"Un cantico per Leibowitz" - читать интересную книгу автора (Miller Walter M.)

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— … e poi, Padre, ho quasi preso il pane e il cacio.

— Ma non li hai presi?

— No.

— Allora non è stato un peccato.

— Ma li desideravo tanto, potevo sentirne il sapore.

— Deliberatamente? Ti sei compiaciuto deliberatamente di quella fantasia?

— No.

— Tu hai cercato di allontanarla.

— Sì.

— Quindi non hai peccato di gola con il pensiero. Perché stai confessando questo?

— Perché allora ho perduto la calma e l'ho spruzzato con l'acqua santa.

— Cosa? Perché?

Padre Cheroki, con la stola sulla spalla, fissò il penitente che era inginocchiato davanti a lui nella bruciante luce solare del deserto; il prete continuava a chiedersi come fosse possibile che quel giovane (non particolarmente intelligente, a quanto poteva stabilire) riuscisse a trovare occasioni o quasi-occasioni di peccato mentre era completamente isolato nel deserto spoglio, lontano da ogni distrazione e da ogni palese fonte di tentazione. C'erano ben pochi peccati che un giovane poteva commettere in quel luogo, armato come era soltanto di un rosario, di una pietra focaia, di un temperino e di un libro di preghiere. Così pareva a Padre Cheroki. Ma questa confessione stava richiedendo molto tempo; si augurò che il ragazzo si sbrigasse. L'artrite aveva ripreso a tormentarlo, ma per la presenza del Santissimo Sacramento sulla tavola portatile che portava con sé nelle sue ronde, il prete preferiva rimanere in piedi, o inginocchiarsi insieme al penitente. Aveva acceso una candela davanti alla piccola pisside dorata che conteneva le Ostie, ma la fiamma era invisibile nel bagliore del sole, e forse la brezza poteva averla già spenta.

— Ma l'esorcismo è permesso in questi tempi, anche senza nessuna specifica autorizzazione superiore. Cosa stai confessando… di esserti adirato?

— Anche.

— E con chi ti sei adirato? Con il vecchio… o con te stesso perché avevi quasi accettato il cibo?

— Io… non ne sono sicuro.

— Bene, deciditi — disse impaziente Padre Cheroki. — O accusi te stesso o non ti accusi.

— Mi accuso.

— Di che? — sospirò Cheroki.

— Di aver abusato di un sacramento in un accesso di collera.

— "Abusato?" Non avevi una ragione logica per sospettare una influenza diabolica? Ti sei limitato ad adirarti e ad aspergerlo? Come se gli avessi buttato l'inchiostro negli occhi?

Il novizio si agitò ed esitò, comprendendo il sarcasmo del prete. La confessione era sempre difficile, per frate Francis. Non riusciva mai a trovare le parole adatte per i suoi misfatti, e quando cercava di ricordare i suoi moventi, si confondeva irrimediabilmente. Il prete, dal canto suo, non lo aiutava, partendo dal punto di vista "l'hai-fatto-o-non-l'hai-fatto"… anche se, ovviamente, Francis aveva fatto una cosa o non l'aveva fatta.

— Credo di aver perduto il senno per un momento — disse alla fine.

Cheroki aprì la bocca, come se intendesse discutere la faccenda, poi cambiò idea. — Capisco. E poi?

— Pensieri di ghiottoneria — disse Francis dopo un attimo.

Il prete sospirò. — Credevo che avessimo finito, con questo. O è stata un'altra volta?

— Ieri. C'era quella lucertola, Padre. Era a strisce azzurre e gialle, e delle cosce magnifiche… grosse come il vostro pollice, e grasse, e io continuavo a pensare che avrebbe avuto lo stesso sapore del pollo, arrostita, tutta bruna e croccante di fuori e …

— Benissimo — l'interruppe il prete. Soltanto una sfumatura di repulsione alterò il suo vecchio viso. Dopotutto, quel ragazzo passava molto tempo al sole. — Hai preso piacere da questi pensieri? Non hai cercato di allontanare la tentazione?

Francis arrossì. — Io… io ho cercato di prendere la lucertola. È scappata.

— Dunque non è stato soltanto un pensiero… c'è stata anche l'azione. Quella volta soltanto?

— Ecco… sì, solo quella volta.

— Benissimo, pensiero e azione, con intenzione deliberata di mangiare carne durante la Quaresima. Ti prego di essere più specifico che puoi, dopo questo. Pensavo che avessi fatto un adeguato esame di coscienza. C'è altro?

— Oh, molte cose.

Il prete rabbrividì. Doveva visitare parecchi eremitaggi, era un cammino lungo e afoso, e le ginocchia gli dolevano. — Ti prego di sbrigartela più presto che puoi.

— Impurità, una volta.

— Pensieri, parole o fatto?

— Ecco, c'era quella succuba e lei…

— Succuba? Oh… di notte. Dormivi?

— Sì, ma…

— Allora perché lo confessi?

— A causa di… dopo

— Dopo che cosa? Quando ti sei svegliato?

— Sì. Ho continuato a pensare a lei. Ho continuato a immaginarmi tutto di nuovo.

— Bene, pensiero concupiscente, deliberatamente intrattenuto. Sei pentito? E poi?

Queste erano le solite cose che continuava ad udire, interminabilmente, da un postulante dopo l'altro, da un novizio dopo l'altro, e a Padre Cheroki sembrava che il meno che frate Francis potesse fare era di abbaiare le sue autoaccuse un, due, tre, in modo del tutto ordinato, senza bisogno di essere pungolato e sospinto perché gliele dicesse. Frate Francis sembrava trovare difficoltà nel formulare tutto ciò che stava per dire; il prete attendeva.

— Io credo che la vocazione sia venuta a me, Padre, ma… — Francis si inumidì le labbra screpolate e fissò un insetto su una pietra.

— Oh, davvero? — La voce di Cheroki era incolore.

— Sì, io credo… ma sarebbe un peccato, Padre, se quando l'ho visto per la prima volta, ho pensato con ironia a quella scrittura? Voglio dire…

Cheroki batté le palpebre. Scrittura? Vocazione? Che domanda era quella… Studiò l'espressione seria del novizio per pochi secondi, poi corrugò la fronte.

— Tu e frate Alfred vi siete scambiati dei biglietti? — chiese in tono minaccioso.

— Oh, no, Padre!

— E allora di che scrittura stai parlando?

— Di quella del Beato Leibowitz.

Cheroki fece una pausa per riflettere. Esisteva o non esisteva, nella collezione di documenti antichi dell'Abate, un manoscritto originale del fondatore dell'Ordine?… una copia originale? Dopo un attimo di riflessione, decise affermativamente: sì, ne erano rimasti alcuni frammenti, accuratamente custoditi sottochiave.

— Stai parlando di qualcosa che è accaduto all'abbazia? Prima che venissi qui?

— No, Padre. È accaduto là… — E accennò verso sinistra. — Sul terzo monticello, vicino al cactus più alto.

— Qualcosa che riguardava la tua vocazione, dici?

— S-sì, ma…

— Naturalmente - disse Cheroki con voce tagliente. — Non vorrai farmi credere di aver ricevuto… dal Beato Leibowitz, morto ormai da seicento anni… un invito scritto a professare i voti solenni? E che tu… ehm… hai deplorato la sua calligrafia? Perdonami, ma è l'impressione che ne ho avuto io.

— Ecco, è qualcosa del genere, Padre.

Cheroki farfugliò qualcosa. Allarmato, frate Francis si tolse dalla manica un pezzo di carta e lo porse al prete. Era macchiata, resa fragile dal tempo. L'inchiostro era sbiadito. — Un etto pasticcini - pronunciò Padre Cheroki, sbagliando qualcuna delle parole poco familiari — scatola crauti… portare a casa per Emma. - Guardò fisso frate Francis per parecchi secondi. — E questo chi l'avrebbe scritto?

Francis glielo disse.

Cheroki rifletté. — Non è possibile che tu faccia una buona confessione finché sei in queste condizioni. E non sarebbe giusto che io ti assolvessi, quando non sei del tutto lucido. — Quando vide Francis rabbrividire, il prete gli posò una mano sulla spalla, per rassicurarlo. — Non preoccuparti figliolo, ne parleremo quando ti sentirai meglio. Allora ascolterò la tua confessione. Per il momento… — E lanciò uno sguardo nervoso alla pisside che conteneva l'Eucarestia. — Per il momento voglio che tu raccolga le tue cose e ritorni immediatamente all'abbazia.

— Ma, Padre, io…

— Io ti ordino — disse il prete con voce incolore — di ritornare immediatamente all'abbazia.

— S-sì, Padre.

— Ora, non ti assolverò, ma tu potresti fare un buon atto di contrizione e offrire due decine del rosario come penitenza, in ogni caso. Vuoi la mia benedizione?

Il novizio annuì, ricacciando le lacrime. Il prete lo benedisse, si alzò, si genuflesse davanti al Sacramento, riprese la pisside dorata e la riattaccò alla catena che portava al collo. Rimise in tasca la candela, ripiegò la tavola e l'assicurò al suo posto dietro la sella, poi rivolse a Francis un ultimo cenno solenne, salì in groppa alla cavalla e si allontanò per completare la sua visita agli eremitaggi quaresimali. Francis sedette sulla sabbia rovente e pianse.

Sarebbe stato semplice se avesse potuto condurre il prete nella cripta per mostrargli l'antica stanza, se gli avesse mostrato la cassetta e il suo contenuto e il segno che il pellegrino aveva tracciato sulla pietra. Ma il prete portava l'Eucarestia, e non si sarebbe lasciato convincere a scendere in una cantina piena di sassi camminando sulle mani e sulle ginocchia, o a frugare nel contenuto della vecchia cassetta e ad addentrarsi in discussioni archeologiche.

La visita di Cheroki era necessariamente solenne, fino a che la pisside conteneva anche una sola Ostia; tuttavia quando la pisside fosse stata vuota, avrebbe potuto ascoltarlo, in via ufficiosa. Il novizio non poteva biasimare Padre Cheroki se aveva creduto che lui fosse uscito di senno. Era veramente un po' stordito dal sole, e aveva balbettato molto. Più di un novizio era ritornato sconvolto da una vigilia di vocazione.

Non c'era altro da fare che obbedire all'ordine di ritornare.

Si diresse verso il rifugio e vi lanciò ancora uno sguardo, per assicurarsi che c'era veramente; poi andò a prendere la cassetta. Quando l'ebbe richiusa e fu pronto per andarsene, il vortice di polvere apparve verso sud-est, annunciando l'arrivo del rifornimento d'acqua e di grano dall'abbazia. Frate Francis decise di aspettare il suo rifornimento prima di avviarsi per il lungo viaggio di ritorno.

Tre asinelli e un monaco comparvero, in testa alla scia di polvere. Il primo asinelio vacillava sotto il peso di frate Fingo. Nonostante il cappuccio, Francis riconobbe l'aiutante del cuoco dalle spalle aggobbate e dalle lunghe caviglie pelose che penzolavano dai fianchi del ciuchino, così che i sandali di frate Fingo quasi sfioravano il suolo. Gli animali che lo seguivano erano carichi di piccole bisacce di grano e di otri d'acqua.

— Suuuuuuu, porco-porco-porco! Suuu porco! — chiamò Fingo, portandosi le mani alla bocca e lanciando il grido attraverso le rovine, come se non avesse veduto Francis che lo aspettava accanto alla pista. — Porco-porco-porco!… Oh, sei là, Francisco! Ti avevo scambiato per un mucchio d'ossa. Bene dobbiamo ingrassarti per i lupi. Ecco qua, serviti per i banchetti domenicali. Come va l'eremitaggio? Credi di fartene una carriera? Solo un otre d'acqua, ti dispiace? e un sacchetto di grano. E sta' attento alle zampe posteriori di Malicia: è in calore e ha voglia di scherzare… ha dato un calcio ad Alfred, laggiù… pam! proprio sul ginocchio. Stai attento! — Frate Fingo si spinse indietro il cappuccio e ridacchiò mentre il novizio e Malicia si mettevano in posizione. Fingo era senza dubbio l'uomo più brutto del mondo e quando rideva il vasto spiegamento di gengive rosee e di grossi denti di vario colore aggiungeva ben poco al suo fascino; era un anormale, ma difficilmente un anormale poteva essere definito mostruoso; era una caratteristica ereditaria piuttosto comune nel paese del Minnesota da cui proveniva; produceva calvizie e una distribuzione molto ineguale di melanina, così che la pelle del monaco era un mosaico di macchie color fegato e cioccolata su uno sfondo albino. Tuttavia, il suo perpetuo buonumore compensava il suo aspetto, tanto che la gente non lo notava più, dopo pochi minuti; e dopo una lunga consuetudine, le caratteristiche di frate Fingo sembravano normali quanto quelle di un pony pezzato. Ciò che sarebbe sembrato orribile in un individuo imbronciato, diventava quasi decorativo, come il trucco di un pagliaccio, se era accompagnato da un esuberante buonumore. L'assegnazione di Fingo alla cucina era una punizione, probabilmente temporanea. Era uno scultore di legno e di solito lavorava nella carpenteria. Ma qualche episodio di presunzione, a proposito di una figura del Beato Leibowitz che aveva avuto il permesso di scolpire, aveva indotto l'abate a trasferirlo in cucina fino a che non mostrasse di far pratica di umiltà. Nel frattempo, la statua del Beato aspettava nella carpenteria, scolpita a metà.

Il sogghigno di Fingo cominciò a svanire mentre studiava l'espressione di Francis che scaricava il grano e l'acqua dalla capricciosa somarella.

— Mi sembri una pecora ammalata, ragazzo — disse al penitente.

— Cosa succede? Padre Cheroki ha ancora una delle sue crisi di rabbia lenta?

Frate Francis scosse il capo. — No, che io sappia.

— E allora cosa c'è? Sei veramente ammalato?

— Mi ha ordinato di ritornare all'abbazia.

— Co-o-o-sa? — Fingo fece ruotare una caviglia pelosa al di sopra dell'asino e piombò al suolo da un'altezza di pochi centimetri. Torreggiò su frate Francis, gli batté sulla spalla una mano carnosa, e lo guardò in faccia. — Cos'è, itterizia?

— No. Crede che io sia… — Francis si batté un dito sulla tempia e scrollò le spalle.

Fingo rise. — Bene, è vero, ma lo sappiamo tutti. Perché ti rimanda indietro?

Francis gettò uno sguardo sulla cassetta, vicino ai suoi piedi. — Ho trovato alcune cose appartenenti al Beato Leibowitz. Ho cominciato a dirglielo, ma non mi ha creduto. Non ha lasciato che gli spiegassi. Ha…

— Hai trovato che cosa? — Fingo sorrise incredulo, poi cadde in ginocchio e aprì la cassetta mentre il novizio osservava nervoso. Il monaco rimestò con un dito i cilindri baffuti negli scomparti e zufolò sommessamente. — Incantesimi dei pagani delle colline, no? È roba antica, Francisco, veramente antica. — Guardò il biglietto sul coperchio.

— Cosa sono quelle sciocchezze? — chiese, guardando lo sconsolato novizio attraverso gli occhi socchiusi.

— Inglese prediluviale.

— Non l'ho mai studiato, tranne quello che cantiamo in coro.

— È stato scritto dal Beato in persona.

— Questo? - frate Fingo levò lo sguardo dal biglietto a frate Francis e poi tornò a posarlo sul foglio. Scosse improvvisamente il capo, richiuse la cassetta e si alzò. Il suo ghigno diventò artificiale. — Forse il Padre ha ragione. Farai meglio a ritornare indietro e a farti preparare dal frate farmacista qualcuna delle sue specialità a base di funghi. Hai la febbre, fratello.

Francis alzò le spalle. — Forse.

— Dove hai trovato questa roba?

Il novizio glielo indicò. — Da quella parte, dopo qualche monticello. Ho smosso qualche pietra. C'è stata una frana, e ho trovato un sotterraneo. Vai a vedere tu stesso.

Fingo scosse il capo. — Mi aspetta un bel po' di strada.

Francis raccolse la cassetta e si avviò verso l'abbazia mentre Fingo ritornava ai suoi asinelli, ma dopo pochi passi il novizio si fermò e lo chiamò.

— Frate Macchie… puoi perdere due minuti?

— Forse — rispose Fingo. — Perché?

— Allora vai là e guarda nella buca.

— Perché?

— Così potrai dire a Padre Cheroki che c'è davvero.

Fingo si fermò, con una gamba già a cavalcioni del somaro. — Ah! — E ritirò la gamba. — Benissimo. E se non c'è, lo dirò a te!

Francis osservò per un momento, mentre Fingo si allontanava a grandi passi, scomparendo fra i monticelli; poi si voltò per percorrere, a passi strascicati, la lunga pista polverosa verso l'abbazia, mangiucchiando a intermittenza un po' di grano e bevendo qualche sorso dall'otre. Ogni tanto si voltava a guardare indietro. Fingo era scomparso da più di due minuti. Frate Francis aveva smesso di aspettarne la ricomparsa quando udì un grido lontano levarsi dalle rovine, dietro di lui. Si voltò. Riuscì a distinguere la figura dello scultore ritta su uno dei monticelli. Fingo agitava le braccia e annuiva vigorosamente con il capo in segno affermativo. Francis agitò le braccia a sua volta, poi proseguì fiaccamente il suo cammino.

Due settimane di inedia quasi totale avevano preteso il loro tributo. Dopo due o tre miglia cominciò a barcollare. Quando distava ancora un miglio dall'abbazia, svenne accanto alla strada. Era pomeriggio inoltrato quando Cheroki, di ritorno dalle sue visite, lo vide lì disteso, smontò in fretta e bagnò il viso del giovane fino a che lo fece gradualmente rinvenire. Cheroki aveva incontrato gli asinelli del rifornimento durante il cammino di ritorno, e si era fermato ad ascoltare il racconto di Fingo, che confermava la scoperta di frate Francis. Sebbene non fosse disposto a credere che Francis avesse scoperto qualcosa di veramente importante, il prete si pentì della sua impazienza di poco prima nei confronti del giovane. Quando ebbe notato la cassetta che giaceva, lì accanto, con il suo contenuto parzialmente sparso al suolo, e quando ebbe lanciato un breve sguardo al foglietto incollato al coperchio, mentre Francis sedeva, stordito e confuso, sul ciglio della pista, Cheroki cominciò a considerare i balbettamenti del ragazzo come il risultato di una immaginazione romantica piuttosto che del delirio o della pazzia. Non aveva visitato la cripta e non aveva esaminato attentamente il contenuto della cassetta, ma era evidente, per lo meno, che il ragazzo aveva interpretato erroneamente alcuni eventi reali, invece di confessare delle allucinazioni.

— Puoi finire la tua confessione non appena saremo arrivati — disse sottovoce al novizio, aiutandolo a salire dietro la sella della giumenta. — Credo di poterti assolvere se non insisti nell'affermare d'aver ricevuto messaggi personali dai santi. Eh?

Per il momento, frate Francis era troppo debole per insistere in qualsiasi cosa.