"Demon" - читать интересную книгу автора (Varley John)

UNDICI

Sulla strada per Tuxedo Junction, Luther ebbe una Visione. Seppe che le cose non sarebbero andate lisce, per lui, e pensò che Gea intendesse utilizzare quella consapevolezza per spronarlo. E infatti, allorché raggiunse la cima dell'alta collina sovrastante il lago, l'albero e la casalbero, era appena in tempo per assistere al finale.

La Visione era ancora con lui. Essa non si affidava al suo unico globo oculare superstite; alberi, pareti e distanze non le erano d'alcun impedimento. Luther poté quindi vedere le truppe di Kali invadere la casa, e il bimbo rimaner solo a giocare nella stanza. Osservò il selvaggio semititanide correre su e giù per le scale, vide Cirocco Jones irrompere di corsa sulla scena, conobbe il momento in cui i due umani e i tre titanidi s'immersero nel fiume.

Quando il Demone si tuffò in acqua, per un istante osò sperare. Sebbene odiasse Jones profondamente, sapeva bene che nessun membro della banda di Kali poteva starle alla pari… né, quanto a questo, alcuno dei suoi stessi discepoli. Nulla avrebbe recato più gioia a Luther del vedere il Demone fare a pezzi la putrida progenie di Kali. Allora il bambino avrebbe potuto essere suo…

Non poté far altro che rimanere a guardare, incredulo, mentre l'angelo piombava a capofitto sulla preda.

— Angeli! - strillò. — Angeli? Uìo Dio, uìo Dio, ferché ui hai avvandonato?

I suoi discepoli gli si agitavano nervosamente accanto, impazienti di proseguire. Non disponendo di menti proprie, essi rimanevano in qualche modo in sintonia con le emozioni di lui. Percepivano la sua furiosa frustrazione, il suo odio verso il Demone e Kali… e l'immediato, asperrimo timore per il peccato mortale che aveva appena profferito.

Luther portava alla cintura una particolare Croce di bronzo, coi bordi tutti affilati come rasoi. La tirò fuori e incominciò a squarciarsi le gambe, sentendo il sacro simbolo penetrare in profondità, esaltandosi nella mortificazione della carne.

Udì sopra di sé un suono gloglottante.

Alzò la testa, e vide Kali scendere dalla sua postazione appollaiata fra i rami di un albero. Un binocolo le sbatteva acciottolando contro il petto inverosimile. Il suo schiavetto personale, un ragazzino nudo di circa otto anni, le trotterellava dietro agile come una scimmia, col suo collare d'oro attaccato al metro e venti di catena pure d'oro che lo vincolava a Kali.

Kali era tutta oro e corruzione. La catena dello schiavetto era foggiata in metallo a quattordici carati, ma le decine di anelli che le contornavano le dita delle mani e dei piedi erano in oro puro, tenero, sottile. A sostegno delle sue gigantesche mammelle color ocra, ella indossava un originale reggipetto di ottone munito di contrafforti come una cattedrale gotica. Le sue gambe e le sue quattro braccia apparivan recinte d'un centinaio di nastri e anelli riccamente decorati, tutti quanti troppo angusti in proporzione all'arto cui strettamente s'avvolgevano, ragion per cui le carni debordavano rigonfie loro attorno. In vita s'inguainava di un busto d'oro del diametro di venticinque centimetri, dopo di che il suo corpo traboccava in steatopigia abbondanza. L'espressione "sagoma a clessidra" avrebbe anche potuto essere stata coniata per lei sola.

Sfoggiava unghie di bronzo lunghe quindici centimetri.

Il suo volto… be'. non era del tutto esatto parlare del volto di Kali, dal momento che lei disponeva di tre teste. Però quella di destra e quella di sinistra erano semplicemente imbullettate in loco. Ciascuna di esse portava un cappio da strangolatore stretto al collo. Quando una delle teste diveniva completamente putrefatta, Kali provvedeva a sostituirla attingendo alle vaste riserve di Gea. Al momento in cui ella scese giù dall'albero dirigendosi verso Luther — con una grottesca andatura vistosamente ancheggiante che le dava l'estro di una puttana in una camera mortuaria — uno dei due capi posticci risultava ormai fin troppo maturo, mentre l'altro era un acquisto recente. Quello vecchio era appartenuto a una femmina bianca. Ora come ora appariva decisamente marcio, color porpora, rossi globi oculari prominenti e nera lingua sporgente, e penzolava all'indietro trattenuto da un brandello di carne. L'altra testa, che aveva coronato il corpo di un uomo negro, non era mutata granché di colore per via dello strangolamento, e attualmente ciondolava come ubriaca tutta in avanti, oscillando ossequiosa all'incedere di Kali.

La testa di centro era stata — nel medesimo senso in cui Luther era stato un tempo il Reverendo Arthur Lundquist — una sacerdotessa che nella sua precedente esistenza aveva portato il nome di Maya Chandraphrabha. Di Maya, solamente quella testa rimaneva. Il suo era stato, in vita, un corpo immaturo, sgraziato e sterile. Colei che adesso portava l'appellativo di Kali non accusava mai fuggevoli rimpianti, non pativa mai neppure i passeggeri tormenti che talvolta assalivano colui che ora si chiamava Luther. Ella esultava della propria virulenta fecondità. Il suo grembo era prolifico come una medusa; ogni chiloriv ella partoriva una nuova urlante mostruosità a maggior gloria di Gea.

Indossava una cintura confezionata con teschi umani.

Il volto di Kali era morto, I suoi occhi potevano muoversi, ma ella non era capace di ammiccare, né di sorridere, né di aggrottar le sopracciglia, e neanche di chiudere la bocca. La sua mascella ricadeva inerte, e la lingua le ciondolava fuori della bocca. Il gloglottìo udito da Luther era la risata di Kali.

Kali era l'incarnazione dell'atrocità.

Chiocciolò a Luther, e le dita di due delle sue mani tracciarono in aria complicati ghirigori.

— Ellaèè dove cavolo sei stato, Luther — esordì lo schiavetto con voce piatta.

Il ragazzo, erede di un immenso patrimonio, era nato circa un anno prima dello scoppio della Guerra. Quando lui e la sua famiglia erano riemersi dal loro rifugio tra le montagne del Messico, una delle missioni benedette di Gea lo aveva preso a bordo. Sua madre era sorda, e ciò l'aveva costretto ad acquisire un talento che ora tornava utile a Kali.

Egli era stato, in passato, un intelligente, sano, vivace ragazzino di sei anni. Adesso il suo corpo era più o meno quello che avrebbe potuto disegnare con intenzionale esagerazione un vignettista politico, apponendoci come didascalia "La Fame nel Mondo". I suoi occhi non abbandonavano un solo istante le mani di Kali. Ed egli era almeno ottant'anni più vecchio di quanto non fosse stato due anni prima.

— Gea aveva dato a noi il diritto di frendere il vanvìno! — tonò Luther.

Kali chiocciolò ancor più forte, e le sue dita svolazzarono.

— Ellaèè Gea no te dato nessuno diritto de prendelo menoché non arrivavi primo — cicalò il ragazzo. — Ellaèè tu era in troppo fottuto ritardo. Ellaèè te è un prodesan… — Kali schiaffeggiò violentemente la faccia piena di lividi del ragazzo.

— …ellaèè te è un prade…

Altro schiaffo.

— …protesan…

Ancora un altro.

— …pro…tes…ta…nte… ellaèè te è un protestante rottinculo to… to… topodefogna testademerda pederasta cristiano. Ellaèè tu è troppo sozzo per vive. Ellaèè perché 'n te ne va ciucciare 'l pisello ar Papa.

— Frostituta di Vavilonia! Ueretrìsce di Gouorra!

— Ellaèè ben detto. Ellaèè lei te se fa a te e tutta tu' cricca de buchideculo. Ellaèè menoché t'hai faciuto voto de cista…

Kali lo colpì di nuovo.

— …cesti… cantti… catti… casti-sti-sti-sti-sti… casto… casti…tà.

Il ragazzo trasse un sospirone di gioia e di sollievo, quando gli riuscì di pronunziarla bene e Kali smise di percuoterlo.

— Castità, castità, castità — mormorò. La prossima volta non avrebbe sbagliato, questo è certo.

— Fafismo! — sibilò Luther, e intendeva papismo. Arthur Lundquist, il cui fievole spirito ancora debolmente ispirava le azioni della cosa ch'egli era divenuto, non avrebbe saputo distinguere il papismo dalle indulgenze plenarie, essendo un luterano tririformato e spiritualmente simpatizzante di gran parte delle sette cattoliche. Ma Gea si divertiva a far sì che tutti i suoi Preti fossero fondamentalisti, e lei aveva ottima memoria, e di conseguenza Luther era ancora più inferocito.

— Fafismo! — ripeté, e i suoi Apostoli si agitarono e stronfiarono minacciosamente in sintonia con lui. — Fafismo! Con che diritto hai freso il vanvìno?

— Ellaèè Gea disse a lei de fallo. Ellaèè ella facilito un casino de parecchio meglio lavoro che te e tuoi fottuti finocchi.

— Ua gli angeli… Io… — Luther s'interruppe, infuriato ma incapace di proseguire senza correre il rischio d'incappare in qualche solennissimo moccolo.

Perché a quella lì Gea aveva dato gli angeli? Luther non aveva angeli Lui non aveva mai avuto neppure un angelo, e nessuno gli aveva neanche mai accennato che potesse averne.

— Non funscionerà — ripiegò. — Il tuo angelo non sci arriva a Fandeuonio.

Il ragazzo osservò attento le fulminee traiettorie intessute dalle mani di Kali.

— Ellaèè girerà perfetto. Ellaèè ell'ha cuccato un bùggero de merdosi angeli. Ellaèè ell'ha beccato bastanza de ricambio per carrozzare il piccolo strunzetto fino Pandemonio. Ellaèè tepia cerebbe prenne 'n bel morzo sugoso de drento la su' bella umidosa…

Luther strillò, e colpì lo schiavetto. Il ragazzo incassò senza batter ciglio, così come nel corso degli ultimi due anni aveva incassato qualunque altra percossa, senza mai distogliere lo sguardo dalle mani di Kali, senza mai negarsi al suo ripugnante turpiloquio.

Aveva imparato a proprie spese che non si dava fonte di tormenti e umiliazioni che potesse mai competere con ciò che gl'infliggeva Kali.

Ma si sbagliava. Luther mulinò la sua croce, e il ragazzo morì all'istante. Poi si rivolse contro Kali, e gli Apostoli ne seguirono l'esempio, aggredendola in massa. Lei non oppose resistenza. Giacque supina chiocciolando soddisfatta, e la sua risata accrebbe ancor più la collera di Luther…

Finché non si accorse che tutti i suoi Apostoli erano morti.