"Il quinto giorno" - читать интересную книгу автора (Schätzing Frank)

18 aprile

Vancouver Island, Canada

Non finiva mai.

Anawak sentiva gli occhi stringersi e arrossarsi, le palpebre gonfiarsi e tutt'intorno gli si erano formate rughette che non avrebbe dovuto avere, perché era troppo giovane. Era rimasto a fissare lo schermo finché la testa gli non era caduta sul tavolo. Dopo il delirio sulla costa occidentale, non aveva fatto altro che guardare video, senza peraltro riuscire ad assimilare che una minima parte del materiale. Erano registrazioni la cui esistenza era dovuta a una delle invenzioni più rivoluzionarie nella ricerca sul comportamento: la telemetria animale.

Alla fine degli anni '70, i ricercatori avevano sviluppato un metodo rivoluzionario per osservare gli animali. Fino ad allora, erano state possibili solo osservazioni imprecise sulla zona di diffusione e sulle migrazioni di alcune specie; di conseguenza, sulla vita di molti animali, sui loro sistemi di caccia, sulla riproduzione e sui bisogni di ogni singolo individuo era possibile solo fare speculazioni. Naturalmente c'erano migliaia di animali oggetto di costante osservazione, ma quasi sempre vivevano in cattività e non era possibile trarre conclusioni attendibili sul loro comportamento in natura. Un animale in cattività non faceva nulla di quello che avrebbe fatto se fosse stato in libertà, più o meno come un carcerato in cella non offriva dati significativi sulla vita che avrebbe condotto come uomo libero.

E anche se gli animali venivano studiati nel loro ambiente naturale, le conoscenze restavano insufficienti: o scappavano o non si facevano neppure vedere. Nei fatti, più un ricercatore osservava l'oggetto dei suoi studi, più quello si allontanava. Nel caso di specie meno timide — come gli scimpanzé o i delfini -, gli esemplari osservati regolavano il proprio comportamento sulla base dell'osservatore, reagivano aggressivamente o con curiosità, talvolta diventavano vanitosi e si mettevano in posa; in breve, impedivano ogni conoscenza oggettiva. Quando poi si stancavano, scomparivano nella boscaglia, volavano via o s'immergevano sotto la superficie dell'acqua, dove finalmente si comportavano in maniera conforme alla loro natura. Ma era impossibile seguirli.

Fin dai tempi di Darwin i biologi si erano posti domande cui non avevano saputo rispondere: come sopravvivono gli animali nelle fredde acque dell'Antartico? Come si può osservare un biotopo sotto una coltre di ghiaccio? Come si vede il mondo durante il volo sul Mediterraneo verso l'Africa se non si è su un aereo, bensì sulla schiena di un'oca selvatica? Che cosa capita a una singola ape nel giro di ventiquattr'ore? Come si ottengono dati sulla frequenza dei colpi d'ala, sul ritmo cardiaco, sulla pressione del sangue, sul comportamento alimentare, sulle prestazioni fisiologiche nell'immersione, sull'immagazzinamento dell'ossigeno e sulle conseguenze dell'influsso antropico, come il rumore delle navi o le esplosioni sottomarine, sui mammiferi marini?

Come raggiungere gli animali là dove nessun essere umano poteva seguirli?

La risposta era arrivata con una tecnologia grazie alla quale gli spedizionieri potevano determinare la posizione dei loro mezzi senza lasciare l'ufficio, e gli autisti riuscivano a trovare una strada in città sconosciute. Quella tecnologia era già comunemente acquisita senza che si sospettasse che di lì a poco avrebbe rivoluzionato la zoologia.

La telemetria.

Già alla fine degli anni '50, gli scienziati americani avevano elaborato progetti per dotare di sonde alcuni animali. La marina degli Stati Uniti aveva iniziato a lavorare coi delfini ammaestrati, tuttavia i primi tentativi erano falliti per le dimensioni delle trasmittenti, troppo pesanti. A che cosa serviva raccogliere informazioni con un cronotachigrafo sulla schiena di un delfino, se proprio quello strumento ne influenza il comportamento? Era stato un problema irresolubile finché la microelettronica non era andata incontro a una svolta: minuscoli cronotachigrafi e telecamere ultraleggere fornivano ogni informazione sulla vita degli animali, senza che questi ultimi ne fossero infastiditi. Essi vagavano per le foreste oppure s'immergevano sotto i lastroni di ghiaccio del McMurdo Sound portandosi appresso un oggetto high-tech di appena quindici grammi. Gli animali fornivano così informazioni sul loro stile di vita, sull'accoppiamento, sul modo di cacciare e sulle rotte di migrazione. Era possibile volare in mezzo mondo con uccelli di ogni specie. La tecnologia si era evoluta a tal punto che anche gli insetti erano stati dotati di microtrasmittenti che pesavano un millesimo di grammo, prendevano l'energia dalle onde radar e rimandavano onde a frequenza raddoppiata, in modo che i dati fossero ricevibili anche a oltre settecento metri di distanza.

La maggior parte delle misurazioni erano affidate alla telemetria satellitare, un sistema tanto semplice quanto geniale. I segnali dei trasmettitori degli animali venivano ricevuti da ARGOS, un sistema di satelliti dell'agenzia spaziale francese CNES, e poi rispediti alla centrale di controllo a Tolosa e verso Fairbanks, negli Stati Uniti, da dove, nel giro di meno di due ore, venivano diffusi a una serie d'istituti in tutto il mondo.

La ricerca su balene, foche, pinguini e tartarughe marine si era sviluppata come un settore specifico della telemetria, permettendo di osservare il più affascinante, perché quasi inesplorato, spazio vitale della Terra. Cronotachigrafi ultraleggeri immagazzinavano dati provenienti da notevoli profondità: registravano temperatura, profondità e durata delle immersioni, posizione, direzione e velocità. Ma il loro segnale non era in grado di passare attraverso l'acqua, così i satelliti ARGO erano condannati alla cecità rispetto agli abissi marini. Le megattere, che trascorrevano la maggior parte della loro vita lungo le coste della California, rimanevano in superficie al massimo un'ora al giorno. Quindi, mentre gli ornitologi potevano osservare le cicogne migratrici e ricevere dati in tempo reale, i ricercatori marini erano come tagliati fuori non appena le balene s'immergevano. Per poterle studiare davvero, avrebbero dovuto seguirle sul fondo del Pacifico con la telecamera, ma per un sommozzatore sarebbe stato impossibile e i sommergibili erano troppo lenti e poco manovrabili.

Ma gli scienziati dell'University of California di Santa Cruz erano infine riusciti a trovare la soluzione: una telecamera sottomarina del peso di pochi grammi e resistente alla pressione. Avevano fissato lo strumento a diversi cetacei. In breve, si erano scoperti alcuni fenomeni sorprendenti e, nel giro di poche settimane, le conoscenze sui mammiferi marini si erano considerevolmente ampliate. Sarebbe stato fantastico poter seguire balene e delfini con le sonde trasmittenti come si faceva con gli altri animali, ma purtroppo era difficile, se non impossibile. Ecco perché Anawak non poteva avere tutte le informazioni che avrebbe desiderato sull'ambiente delle balene. Nel contempo, però, le informazioni erano anche troppe: nessuno sapeva dire a che cosa bisognasse prestare particolare attenzione, quindi ogni informazione poteva essere importante. Migliaia di ore di filmati e registrazioni audio, misurazioni, analisi, statistiche.

«Progetto Sisifo», come lo chiamava John Ford.

Perlomeno Anawak non si poteva lamentare per la mancanza di tempo: la Davies Whaling Station era stata sollevata dalla responsabilità degli incidenti, ma era chiusa; solo le grandi navi percorrevano la zona costiera occidentale del Canada e del Nordamerica. Quello di Vancouver Island non era stato un incidente isolato; episodi simili erano avvenuti contemporaneamente da San Francisco fino all'Alaska. Nel corso della prima ondata di attacchi, oltre cento piccole navi e barche erano state affondate o gravemente danneggiate. Durante il fine settimana, il numero degli attacchi era drasticamente diminuito, ma solo perché nessuno osava uscire in mare se non su grandi traghetti o cargo. Continuavano a rincorrersi notizie contraddittorie e anche sul numero delle vittime c'erano informazioni poco affidabili. Diverse commissioni e unità di crisi internazionali avevano iniziato il loro lavoro, ma finora l'unica conseguenza era stata la presenza invasiva di velivoli. Ovunque lungo la costa crepitavano elicotteri, in cui stavano pigiati soldati, scienziati e politici che fissavano il mare con uno stato d'animo comune: la perplessità.

Seguendo la prassi di quegli staff, i dirigenti dei settori operativi del team governativo avevano coinvolto specialisti esterni. L'acquario di Vancouver, con Ford al vertice, fu adibito a centro per la raccolta dei dati rilevanti. Erano stati coinvolti praticamente tutti gli istituti e tutte le strutture di ricerca che si occupavano di vita marina. Per Ford era un peso opprimente, un compito di cui faticava a tracciare i contorni. Nel corso del tempo, erano stati elaborati scenari per ogni possibile avvenimento — dal terremoto del secolo all'attacco terroristico -, però non per un caso come quello. Ford non esitò a lungo e a sua volta propose come consulente Anawak, che, tra gli scienziati del Nordamerica e del Canada, meglio di tutti sapeva che cosa passava nella testa di una balena. Perché solo là poteva trovarsi la risposta: posto che le balene fossero animali intelligenti, si doveva pensare che fossero impazzite? E, in caso contrario, cos'era successo?

Ma neppure Anawak, in cui venivano riposte grandi speranze, conosceva la risposta. Aveva richiesto tutto il materiale telemetrico raccolto dall'inizio dell'anno sulla costa del Pacifico e, da ventiquattr'ore, lui e Alicia analizzavano le sequenze video, con l'aiuto dei collaboratori dell'acquario. Studiavano i dati relativi alle posizioni, ascoltavano i rumori registrati dagli idrofoni, ma senza arrivare a risultati utili. All'inizio della migrazione dalle Hawaii e dalla Bassa California fino all'Artico, nessuna delle balene portava strumenti telemetrici a parte due esemplari, i cui cronotachigrafi erano però caduti poco tempo dopo che essi avevano lasciato la California. Di fatto, le uniche conoscenze provenivano dal video della donna sul Blue Shark. L'avevano studiato più volte nella Davies Whaling Station insieme con gli altri skipper che sapevano riconoscere le pinne caudali delle balene. Dopo diverse proiezioni e ingrandimenti erano finalmente riusciti a riconoscere due megattere, una balena grigia e alcune orche.

Alicia aveva ragione. Il video era una traccia.

La rabbia di Anawak nei confronti della studentessa era svanita. Non stava mai zitta e parlava prima di pensare, ma, dietro i modi risoluti, c'era una mente brillante, con notevoli capacità analitiche. Inoltre Alicia aveva tempo. I suoi genitori vivevano nelle British Properties, il quartiere bene di Vancouver, avevano assicurato ad Alicia un'esistenza agiata, ma non si facevano mai vedere. Anawak si era convinto che cercassero di compensare l'eclatante mancanza d'interesse e di tempo per la figlia rifornendola di soldi, che peraltro sembravano non interessarle; tuttavia la mettevano in condizione di spendere senza problemi e di seguire la propria strada. In fondo, la situazione era perfetta: Alicia vedeva quell'insperata collaborazione come una possibilità di nutrire con la pratica i suoi studi di biologìa e Anawak, dopo la morte di Susan Stringer, aveva bisogno di un'assistente.

Susan…

Ogni volta che pensava alla skipper era preso dalla vergogna e dal senso di colpa per non essere riuscito a salvarla. Continuava a ripetersi che niente al mondo avrebbe potuto salvarla dopo che era stata afferrata dall'orca, ma era costantemente roso dal dubbio. Cosa sapeva davvero dei pensieri di un cetaceo, lui che aveva pubblicato saggi e trattati sull'autocoscienza delle focene? Come si convinceva un'orca a lasciare la sua vittima? Quali argomenti erano accessibili a una mente intelligente che funzionava diversamente da quella umana?

C'era davvero una possibilità?

Poi tornava a ripetersi che le orche erano animali. Molto intelligenti, certo, ma animali. E, per loro, una preda era una preda.

D'altra parte, gli esseri umani normalmente non rientravano tra le prede delle orche. Ma le orche avevano davvero mangiato i passeggeri finiti in acqua? O li avevano semplicemente uccisi?

Assassinati…

Si poteva accusare un'orca di omicidio?

Anawak sospirò. Girava a vuoto, gli occhi gli bruciavano sempre di più. Prese svogliatamente un altro CD, lo rigirò indeciso tra le mani e lo mise via. La sua concentrazione era esaurita. Aveva trascorso tutto il giorno all'acquario, aveva parlato ininterrottamente con diverse persone oppure telefonato senza riuscire a fare passi avanti. Si sentiva sfinito e vuoto. Spense il monitor e guardò l'orologio: le sette passate. Si alzò e andò a cercare John Ford. Il direttore era impegnato in una riunione, quindi cercò Alicia. La trovò seduta in una sala riunioni fuori uso, impegnata coi dati della telescrivente.

«Hai voglia di una bistecca di capodoglio?» chiese Anawak con un sorrisetto tirato.

Alicia sollevò la testa e ammiccò. Aveva sostituito gli occhiali blu con le lenti a contatto, che mantenevano comunque un sospetto colore blu. Se si riusciva a ignorare i denti da coniglio, non era brutta.

«Certo. Dove?»

«C'è un chiosco decente qui all'angolo.»

«Sciocchezze, un chiosco!» esclamò divertita. «T'invito io.»

«Non è necessario.»

«Da Cardero's.»

«Ah, santo cielo.»

«È un bel posto.»

«Lo so che è un bel posto. Ma, primo non mi devi invitare, e secondo trovo che il Cardero's sia… ma sì, come dire…»

«Io trovo che sia di classe.»

Il ristorante bar Cardero's si trovava nel mezzo del porto degli yacht, Coal Harbour. Era grande, arioso, col tetto alto e con ampie finestre. Un luogo alla moda. Si poteva godere di uno splendido panorama e di una cucina West Coast di notevole qualità. Nel bar limitrofo scorrevano generosamente drink che venivano trangugiati da giovani con abiti dal taglio perfetto. Anawak sapeva che i suoi jeans lisi e il pullover non sarebbero stati adatti… Inoltre nei locali alla moda lui si sentiva a disagio. Alicia invece era come… predestinata al Cardero's.

E Cardero's sia.

Andarono al porto con la vecchia Ford di Anawak ed ebbero fortuna. In genere, per trovare posto da Cardero's bisognava prenotare molto tempo prima, ma in un angolo c'era un tavolo libero, un po' in disparte, proprio come piaceva ad Anawak. Presero la specialità della casa: salmone con soia, zucchero e limone, grigliato su legno di cedro.

«Okay», disse Anawak non appena il cameriere si fu allontanato. «Che cosa abbiamo?»

«Per quanto mi riguarda, ho fame», esclamò Alicia. «Tutto il resto rimane un mistero.»

Anawak si massaggiò la fronte. «Forse ho trovato qualcosa. Mi ha aiutato il video di quella donna.»

«Il mio video.»

«Ma certo», borbottò Anawak con fare ironico. «Ti dobbiamo tutto.»

«Quantomeno mi dovete un'idea. Che cos'hai trovato?»

«Qualcosa da mettere in relazione coi cetacei non identificati. Mi sono accorto che all'attacco hanno partecipato solo le orche transienti. Nessuna delle stanziali.»

«Mmm…» Lei arricciò il naso. «È vero, in effetti le stanziali non hanno fatto niente di male.»

«Appunto. Nel Johnstone Strait non ci sono stati attacchi. E là c'erano dei kayak.»

«Allora il pericolo viene dagli animali migratori.»

«Dalle orche transienti e probabilmente da quelle offshore. Le megattere e la balena grigia identificate sono migratrici. Tutte e tre hanno trascorso l'inverno nella Bassa California, è documentato. Abbiamo mandato per e-mail le foto delle pinne caudali all'Istituto di biologia marina di Seattle, dove confermano che, negli ultimi anni, quegli animali sono stati avvistati là.»

Alicia lo guardò irritata. «Non è una novità che le megattere e le balene grigie migrino.»

«Non tutte.»

«Oh. Pensavo…»

«Quando Shoemaker, Greywolf e io siamo tornati in mare, è successa una cosa bizzarra. Me n'ero quasi dimenticato. Dovevamo portare a bordo i passeggeri della Lady Wexham. La nave stava affondando ed eravamo sotto l'attacco di un gruppo di balene grigie. Ero sicuro che non saremmo nemmeno riusciti a salvare la nostra pelle, figuriamoci quella di qualcun altro. Ma improvvisamente sono emerse vicino a noi due balene grigie e non ci hanno fatto niente. Sono rimaste semplicemente per un po' nell'acqua e le altre si sono ritirate.»

«Erano stanziali?»

«Per tutto l'anno, sulla costa occidentale c'è una dozzina di balene grigie. Sono troppo vecchie per sopportare la fatica delle migrazioni. Quando i branchi arrivano da sud, le vecchie vengono riaccolte con un rituale di saluto. Ho riconosciuto una di quelle stanziali e non era ostile nei nostri confronti. Al contrario, credo che le dobbiamo la vita.»

«Non ho parole! Vi hanno protetti!»

«Be', sono sorpreso…» Anawak sollevò le sopracciglia. «Una simile umanizzazione che esce dalle tue labbra?»

«Da tre giorni a questa parte, credo praticamente a tutto.»

«'Protetti' mi sembra esagerato, ma credo che abbiano tenuto lontano le altre. Non avevano simpatia per gli aggressori. Con una certa cautela, si potrebbe concludere che lo strano comportamento riguardi solo gli animali migratori. Gli stanziali — di qualsiasi specie — sono pacifici. Sembra quasi che si rendano conto che gli altri non ci stanno più con la testa.»

«Potrebbe essere…» disse Alicia, pensierosa, «Insomma, buona parte degli animali sparisce sulla strada dalla Bassa California a qui, in mare aperto. Le orche aggressive vivono appunto al largo, nel Pacifico.»

«Appunto. Bisognerebbe cercare il motivo del loro cambiamento proprio là, negli abissi del mare blu, al largo.»

«Cercare… Ma cosa?»

«Lo scopriremo», disse John Ford. Era comparso vicino a loro, tirò a sé una sedia e si accomodò. «E prima che quei tipi del governo mi facciano impazzire con le loro continue chiamate.»

«Mi sono accorta di un'altra cosa», disse Alicia durante il dessert. «Le orche si divertivano, ma le balene più grandi no.»

«Cosa te lo fa pensare?» chiese Anawak.

«Ma sì», esclamò lei, con la bocca piena di mousse al cioccolato. «Prova a immaginare di dover saltare contro qualcosa per capovolgerlo. O di lasciarti cadere su una cosa che ha spigoli e angoli. Non correresti il serio rischio di ferirti?»

«Hai ragione», disse John. «Gli animali potrebbero essersi feriti. E non c'è animale che si ferisca spontaneamente se non per il mantenimento della specie o la protezione della prole.» Si tolse gli occhiali e li pulì meticolosamente. «Vogliamo provare a buttar lì qualche teoria assurda? E se tutta la faccenda fosse stata una sorta di protesta?»

«Contro che cosa?»

«Contro la caccia alle balene.»

«Una protesta delle balene contro la caccia alle balene?» esclamò Alicia, incredula.

«In passato, ci sono stati attacchi ad alcune baleniere», disse Ford. «Specialmente se minacciavano i piccoli.»

Anawak scosse la testa. «Non ci credi neppure tu.»

«Era un'ipotesi.»

«Vuoi dire che non si rendono conto di essere cacciate?» chiese Alicia. «È una sciocchezza.»

Anawak alzò gli occhi al cielo. «Non riconoscono la sistematicità della caccia. I globicefali si spiaggiano sempre nelle stesse insenature. Alle isole Fær Øer, i pescatori ne spingono interi branchi e li colpiscono con efferata determinazione: un massacro in piena regola. Oppure guarda in Giappone, a Futo, dove si massacrano focene comuni e marsovini. Gli animali sanno da generazioni che cosa li aspetta: perché ritornano sempre lì?»

«Non è di certo segno di una particolare intelligenza», annuì John. «D'altra parte, per quanto si conoscano bene le conseguenza ogni anno si vaporizzano propellenti e si dibosca la foresta tropicale. Anche questo è il segno di un'intelligenza non particolarmente acuta, non credete?»

Alicia aggrottò la fronte e spazzolò gli ultimi resti della mousse.

«È vero», esclamò Anawak dopo un momento.

«Che cosa?»

«Alicia ha ragione, gli animali devono essersi feriti saltando contro le navi. Se ti venisse in mente di uccidere delle persone, che faresti? Ti piazzeresti tranquillo in un posto che ti permette una buona visuale, e poi faresti fuoco. Ma staresti bene attento a non spararti nei piedi.»

«A meno che tu non sia pazzo.»

«O ipnotizzato.»

«O malato. O confuso. Ecco, l'ho detto; quegli animali sono confusi.»

«Un lavaggio del cervello, forse?»

«Smettiamola di dire idiozie,»

Per un po' nessuno disse nulla. Erano tutti assorti nei loro pensieri, a dispetto del crescente frastuono all'interno del Cardero's. Dai tavoli vicini arrivavano stralci di conversazioni. Gli avvenimenti recenti dominavano la stampa e la vita pubblica. Qualcuno metteva in relazione quanto accaduto lungo la costa con le avarie nelle acque asiatiche. In Giappone e nello stretto di Malacca erano avvenuti in breve tempo i peggiori disastri navali dell'ultimo decennio. Ci s'intratteneva su questioni specialistiche e si scambiavano teorie, ma sembrava proprio che quei tragici avvenimenti non avessero tolto l'appetito agli avventori.

«E se dipendesse dai veleni?» chiese infine Anawak. «Dal PCB, da tutta quella porcheria. Che qualcosa faccia impazzire gli animali?»

«In ogni caso li fa infuriare», ironizzò John. «L'ho già detto, protestano. Perché gli islandesi chiedono un aumento delle quote di pesca, i giapponesi li incalzano e i norvegesi se ne infischiano della IWC, dell'International Whaling Commission. Perché anche i makah vogliono rimettersi a cacciarle. Ehi! È per questo!» Sorrise. «Devono averlo letto sui giornali.»

«Tenuto conto che sei il direttore del comitato scientifico, mi sembra che tu non abbia le idee molto chiare», disse Anawak. «Per non parlare della tua fama di scienziato serio.»

«Makah?» fece eco Alicia.

«Una tribù dei nuu-chah-nulth», spiegò John. «Indiani dell'ovest di Vancouver Island. Da anni stanno cercando di ottenere dai tribunali il diritto di riprendere la caccia alle balene.»

«Che cosa? Ma dove vivono? Sono pazzi?»

«Il Signore ti conservi il tuo sdegno da persona civile, ma l'ultima volta che i makah hanno cacciato balene è stato nel 1928», sbadigliò Anawak. Riusciva appena a tenere gli occhi aperti. «Non sono stati loro a portare al limite dell'estinzione le balene grigie, quelle azzurre e le megattere. Per i makah è una questione di salvaguardia della loro cultura; infatti sostengono che ormai nessuno di loro padroneggia più la caccia tradizionale alla balena.»

«E allora? Per mangiare carne di balena basta andare al supermercato.»

«Non interrompere le nobili perorazioni di Leon», la ammonì Ford, versandosi il vino.

Alicia fissò Anawak. Nei suoi occhi cambiò qualcosa.

Per favore, no, pensò lui.

Lui aveva l'aspetto di un indiano, ma Alicia avrebbe tratto le conclusioni sbagliate. Anawak poteva letteralmente sentire l'arrivo della domanda. Avrebbe dovuto spiegare e non c'era nulla che odiasse di più. Lo odiava e avrebbe voluto che Ford non avesse iniziato a parlare dei makah.

Scambiò una rapida occhiata col direttore.

Ford capì. «Ne parleremo un'altra volta», propose. E, prima che Alicia potesse aprire bocca, disse: «Dobbiamo parlare della teoria dell'avvelenamento con Sue Oliviera, Ray Fenwick o Rod Palm. Ma, per dirla senza peli sulla lingua, io non ci credo. L'inquinamento si forma col petrolio fuoriuscito e con lo scarico in mare d'idrocarburi clorurati e sai meglio di me a quali conseguenze porta: indebolimento del sistema immunitario, infezioni, morte prematura… Non alla pazzia.»

«Se non sbaglio, qualche scienziato ha sostenuto che le orche della costa occidentale sarebbero morte nel giro di trent'anni», intervenne Alicia.

Anawak annuì, cupo. «Dai trenta ai centoventi anni, se si va avanti così. Perdendo la loro fonte di nutrimento, i salmoni, se non scompaiono per il veleno, le orche migrano. Devono cercare il nutrimento in zone che non conoscono, s'impigliano nelle reti da pesca… tutto si somma.»

«Dimentica la teoria dell'avvelenamento», sbuffò Ford. «Se si trattasse solo di orche, potremmo parlarne. Ma orche e megattere che elaborano una strategia comune… Non lo so, Leon.»

Anawak rifletté. «Conoscete il mio modo di vedere», disse poi a bassa voce. «Sono ben lontano dall'attribuire intenzioni agli animali o dal sopravvalutare la loro intelligenza, ma… Non avete anche voi la sensazione che vogliano sbarazzarsi di noi?»

Lo guardarono. Si era aspettato di scontrarsi con energici dinieghi. Invece Alicia annuì. «Sì. Tranne le stanziali.»

«Tranne le stanziali», annuì Anawak. «Perché non sono state con le altre nel luogo in cui è successo qualcosa. Le balene che hanno affondato il rimorchiatore… Insomma, ve l'ho detto! La risposta è là, al largo.»

«Mio Dio, Leon.» Ford si appoggiò allo schienale e bevve un generoso sorso di vino. «In che film siamo finiti? Andate e combattete l'umanità?»

Anawak rimase in silenzio.

Il video della donna non portò altri risultati.

A tarda sera, Anawak si trovava nel letto nel suo piccolo appartamento di Vancouver, ma non riusciva a dormire. Fu allora che maturò l'idea di studiare una delle balene dal comportamento anomalo. Gli animali avevano assorbito qualcosa che li dominava. Forse, se fossero riusciti a dotarne uno di telecamera e trasmettitore, le risposte sarebbero arrivate.

La questione era come riuscirci con una megattera furiosa. Impresa difficile, considerando che anche quelle pacifiche non stavano mai ferme.

E poi c'era il problema della pelle…

Munire di trasmettitore una foca era ben diverso che attrezzare una balena. Una foca non era difficile da catturare. I cerotti biodegradabili con cui venivano fissati i trasmettitori rimanevano attaccati al pelo, si seccavano velocemente e, a un certo punto, si staccavano da soli. Grazie alla muta annuale, sparivano anche gli ultimi residui del cerotto.

Ma balene e delfini non avevano il pelo. Poche cose erano più lisce della pelle di orche e delfini: al tatto essa sembrava un uovo appena sgusciato ed era ricoperta da un sottile strato di gel, che serviva a ridurre la resistenza alle correnti e a tenere lontani i batteri. Lo strato superiore cambiava in continuazione. Lo staccavano gli enzimi e, coi salti, esso cadeva in brandelli lunghi e sottili, insieme con tutti gli inquilini indesiderati e coi trasmettitori. E la pelle delle balene grigie non offriva una presa migliore.

Senza accendere la luce, Anawak si alzò e si avvicinò alla finestra. L'appartamento si trovava in un vecchio condominio con vista su Granville Island e lui, di notte, poteva guardare le luci della città. Esaminò le diverse opzioni. Ovviamente erano possibili alcune astuzie. Gli scienziati americani assicuravano con ventose le trasmittenti e gli strumenti di misurazione. Le sonde venivano fissate agli animali che nuotavano nei pressi di un'imbarcazione o tra le onde di prua, con l'ausilio di lunghe aste. In genere era possibile avvicinarsi abbastanza per portare a termine l'operazione. Era pur sempre una strada. Tuttavia, anche il trasmettitore con la ventosa riusciva a reggere alle correnti solo per qualche ora. Altri attaccavano gli strumenti sulla pinna dorsale. Ma in quei giorni il vero problema era come avvicinarsi a una balena senza essere immediatamente attaccati.

Si potevano stordire gli animali…

Ma era troppo complicato. Inoltre i cronotachigrafi non sarebbero bastati, c'era bisogno di telecamere. Telemetria satellitare e immagini video.

Improvvisamente gli venne un'idea.

C'era un metodo. Richiedeva un buon tiratore. Le balene erano bersagli grandi, tuttavia era consigliabile qualcuno che sapesse sparare bene.

Di colpo, Anawak divenne frenetico. Corse alla scrivania, si collegò a Internet e visitò alcuni siti. Poi frugò in un cassetto, finché non trovò l'indirizzo web dell'Underwater Robotics Application Laboratoy Team di Tokyo.

Ormai sapeva come fare.

Bisognava percorrere le due strade. L'unità di crisi avrebbe dovuto sborsare una gran quantità di denaro, ma nessuno avrebbe battuto ciglio perché quel tentativo poteva servire alla spiegazione del problema.

I suoi pensieri vorticavano.

Era quasi mattina quando finalmente si addormentò. Il suo ultimo pensiero riguardò la Barrier Queen e Roberts. Anche quello era un problema. Il manager non l'aveva richiamato, benché Anawak avesse cercato più volte di sapere qualcosa. Sperava che la Inglewood avesse almeno mandato i campioni a Nanaimo.

E che ne era del rapporto?

Non gli piaceva essere tenuto all'oscuro.

Come poteva fare tutto il giorno dopo?

Mi devo alzare per scrivere degli appunti, pensò. Come prima cosa… Nello stesso istante si addormentò, esausto.