"Demon" - читать интересную книгу автора (Varley John)TREI titanidi prepararono un banchetto. Giudicando dall'allegria dei loro canti, Robin li dedusse inconsapevoli delle umane tensioni che si agitavano tutt'attorno. Ma sbagliava. Ciò che stava accadendo, i titanidi lo sapevano anche meglio di lei, però si rendevano conto di non poterci fare un bel nulla. Adottavano quindi un sistema che aveva funzionato abbastanza bene per quasi un secolo. Lasciavano che gli umani si facessero i fatti loro. Robin aveva dimenticato quanto potesse essere delizioso il cibo titanide. Poco dopo il ritorno alla Congrega, appena prima della nascita di Nova, era aumentata di venti chili oltre il suo peso forma. Una dieta feroce aveva eliminato il sovrappiù, scongiurandone il ritorno per dodici anni. Poi, a un certo punto, aveva perso interesse nel cibo. Per cinque anni non aveva avuto problemi a conservarsi magra. Anzi, durante quel periodo aveva addirittura dovuto costringersi a mangiare. Nulla le sembrava buono. Ma ora, aggredendo i piatti stracolmi che le offrivano i titanidi, si domandava se fra un po' non avrebbe dovuto ricominciare a riguardarsi. Gravava, sui commensali, una strana atmosfera permeata di tristezza e precarietà. Chris, Cirocco e Conal sorridevano molto ma parlavano poco. Nova, ovviamente, s'era andata a rintanare col suo piatto nell'angolo più appartato della sala. Mangiava con fare circospetto, come un animale selvatico, e non spiccicava gli occhi di dosso a Cirocco. — Nova — la chiamò Robin — vieni a sederti a tavola con noi. — Preferisco rimanere qui, Madre. — Nova. Con fiero cipiglio, e strascicando i piedi, la ragazza si decise ad accostarsi. Robin aveva la sensazione che sua figlia non avrebbe continuato a chinare il capo ancora per molto, pur se la virtù dell'obbedienza era solida, nelle giovani della Congrega, ambiente in cui la famiglia differiva notevolmente dal tradizionale modello umano. Nova doveva a Robin assoluta acquiescenza sino al compimento del ventesimo anno, e un atteggiamento di grande rispetto anche dopo quella data. Ma ormai era diciottenne. Ancora un anno, due anni… limiti di tempo che avevano poco senso, su Gea. Lievi sintomi positivi venivano comunque ad alleviare le sue inquietudini. Sin dall'arrivo a Tuxedo Junction non c'erano ancora stati litigi, fra loro due, e Robin ne traeva grande consolazione. Quegli alterchi le straziavano il cuore. Quando ci si azzuffa, è molto importante essere sicuri di avere ragione, e ormai a Robin non capitava quasi più di scoprire in sé tale certezza. In effetti, da quando si trovavano in quel luogo, Nova s'era lasciata sfuggire sì e no una dozzina di parole. Si limitava a sedere in silenzio, fissandosi le mani o gettando lunghe occhiate a Cirocco. Robin seguì lo sguardo rivolto da sua figlia alla Maga… anzi, sì corresse, al Capitano… che stava cantando a Serpentone chissà quali incomprensibili frasi in lingua titanide, poi tornò a osservare Nova. — Hai mangiato a sufficienza, Robin? Colta alla sprovvista, le occorse qualche istante per riaversi dalla sorpresa. Poi cercò di sorridere a Cirocco. Immerse un cucchiaio nella ciotola di cibo che i titanidi avevano preparato appositamente per il bambino, e lo insinuò nella boccuccia di Adam. — Io? Sì sì, ho finito e sto proprio bene, però a lui gli ci vuole un po' di più. — Potrei parlarti? In privato? Non c'era nulla che Robin desiderasse maggiormente, ma d'un tratto si sentì spaventata. Ripulì la bocca di Adam da qualche debordante brìccica di pappa e fece un gesto vago. — Certamente, appena… Ma Cirocco aveva già fatto il giro della tavola e preso in braccio il bambino. Lo porse a Chris, che ne parve compiaciuto. — Andiamo. Lui con Chris è in buone mani, vero, vecchio mio? — Senza dubbio, Capitano. Cirocco afferrò Robin per il gomito, spingendola gentilmente ma con fermezza. La piccola strega si arrese. Seguì Cirocco attraverso la cucina, poi fuori, lungo un ramo orizzontale, per uno dei sentieri provvisti di parapetti, e quindi in leggera salita fino a un edificio isolato, seminascosto nell'intrico verde. Era di legno, a forma pentagonale. Il vano dell'uscio si apriva così basso che per entrare Cirocco dovette chinarsi. A Robin invece, nel varcare la soglia, avanzarono sopra il capo almeno due o tre centimetri. — Che posto bizzarro… — Anche Chris è un tipo molto originale. — Cirocco accese una lampada a olio e la pose sul tavolo nel centro della stanza. — Raccontami di lui. Valiha me l'aveva detto che era cambiato, però non avrei mai… — La voce le venne meno. Aveva finalmente dato un'occhiata all'interno del padiglione. Tutte le pareti erano di rame. Sbalzate a martello sulle superfici metalliche risaltavano numerosissime figure, alcune delle quali piuttosto familiari a Robin, altre interamente estranee, mentre una parte di esse pareva farle riaffiorare alla memoria cose ch'erano rimaste per lungo tempo sepolte nei recessi della sua mente. — Cos'è, questo? — sussurrò. Cirocco accennò alla più grande delle raffigurazioni. Robin si avvicinò e riconobbe l'immagine stilizzata di una donna, goffa e approssimativa come un geroglifico. Era nuda, incinta, e aveva tre occhi. Un serpente le si avviluppava attorno da una caviglia alla spalla opposta, ove rizzava la testa a guardarla dritta in volto. La donna ricambiava imperturbabile lo sguardo del serpente. — Quella… dovrei essere io? — La mano le corse involontariamente a sfiorare la fronte, sulla quale portava tatuato il suo terzo Occhio. Se l'era guadagnato più di vent'anni prima, e senza di esso non avrebbe mai potuto far ritorno su Gea. Robin portava addosso anche il tatuaggio di un serpente che partendo da una gamba le si attorceva al corpo sino a giungerle sul petto. — Cos'è, questo? — ripeté. Nella stanza c'erano due sedie di legno a schienale diritto. Cirocco ne trasse una verso il centro del locale e vi sedette. — Forse sarebbe meglio che tu lo chiedessi a Chris. Secondo me dovrebb'essere una specie di… monumento commemorativo. Lui ti voleva bene. Era convinto che non ti avrebbe rivisto mai più. Non potendo fare altro, ha creato quest'opera. — Ma' è… è straordinaria! — Come ti ho già detto, anche Chris è una persona eccezionale. — Che gli sta succedendo? — Fisicamente, vuoi dire? Sta ottenendo ciò che Gea gli promise tanti anni fa. — È una cosa ripugnante. Cirocco rise. Robin arrossì, poi comprese che Cirocco non stava ridendo di lei, ma a causa di qualche suo pensiero privato. — No, non è affatto una cosa ripugnante — replicò. — È solo sorprendente. Tu te la sei trovata davanti d'un tratto e tutta insieme. Io l'ho veduta verificarsi giorno per giorno, e ai miei occhi appare del tutto naturale, e giusta. E quanto alla sorpresa… be', ti dirò che tu l'hai sconvolto più di quanto lui non abbia sconvolto te. Robin non fu capace di reggere quello sguardo, e chinò la testa. Sapeva bene qual era il suo aspetto attuale. — Si chiama età — disse in tono amaro. La cosa peggiore era che lei pareva molto più anziana di Cirocco. — No. Sei invecchiata, certo, ma non è questa la cosa sconvolgente. A modo tuo, sei cambiata altrettanto radicalmente di Chris. Qualche terribile paura s'è incisa a fuoco sulla tua anima. — Non sono d'accordo. Fallimento e disonore, sì, ma non paura. — Paura — proseguì Cirocco inesorabile. — La Grande Madre ti ha abbandonato. Il centro della tua esistenza è svanito. Non ardi più, vacilli, i tuoi piedi sono incapaci di trovare appoggio sul grembo della terra. Non hai luogo ove posarti, non hai più Ombelico. — Chi ti ha detto queste cose? — urlò Robin. — So quello che vedo. — Sì, ma le parole, le… le parole segrete… — Alcune di esse appartenevano ai riti della Congrega, a cerimonie ed esorcismi che Robin era certa di non aver mai neppure menzionato alla Maga. Altre nascevano dagli angoli più tenebrosi della sua stessa coscienza. — Ho avuto qualche suggerimento. E adesso, voglio conoscere il motivo della tua presenza qui. Perché sei tornata? Cosa speri di ottenere? Robin si asciugò le lacrime e avvicinò l'altra sedia a Cirocco. Si mise a sedere, e finalmente fu di nuovo capace di guardare in faccia l'interlocutrice. Poi narrò la sua storia. Non diversamente da tanti altri, Robin era venuta su Gea in cerca di una cura al suo male. Gea era una divinità che non regalava mai nulla. A Robin aveva detto che avrebbe dovuto provare il proprio valore e compiere qualcosa di eroico, prima di poter sperare in una guarigione. Inizialmente Robin non era stata affatto disposta ad accettare la sfida. Non portava una malattia con la quale fosse impossibile convivere, e sino a quel momento l'aveva affrontata con estrema determinazione. Una volta, allorché la mano aveva preso a tremarle manifestando i sintomi iniziali dell'attacco epilettico, non aveva esitato ad amputarsi il mignolo. Tuttavia, in seguito all'opera di persuasione compiuta su di lei da Gaby Plauget, Robin aveva finito per partecipare a un viaggio lungo il perimetro interno della ruota, accompagnata da Gaby, Cirocco, i titanidi Salterio, Oboe, Cornamusa e Valiha, e Chris Major, anche lui impegnato a guadagnarsi una cura. Gaby e Cirocco, a parte il far da guide ai due pellegrini, perseguivano un scopo recondito: trovare almeno un alleato fra gli undici cervelli regionali di Gea. Gaby s'era impegnata nella ricerca con decisione assai maggiore rispetto a Cirocco; la Maga, infatti, alcolizzata all'ultimo stadio, aveva dovuto letteralmente essere trascinata in quell'impresa. Alcuni cervelli regionali erano fedeli a Gea. Altri la osteggiavano. Tali schieramenti risalivano al tempo della ribellione di Oceano, avvenuta quando gli umani vivevano ancora nelle caverne. L'intento di Gaby consisteva nientemeno che nel rovesciamento e nella sostituzione della stessa Gea. Lei era quindi partita per arruolare un nuovo Dio. Quella missione le era costata la vita, senza contare altre gravi conseguenze. A Cirocco era costata la sua condizione di Maga. Rimaneva da vedere se fosse costata ai titanidi la loro sopravvivenza come razza. I soli che pareva avessero tratto beneficio da quell'impresa malriuscita erano Robin, Chris e i Fabbri Ferrai. Robin e Chris erano guariti. Ai Fabbri Ferrai, per ignoti motivi, era stato concesso di espandersi oltre i confini della loro minuscola isola situata al centro del Mare di Febe, al punto che adesso contendevano ai titanidi il dominio della grande ruota. Conclusa l'avventura, Robin aveva fatto ritorno a casa, con l'intenzione di soggiornarvi felicemente per il resto dei suoi giorni. — Per un poco fu magnifico — disse, sorridendo al ricordo. — Chris aveva ragione. C'era davvero un sacco di labra nel farsi ricrescere un dito. Te lo raccomando come sistema per lasciare a bocca aperta gli amici. Robin sapeva che Gaby e Cirocco avevano liquidato il labra come versione femminile del maschilismo. Sbagliando, certo, ma non era questo l'importante. La circostanza che fosse stata Gea a rigenerare il mignolo amputato di Robin aveva continuato ad angustiarla, finendo per togliere soddisfazione a lei e valore al suo trionfo. Era una qualità senza senso proprio come il terzo Occhio, cui si attribuiva il potere di conferire infallibilità. All'atto pratico, le detentrici dell'Occhio risultavano persone arroganti ma sostanzialmente innocue, bacchettone e pedanti al pari di chiunque si dichiari portatore di verità assolute. — Quando lasciai la Congrega ero già un personaggio quasi mitico — proseguì Robin. — Ma al mio ritorno… non saprei con quale termine definire la mia nuova posizione. La Congrega non aveva mai conosciuto un individuo come me. — Un superdivo — suggerì Cirocco. — Che vuol dire? — È una parola arcaica. Usata per definire qualcuno la cui reputazione oltrepassa ogni ragionevole limite. E che, dopo un poco, incomincia a credere lui stesso a tale reputazione. Robin meditò il concetto. — Sì, più o meno una cosa del genere. La rapidità della mia ascesa dipendeva solo da una scelta personale. Avrei potuto procedere ancora più in fretta… ma non ero sicura che fosse la cosa giusta da fare. — Sentivi una voce — intervenne Cirocco. — Sì. Era la mia voce. Credo che se avessi voluto sarei riuscita addirittura a farmi proclamare Grande Madre. Ma sapevo di non avere le qualità necessarie. Anzi, mi rendevo perfettamente conto di essere una persona piuttosto mediocre. — Non essere troppo severa con te stessa. A quello che ricordo, eri una tipa maledettamente in gamba. — Certo, maledettamente veloce, maledettamente forte, maledettamente aggressiva, una vera bestiaccia intrattabile. Ma nell'unico posto che contava per me, qui dentro — e così dicendo si batté una mano sul petto, — io lo sapevo che cos'ero. Decisi di abbandonare la vita pubblica. Esistono dei luoghi, nella Congrega, dov'è possibile ritirarsi nel silenzio e nella solitudine… un po' come le suore. Non è questo che fanno le suore? — Così ho sentito dire. — Un anno l'avrei trascorso in meditazione. Poi avrei messo al mondo una figlia e mi sarei dedicata ad allevarla. Ma non feci in tempo a seguire il mio programma. Quasi subito mi accorsi di essere incinta. Rimase un attimo in silenzio, perduta dietro il ricordo, mordendosi il labbro inferiore. Infine tornò a rivolgersi a Cirocco. — E questo, vedi, accadde un anno… anzi, più di un anno dopo il mio ritorno da Gea. Sulla Terra nessuno ci avrebbe fatto caso. Ma nella Congrega, dato il procedimento d'inseminazione artificiale che… — Sì, mi ricordo, capisco a cosa fai riferimento. — Già, e si dà il caso che le addette ai centri natali sappiano perfettamente chi si è rivolto a loro per il trattamento. Di conseguenza, quando incominciai a mostrare i segni della gravidanza… — Sospirò, scosse la testa. — La cosa peggiore è che, se fosse capitato a qualcun'altra, quella avrebbe corso il rischio d'essere mandata al rogo. Saranno almeno una cinquantina d'anni che nella Congrega nessuna subisce la pena del fuoco per delitto di cristianesimo. Nel mio caso specifico, parevano presentarsi due possibilità. O avevo avuto un rapporto carnale con un demone cristiano, oppure… oppure si era in presenza del Gynorum Sanctum, l'unione di una donna mortale con la Santa Madre, perfetta e innocente. Cirocco l'osservò con grande attenzione, mentre Robin chinava la testa a nascondere il volto fra le mani. — E quelle l'han bevuta sul serio? — domandò. — Oh. diciamo sì e no. Nella Congrega c'è una fazione conservatrice che prende la dottrina tradizionale assolutamente alla lettera. A ogni modo, il mio destino era segnato. E poi io stessa contribuii ad accreditare la tesi mistica. Per qualche tempo credo d'essere stata convinta davvero che la Grande Madre mi avesse visitato. Ma ogni volta che guardavo Nova in viso, qualcosa mi diceva che doveva essersi trattato di qualcun altro… Stancamente, Cirocco scosse la testa. Quanti problemi avrebbero potuto essere evitati, se lei non fosse stata così occupata mentre Robin si preparava alla partenza… Lascia perdere, si disse. Per un poco avesti da fare, d'accordo, ma poi te ne rimanesti semplicemente ubriaca per quasi un chiloriv. — Sospettasti mai la vera origine della bambina? — Per diverso tempo, no. Come ti ho detto, era molto più facile prendere le cose come venivano. Finché a un certo punto non decisi di affrontare il problema razionalmente. — Avrei dovuto metterti in guardia contro la possibilità che Gea ti giocasse qualche scherzetto di addio. La prima volta che mettemmo piede qui, fece la stessa cosa a me, Gaby e Agosto. Ci ritrovammo tutt'e tre incinte, e dovemmo abortire. — Poi, dopo qualche istante di silenzio, fissando Robin negli occhi, proseguì: — E non hai… non hai mai pensato a chi potrebb'essere il padre? Robin scoppiò a ridere. — Valle a dare un'occhiata. Non è evidente? — Nova ha la tua bocca. — Sicuro. E gli occhi di Chris. Chris stava cercando un proiettore nel seminterrato. Dal punto di vista semantico è forse erroneo parlare di seminterrato in relazione a una casalbero, struttura nella quale tutti i livelli giacciono al di sopra del suolo, ma Chris aveva risolto la contraddizione. Incassata nel pavimento dell'edificio principale, c'era una botola che dava accesso a una cavità praticata nel tronco del grande albero. Tale vano costituiva l'estrema destinazione di tutti quegli oggetti per i quali Chris non era mai riuscito a trovare un impiego. E ce n'era davvero un mucchio. Fermo a metà scala, con una lampada protesa a rischiarare l'ambiente mentre Chris scaraventava oggetti da un mucchio all'altro, Conal guatava quella congerie con aria sgomenta. — Oltre a essere un architetto forsennato — osservò — ti sei pure beccato una brutta forma di cianfrusaglite acuta. — Credo che sia un caso disperato — convenne Chris. — Comunque, si potrebbe dire la stessa cosa dello Smithsonian. — E che sarebbe? — Be', se proprio vuoi saperlo, attualmente non è più nulla. Incenerito ormai da un sacco d'anni. A suo tempo era un museo. E su Gea non ce n'è mica, di musei. Si raddrizzò, ripulendosi dal viso un impasto di polvere e sudore. — È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. — I titanidi ce l'hanno, un museo. — Hai ragione. Ma la cosa più antica che c'è dentro non è molto più vecchia di Cirocco. I titanidi esistono da poco tempo. E poi non abbiamo nessun museo umano, su Gea. Ammesso che sulla Terra ne sia avanzato qualcuno, non durerà ancora per molto. E allora perché non ricominciare quassù? Conal gettò un'altra occhiata dubbiosa agli ammassi di ciarpame. — Di' la verità, Chris. Il fatto è che non sei capace di buttare via nulla. — Ebbene sì, lo confesso. — Infilò il braccio quant'era lungo dentro una catasta di paccottiglie e ne ripescò un venerando Kodak Brownie. — Però non si sa mai quando una cosa ti potrà servire. — Già, ma dove te la procuri tutta questa roba? Chris spinse Conal su per la scala, lo seguì nella stanza di sopra e si richiuse dietro la botola. Poi precedette Conal per un labirinto di stanze e passaggi, sinché non giunsero nella zona che Chris aveva attrezzato a laboratorio. Comprendeva un cospicuo numero di locali, in cui Chris era in grado di effettuare lavorazioni di ogni tipo, da soffiare il vetro a riparare computer. Appoggiò il proiettore su un banco da lavoro e incominciò a smontarlo. — Mi limito a raccogliere la roba qua e là — rispose finalmente a Conal. — O per lo meno all'inizio è andata così. Attualmente, tutti i titanidi che passano di qui mi portano qualcosa in regalo. Sono dei trafficanti nati. Impossibile prevedere quello che troveranno. Ormai dalla Terra non arriva più molto materiale, quassù, ma ai vecchi tempi poteva capitare praticamente di tutto. I coloni si portavano dietro gran parte dei loro averi. Poi è scoppiata la guerra. Tolse la fiancata dell'apparecchio e sbirciò dentro, soffiando via matasse di polvere. Infilò un dito in mezzo ai meccanismi, fece girare un ingranaggio. Estrasse dal proiettore un bulbo di vetro oblungo, e con un buffetto lo mandò a rotolare verso Conal, che lo bloccò. — Provala un po', ti dispiace? Dubito che sia ancora buona. Vedrai che mi toccherà prepararne una nuova. Conal si diresse al banco di alimentazione. Innestò la lampada su un supporto, prese due cavetti isolati coi terminali scoperti, ne appoggiò uno all'involucro di ottone e l'altro alla smussata estremità metallica. Poi fece scattare un interruttore. Il filamento divenne incandescente, emanando una luce vivissima. Chris si avvicinò col proiettore e lo sistemò accanto alla lampada. — Dunque funziona, eh? Così rispanniamo un po' di tempo. — Prese la piccola ampolla di vetro e la riavvitò al suo posto, poi collegò fra loro diversi dispositivi che stavano sul banco, e infine poggiò due conduttori sui contatti esterni del motore. Quello ronzò, e si sentì un debole odore di ozono, ma null'altro accadde. Borbottando, Chris provò a riconfigurare il gruppo di alimentazione. Ancora niente. Alzò la testa, e vide Cirocco e Robin fare il loro ingresso nella stanza. Un poco distanziata, ciondolando di malavoglia, veniva Nova. — Cirocco — disse Chris — bisogna che vada a scovare un altro motore per quest'aggeggio e che trovi il modo di collegarlo al meccanismo di trascinamento della pellicola, a meno che… — Accennò a lei, e poi al proiettore. — Pensi di farcela ad aggiustarlo? Cirocco gli rivolse uno sguardo strano, poi fece spallucce e si accostò al banco da lavoro. Scrutò il proiettore, impose le mani su di esso, e aggrottò le sopracciglia. Si udì un crepitìo di scintille; Robin boccheggiò, ma Cirocco si limitò ad ammiccare. Qualcosa sferragliò brevemente, poi tacque. Cirocco si chinò ancor più accosto, incurante degli azzurrognoli archi elettrici che le scoccavano fra le dita aperte a ventaglio. Per un attimo Conal percepì un'indefinita evanescenza guizzare a offuscarle lo sguardo, poi lei si raddrizzò, e si cacciò in bocca la punta del pollice. — M'ha bruciato, 'sto bastardo — brontolò succhiandosi il dito. Chris sollevò un sopracciglio, quindi premette il pulsante di accensione del proiettore. L'apparecchio s'avviò incespicando, dopo di che prese a funzionare liscio e regolare come un aggeggio così vecchio non s'era mai sognato. Nessuno fiatò. Conal andò a prendere le sedie, mentre Chris provvedeva a caricare nel proiettore la pellicola portata da Cirocco. Mancava la bobina ricevitrice, ma Chris pensò che non avesse importanza, essendo assai poco probabile che a qualcuno venisse voglia di riassistere allo spettacolo. Cirocco e Robin fissarono un lenzuolo alla parete di fondo. — I titanidi non li invitiamo? — chiese Robin. — Vedere i film li scombussola — rispose Cirocco. — Non conosciamo il motivo preciso — aggiunse Chris, rispondendo alla domanda che indugiava negli occhi di Robin. — Pare che il loro cervello non sia attrezzato per quel genere di visione. Gli fa venir la nausea, come se avessero il mal di mare. Accese il proiettore. Dopo qualche istante si udirono conati di vomito provenire dall'ingresso. Volgendosi, Conal vide Nova uscire dalla stanza per sottrarsi alle immagini che riempivano lo schermo. Pensò per un attimo di andare ad aiutarla, ma capì immediatamente che si trattava di un'idea assurda. Tornò a guardare il film. Con un morso, Gea decapitò un secondo uomo. Questo portava una tunica arancione. Il primo, invece, aveva indossato il tradizionale abito nero e collare bianco da prete. Gea si stava riscaldando in preparazione all'incontro con Kong. In alcune scene s'intravedeva la gigantesca scimmia gironzolare sullo sfondo. Al bolex che le aveva girate era parso più interessante documentare il divoramento dei sant'uomini, ineccepibilmente conferendo stabilità di ripresa e accuratezza d'angolazione a ogni inquadratura. Ebbe inizio il combattimento. Gea e Kong si abbrancarono. Kong si trovò proiettato in alto a caprioleggiare sulla testa di Gea, ricadendo supino al suolo. Rimase lì con aria stordita, mentre l'avversaria gli si gettava addosso di peso inchiodandolo a terra. Con un'esplosione di forza bruta la grande bestia scaraventò Gea via da sé. rilanciandosi quindi all'attacco. Stacco e cambio di scena. Kong giaceva di nuovo riverso, con Gea che incombeva un attimo su di lui prima di avventarglisi addosso. Ma stavolta sembrava che non si limitasse a bloccarlo al suolo. Conal non riuscì a rendersi subito conto di cosa stesse accadendo. Con la bocca inaridita, affascinato e imbarazzato, continuò a fissare lo schermo. Alla fine dovette distogliere lo sguardo. Si mise a osservare Chris. Cirocco, Robin… qualunque cosa che non fosse lo schermo. — Avrei giurato che fosse asessuato — commentò Cirocco a un certo punto. — Era nascosto bene — replicò Chris. — Ha dovuto tirarglielo fuori. — Grande Madre proteggici… — Robin mormorò. Conal tornò a guardare la proiezione. Aveva sempre creduto impossibile, per una femmina, Mentre Gea lo inforcava a cosce divaricate, da uno spacco nel torace gli sgorgava sangue a fiotti, e quella vi attingeva a piene mani per lavarcisi la faccia. — Basta, spegnilo! — implorò Conal. Cirocco, il volto impassibile come pietra, gli scagliò uno sguardo raggelante, scotendo la testa. O se ne andava, o guardava. Conal si obbligò a guardare. Gea barcollava come fosse ubriaca. Andò a urtare contro la parete rocciosa della caverna, e cadde su un fianco. Lo schermo si abbuiò per un istante, poi tornò a illuminarsi. Gea, sempre nuda, giaceva ancora di fianco. Il sangue di Kong le si stava seccando sul viso e sulle mani. Si arrovesciò sulla schiena, incominciò a gemere. Il suo ventre era tutto un palpito violento e incessante. — Sta partorendo — disse Chris. — Già — ringhiò Cirocco. — Ma partorendo cosa? La coda della pellicola sfilò rapida oltre l'otturatore e cadde serpeggiando sul pavimento. Lo schermo bianco continuò a sfarfallare, illuminando il pallore di tre volti, finché la mano di Chris non sopraggiunse misericordiosa a spegnere il proiettore. Era un cammello, ed era morto. Quel cammello era nato vivo, e Gea aveva pensato bene di includerlo nel suo séguito, dalla montagna di Kong all'attuale sede di Pandemonio, in attesa di decidere cosa farne. Non aveva fatto conto di ritrovarsi con un cammello. In quel periodo, Gea lasciava molto spazio al dominio della casualità. Il caos la riempiva di gioia. Era un casino parecchio più divertente che mandare avanti quel fottuto d'un mondo! Gea generava cose per il semplice motivo che tale atto le pareva assai appropriato agli attributi e alle funzioni di una divinità. E i risultati sorprendevano lei non meno di chiunque altro. La sua mente s'era frammentata in numerose entità autonome, qualcuna un po' più pazza delle consorelle, ma tutte quante assolutamente folli. Promemoria: proiettare La parte di lei che teneva sotto controllo il proprio equivalente di un utero, non rivelava agli altri frammenti di personalità cosa stesse combinando quella specifica estensione. Gea era soddisfatta di tale soluzione. Dopo tre milioni di anni, qualche sorpresa ci voleva proprio. Una volta al chiloriv il suo corpo le proponeva qualcosa di nuovo. Nel corso dell'ultimo anno esso aveva dato alla luce una nidiata di dragoncini, una tigre di quattro metri, e una creatura ch'era una via di mezzo tra una piovra e un Modello-T. La maggior parte dei neonati non campavano a lungo, mancando di taluni organi essenziali tipo un cuore o un naso. Gli altri erano ibridi. Il subconscio di Gea non poteva certo star dietro alle sottigliezze. Ma il cammello era riuscito davvero bene. Si trattava, per l'esattezza, di un dromedario completamente sviluppato, sano come un pesce, e adesso era morto perché Gea aveva finalmente deciso a cosa adibirlo. Si apprestava a farlo passare per la cruna di un ago. Diciamo pure che era un ago di generose dimensioni. Accoppiato a esso svettava un grande imbuto, e lì accanto faceva bella mostra di sé un congegno tritacarne servito a ridurre il cammello in poltiglia. Mentre un centinaio di cineprese entravano in azione, Gea salì sull'impalcatura che sovrastava l'imbuto, versandovi dentro il primo recipiente di purè di cammello. Tre riv dopo, stanca e affamata, Gea ordinò una pausa. Circa metà cammello era ormai passato attraverso la cruna, e il resto dell'operazione si prospettava solo come una noiosa replica. E poi, le riprese già effettuate potevano venire montate con qualche inquadratura finale dell'imbuto, da realizzare una volta che si fosse svuotato. Andò a prender posto per assistere ai due film del giorno, che erano Lawrence d'Arabia e… niente, non se lo ricordava. Agitata e impaziente prese a dimenarsi nella sua poltrona. Insomma, quand'è che Cirocco si sarebbe decisa a fare sul serio? Gea era in attesa del Grande Evento. |
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