"Demon" - читать интересную книгу автора (Varley John)OTTORobin ciarlò ininterrottamente per quasi un riv. Chris se l'era aspettato, e non ci fece caso. La piccola strega, sull'onda del ringiovanimento, sprizzava energia da tutti i pori. Era in parte una questione di natura chimica, la spinta di misteriose sostanze che impetuosamente le si agitavano nel sangue, penetrando in ogni cellula per operarvi le loro trasformazioni. E in parte una questione psicologica, del tutto comprensibile. Robin appariva ringiovanita di cinque anni, e si sentiva bene come non mai negli ultimi dieci. Il risultato era una via di mezzo fra l'aver fatto uso di anfetamine e l'esser preda di una psicosi maniaco-depressiva. I picchi positivi, quasi insostenibili nella loro intensità, proiettavano ad altezze himalaiane; quelli negativi, misericordiosamente brevi, inghiottivano lacerando. Chris se lo ricordava bene. Per lui, ormai, non era più un'esperienza così esaltante. Dopo ogni visita alla fontana continuava a sentirsi bene come in passato, ma si trattava di una condizione del tutto passeggera, che andava a mutarsi in sofferenza nell'arco di pochi riv. La sentiva nascere lungo la colonna vertebrale e sulle tempie, ma non se ne dava pensiero. Erano semplici dolori legati al suo processo di trasformazione. Incapace di restarsene seduta, percorrendo avanti e indietro la stanza pentagonale che Chris aveva costruito e internamente tappezzato di pannelli in rame recanti rievocazioni di lei, Robin sciorinò con instancabile vivacità gran parte della storia della propria vita. Chris rimase semplicemente seduto al tavolo che occupava il centro dell'ambiente, annuendo al momento opportuno, fornendo risposte non impegnative quando gli pareva che la buona creanza lo richiedesse, e continuando a rimirare la solitaria candela che gli stava dinnanzi. Infine Robin ritrovò la calma. Si appollaiò sull'alto sgabello dall'altra parte rispetto a Chris e appoggiò i gomiti sul tavolo, fissando la candela con occhi più luminosi della fiamma. Pian piano il suo respiro si acquietò, ed ella spostò lo sguardo dalla candela al volto di lui. Era come se lo notasse per la prima volta. Dopo diversi tentativi andati a vuoto, le riuscì finalmente di spiccicar parola. — Mi dispiace — disse. — Non è il caso. Ti assicuro ch'è una gioia assistere a tanta esuberanza. E siccome hai la tendenza a essere piuttosto riservata, in questo modo mi sono risparmiato un sacco di domande. — Grande Madre, quanto ho chiacchierato! Proprio non riuscivo a fermarmi, sai, dovevo assolutamente raccontarti… — Lo so, lo so. — Chris, ma questo è un fatto… miracoloso! — Si guardò il braccio, contemplando il tatuaggio sfavillante di colori. Si sfregò la pelle per la centesima volta, incredula, mentre sul volto le balenava un ultimo barlume del timore che quel prodigio potesse venir via. Chris allungò una mano ad afferrare la pingue candela e la rigirò tra le dita inclinandola sulla base, osservando con aria imbronciata la cera sgocciolare lungo i fianchi. — Sì, è meraviglioso — assentì. — È uno dei pochi luoghi sui quali Gea non ha potere. Vedendolo, ti rendi conto che questo dev'essere stato davvero un posto favoloso per viverci, tanto tempo fa. Robin alzò la testa con decisione e lo fissò. Chris non fu capace di reggere quello sguardo. — Allora — disse Robin. — Mi hai chiesto di venir qui per discutere di qualcosa. Hai parlato di una proposta. Vuoi dirmi di che si tratta? Accigliato, lui seguitò a far finta d'interessarsi alla candela. Sapeva che Robin apprezzava la franchezza e si sarebbe spazientita, se avesse avvertito che lui continuava a menare il can per l'aia. Ma non riusciva a trovare il modo d'incominciare. — Che progetti hai, Robin? — In che senso? — Dove hai pensato di stabilirti? Cosa pensi di fare? Robin prese un'aria stupita, poi diede attorno un'altra rapida occhiata al bizzarro ambiente che lui aveva creato. — Temo proprio di non averci ancora riflettuto. Quell'uomo, Conal, ha detto che non avresti avuto nulla in contrario se fossimo rimasti qui per un poco, e allora… — Puoi esserne certa, Robin. Questo luogo appartiene a tutti i miei amici. Sarei felice se tu volessi farne la tua casa. Per sempre. Lei lo guardò con gratitudine, ma anche con un pizzico di diffidenza. — Ti ringrazio, Chris. Sarà bello trascorrere qui un po' di tempo, in attesa di prendere qualche decisione. Lui sospirò, fissandola dritto negli occhi di là dal tavolo. — Adesso ti farò una richiesta precisa. Spero che vorrai considerarla attentamente, prima di rispondermi. E spero che sarai sincera. — Benissimo. Ti ascolto. — Voglio Adam. Il viso di lei si raggelò. Per un tempo interminabile Robin rimase inerte come una statua di sale. — Cosa provi in questo momento? — le chiese Chris. — Rabbia — rispose lei con voce inespressiva. — No, subito prima. Un attimo prima d'indossare la tua corazza. — Gioia — disse, e si alzò. Sì avvicinò al bassorilievo in rame che la raffigurava sulla parete di fondo, percorrendolo lentamente con la mano. Poi si volse a fronteggiare Chris. — Pensi che sia una cattiva madre? — Siamo rimasti separati per vent'anni. Non lo so. Ma vedo Nova, e mi rendo conto che nei suoi confronti tu sei una buona madre. — E per Adam? Credi che anche per lui io sia una buona madre? — Credo che ti sforzi di esserlo, e ho l'impressione che ciò provochi in te un conflitto. Lei tornò al tavolo, trasse a sé lo sgabello e ci si arrampicò. Giunse le mani appoggiandosele davanti, e guardò Chris. — Sei una persona intelligente, Chris, ma non è detto che tu sia un genio. Ti ho già raccontato che per poco non lo uccisi, appena nato. Forse stenterai a capire una cosa del genere, ma… se davvero lo avessi soppresso, non mi sarei sentita un'assassina. Perché sarebbe stata quella, la cosa giusta da fare. Lasciarlo in vita mi ha rovinato politicamente, socialmente… quasi in tutti i modi possibili. Però vorrei che tu ti convincessi che nessuno di quei fatti ha avuto alcun peso nella mia decisione. — Non ho difficoltà a crederlo. Le opinioni altrui non sono mai state molto importanti, per te. Lei gli fece un gran sorriso, e per un attimo parve tornata ai suoi diciannove anni. — Ti ringrazio. Ma vedi, per un po' le opinioni degli altri furono molto importanti. Penso che non mi avresti riconosciuta. Quando però lui lasciò il mio corpo uscendo alla luce, mi feci un bell'esame di coscienza. E da allora non ho più smesso. — Lo ami? — No. Provo per lui un grande affetto. E sarei pronta a morire per difenderlo. I miei sentimenti nei suoi confronti… no, dire che sono ambivalenti non rende affatto l'idea. Forse lo amo davvero. — Sospirò. — Però Adam non fa nascere in me nessun conflitto. Ho fatto pace con lui e con il nostro comune destino, e sarò una buona madre. — Non ne ho mai dubitato. Lei lo fissò aggrottando la fronte, e fece un ampio gesto con la mano. — Allora non capisco. — Robin, io non ho mai avuto intenzione di salvarlo da te, e mai ho neppure immaginato che potesse averne bisogno. — Per un istante il suo volto s'incupì. — Comunque debbo ammettere che Nova mi dà qualche pensiero. — Anche lei è giunta vicina a ucciderlo. — La cosa non mi sorprende. È molto simile a com'eri tu quando avevi la sua età. — Io ero peggiore. La differenza tra me e lei consiste nel fatto che io sarei riuscita sul serio a ucciderlo, e lei invece no. E il motivo per cui non ci sarebbe riuscita, è che in effetti non ne aveva l'intenzione. Infatti scelse un momento in cui non potevo fare a meno di sorprenderla, e simulò quel gesto disperato più che altro allo scopo di verificare se avrei davvero cercato di fermarla. — Credi che adesso Adam non debba temere nulla da lei? — Nel modo più assoluto. Ha dato la sua parola. Ricordi quale importanza aveva per me un giuramento? Bene, e allora tieni presente che in confronto a Nova io avrei potuto essere tranquillamente considerata una vanerella senza spina dorsale. — Prese la candela dal centro del tavolo e la spostò da una parte. — E adesso potresti dirmi qual è il vero motivo per cui mi hai chiesto Adam? — Perché sono suo padre. — Trasse un respiro profondo. — Bisognerà che tu mi spieghi diverse cose. Innanzitutto com'è congegnata una famiglia nella Congrega. Non so come funzioni la faccenda, visto che siete tutte donne. Che fate, vi sposate fra di voi? E i bambini hanno uno o due genitori? Robin si prese qualche istante per rifletterci, e infine fece una smorfia. — Ne parlai un poco a Gaby, tanto tempo fa, e lei mi spiegò qualcosa delle usanze eterosessuali. Ricordo che arrivai alla conclusione che non si tratta poi di due stili di vita tanto differenti. Circa il trenta o il quaranta per cento di noi formano un legame di coppia e lo portano avanti. Anche le altre, quasi tutte, cercano d'impostare un rapporto duraturo, ma l'unione va in pezzi entro pochi anni. Più o meno un dieci per cento tengono rigorosamente scissa la vita sessuale da quella familiare, hanno amori occasionali o periodici e sono contente così. — Genitori separati — osservò Chris. — Nel posto dove sono cresciuto io, la quota dei divorzi si aggirava sul settantacinque per cento. Ma ora sto parlando della mia educazione, della mia percezione di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. E io sento che un padre ha delle responsabilità, nei confronti dei propri figli. — Come la mettiamo con Nova? Anche lei è figlia tua. — Temevo appunto che tu me lo chiedessi. Non è più una bambina, d'accordo, ma rimane ancora parte di me, e cercherò di agire anche nel suo interesse. Robin scoppiò a ridere. — Però non dovresti dirlo così a denti stretti, perché in questo modo m'induci un poco a dubitare delle tue intenzioni… — Non sarà una passeggiata, te lo concedo. — Dai, non ti preoccupare. Nova è un sacco di cose, ma facile da amare, questo proprio no. Comunque, lasciando un momento da parte la questione, ed evitando di addentrarci in quella tua idea di fare ciò ch'è giusto per Nova, di qualunque cosa possa trattarsi… insomma, ancora non m'hai detto veramente perché vuoi Adam. Soltanto perché sei suo padre? Chris allargò le mani sul tavolo e rimase lì a fissarle… grandi, irruvidite dal lavoro, e in quel frangente del tutto inutili. — Non so se riuscirò a spiegarmi. — Si accorse d'essere assai prossimo alle lacrime. — Mi sento disorientato… pieno di dubbi… — Accennò con una mano alle proprie orecchie, mezzo nascoste tra la profusione di capelli. Erano lunghe e appuntite. — Sto cambiando. L'ho chiesto io, e lo volevo davvero… almeno credo. Ormai è un po' tardi per tornare indietro. Io e Valiha… oh, accidenti, non è un discorso da affrontare adesso, come faccio a parlartene ora… Si nascose il viso fra le mani, e pianse. Pareva non esserci modo di farle capire. Abbandonato al pianto, perse la nozione del tempo. Quando rialzò la testa constatò che lei era ancora al suo posto e lo fissava incuriosita. Gli rivolse un sorriso lieve, inteso probabilmente a rassicurarlo. Chris si asciugò gli occhi. — Ho l'impressione che qualcuno m'abbia giocato un brutto tiro. Eppure ho aiutato Serpentone a venire al mondo, per me è come un figlio, e lo amo teneramente. Amo tutti i titanidi. E un giorno sarò uno di loro. — Quando? — Non lo so. Rientra fra le mie incertezze. È un processo misterioso. Interminabile. E inoltre sta cominciando a diventare doloroso. Immagino che farei ancora in tempo a fermarmi, e rimarrei bloccato per sempre in questa condizione intermedia fra l'umano e il titanide. Vedi, Robin… i titanidi non sono umani. Sono migliori e peggiori, simili eppure diversi, ma comunque non sono umani. Il novantanove per cento di me vuol'essere titanide, e così… così non potrò più soffrire come ho sofferto per tanto tempo. E poi capirò Valiha, e forse riuscirò anche a spiegarle il perché di certi miei comportamenti. Però rimane sempre quel fastidioso uno per cento, spaventato a morte dalla prospettiva di smarrire definitivamente la propria umanità. — Allora sei tu, quello ch'è lacerato da un intimo conflitto… — Una definizione calzante, tutto sommato. — Quindi Adam incarnerebbe il tuo ultimo legame con la natura umana. — Sì. E io sono comunque suo padre, a prescindere da quanto tortuoso possa essere stato il procedimento che ha creato questa parentela. Robin si alzò, accostandosi nuovamente alla parete. Chris prese la candela e la raggiunse. Tenne alta la piccola fiamma, mentre Robin sfiorava i bassorilievi in rame. — Mi piace — disse. — Grazie. — All'inizio non credevo, ma dev'essere una cosa che convince piano piano. — Seguì delicatamente i contorni della propria immagine, movendo un dito lungo la convessità del ventre gravido. Si rivolse a Chris. — Perché mi hai raffigurato incinta? — Non lo so. Non è stata una scelta cosciente. — E poi hai tralasciato… — Si poggiò le mani sull'addome, nel punto in cui sino a poco prima aveva recato un orrendo tatuaggio, un mostruoso, provocatorio, disperato graffito che una fanciullina orgogliosa aveva voluto scarabocchiare sul proprio corpo. La prodigiosa fonte l'aveva portato via. Ed era come se non fosse mai esistito. — D'accordo, prendilo — gli disse. Per un istante Chris non riuscì a credere di averla intesa bene. — Ti ringrazio. — Dalla tua faccia non si direbbe che ti aspettassi di convincermi… — E infatti non me l'aspettavo. Cosa ti ha fatto cambiare idea? Un pensiero divertito guizzò a deporle un ricciolo d'irrisione in canto di labbra. — Quante cose hai scordato, di me… Questa decisione l'avevo già presa circa mezzo secondo dopo avere udito la tua richiesta. Ma poi ti ho lasciato esporre le tue motivazioni, perché volevo essere certa di non essermi semplicemente lasciata attrarre dalla soluzione più facile. Chris era così esultante che la sollevò facilmente come fosse una bambina, e si mise a baciarla, mentre lei rideva facendo finta di respingerlo. Stavano ancora ridendo tutti e due quando l'urlo li colpì. La vibrazione penetrò nel cervello di Chris, superandone d'un balzo l'area conscia per immergersi direttamente a innescare una reazione così basilare da identificarsi con un riflesso istintivo, ed egli giunse in piena corsa a varcare d'impeto la soglia molto prima d'aver compreso chi avesse lanciato quel grido. |
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