"Un cantico per Leibowitz" - читать интересную книгу автора (Miller Walter M.)4— Avete fatto bene — brontolò alla fine l'abate. Aveva camminato lentamente avanti e indietro nel suo studio per circa cinque minuti; la sua larga faccia da contadino aveva un serrato cipiglio muscolare, mentre Padre Cheroki se ne stava seduto nervosamente sull'orlo della sedia. L'abate non aveva pronunciato parola da quando Cheroki era entrato nella stanza, in risposta al suo invito; Cheroki sussultò lievemente quando l'Abate Arkos brontolò finalmente quelle parole. — Avete fatto bene — disse ancora l'abate, fermandosi in mezzo alla stanza e guardando a occhi socchiusi il priore, che finalmente cominciò a rilassarsi. Era quasi mezzanotte e Arkos era stato sul punto di ritirarsi per dormire un paio d'ore prima del Mattutino e delle Laudi. Ancora umido e spettinato dopo una recente immersione nel barile che costituiva la sua vasca da bagno, a Cheroki sembrava un orso mannaro solo parzialmente trasformato in uomo. Indossava una veste di pelli di coyote, e l'unico segno del suo ufficio era la croce pettorale che riposava sul suo petto tra il pelo nero e lampeggiava, alla luce delle candele, ogni volta che l'abate si voltava verso la scrivania. I capelli umidi gli spiovevano sulla fronte; con la corta barbetta appuntita e le pelli di coyote sembrava, in quel momento, non tanto un prete quanto un comandante militare, pieno di repressa furia di battaglia dopo un recente combattimento. Padre Cheroki, che veniva da una schiatta baronale di Denver, aveva la tendenza a reagire formalmente alle facoltà ufficiali dell'altro, a parlare con cortesia davanti al simbolo del potere, senza permettersi di vedere l'uomo che lo portava, seguendo in questo le usanze di Corte in auge in molte epoche. Così, Padre Cheroki aveva sempre mantenuto rapporti formalmente cordiali con l'anello e la croce pettorale, con l'ufficio del suo abate, ma si permetteva di vedere il meno possibile di Arkos in quanto uomo. Questo era piuttosto difficile nelle circostanze attuali, poiché il Reverendo Padre Abate era uscito di fresco dal bagno e zampettava nello studio a piedi nudi. A quanto pareva, si era appena tagliato un callo, e aveva inciso troppo profondamente: uno degli alluci sanguinava. Cheroki cercava di non notarlo, ma si sentiva molto imbarazzato. — Sapete di che cosa sto parlando? — grugnì impaziente Arkos. Cheroki esitò. — Vi dispiacerebbe, Padre Abate, essere più specifico… nel caso che sia connesso con qualcosa che io posso avere udito soltanto in confessione? — Ah? Oh! Bene, sono veramente sconvolto! Voi avete udito la sua confessione, l'avevo dimenticato. Bene, inducetelo a raccontarvi tutto di nuovo, in modo che possiate parlare… sebbene, lo sa il Cielo, ormai la voce si sia sparsa in tutta l'abbazia. No, non andate subito da lui. Parlerò con voi, e voi non rispondete se tocco un argomento coperto dal segreto della confessione. Avete visto quella roba? — L'Abate Arkos fece un cenno in direzione della scrivania su cui il contenuto della cassetta di frate Francis era stato rovesciato per essere esaminato. Cheroki annuì, lentamente. — L'aveva lasciata cadere vicino alla strada, quando è svenuto. Io l'ho aiutato a raccogliere tutto, ma non l'ho guardata con molta attenzione. — Bene, sapete che cosa pretende che sia? Padre Cheroki distolse lo sguardo e mostrò di non aver udito la domanda. — Sta bene, sta bene — grugnì l'abate. — Non importa che cosa Cheroki andò a curvarsi sulla scrivania ed esaminò con cura le carte, una alla volta, mentre l'abate camminava avanti e indietro e continuava a parlare, apparentemente al prete ma in realtà quasi a se stesso. — È impossibile! Voi avete fatto bene a rimandarlo qui prima che scoprisse altra roba. Ma naturalmente questo non è il peggio. Il peggio è il vecchio di cui va blaterando. È grave. Non c'è niente che potrebbe danneggiare la causa più di un fiume di improbabili "miracoli". Qualche vera coincidenza, certamente! Si deve stabilire che l'intercessione del Beato ha prodotto fatti miracolosi… prima che sia possibile la canonizzazione. Ma questo può essere troppo! Pensate al Beato Chang, beatificato due secoli fa, e mai canonizzato… fino ad ora. E perché? Il suo Ordine divenne troppo impaziente, ecco perché. Ogni volta che qualcuno guariva da una tosse, era un intervento miracoloso del Beato. Visioni in cantina, evocazioni sul campanile: sembrava più una raccolta di storie di fantasmi che un elenco di casi miracolosi. Forse due o tre casi erano veramente validi, ma quando c'è troppa paglia… ebbene? Padre Cheroki alzò la testa. Le nocche delle sue mani erano divenute bianche per la pressione esercitata sull'orlo della scrivania, e il suo viso sembrava teso. Pareva non avesse ascoltato. — Scusatemi, Padre Abate. — Ebbene, la stessa cosa può capitare qui, ecco — disse l'abate, e ricominciò a camminare lentamente avanti e indietro. — L'anno scorso c'è stato frate Noyon e il suo miracoloso cappio del carnefice. Ah! E l'anno prima, frate Smirnov fu misteriosamente guarito della gotta… come? toccando una probabile reliquia del nostro Beato Leibowitz, dicevano quei giovani zotici. E adesso Francis incontra un pellegrino… che indossa Arkos tolse un pezzo di pergamena dalla tasca della veste di pelliccia e lo tenne alto davanti al viso di Cheroki nella luce della candela. Poi continuò, con poco successo, il tentativo di imitare frate Francis: — "Non sono riuscito a capire cosa significasse voi lo sapete?" Cheroki fissò i simboli e scosse il capo. — Non lo chiedevo a — E adesso lo sapete? — Adesso lo so. Qualcuno è andato a controllare. Questa è una — — No. Da destra a sinistra. — Leibo… Oh, no! — Oh, sì! Frate Francis non ci ha pensato. Ci ha pensato qualcun altro. Frate Francis non ha pensato al cappuccio di tela da sacco e alla corda del carnefice; ci ha pensato uno dei suoi confratelli. Così, cosa succede? Prima di notte, l'intero noviziato stava già ronzando per la dolce favoletta che Francis ha incontrato là fuori lo stesso Beato, e il Beato ha accompagnato il nostro ragazzo fino al punto in cui era questa roba e gli ha detto che avrebbe trovato la vocazione. Un cipiglio di perplessità contrasse per un attimo il viso di Cheroki. — Frate Francis ha detto questo? — Noo! — ruggì Arkos. — Non avete ascoltato? Francis non ha detto una cosa simile. Vorrei che l'avesse fatto, per la miseria; allora l'avrei colto in fallo, il birbante! Ma — Credo che farei meglio a parlare a frate Francis — mormorò Cheroki. — Fatelo! Quando siete entrato, non sapevate ancora se dovevo arrostirvi vivo o no. Per averlo fatto ritornare, voglio dire. Se l'aveste lasciato fuori nel deserto, non ci troveremmo alle prese con questa fantastica tiritera. Ma, d'altra parte, se fosse rimasto là fuori, non si può sapere che altro avrebbe tirato fuori da quel sotterraneo. Io credo che abbiate fatto bene a mandarlo qui. Cheroki, che aveva preso la decisione su basi molto diverse, giudicò che la politica più appropriata fosse il silenzio. — Parlategli — ringhiò l'abate. — Poi mandatelo da me. Erano circa le nove di un luminoso lunedì mattina quando frate Francis bussò timidamente alla porta dello studio dell'abate. Una buona notte di sonno sul duro pagliericcio, nella sua vecchia, solita cella, più un'insolita colazione non avevano forse fatto prodigi per i suoi tessuti esausti e non avevano spezzato via completamente il riverbero del sole dal suo cervello, ma quei lussi relativi lo avevano per lo meno restituito a una chiarezza di mente sufficiente a consentirgli di intuire che aveva motivo di essere spaventato. Infatti era terrorizzato, così che il suo primo tocco alla porta dell'abate non si udì affatto. Neppure Francis poté udirlo. Dopo parecchi minuti, riuscì a raccogliere il coraggio necessario per bussare ancora. — — — Entra, figliolo entra! — chiamò una voce affabile che Francis, dopo qualche secondo di perplessità, riconobbe, sbalordito, per quella del suo abate. — Gira la maniglia, figlio mio — disse la stessa voce amichevole dopo che frate Francis si era fermato irrigidito per parecchi secondi, con le nocche ancora nella posizione di bussare. — S-s-sì… — Francis toccò appena la maniglia, ma parve che quella maledetta porta si aprisse comunque; aveva sperato che sarebbe rimasta saldamente bloccata. — Monsignore l'Abate ha m-m-m-andato a chiamare… me? — squittì il novizio. L'abate Arkos sporse le labbra e annuì lentamente. — Uhm-sì, l'Abate ha mandato a chiamare… Frate Francis chiuse la porta e rimase ritto, rabbrividendo, nel centro della stanza. L'abate giocherellava con qualcuno degli oggetti dai baffi di filo metallico tolti dall'antica cassetta. — O forse sarebbe stato più conveniente — disse l'Abate Arkos — se il Reverendo Padre Abate fosse stato chiamato — Eh? Eh? — Frate Francis rise con aria interrogativa. — Oh, n-n-no, Monsignore. — Non contesti di aver acquisito fama molto rapidamente? Di essere stato eletto dalla Provvidenza per scoprire questo… — E indicò con un gesto le reliquie sparse sulla scrivania — … questa cassetta di cianfrusaglie come il suo precedente proprietario la chiamava giustamente? Il novizio balbettò, impotente, e in qualche modo riuscì ad esibire una specie di sogghigno. — Tu hai diciassette anni e sei evidentemente un idiota, non è così? — Questo è indubbiamente vero, Monsignore Abate. — Che scusa adduci per crederti chiamato alla Religione? — Nessuna scusa, — Ah? È così? Allora senti di non avere vocazione per l'Ordine? — Oh, io l'ho! — ansimò il novizio. — Ma non adduci alcuna giustificazione? — Nessuna. — Piccolo cretino, ti sto chiedendo quali ragioni hai. Poiché dichiari di non averne, ne deduco che sei pronto a negare di aver incontrato qualcuno nel deserto, l'altro giorno, che sei inciampato in questa cassetta di cianfrusaglie senza alcun aiuto, e che ciò che io ho udito dagli altri è soltanto… un delirio febbrile? — Oh, no, Don Arkos! — Oh, no che cosa? — Non posso negare ciò che ho visto con i miei occhi, Reverendo Padre. — Quindi, tu — Non ho mai detto che era… — E questa è la giustificazione per credere di avere una sincera vocazione, non è così? Questa… questa… dobbiamo chiamarla una "creatura"?… ti ha augurato di trovare una voce, e ha segnato una pietra con le sue iniziali, e ti ha detto che era ciò che cercavi, e quando tu hai guardato sotto la pietra… c'era questo. Eh? — Sì, Don Arkos. — Cosa ne pensi della tua esecrabile vanità? — La mia esecrabile vanità è imperdonabile, mio Signore e Maestro. — Immaginarti tanto importante da essere — Monsignore, io sono veramente un verme. — Benissimo, è solo necessario che tu neghi la parte relativa al pellegrino. Nessun altro ha visto quella persona, sai. Mi pare di aver capito che avrebbe dovuto venire in questa direzione. Ha detto persino che si sarebbe fermato qui. E si è informato sull'abbazia. Sì? E dove sarebbe sparito, se mai è esistito? Nessuna persona di quel genere è passata di qui. Il fratello che era di turno alla torre di guardia non l'ha visto. Eh? Adesso sei disposto ad ammettere che te lo sei immaginato? — Se non vi fossero veramente quei due segni sulla pietra dove lui… allora forse potrei… L'abate chiuse gli occhi e sospirò, stancamente. — I segni ci sono… molto deboli — ammise. — Avresti potuto farli tu. — No, Monsignore. — Ammetti di avere immaginato quella vecchia creatura? — No, Monsignore. — Benissimo, sai cosa ti capiterà, adesso? — Sì, Reverendo Padre. — Allora preparati a ricevere la punizione. Tremando, il novizio si raccolse l'abito attorno alla cintura e si piegò sulla scrivania. L'abate prese dal cassetto una robusta riga di quercia, la provò sulla palma, poi diede a Francis un abile colpo trasversale sulle natiche. — — Hai intenzione di cambiare idea, figlio mio? — Reverendo Padre, non posso negare… — — Dieci volte fu ripetuta la semplice ma dolorosa litania, mentre frate Francis gemeva i suoi ringraziamenti al Cielo per ogni bruciante lezione della virtù dell'umiltà, come era previsto che facesse. L'abate si fermò dopo la decima sferzata. Frate Francis stava in punta di piedi e vacillava leggermente. Le lacrime gli spuntavano dagli angoli delle palpebre contratte. — Mio caro fratello Francis — disse l'Abate Arkos — sei — Sicuro — squittì il giovane, facendosi coraggio in attesa di altri colpi. L'Abate Arkos sbirciò il giovane con aria clinica, poi girò attorno alla scrivania e sedette con un brontolio. Fissò accigliato, il pezzo di pergamena che recava le lettere: — Chi credi che fosse? — mormorò distrattamente l'Abate Arkos. Frate Francis aprì gli occhi, provocando una breve doccia di lacrime. — Oh, mi hai convinto, figliolo, purtroppo per te. Francis non disse nulla, ma pregò silenziosamente che la necessità di convincere il superiore della propria veracità non si presentasse spesso. In risposta a un gesto irritato dell'abate, riabbassò la tunica. — Puoi sederti — disse l'abate, assumendo un tono distratto, se non cordiale. Francis si mosse verso la sedia che gli era stata indicata, si abbassò a metà, poi rabbrividì e si raddrizzò. — Se per il Reverendo Padre Abate è lo stesso… — Benissimo, allora resta in piedi. Non ti tratterrò a lungo, comunque, dovrai uscire e finire la tua valigia. — Si interruppe, notando che il viso del novizio si illuminava un poco. — Oh, no, non là! — scattò. — Non ritornerai nello stesso posto. Scambierai il tuo eremitaggio con quello di frate Alfred, e non tornerai più vicino a quelle rovine. Inoltre, ti comando di non discutere della cosa con nessuno, eccetto il tuo confessore e me, sebbene, il Cielo lo sa, il malanno sia già stato fatto. Sai a cosa hai dato l'avvio? Frate Francis scosse il capo. — Poiché ieri era domenica, Reverendo Padre, non ci era richiesto di tacere, e durante la ricreazione mi sono limitato a rispondere alle domande dei confratelli. Pensavo… — Bene, i tuoi confratelli hanno combinato una spiegazione molto acuta, caro figlio. Sapevi che era il Beato Leibowitz in persona colui che hai incontrato là fuori? Francis lo guardò senza capire per un momento, poi scosse di nuovo il capo. — Oh, no, Monsignor Abate, sono sicuro che non poteva essere lui. Il Beato Martire non farebbe una cosa simile. — Non farebbe che cosa? — Non inseguirebbe qualcuno cercando di colpirlo con un bastone chiodato. L'abate si passò una mano sulla bocca per nascondere un sorriso involontario. Dopo un momento riuscì a mostrarsi pensieroso. — Oh, non so. Eri tu quello che inseguiva, no? Sì credo di sì? Sì, eh? Bene, vedi, loro non credono che questo escluda la possibilità che si trattasse del Beato. Ora, io dubito fortemente che vi siano molte persone che il Beato inseguirebbe con un bastone chiodato, ma… — Si interruppe, incapace di reprimere una risata davanti all'espressione sul volto del novizio. — Benissimo, figliolo… ma chi credi che potesse essere quel vecchio? — Pensavo che forse era un pellegrino diretto a visitare il nostro santuario, Reverendo Padre. — Non è ancora un santuario, e non devi chiamarlo così. E comunque, non era diretto qui, o per lo meno, qui non è venuto. E non è passato oltre i nostri cancelli, a meno che la sentinella non fosse addormentata. E il novizio di guardia nega di essersi addormentato, sebbene abbia ammesso di avere molto sonno, quel giorno. Dunque, tu cosa suggerisci? — Se il Reverendo Padre vuole perdonarmi, anch'io sono stato di guardia qualche volta. — E allora? — Bene, in una giornata luminosa, quando non c'è niente che si muove, tranne le poiane, dopo qualche ora si comincia a guardare le poiane. — Ah, tu lo fai, eh? Quando dovresti sorvegliare la pista! — E se si guarda il cielo troppo a lungo, ci si stordisce… non ci si addormenta veramente… ma si resta… come dire… intontiti. — Dunque è così che fai quando sei di guardia, vero? — grugnì l'abate. — Non necessariamente. Voglio dire, no, Reverendo Padre, non saprei. Frate Je… voglio dire, un fratello cui ho dato il cambio una volta era proprio così. Non sapeva neppure che fosse l'ora del cambio. Era là seduto sulla torre e fissava il cielo a bocca aperta. Abbagliato. — Sì, e la prima volta che ti istupidisci in questo modo, arriverà una schiera di scorridori atei dallo Utah, ucciderà qualche giardiniere, rovinerà il sistema di irrigazione, distruggerà il nostro raccolto, e butterà pietre nel pozzo prima che noi cominciamo a difenderci. Perché fai quella faccia… oh, dimenticavo… tu vivevi nello Utah, prima di fuggire, no? Ma non importa, può darsi… dico può darsi… che tu abbia ragione per quanto riguarda il fratello di guardia… che avrebbe potuto non vedere il vecchio, cioè. Tu sei sicuro che era soltanto un comune vecchio… nient'altro? Non un angelo? Non un beato? Lo sguardo del novizio si levò verso il soffitto, pensierosamente, poi ricadde in fretta sul viso dell'abate. — Gli angeli e i santi fanno ombra? — Sì… voglio dire no. Voglio dire… come posso saperlo? Faceva ombra, non è vero? — Ecco… era un'ombra così piccola che potevo appena vederla. — — Perché era quasi mezzogiorno. — Imbecille! Non ti sto chiedendo che cosa era. So benissino che cos'era, se mai tu l'hai visto davvero. — L'Abate Arkos batté ripetutamente sulla tavola, per sottolineare la frase. — Voglio sapere se tu… tu… sei Questo genere di interrogatorio stupì frate Francis. Nella sua mente, non c'era alcuna linea retta che separava il Naturale dal Soprannaturale, ma c'era, piuttosto, una zona crepuscolare intermedia. C'erano cose che erano chiaramente naturali, e c'erano Cose che erano chiaramente soprannaturali, ma fra questi estremi c'era un zona di confusione — la sua confusione — il preternaturale… dove le cose fatte di terra, aria, fuoco o acqua tendevano a comportarsi in modo inquietante come — Ebbene, ragazzo mio? — Monsignor Abate, voi non supponete che potesse essere… — Ti sto chiedendo di La domanda era spaventosa. Il fatto che tale domanda fosse dignificata dal provenire dalle labbra di una persona così illustre come il suo abate la rendeva ancora più spaventosa, anche se Francis capiva che il suo superiore l'aveva formulata semplicemente perché voleva una particolare risposta. La voleva intensamente. Se la voleva intensamente, la domanda doveva essere importante. Se la domanda era abbastanza importante per un abate, era — Io… credo che fosse di carne e di sangue, Reverendo Padre, ma non era precisamente "normale". In un certo senso, era straordinario. — In — Come… come riusciva a sputare diritto. E sapeva leggere, credo. L'abate chiuse gli occhi e si soffregò le tempie, in evidente segno di esasperazione. Quanto sarebbe stato semplice se avesse potuto dire al ragazzo che il suo pellegrino era soltanto un vecchio vagabondo, e se poi avesse potuto ordinargli di non pensare altrimenti. Ma, permettendo al ragazzo di capire che era possibile una domanda, aveva reso inefficiente l'ordine prima ancora di pronunciarlo. Fino a che il pensiero poteva essere governato, gli si poteva soltanto ordinare di seguire ciò che la ragione confermava; un diverso comando non sarebbe stato obbedito. Come ogni saggio dominatore, l'Abate Arkos non emetteva ordini invano, quando era possibile disobbedire e quando era impossibile imporli con la forza. Era meglio distogliere lo sguardo, piuttosto che dare ordini ineseguibili. Aveva formulato una domanda cui lui stesso non avrebbe saputo rispondere secondo ragione, poiché non aveva mai visto il vecchio, e di conseguenza aveva perduto il diritto di rendere obbligata la risposta. — Vattene — disse alla fine, senza neppure aprire gli occhi. |
||||
|