e lanciò a Shoemaker uno sguardo di avvertimento. «Tom, non voglio mettere altri uomini in pericolo se non è assolutamente necessario.»

«Tu non vuoi mettere altre barche in pericolo», latrò Shoemaker.

«Aspetteremo di sentire quello che ci dicono i piloti. Poi decideremo il da farsi.»

«È una decisione sbagliata!» concluse Shoemaker.

Davie non rispose. Girò la manopola della radio per cercare di mettersi in contatto coi piloti degli idrovolanti, mentre Anawak chiedeva alla gente di uscire dalla stazione. Di tanto in tanto si sentiva tremare le ginocchia e provava un senso di vertigine. Probabilmente era sotto shock. Avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi stendere un attimo e chiudere gli occhi, ma era probabile che, così facendo, avrebbe rivisto Susan trascinata negli abissi dall'orca.

La donna che doveva la propria vita a Susan era su una panca di fianco all'ingresso e sembrava svenuta. Anawak non poté fare a meno di lanciarle un'occhiata irosa. Senza di lei, Susan ce l'avrebbe fatta. L'uomo salvato era seduto lì vicino e piangeva. Aveva perso la figlia che si trovava con lui sul Blue Shark. Alicia lo assisteva. Sebbene anche lei fosse appena sfuggita alla morte, dimostrava un grande autocontrollo. Correva voce che ci fosse un elicottero in arrivo per portare i superstiti all'ospedale più vicino, ma al momento nessuno ci contava troppo.

«Ehi, Leon!» chiamò Shoemaker. «Vieni con me? Tu sai meglio di tutti a cosa dobbiamo stare attenti.»

«No, Tom, tu non vai», sbottò Davie con tono tagliente.

«Nessuno di voi idioti deve tornare là fuori», disse una voce profonda. «Vado io.»

Anawak si girò. Greywolf era entrato nella stazione e, scostandosi dalla fronte i lunghi capelli, si stava facendo largo tra la gente. Dopo aver portato a terra Anawak e gli altri, era rimasto sulla barca per verificarne i danni. In silenzio, tutti fissarono quel gigante dalla lunga criniera, vestito di pelle.

«Che stai dicendo?» chiese Anawak. «Dove vai?»

«Fuori, alla vostra nave. A prendere la vostra gente. Io non ho paura dei cetacei. A me non fanno niente.»

Anawak scosse la testa, seccato. «Generoso da parte tua, Jack, davvero. Ma faresti bene a tenerti alla larga.»

«Leon, piccolo uomo.» Greywolf digrignò i denti. «Se mi fossi tenuto alla larga, tu saresti morto, non dimenticarlo. Siete voi quelli che avrebbero fatto meglio a tenersi alla larga. Fin dall'inizio.»

«Da che cosa?» sibilò Shoemaker.

Con gli occhi ridotti a una fessura, Greywolf si voltò verso di lui. «Dalla natura, Shoemaker. Siete voi i responsabili di questo disastro. Voi, con le vostre barche e le vostre maledette telecamere. I miei compagni e i turisti sono morti per colpa vostra e di quelli cui avete sfilato i soldi dalle tasche. Era inevitabile che succedesse.»

«Stupido bastardo!» gridò Shoemaker.

Alicia, che aveva assistito alla scena vicino all'uomo in lacrime, si alzò. «Non è uno stupido bastardo!» disse con decisione. «Ci ha salvati. E ha ragione, senza di lui saremmo tutti morti.»

Shoemaker sembrava sul punto di prendere Greywolf per il collo. Anawak sapeva bene che dovevano ringraziare il gigante, ma in passato Greywolf gli aveva creato fin troppi problemi, quindi non disse nulla. Per alcuni secondi, sui presenti calò un silenzio insopportabile. Alla fine, Shoemaker girò sui tacchi e, con passo rigido, andò verso Davie.

«Jack…» mormorò Anawak. «Se esci adesso ci sarà qualcuno che dovrà venire a pescare te in mezzo all'acqua. La tua barca è un pezzo da museo. Non ce la farai un'altra volta.»

«Vuoi lasciar morire la gente là fuori?» chiese Greywolf.

«Non voglio lasciare morire nessuno. Nemmeno te.»

«Oh, ti preoccupi della mia insignificante persona. Sono così commosso che potrei vomitare. Ma io non pensavo alla mia barca. Ne ha già passate abbastanza. Prendo la vostra.»

«Il Devilfish

«Sì.»

Anawak strabuzzò gli occhi. «Non posso dare via così la nostra barca. E meno che mai a te.»

«Allora vieni anche tu.»

«Jack, io…»

«Può venire anche Shoemaker. In fondo i vermiciattoli ci possono servire come esca, visto che finalmente le orche hanno capito chi sono i loro veri nemici e hanno cominciato a mangiarli.»

«Ti mancano davvero delle rotelle, Jack», disse Anawak.

Greywolf si chinò verso di lui. «Ehi, Leon», sibilò. «Alcuni miei compagni sono morti. Credi che non me ne freghi niente?»

«Non dovevi portarli con te.»

«Non ha senso stare a discutere ora, no? Si tratta della vostra gente. Io non dovrei uscire, Leon. Forse mi dovresti un po' più di riconoscenza.»

Anawak lanciò un'imprecazione e si guardò intorno. Shoemaker era al telefono. Davie parlava al walkie-talkie. Gli skipper presenti e il gestore cercavano di mandare via la gente rimasta nella stazione, ma con scarsi risultati.

Davie alzò lo sguardo e fece un cenno ad Anawak. «Che ne pensi della proposta di Tom?» chiese sottovoce. «Possiamo davvero aiutarli o è un suicidio?»

Anawak si mordicchiò il labbro inferiore. «Che cosa dicono i piloti?»

«La Lady è piegata su un lato e sta imbarcando acqua.»

«Mio Dio.»

«Pare che la guardia costiera possa mandare da Victoria un grande elicottero per il recupero. Ma dubito che arriverà in tempo. Sono già maledettamente impegnati e continuano ad arrivare notizie di altri disastri.»

Anawak rifletté. Il pensiero di tornare nell'inferno da cui era appena sfuggito lo terrorizzava. Ma si sarebbe rimproverato per tutta la vita se non avesse fatto il possibile per salvare la gente a bordo della Lady Wexham. «Greywolf vuole andare», replicò.

«Jack e Tom nella stessa barca? Santo cielo! Pensavo volessimo risolvere i problemi, non crearne altri.»

«Greywolf potrebbe risolverne alcuni. Sì, è un fanatico, ma potremmo aver bisogno di lui. È forte e coraggioso.»

Davie annuì, cupo. «Tienili d'occhio, hai capito?»

«Certo.»

«E se capite che non c'è nulla da fare, tornate indietro. Non voglio che qualcuno si metta a giocare all'eroe.»

«Va bene.»

Anawak raggiunse Shoemaker, attese che finisse la telefonata, e poi gli comunicò la decisione di Davie.

«Prendiamo con noi quell'indiano della domenica?» chiese Shoemaker, sdegnato. «Sei impazzito?»

«A dire la verità, credo che sia lui a prenderci con sé.»

«Con la nostra barca!»

«Tu e Davie siete i capi, però io so cosa ci aspetta. Posso valutare meglio quello che ci serve. E so che saremo più che contenti di avere Greywolf con noi.»

Il Devilfish aveva le stesse dimensioni e lo stesso motore del Blue Shark, quindi era veloce e maneggevole. Anawak sperava che, in tal modo, sarebbero potuti sfuggire alle orche, anche se gli enormi mammiferi marini avevano dalla loro parte il fattore sorpresa. Nessuno poteva dire dove e quando sarebbero comparsi.

Mentre lo zodiac rombava sulla laguna, Anawak continuava a chiedersi il perché di quelle aggressioni. Si era sempre ritenuto un esperto di animali, ma era sbalordito e incapace di trovare una spiegazione che fosse almeno in parte sensata. L'unica cosa certa era la somiglianza con quello che era successo alla Barrier Queen. Le balene avevano cercato di capovolgere la nave. Dovevano avere qualche infezione, pensò. Una sorta di rabbia. Era l'unica spiegazione: dovevano essere ammalate.

Ma una malattia può contagiare contemporaneamente tutte le specie? Gli sembrava di ricordare che all'attacco avessero partecipato megattere, orche e anche balene grigie. Più ci pensava, più si convinceva che, ad affondare il suo zodiac, era stata una balena grigia, non una megattera.

Forse gli animali erano impazziti a causa delle sostanze chimiche? La concentrazione di PCB nell'acqua marina e negli alimenti avvelenati aveva completamente sconvolto il loro istinto? Le orche si avvelenavano con salmoni contaminati e con altre creature piene di tossine. Le megattere e le balene grigie, invece, mangiavano plancton. Il loro metabolismo funzionava diversamente da quello dei carnivori.

La malattia non era una spiegazione.

Osservò la lucente superficie dell'acqua. Quante volte era uscito in quella zona pregustando la gioia dell'incontro coi cetacei? Ogni volta era stato consapevole dei potenziali pericoli, ma non aveva mai avuto paura. Al largo, sull'oceano, poteva calare improvvisamente la nebbia. Il vento poteva girare di colpo e sollevare onde subdole, com'era successo nel 1998, proprio nel Clayoquot Sound, quando uno skipper e un turista avevano perso la vita in quel modo. E naturalmente le balene, benché fossero pacifiche, rimanevano sempre esseri imprevedibili, di dimensioni strabilianti e con una forza enorme. Ogni whale watcher esperto lo sapeva.

Ma non aveva senso temere la natura.

Un essere umano poteva essere aggredito — anche in casa propria — da altri uomini oppure venire investito da un'auto. In casi simili, c'erano poche possibilità di uscirne illesi. Evitare una balena infuriata, invece, era possìbile: bastava non entrare nel suo spazio vitale. Se lo si faceva, allora il pericolo diventava concreto e bisognava accettarlo. Se si decideva di affrontare una tempesta oppure un animale selvaggio, allora non si riteneva che quelle cose fossero terrificanti. La paura cedeva il posto al rispetto e Anawak aveva sempre avuto un grande rispetto.

Ora, per la prima volta, aveva paura.

Alcuni idrovolanti stavano sorvolando il Devilfish. Anawak era nella cabina di guida con Shoemaker, che aveva voluto guidare, benché Greywolf avesse sostenuto di saperlo fare molto meglio. Greywolf era a prua e scrutava l'acqua alla ricerca di segnali sospetti. Alla loro sinistra si levavano le propaggini ricoperte di foreste di alcune isolette. Numerosi leoni marini se ne stavano pigramente sdraiati sulle pietre, come se nulla potesse scuotere la loro placidità. Lo zodiac li oltrepassò rombando e senza diminuire la velocità; raggiunse il mare aperto. Infinito, monocromo, intimo e sconosciuto nel contempo.

Oltre la laguna, le onde erano più alte e lo zodiac le superava, sbattendoci contro. Nell'ultima mezz'ora il mare era diventato più mosso. All'orizzonte si ammassavano le nubi. Non sembravano nuvole di tempesta, ma senza dubbio le condizioni stavano peggiorando velocemente, come accadeva spesso da quelle parti. Anawak cercava la Lady Wexham e, in un primo momento, temette che fosse affondata. A una certa distanza, vide una nave da crociera ferma, una delle tante che in quella stagione facevano rotta verso l'Alaska passando al largo del Canada occidentale.

«Che ci fanno lì?» urlò Shoemaker.

«Probabilmente hanno captato la richiesta d'aiuto.» Anawak guardò col binocolo. «MS Artik. Da Seattle. La conosco. Negli ultimi anni è passata diverse volte.»

«Leon, laggiù!»

Piccole e sghembe, appena visibili dietro le creste delle onde, apparvero improvvisamente le sovrastrutture della Lady Wexham. La maggior parte della nave era sommersa. I passeggeri si erano riuniti sul ponte e sulla piattaforma d'avvistamento a poppa. Schiuma e acqua vaporizzata annebbiavano la visuale. Molte orche nuotavano intorno al relitto. Sembrava quasi che stessero aspettando che la Lady Wexham affondasse per scagliarsi sui suoi occupanti.

«Santo cielo», gemette Shoemaker, inorridito. «Non posso crederci.»

Greywolf si voltò e gli fece cenno di rallentare. Shoemaker obbedì. Un dorso grigio e terribile si levò dall'acqua immediatamente davanti a loro, seguito da altri due. Le balene rimasero per qualche secondo in superficie, fecero uscire uno sfiato vaporoso a forma di V e s'immersero senza mostrare le pinne caudali.

Anawak sospettava che si stessero avvicinando sott'acqua. Poteva letteralmente fiutare la minaccia dell'attacco.

«Via!» urlò Greywolf.

Shoemaker diede gas. Il Devilfish si sollevò quasi in verticale e partì a tutta velocità. Dietro di loro, le tre balene balzarono fuori dall'acqua e ripiombarono giù senza fare danni. Lo zodiac si lanciò verso la Lady Wexham che stava affondando. In coperta e sul ponte, i passeggeri si misero a gesticolare freneticamente. Anawak vide con sollievo che tra i sopravvissuti c'era anche lo skipper. Le nere pinne dorsali si spostarono dalla loro traiettoria e s'immersero.

«Tra poco le avremo addosso», disse Anawak.

«Le orche?» Shoemaker lo guardava con gli occhi spalancati. Per la prima volta sembrava aver compreso appieno ciò che stava succedendo. «Cosa vogliono fare? Rovesciare lo zodiac?»

«Potrebbero farlo senza problemi, ma distruggere le imbarcazioni tocca alle balene più grandi. Sembra quasi che gli animali abbiano sviluppato una divisione dei compiti. Le megattere e le balene grigie affondano le navi, mentre le orche sistemano i passeggeri.»

Shoemaker impallidì. «Arrivano i rinforzi», gridò.

Infatti due piccole barche a motore si erano staccate dalla MS Artik e si stavano avvicinando lentamente.

«Digli che devono dare gas, altrimenti sono fottuti, Leon», gridò Greywolf. «A quella velocità sono una preda facile.»

Anawak prese in mano la radio. «MS Artik, qui Devilfish. Dovete prepararvi a essere attaccati.»

Per qualche secondo ci fu solo silenzio. Il Devilfish aveva quasi raggiunto la Lady Wexham. Il suo scafo era sferzato dalle onde.

«Qui è la MS Artik. Che cosa può succedere, Devilfish

«Fate attenzione alle balene che saltano. Cercheranno di affondare le vostre barche.»

«Balene? Ma che sta dicendo?»

«Fareste meglio a tornare indietro.»

«Abbiamo ricevuto la richiesta d'aiuto di una nave che si è rovesciata.»

Anawak barcollò quando lo zodiac sbatté duramente contro la cresta di un'onda. Poi si rimise in equilibrio e gridò nella radio: «Non abbiamo tempo per discutere. Dovete andare più veloce!»

«Ehi, vuole prenderci per i fondelli? Andiamo in soccorso della nave che sta affondando. E basta.»

Ritto a prua, Greywolf cominciò a gesticolare. «Devono fuggire», gridò.

Le orche avevano cambiato rotta. Si erano allontanate dal Devilfish, dirette in mare aperto, verso la MS Artik.

«Merda!» imprecò Anawak.

Davanti alle barche che si stavano avvicinando balzò fuori una megattera, circondata da una corona di acqua luccicante. Per un momento rimase come immobile nell'aria e poi si lasciò cadere su un fianco. Anawak respirava affannosamente. In mezzo agli spruzzi vide le due barche avvicinarsi. «MS Artik, richiamate subito i vostri uomini. Subito! Qui ci pensiamo noi», esclamò.

Shoemaker ridusse la velocità. Il Devilfish era ormai nei pressi del contorto ponte della Lady Wexham, cui si aggrappava una dozzina di uomini e donne. Ognuno si teneva disperatamente a qualcosa per non scivolare in acqua. Le onde si frangevano sul ponte, schiumando. Un altro piccolo gruppo si era messo al sicuro sulla piattaforma di avvistamento a poppa. Erano appesi al parapetto, quasi fossero scimmie, scossi dalle onde.

Il Devilfish s'infilò tra il ponte e la piattaforma. Sotto lo zodiac splendevano il verde e il bianco del ponte mediano. Shoemaker guidò verso il ponte finché il bordo di gomma non ci sbatté contro. Una grande onda raggiunse la barca e la sollevò. Salirono lungo la torre del ponte come su un enorme ascensore. Per un momento, Anawak poté quasi toccare le mani tese delle persone. Guardò i volti terrorizzati, sui quali si dipinse una vaga speranza, poi il Devilfish tornò giù, seguito da un grido di delusione.

«Sarà difficile», disse Shoemaker tra i denti.

Anawak si guardò intorno, nervoso. Evidentemente le balene avevano perso interesse per la Lady Wexham. Si erano raggruppate davanti alle barche della MS Artik, che stavano effettuando una serie di goffe manovre diversive.

Dovevano fare in fretta. Non potevano sperare che gli animali restassero lontani in eterno; e poi la Lady Wexham sprofondava sempre più. Un cavallone verde e frastagliato riportò in alto il Devilfish. Anawak vide passare davanti a sé la vernice che si sfogliava dalla torre del ponte. Greywolf saltò dalla barca e si aggrappò a una scaletta. L'acqua lo coprì fino al petto, poi l'onda defluì e lui rimase sospeso nell'aria, un collegamento vivente tra le persone sopra di lui e lo zodiac. Allungò verso l'alto la mano libera.

«Sulle mie spalle», gridò. «L'uno dopo l'altro. Tenetevi aggrappati a me. Aspettate. Quando la barca sale, saltate.»

Esitavano. Greywolf ripeté le indicazioni. Finalmente, una donna afferrò il suo braccio e, con movimenti incerti, si lasciò scivolare giù. Un momento dopo era aggrappata al colosso e si teneva alle sue spalle. Lo zodiac balzò in alto. Anawak riuscì a prendere la donna e a tirarla a bordo.

«Il prossimo!»

Finalmente l'operazione di salvataggio era cominciata. A uno a uno i naufraghi si aggrappavano all'ampia schiena di Greywolf e finivano a bordo del Devilfish. Anawak si domandava per quanto il mezzo indiano avrebbe avuto la forza di restare aggrappato alla scala. Sopportava il proprio peso e quello dei passeggeri, si teneva con una mano sola ed era costantemente immerso a metà nell'acqua, che lo strattonava in giù quando il mare rifluiva. Il ponte cigolava terribilmente. I materiali si deformavano, emettendo gemiti cavernosi. Le giunture metalliche si spaccavano, schioccando. Sul ponte era rimasto solo lo skipper, quando improvvisamente risuonò uno spaventoso stridio e la parte superiore del corpo di Greywolf sbatté duramente contro la parete. Lo skipper perse la presa e precipitò davanti a lui. Dall'altra parte del relitto, si sollevò la testa di una balena grigia. Greywolf lasciò il piolo della scala e balzò via. Non lontano da lui, sbuffando, riemerse lo skipper e, con poche, robuste bracciate; riuscì a raggiungere lo zodiac. Verso di lui si tesero alcune mani, che lo sollevarono a bordo. Anche Greywolf aveva raggiunto lo zodiac, ma fu trascinato indietro da un cavallone.

A pochi metri da lui, emerse una pinna dorsale.

«Jack!» Anawak s'intrufolò in mezzo alla gente e raggiunse la poppa. Guardava le onde. La testa di Greywolf comparve tra i flutti. Sputò acqua, s'immerse e poi sbucò di colpo sulla superficie, proprio accanto al Devilfish. La pinna dorsale dell'orca si girò e si diresse verso di lui. Le braccia muscolose di Greywolf si sollevarono e colpirono lo scafo di gomma. L'orca sollevò dall'acqua il suo muso rotondo e splendente. Anawak afferrò Greywolf, altri lo aiutarono e, unendo le forze, gli uomini riuscirono a portare a bordo quel gigante alto due metri. La pinna dorsale descrisse un semicerchio e si diresse dalla parte opposta. Imprecando, Greywolf si liberò delle mani che lo volevano aiutare e con un colpo si scostò i lunghi capelli dal volto.

Perché l'orca non l'ha attaccato? pensò Anawak. Poi rammentò quello che aveva detto Greywolf: «Io non ho paura dei cetacei. A me non fanno niente». C'era qualcosa di vero in quella sciocchezza?

Ma subito dopo si rese conto che l'orca non poteva attaccare. Il ponte mediano, sommerso sotto lo zodiac, non le aveva lasciato sufficiente profondità. Nelle immediate vicinanze del Devilfish erano al sicuro dalle orche, almeno finché non si comportavano come le loro parenti sudamericane, che proseguivano la caccia anche nelle acque basse o addirittura all'asciutto. Fino all'affondamento della Lady Wexham restava loro un periodo di tregua che avrebbero dovuto usare in ogni modo.

Risuonò un urlo collettivo.

Un esemplare gigantesco di balena grigia si scagliò contro una delle barche della MS Artik che si stava avvicinando. Volarono macerie ovunque. L'altra fece ululare il motore, virò e fuggì. Anawak fissava il luogo in cui la balena aveva affondato l'imbarcazione e, con orrore, vide molti dorsi grigi che si muovevano dal luogo della disgrazia verso il Devilfish.

Ci risiamo, pensò.

Shoemaker era come paralizzato e guardava quella scena a occhi sbarrati.

«Tom!» gridò Anawak. «Dobbiamo andare a prendere la gente a poppa.»

«Shoemaker!» Greywolf digrignò i denti. «Che c'è? Ti si è gelato il culo?»

Tremando, l'uomo riprese il timone e guidò il Devilfish verso la piattaforma di avvistamento. Un cavallone sollevò lo zodiac, lo strappò indietro e lo scaraventò direttamente verso la piattaforma. La poppa del Devilfish sbatté con violenza contro il parapetto al quale stavano aggrappati i superstiti. Dalla profondità rimbombò il rumore di materiale sottoposto a una tensione pazzesca. Anawak immaginò il bordo della parete che si strappava ulteriormente e le sovrastrutture che cadevano, l'una dopo l'altra. Shoemaker ansimava. Non riusciva a spingere il Devilfish sotto il parapetto per permettere a quelle persone di saltare giù.

I dorsi grigi s'inarcavano verso la Lady Wexham, in piena rotta di collisione. Di nuovo il relitto vibrò a causa di un colpo terribile. Una donna venne strappata via dal parapetto e cadde in acqua, urlando.

«Shoemaker, maledetto idiota!» gridò Greywolf. In molti si fecero avanti e tirarono a bordo la donna. Anawak si chiedeva per quanto tempo ancora la Lady Wexham avrebbe retto.

Non ce la faremo, pensò, disperato.

In quell'istante accadde un miracolo.

Ai lati della nave si levarono due dorsi imponenti. Anawak ne riconobbe subito uno, per via della fila di cicatrici biancastre, a forma di croce, che correva lungo la colonna vertebrale. All'animale, che evidentemente si era procurato quelle ferite quand'era molto giovane, avevano dato il nome di Scarback. Scarback era una balena grigia molto vecchia, che aveva già ampiamente superato l'età media della sua specie. Il dorso dell'altra balena non mostrava segni particolari. I due animali se ne stavano tranquilli nell'acqua e si lasciavano cullare dalle onde. L'una dopo l'altra scaricarono rumorosamente il loro getto, producendo una nuvola di sfavillanti goccioline.

Il fatto singolare non fu tanto l'apparizione delle due balene grigie, quanto il comportamento delle orche, che s'immersero immediatamente. Quando i loro dorsi ricomparvero, si erano allontanate di un bel pezzo. Circondavano sempre la nave, ma tenevano una rispettosa distanza.

Qualcosa diceva ad Anawak che non aveva nulla da temere dai nuovi arrivati. Al contrario: essi avevano cacciato gli aggressori. Quanto sarebbe durata la tregua era impossibile a dirsi, ma la svolta inattesa degli avvenimenti aveva permesso di tirare il fiato. Anche Shoemaker era riuscito a dominare il panico e stavolta guidò con sicurezza lo zodiac sotto il parapetto. Anawak vide avvicinarsi una grande onda e si preparò. Era l'ultima possibilità.

Lo zodiac balzò in alto.

«Saltate!» urlò. «Ora!»

Il cavallone che aveva sollevato il Devilfish si riabbassò. Le persone che erano riuscite a saltare nello zodiac caddero l'una sopra l'altra. Si levarono grida di dolore. Chi era caduto in acqua riuscì ad arrivare a bordo grazie all'aiuto degli altri passeggeri. Infine riuscirono a raccoglierli tutti.

Ormai non restava che andarsene.

No, non tutti erano in salvo. D'un tratto si accorsero che c'era ancora un bambino. Piangeva, le mani disperatamente aggrappate alla ringhiera.

«Salta!» gridò Anawak, allargando le braccia. «Non avere paura.»

Greywolf gli si avvicinò. «Alla prossima ondata lo prendo.»

Anawak si guardò alle spalle. Una gigantesca montagna d'acqua rotolava verso di loro. «Credo che non dovrai aspettare molto», disse.

Dalla profondità risuonarono ancora i rumori dello scafo che si stava sfasciando. Le due balene grigie tornarono lentamente a immergersi. La nave si riempiva sempre più velocemente d'acqua gorgogliante; poi, improvvisamente, il ponte sparì in un vortice e la poppa si alzò. La prua della Lady Wexham cominciò ad affondare.

«Più vicini, presto!» gridò Greywolf.

In qualche modo, Shoemaker riuscì a dar seguito all'ordine. La prua del Devilfish grattò contro il ponte cui era aggrappato il ragazzino, che strillava a pieni polmoni. Spintonando tutti, Greywolf si precipitò a poppa. Nello stesso istante, l'onda sollevò lo zodiac e sul parapetto si gonfiarono cortine di schiuma. Greywolf si sporse e riuscì ad afferrare il bambino, ma poi il Devilfish sbandò, facendo perdere l'equilibrio a Greywolf, che cadde tra le file di sedili. Però le sue braccia si stendevano in alto e le mani forti erano serrate come una morsa intorno alla vita del piccolo.

Anawak guardò verso il mare.

Nel punto in cui, fino a pochi secondi prima, c'era il bambino aggrappato al parapetto, adesso c'erano soltanto dei mulinelli. Vide la Lady Wexham sparire negli abissi, poi lo zodiac cadde nell'incavo dell'onda. Il salto fu tale che ad Anawak si rivoltò lo stomaco, come se fosse su un ottovolante.

Shoemaker partì a tutto gas. Le onde lunghe e regolari che arrivavano dal Pacifico non potevano diventare pericolose per il Devilfish, anche se era strapieno, a meno che lo skipper non commettesse qualche errore. Ma Shoemaker sembrava aver ritrovato la sua forma migliore. Nei suoi occhi non c'era più il panico. Saltarono sopra una cresta dell'onda e la superarono, prendendo la rotta verso la costa.

Anawak fissò la MS Artik e vide che la seconda barca era sparita. Poi, tra le onde, scorse la pinna caudale di una megattera. Gli sembrò quasi che stesse facendo loro un cenno d'addio. Non sarebbe più stato capace di guardare quella cosa senza pensare al peggio.

I messaggi radio rivelavano che era scoppiato l'inferno.

Pochi minuti dopo, il Devilfish superò la striscia d'isole che divideva il mare aperto dalla laguna.

Almeno il fatto di non aver perso anche il Devilfish riuscì a rasserenare un po' Davie. Lo zodiac, stracarico come una nave di profughi, era legato strettamente al molo. Lessero i nomi dei dispersi. Alcuni dei presenti svennero. Poi la Davies Whaling Station si svuotò, in fretta come si era riempita. Praticamente tutti avevano mostrato segni d'ipotermia, così la maggior parte si fece accompagnare da amici e congiunti alle ambulanze in attesa. Altri avevano ferite gravi, ma non era dato sapere quando ci sarebbe stato un elicottero disponibile per trasportarli all'ospedale di Victoria. Dalla radio continuavano ad arrivare notizie terribili.

Davie era stato bombardato da accuse, insinuazioni e minacce da parte dei passeggeri. Nel frattempo era comparso Roddy Walker, il fidanzato di Susan, e si era messo a urlare che avrebbe citato in tribunale il responsabile della stazione. Sembrava che a nessuno interessasse chi fosse il vero responsabile dell'accaduto e la spiegazione più semplice — senza motivo, i cetacei avevano aggredito gli esseri umani — non fu accettata quasi da nessuno. Le balene non facevano cose del genere. Le balene erano pacifiche. Le balene erano meglio degli uomini. Alcuni, a Tofino, arrivarono a incolpare i whale watcher, come se fossero stati loro a uccidere a sangue freddo i passeggeri del Blue Shark e della Lady Wexham, idioti che correvano rischi inutili e che erano usciti in mare con navi malandate. In effetti la Lady Wexham aveva un bel po' di anni sulle spalle, ma ciò non aveva mai ridotto la sua capacità di tenere il mare. Però, al momento, nessuno voleva sentire scuse.

Erano riusciti a riportare a casa la maggior parte dell'equipaggio e dei passeggeri. In molti avevano ringraziato Anawak e Shoemaker, ma il vero eroe era Greywolf. Riusciva a essere ovunque contemporaneamente: parlava, ascoltava, organizzava e si offriva di accompagnare personalmente con l'ambulanza. Agli occhi di Anawak, quella specie di Madre Teresa alta due metri offriva uno spettacolo disgustoso. Imprecò tra i denti, ma non aveva tempo per occuparsi di Greywolf. Sentiva che la situazione gli stava sfuggendo di mano.

Certo, Greywolf aveva rischiato la vita, e loro avrebbero dovuto ringraziarlo in ginocchio. Ma Anawak non ne aveva la minima voglia: quell'improvvisa esplosione di altruismo era molto sospetta. L'impegno di Greywolf per i passeggeri della Lady Wexham non era di certo dovuto al suo amore per l'umanità, di questo Anawak era certo. In fondo, per quel mezzo indiano la giornata era stata più che positiva. La gente gli credeva, si fidava di lui. Di lui, che aveva predetto una fine ingloriosa per il turismo imperniato sull'osservazione delle balene. Ed era successo proprio così. Non li aveva forse messi in guardia? Quanti testimoni avrebbero confermato la lucida capacità di analisi di Greywolf?

Non poteva desiderare un palcoscenico migliore.

Anawak sentì crescere la rabbia. Di pessimo umore, tornò nella stazione deserta. Bisognava scoprire la causa del comportamento degli animali! Rammentò la vicenda della Barrier Queen. Roberts gli doveva mandare il rapporto. Ne aveva assolutamente bisogno. Prese il telefono e si mise in contatto con la società armatrice.

Gli rispose la segretaria di Roberts. Il managing director era in riunione e non poteva essere disturbato. Anawak spiegò il suo ruolo nell'ispezione della Barrier Queen e fece intendere che c'era una certa urgenza. La donna ripeté che la riunione non poteva essere interrotta. Sì, aveva sentito del disastro. Era terribile. S'informò delle condizioni di Anawak e, in tono quasi materno, espresse tutta la sua preoccupazione, ma non gli passò Roberts. Doveva riferirgli qualcosa?

Anawak esitò. Roberts gli aveva promesso il rapporto in via riservata e lui non intendeva metterlo in difficoltà. Forse era meglio non menzionare quell'accordo. Poi gli venne in mente una cosa. «Si tratta dei mitili che erano attaccati alla poppa della Barrier Queen», disse. «Dei mitili e probabilmente di altre sostanze e forme di vita. Ne abbiamo mandato alcuni campioni all'istituto di Nanaimo. Laggiù hanno bisogno di rifornimenti.»

«Di rifornimenti?»

«Di altri campioni. Presumo che nel frattempo la Barrier Queen sia stata esaminata da cima a fondo.»

«Sì, certo», disse la segretaria in tono meravigliato.

«Ora dov'è la nave?» chiese Anawak.

«Nel bacino di carenaggio.» Fece una pausa. «Riferirò a Mister Roberts che è urgente. Dove dobbiamo mandare i campioni?»

«All'istituto. All'attenzione della dottoressa Sue Oliviera. Grazie, lei è molto gentile.»

«Mister Roberts la chiamerà appena possibile.» Poi la donna riagganciò.

E questo che significa?

Improvvisamente le ginocchia di Anawak si misero a tremare. La tensione delle ore precedenti stava lasciando il posto allo sfinimento. Si appoggiò al banco e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, vide davanti a sé Alicia. «Che ci fai qui?» le chiese seccamente.

Lei scrollò le spalle. «Sto bene. Non devo farmi visitare.»

«E invece devi. Sei caduta in acqua e da queste parti l'acqua è dannatamente fredda. Va' all'ambulanza prima che ci accusino di averti fatto venire un raffreddore.»

«Ehi!» Lo fulminò con un'occhiata. «Io non ti ho fatto niente, è chiaro?»

Anawak si staccò dal bancone, le girò le spalle e si avvicinò alla finestra posteriore. Il Devilfish era ormeggiato alla banchina come se non fosse successo nulla. Cominciava a piovigginare.

«Cosa volevi ottenere con quella sciocchezza del tuo 'ultimo giorno' a Vancouver Island?» chiese. «Non avrei dovuto prenderti con me. Ma tu perché mi hai fatto una testa così…»

«Io…» iniziò Alicia, poi s'interruppe. «Be', sì, volevo assolutamente venire. Sei arrabbiato?»

Anawak si girò. «Odio essere preso in giro.»

«Mi dispiace.»

«No, non ti dispiace. Ma fa lo stesso. Perché non sparisci e ci lasci fare il nostro lavoro?» Fece una smorfia. «Va' con Greywolf che vi prende tutti per la manina.»

«Mio Dio, Leon!» Alicia gli si avvicinò e lui si scostò. «Volevo assolutamente venire in mare con te. Mi dispiace di averti mentito. Okay, sono qui per un paio di settimane, e non vengo da Chicago, ma studio Biologia all'University of British Columbia. Che cosa devo fare? Pensavo che alla fine avresti trovato divertente questa balla…»

«Divertente?» gridò Anawak. «Ma hai le rotelle a posto? Che c'è di divertente nell'essere presi per i fondelli?» Gli stavano saltando i nervi, ma non poteva farci nulla e gridava contro di lei, benché sapesse che aveva ragione. Quella ragazza non gli aveva fatto nulla. Proprio nulla.

Alicia indietreggiò, sussultando. «Leon…»

«Perché non mi lasci in pace? Vattene.»

Si aspettava che se ne andasse, invece rimase lì. Anawak si sentiva stordito. La stanza girava. Per un momento ebbe paura che le gambe gli cedessero, poi improvvisamente tutto ritornò normale e mise a fuoco Alicia che gli porgeva qualcosa.

«Cos'è?» borbottò.

«Una videocamera.»

«Questo lo vedo. Ma perché?»

«Prendila.»

Lui allungò la mano, prese la videocamera e la osservò. Era una Sony Handycam molto costosa e con la copertura impermeabile usata dai turisti, ma anche dagli scienziati. «E allora?»

Alicia allargò le braccia. «Pensavo che volessi scoprire cos'è successo.»

«Non sapevo che la cosa ti riguardasse.»

«Smettila una buona volta di riversare su di me la tua rabbia!» sbottò lei. «Là fuori avrei potuto morire, e questo è successo solo un paio d'ore fa. Potrei essere sulla tua ambulanza a urlare, e invece cerco di aiutarti. Vuoi scoprire cos'è successo o no?»

Anawak respirò profondamente. «Okay.»

«Hai visto quali animali hanno attaccato la Lady Wexham

«Sì, balene grigie e megattere…»

«No», Alicia scosse impaziente la testa. «Non quali specie. Quali individui! Sei riuscito a identificarli?»

«È successo tutto troppo in fretta.»

Alicia rise. Era una risata amara, ma pur sempre una risata. «La donna che abbiamo tirato fuori dall'acqua era con me sul Blue Shark. Era sotto shock, completamente fuori di sé. Tuttavia, quando voglio qualcosa non me la lascio scappare…»

«Quindi…?»

«… Quindi le ho visto questa videocamera appesa al collo. Era assicurata bene, perciò non è andata persa neppure in acqua. In ogni caso, quando voi siete tornati in mare, ho parlato un po' con la donna e lei mi ha detto che ha filmato per tutto il tempo, anche quando si è avvicinato Greywolf! In un certo senso era profondamente impressionata da lui, così ha continuato a riprenderlo.» Fece una pausa. «Se ricordo bene, dal nostro punto di vista, la Lady Wexham era alle spalle di Greywolf.»

Anawak annuì e d'un tratto comprese dove voleva arrivare Alicia. «Ha ripreso l'attacco», mormorò.

«Ha filmato soprattutto le balene che ci hanno attaccato. Non so se sarai in grado d'identificarle, ma tu vivi qui e conosci gli animali. È una ripresa di buona qualità», confermò Alicia.

«Immagino che ti sia dimenticata di chiedere il permesso di tenere la videocamera», borbottò Anawak.

Alicia lo guardò con aria provocatoria. «E allora?»

Lui si girò la videocamera tra le mani. «Va bene. Lo guardo.»

«Lo guardiamo», esclamò Alicia. «In questa storia voglio esserci anch'io. E, santo cielo, non chiedermi perché. È semplicemente così, okay?»

Anawak la fissò.

«Inoltre, da adesso in poi, sarai gentile con me.»

Lui espirò lentamente e, con le labbra tirate, osservò la videocamera. Doveva ammettere che, fino a quel momento, quella di Alicia era la migliore idea che fosse venuta fuori. «Ci proverò», disse.