"Demon" - читать интересную книгу автора (Varley John)DUEChris fece abilmente scivolare le uova fritte dalla padella di rame in un piatto di terracotta. La padella aveva quasi un metro di diametro. Tutti i suoi attrezzi da cucina erano sovradimensionati. La maggior parte degli ospiti, lì, erano titanidi, e a loro piaceva mangiare tanto quanto cucinare. Come cuoco Chris era piuttosto sul mediocre, ma sembrava che a Cirocco non importasse. Mentre lui sparecchiava il primo piatto e le imbandiva la seconda porzione di uova, gli rivolse con la forchetta un gesto di ringraziamento. Appollaiata su un imponente sgabello dinanzi allo svettante tavolo di cucina, coi piedi agganciati alle traverse, i gomiti ben divaricati e la testa bassa, sbafava a quattro palmenti. I capelli umidi se li era annodati dietro perché non le dessero fastidio. Chris accostò un altro sgabello dalla parte opposta del tavolo e ci s'installò. Mentre Cirocco aggrediva il suo quattordicesimo uovo, egli incominciò a mangiare i due che aveva previsto per sé, osservando intanto la commensale che gli stava di fronte. Era pallida. E magra. Le si contavano le costole. Le sue rotondità pettorali risultavano poco più che un ricordo. — Com'è andato il viaggio? — le domandò. Lei annuì, poi s'impadronì della sua tazza di caffè per mandar giù l'ultima infornata d'uova. Trattandosi di una tazza titanide. le ci vollero entrambe le mani. — Tutto bene — rispose, e si nettò la bocca strusciandosela lungo il braccio. Subito assunse un'aria stupita, lanciò a Chris un'occhiata d'imbarazzo, e prese il tovagliolo. Prima se lo passò sul braccio, poi sulle labbra. — Scusami — disse, con un risolino nervoso. — Il tuo comportamento a tavola non mi riguarda — commentò Chris. — Questa è anche casa tua. — Già, ma non è un buon motivo per grufolare come un maiale. Fatto sta che m'è parso così buono… Cibo vero, capisci. Chris capiva perfettamente. Per un bel pezzo Cirocco s'era dovuta accontentare di masticare solamente erbe selvatiche. Ma l'aggettivo che lei aveva usato per definire il cibo lo fece sorridere. La "pancetta" era carne ottenuta da un sorrisone con geni di porco lasciatigli in eredità dai suoi antenati, in virtù di quello sconcertante sistema d'ibridazione geano che avrebbe mandato al manicomio Luther Burbank. Le "uova" provenivano da un arbusto comune in Dione. Se non fossero state colte, si sarebbero infine schiuse dando alla luce un rettile miriàpode, che a sua volta se ne sarebbe andato in giro a disseminare coi suoi escrementi i semi della pianta. Ma il frutto, di per sé, aveva un gusto che assomigliava molto a quello delle uova autentiche. Il caffè, strano a dirsi, era vero caffè, un ibrido adattato alle precarie condizioni d'illuminazione imperanti su Gea. In seguito al crollo del commercio Terra-Gea, la coltivazione del caffè sugli altipiani era divenuta conveniente come quella della cocaina, tradizionale genere d'esportazione geano. E il mercato rigurgitava di coca, mentre il caffè risultava difficile da trovare. — Kong è morto — annunciò Cirocco continuando a masticare. — Davvero? Chi è stato? — C'è bisogno di chiederlo? Bastò a Chris una brevissima riflessione per giungere inevitabilmente all'unico possibile candidato. — Perché non mi racconti cos'è successo? — Vedi prima di schiaffare in padella un altro poco di quella pancetta, eh? — lo ricattò sogghignando. Con un sospiro, lui si alzò. Mentre la pancetta incominciava a sfrigolare, gli raccontò quel che aveva visto in Febe. Intanto che parlava diede fondo alla seconda porzione. Si alzò a sciacquarsi il piatto, poi tornò accanto a Chris, e rimanendo in piedi tagliò delle fette gagliarde da una gigantesca pagnotta, quindi le dispose sopra un vassoio per metterle a tostare. — Immagino che dovrà pur morire, no, quando gli faranno a pezzi il cervello? — Cirocco si accovacciò, infilando il vassoio nello scomparto inferiore della stufa, sotto il focolare, dove il calore radiante l'avrebbe riscaldato lentamente. — Penso di sì. — Chris fece una smorfia. Cirocco si rialzò e si sciolse i capelli, scrollando la testa per dispiegarli e ravviandoseli con le dita. Chris seguì l'operazione, notando che adesso quella chioma era quasi completamente bianca. Le scendeva giù fin oltre i fianchi. Chissà, si domandò, se li avrebbe mai più tagliati, quei capelli. Prima dell'operazione al cervello, da cui eran già trascorsi cinque anni, raramente se li era fatti arrivare sotto le spalle. Poi la sua testa aveva dovuto essere rasata, e da allora lei sembrava avere sviluppato un vera predilezione per i capelli lunghi. — Qualcos'altro che dovrei sapere? — le chiese. — Ho riparlato con Gaby. Chris non replicò subito, continuando semplicemente a rigirare le fette di pancetta. Cirocco si diede a rovistare dentro un armadietto. — Che ti ha detto? Cirocco scovò una striglia titanide e incominciò a pettinarcisi i capelli. Per un po' non disse nulla, poi sospirò. — L'ho vista due volte. Una volta più o meno tre ettoriv prima di andare alla montagna di Kong. E un'altra volta in Teti, poco dopo. La prima volta mi ha detto che Robin stava tornando su Gea. Il motivo non me l'ha spiegato. Solo che Robin aveva portato i suoi figli con sé. Chris non fece commenti. Qualche tempo prima non se ne sarebbe certo rimasto zitto, ma da allora aveva incominciato a nutrire alcune perplessità. Sulla definizione di "razionale", per esempio, e riguardo al significato del termine "magia", e circa la linea di demarcazione fra la vita e la morte. Si era sempre considerato un positivista, lui. Un uomo civile. Uno che non credeva alla stregoneria. Sebbene fosse vissuto vent'anni in un posto dove c'era un "Dio" col quale aveva parlato, e benché avesse amato un "Demone" che una volta era stata una "Maga", egli non attribuiva a nessuno di questi termini il valore scaturente dal loro significato letterale. Gea era una divinità mediocre. Cirocco era una persona eccezionale, ma non deteneva poteri magici, né in bene né in male. Di fronte alle cose di cui era stato testimone, o delle quali aveva sentito parlare, perché mai avrebbe dovuto preoccuparsi per una banale resurrezione? Però quella vicenda, in effetti, gli aveva già dato un sacco di grattacapi. Gaby era spirata fra le sue braccia. Non avrebbe mai dimenticato le sue orribili ustioni. La prima volta che Cirocco gli aveva detto di aver visto Gaby, lui era andato su tutte le furie. Poi si era calmato e l'aveva trattata con gentilezza, temendo che la sua vecchia amica stesse diventando senile. Troppo facile, però, attribuire tutto agli offuscamenti della senescenza. Anche se la razionalità faceva cilecca, il pragmatismo continuava a essere affidabile, e Chris si considerava un pragmatico. Se funziona, esiste. E le conversazioni di Cirocco con Gaby avevano sempre funzionato molto bene nel predire il futuro. — Quando arriverà? — le chiese. — Qui su Gea? È già arrivata. Anzi, ormai dovrebbe anch'essere vicina a Junction. — Sta venendo qui? — Ce le sta portando Conal. Con loro ci saranno anche alcuni titanidi. Di che ti preoccupi? Non ce li vuoi? — Non è mica per questo! Sarà bellissimo rivederla. Chi avrebbe mai potuto sperare in un suo ritorno? — Diede un'occhiata in giro per la cucina. — Solo che mi chiedevo se sono abbastanza attrezzato per ricevere tutti questi ospiti… Forse sarebbe meglio se facessi un salto a procurarmi… Cirocco rise, circondandolo con le sue braccia. Egli chinò lo sguardo a fissarla in viso, riconoscendovi quell'inconfondibile scintilla di ribalderia. — Oh, Chris, adesso non metterti a far la parte della brava massaia! — lo punzecchiò, baciandolo. — I titanidi se la cavano meglio di te, e poi loro ci si divertono sul serio… — D'accordo. Allora che si fa? — L'abbracciò, fece scivolare le sue mani lungo la schiena di lei giù giù fino alle natiche, e la sollevò senza sforzo. — Innanzitutto togliamo la pancetta e il pane dalla stufa prima che si brucino. Ho deciso che non sono poi così affamata come credevo. — No? — Be', non in quel senso lì. Sai, ho corso a perdifiato per tutta 'sta ruota fetente senza nulla da guardare a parte i Fabbri Ferrai. — Insinuò una mano fra i loro corpi, obiettivo il basso ventre di lui, e lì giunta, strinse. — Tutt'a un tratto, strano a dirsi, la tua brutta faccia tosta mi sembra persino attraente. — Quello lì non è mica la mia faccia tosta, vecchia strega. — Staremo a vedere — disse, e strinse ancora. Al compimento del tredicesimo decennio di vita, la noia rappresentava uno dei più gravi timori di Cirocco. Le erano state risparmiate le devastazioni della vecchiaia, l'ottundersi dei sensi e l'offuscarsi delle facoltà mentali. Ci si poteva tuttavia aspettare che un giorno o l'altro il fatto di coricarsi con un amante e di celebrare con lui gli antichissimi rituali del coito le sarebbe venuto a noia. Quel giorno Cirocco sarebbe stata pronta a morire. Ma, finora, tutto bene. Se ne stavano insieme in mansarda, una specie di attico che sorgeva sull'edificio principale di Tuxedo Junction. Su ciascuna delle sei pareti si aprivano finestre. Una scala a pioli scendeva al terzo piano, mentre un'altra si arrampicava alla torre campanaria ospitante il carillon di Chris. Lungo una delle pareti, attraverso fori praticati nel pavimento e nel soffitto, sfilavano due dozzine di funi. — — Bello, eh? — disse Chris abbandonandosi su di lei. — Tre volte bello — replicò Cirocco, e trasse dalla campana altri due squilli. Poi si avviluppò braccia e gambe attorno a Chris, stringendolo più forte che poté. Vivere su Gea presentava aspetti positivi e aspetti negativi. Ad alcune cose, come l'immutabilità della luce ambientale, Cirocco non prestava quasi più attenzione. L'avvicendarsi del giorno e della notte era ormai solo un vago ricordo. Uno dei lati positivi cui lei di solito non faceva caso, era la bassa gravità. E l'amplesso restava l'unica occasione nel corso della quale tornava ad accorgersene. Neppure un uomo grande e grosso come Chris pesava poi tanto, in quelle circostanze. Lungi dal divenire un fardello soffocante, il suo corpo rimaneva in ogni istante una calda e confortante presenza. Potevano rimanersene a giacere così per ore intere, se lo desideravano, lui completamente rilassato, e lei senza correre il rischio di farsi spremere come un pomodoro. A Cirocco piaceva molto. Quando un uomo era dentro di lei, detestava essere costretta a distaccarsene. Sollevandosi leggermente, Chris stette lì a guardarla. Luccicava di sudore, e anche questo le piaceva molto. — Non ha detto nulla del… — Chris non sapeva come concludere la frase, ma la cosa non aveva importanza. Cirocco aveva capito lo stesso. — Nulla. Nemmeno una parola. Ma io so che accadrà, e presto. — Come fai a saperlo? Lei si strinse nelle spalle. — Non lo so. Chiamala intuizione di una sessantenne… — È passato un bel pezzo da quand'eri una sessantenne. — Come sarebbe a dire? Ci sono arrivata già due volte, tutto qui. Sono una sessantenne doppia, più dieci. — Sì, e credo proprio che ciò ti renda il doppio desiderabile di qualunque altra, più dieci. — Ora sì che dici bene. Anzi… L'udirono contemporaneamente. Non lontano, voci titanidi s'innalzavano in un canto. Chris la baciò, alzatosi andò alla finestra, guardò giù in direzione del ponte. Cirocco si girò su un fianco, indugiando a rimirarlo. Era assai soddisfatta di ciò che le mostravano i suoi occhi, ma si chiedeva cosa ne avrebbe pensato Robin. Dalla vita in giù, Chris risultava l'umano più peloso che lei avesse mai veduto. Pareva quasi che indossasse pantaloni di pelle d'orso. Era un pelo color castano, come i suoi capelli, e in nessun punto scendeva sotto i venticinque centimetri di lunghezza. Era morbido e sottile, senza dubbio la più bella pelliccia in cui fosse possibile avvolgere le proprie gambe. Chris stava mutandosi in un titanide. La trasformazione durava ormai da cinque miriariv. Sul torace e sulle braccia non presentava ombra di peli. La barba aveva smesso di crescergli da un bel pezzo, e adesso il suo mento era liscio come quello di un ragazzo. In condizioni di luce favorevoli, il suo viso poteva passare per quello di un dodicenne. C'erano pure altre cose, qua e là, che avrebbero senza dubbio lasciato Robin sbigottita… come la coda, per esempio. La parte carnosa della novella appendice misurava solo una quindicina di centimetri, ma Robin era in grado di contraria e farne sventolare il crine fluente come un vivace cavallino. Egli andava assolutamente orgoglioso della sua coda, e non ne dominava le reazioni più di quanto avrebbe potuto fare un cane. Mentre lui osservava il gruppo attraversare il ponte, quella gli scodinzolava avanti e indietro tutta eccitata. Sorridendo, Chris si volse a Cirocco. — Sono loro — annunciò, e le lunghe orecchie gli si rizzarono impettite svettando oltre la sommità del capo. La mente di Cirocco volò indietro di centoventicinque anni, riportandola a un film già vecchio a quei tempi: un cartone animato con dei ragazzi che si trasformavano in asinelli, e un bambino di legno, e sua madre che gli tendeva la mano nel buio… ma non riuscì a ricordarne il titolo. — Gli vado incontro — disse Chris avviandosi giù per la scala. Indugiò. — Tu non vieni? — Fra un minuto. — Lo guardò andar via, poi si mise a sedere sull'enorme sacco imbottito di paglia che avevano usato come letto. Si scansò dal viso la folta massa di capelli bianchi, si stiracchiò, e guardò dalla finestra opposta a quella che aveva usato Chris. Là fuori c'era Gaby. Seduta sul ramo di un albero all'altezza della torre campanaria, distante non più di quindici metri. — È stato bello? — chiese Gaby. — Sì. — Pur rendendosi conto che Gaby poteva esser lì da chissà quanto, Cirocco non provò imbarazzo né risentimento. — Devi stargli molto dietro, a Chris. È in grave pericolo. — Che posso fare? — Ci sono risposte che non conosco. — Un'ombra di tristezza scese a oscurarle il volto, ma fece presto a liberarsene. — Due cose — disse. — Primo, egli è padre di entrambi. Potrebbe anche saperlo, perché Robin ne è già abbastanza certa. — Chris? — Sì. Te ne accorgerai. Con Nova, per lo meno. Ma anche col ragazzo. — Il ragazzo? Che ragazzo? — Secondo — continuò Gaby. Sogghignò. — Non strozzare la ragazza. Ti farà diventar matta, ma cerca di sopportarla. Ne vale la pena. — Gaby, io… — Poi Cirocco restò senza fiato, mentre Gaby si ribaltava giù dal ramo tuffandosi verso il laghetto sottostante. Ne colse un'ultima fugace visione, braccia protese verso il basso, punte dei piedi dritte a piombo dietro di sé, poi l'apparizione fu inghiottita dal fogliame. Rimase tanto, ad ascoltare, ma non udì il tonfo del corpo in acqua. |
||
|