"Demon" - читать интересную книгу автора (Varley John)

SETTE

In sogno, Cirocco aprì gli occhi.

Giaceva distesa supina sulla finissima sabbia nera. La sua testa riposava appoggiata allo zaino. La sabbia era perfettamente asciutta, così come il suo corpo. Spalancò le braccia e piantò le dita nella sabbia, rivolse in alto la punta dei piedi e sentì la sabbia scivolare sotto i calcagni, mosse le spalle e i fianchi in un lenta, sensuale traslazione circolare che incrementò di qualche centimetro l'incastonamento della nicchia sabbiosa modellata sui contorni del suo corpo. Esalò un profondissimo respiro, e si rilassò completamente.

Era consapevole di ogni muscolo, di ogni osso. La sua pelle vibrava d'una tensione indicibile, ciascuna terminazione nervosa attendeva di provare nuovamente quella strana sensazione.

Che venne, dopo un intervallo d'incommensurabile temponirico. Una piccola mano le accarezzava la gamba sinistra, dall'estremità del piede sino al ginocchio, e poi giù in senso opposto. Ne avvertiva distintamente il tocco. Quattro dita, un pollice, il polso. Non era una pressione accentuata, non era un massaggio, ma neppure il solletichìo d'una piuma. Lei osservava senza timore, come accade in certi sogni. Seguendo il movimento della mano invisibile, poteva vedere sulla trama della propria epidermide i lievi mutamenti provocati da quel passaggio.

Le s'inturgidirono i capezzoli. Chiuse gli occhi (sotto le palpebre non gravava una completa oscurità) e premette la testa all'indietro contro lo zaino, sollevando le spalle dalla sabbia e inarcando la schiena. La mano si spinse più su fino alla coscia, mentre un'altra si appoggiava a coppa sopra una mammella, passava dita leggere attorno alla convessità, titillava col pollice il capezzolo increspato. Cirocco sospirò, riadagiandosi sulla sabbia cedevole.

Senza uscire dal sogno, riaprì gli occhi.

Il paesaggio attorno s'era fatto più scuro. In quella terra di luce immutabile, sembrava che un crepuscolo stesse dilagando sopra il lago immoto. Cirocco gemette. Le sue gambe s'erano fatte pesanti, congestionate; le spalancò, offrendosi al cielo che si andava incupendo. I suoi fianchi parvero scaturire dal suolo stesso; li protese con forza verso l'alto, nel più antico dei gesti, quindi tornò a rilassarsi.

Una alla volta, le orme di due piccoli piedi apparvero a incavare la sabbia in mezzo alle sue gambe. Quindi si manifestò l'impronta delle ginocchia. La sabbia fremette in un brulichìo d'infiniti granellini, prima assumendo la forma di due gambe, poi facendo spazio al profilo dei fianchi mentre il fantasma, inginocchiatosi, mutava posizione. Entrambe le mani poggiavano sulle sue cosce, adesso, movendosi delicatamente avanti e indietro.

Cirocco richiuse gli occhi, e la sua visione migliorò immediatamente. Spettrali immagini del lago, della spiaggia opposta e del cielo pulsarono sotto le sue palpebre serrate. Si sollevò sui gomiti e lasciò ricadere la testa all'indietro. Attraverso la sottile barriera delle palpebre scorgeva alberi svettanti a convergere verso un punto del cielo. Il cielo era color del sangue. Piegò le gambe, sollevando le ginocchia divaricate. Ansimò, mentre quelle mani esploravano il suo corpo. Continuando a tenere gli occhi chiusi, alzò la testa.

Se guardava dritto innanzi a sé non vedeva altro che il palpitare delle sue stesse pulsazioni cardiache, le amorfe lampeggianti immagini fugaci delle proprie retine. Ma traslando l'asse ottico di lato, bene attenta a mantenere gli occhi chiusi, riusciva a percepire una figura inginocchiata fra le sue gambe spalancate. Pareva una raffigurazione cubista, osservabile contemporaneamente da ogni lato, un'entità stratificata il cui sviluppo in profondità sfuggiva all'onirovisione periferica, una presenza d'iridescenti vapori raggrumati da un viluppo di raggi di luna. Cirocco sapeva cos'era, e non lo temeva.

Nel sogno aprì gli occhi su una tenebra quasi assoluta.

L'ombra era lì inginocchiata. Sentì le sue mani scenderle lungo le cosce e dispiegarlesi sul ventre, vide chinarsi il diafano volto appassionato, sentì la carezza delle sue chiome fluenti, percepì il vellichìo del suo respiro caldo, e il bacio delicato, il bacio sempre più incalzante, il dischiudersi bramoso di bocca e vulva, la penetrazione della lingua, le mani contornanti i fianchi per scendere ad afferrarle forte le natiche sollevando il suo grembo dal cedevole giaciglio di sabbia.

Rimase per un istante come pietrificata. La testa abbandonata all'indietro, la bocca spalancata ma incapace di emettere anche un solo suono. Quando infine riuscì con un singulto a espirare, il respiro ritrovato divenne un gemito che andò a plasmarsi in una parola sussurrata.

— …Gaby…

Un'oscurità impenetrabile l'avvolgeva. Cirocco protese le braccia, immerse le mani tra i folti capelli di Gaby, scese a carezzarle il collo, le spalle, serrò tra le gambe quel corpo minuto, e Gaby risalì a baciarle il ventre, le mammelle, il collo. Cirocco sentì scorrere su di sé l'inobliata pienezza di quei seni grevi, la flessuosità delle dilette membra meravigliosamente gravarle addosso. Le sue mani esplorarono avide l'impossibile solidità del corpo di Gaby. Udì il respiro di Gaby alitarle vicino a un orecchio, s'inebriò del composito effluvio che inconfondibilmente apparteneva a Gaby. E pianse.

In sogno, Cirocco richiuse gli occhi.

Vide lacrime negli occhi di Gaby, e un sorriso sulle sue labbra. Si baciarono. La nera, nera chioma di Gaby circonfuse i loro volti.

Aprì gli occhi. Stava tornando la luce. Gaby continuava a giacere su di lei. Si scambiarono teneri ciangottii inarticolati, mentre un fievole lucore crepuscolare scendeva lento a rischiarare il mondo. Cirocco rivide il volto amato. Lo baciò. Gaby rise piano. Poi puntò le mani sulla sabbia e si mise in ginocchio, sistemandosi a cavalcioni di Cirocco. Le porse una mano e si alzò in piedi, tirandosela dietro. La sabbia aderiva come carta moschicida. Dovette far forza, per riuscire ad alzarsi. Quando infine furono in piedi, Gaby fece volgere Cirocco e le additò il suolo. Cirocco vide il proprio corpo disteso sulla sabbia, immobile.

— Sono morta? — chiese. Non sembrava una domanda importante.

— No, miadorata. Non sono l'angelo della morte. Camminiamo un poco insieme. — Gaby le passò un braccio attorno alla vita, e andarono fianco a fianco lungo la spiaggia.

Nel sogno si parlarono. Ma non con ampie frasi. Bastò qualche parola, di tanto in tanto. Antiche pene, antiche gioie tornarono alla luce dispiegandosi sotto il cielo giallo di Giapeto, ed esse ne piansero insieme, ne risero insieme, riponendole poi con cura al loro posto. Rammentarono cose avvenute un secolo prima, ma non un solo accenno agli ultimi vent'anni. Quei due decenni neppure esistevano, per le due vecchie amiche.

Venne infine per Gaby il momento di andare. Cirocco si avvide che i piedi di Gaby non calcavano più la sabbia, e cercò di trattenerla, ma la piccola figura di lei continuò a innalzarsi pian piano verso il cielo mentre, come accade nei sogni, i movimenti di Cirocco si facevano troppo deboli e lenti per riuscire a evitare quel distacco. Furono momenti di grande tristezza. Quando Gaby se ne fu andata, Cirocco rimase lì sola a piangere un poco, nella luce ormai piena.

È tempo di svegliarsi, pensò.

Poiché nulla accadeva, volse lo sguardo lungo la spiaggia. Due serie di orme portavano sino al punto in cui lei si trovava, stanca e demoralizzata.

Chiuse gli occhi e si schiaffeggiò le guance. Quando li riaprì, la situazione le apparve immutata. Ritornò dunque sui suoi passi costeggiando l'acqua.

Nel camminare si osservò i piedi nudi, che scavavano nuove impronte accanto alle tracce orientate in direzione opposta. L'Uccello-che-non-c'è, pensò, e non le riuscì di ricordare da dove venisse fuori quell'espressione. Stai invecchiando, Cirocco.

Il suo corpo attendeva a breve distanza dall'acqua, in un punto in cui la sabbia era abbastanza asciutta e fine da poterci riempire delle clessidre. Giaceva con la testa appoggiata sullo zaino, le mani conserte in grembo, le gambe allungate al suolo e incrociate all'altezza delle caviglie. Gli s'inginocchiò accanto. Il corpo respirava con ritmo lento e regolare.

Ne distolse lo sguardo per portarlo… su se stessa. Sul corpo nel quale viveva. Ne riconosceva ogni particolare. Si palpò, si stropicciò le mani, ne sollevò una cercando di vedervi attraverso ma senza riuscirci. Si pizzicò una coscia e osservò l'arrossamento della pelle.

Dopo un poco tese una mano verso il corpo disteso e ne toccò un avambraccio. Nessun dubbio che si trattasse di una presenza distinta, estranea alla percezione che Cirocco aveva di sé. Una dicotomia, dunque, assolutamente normale, ma complicata da un'imprevista e inquietante alterazione. E se quel corpo si fosse tirato su a sedere e avesse incominciato a chiacchierare?…

Era decisamente ora di svegliarsi, concluse Cirocco.

O di andare a dormire.

Fece appello all'esperienza di un intero secolo di vita, interrogando la saggezza delle sue viscere e la consapevolezza della sua mente, e finì per imbattersi in una nozione, inesprimibile a parole, che le solleticò l'anticamera del cervello. Inutile tentare di rifletterci a fondo. Non sempre, su Gea, una razionale costruzione di pensiero costituiva il miglior modo di affrontare i casi della vita. Strane cose accadevano, e non tutto poteva venire spiegato.

Lasciò dunque che il suo istinto prendesse il sopravvento. Senza fermarsi a ragionare, chiuse gli occhi e si sbilanciò in avanti, girando su se stessa mentre cadeva. Avvertì per un istante il contatto con la pelle dell'altro corpo, una curiosa ma tutt'altro che spiacevole impressione di pienezza in qualche modo paragonabile a certe sensazioni della gravidanza, poi si trovò a rotolare sulla sabbia. Riaprì gli occhi, si mise seduta. Era sola.

Le orme impresse al suolo apparivano immutate. Due serie di tracce che si allontanavano, una che tornava.

Si spostò carponi fino alla sabbia più compatta e umida che preludeva all'acqua. Scelse una delle impronte piccole — bene arcuata, cinque dita chiaramente individuabili come singole cavità — e percorse leggermente con la punta delle dita l'interno degli avvallamenti. Passò all'impronta successiva, abbassandosi poi fin quasi a toccarla col naso. Percepì abbastanza distintamente l'aroma di Gaby. Le orme grandi, quelle che lei stessa aveva impresso, non le restituirono invece, come di consueto, alcuna impressione olfattiva. Cirocco, sebbene dotata di un senso dell'odorato disumanamente acuto, non riusciva peraltro a distinguere la propria pista dal suo stesso onnipresente effluvio.

Avrebbe voluto indugiare a riflettere, ma d'improvviso fiutò qualcos'altro, ancora molto distante eppure inconfondibile. Raccattò di slancio lo zaino e spiccò la corsa, alla massima velocità, in direzione di Tuxedo Junction.