"La Luna è una severa maestra" - читать интересную книгу автора (Heinlein Robert Anson)

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Tremava. Shorty le accarezzò la mano; lei gli rivolse uno sguardo di riconoscenza, poi mi sussurrò: — Com’è andata?

— Sei stata meravigliosa — le dissi. — Splendida! — Parve sollevata.

Però non ero stato sincero. Era stata meravigliosa nell’affascinare il pubblico. Ma in fatto di eloquenza valeva zero. Che fossimo schiavi, lo sapevo già dalla nascita, e non ci si poteva fare niente. È vero, non eravamo materialmente venduti e comprati, ma fino a quando l’Ente avesse conservato il monopolio per l’acquisto di ciò che potevamo vendere, eravamo schiavi.

Ma che cosa si poteva fare?

Il Governatore non era il nostro padrone. Se fosse stato così, avremmo potuto trovare qualche sistema per eliminarlo. L’Ente Lunare non si trovava sulla Luna, bensì sulla Terra… e non avevamo nessuna astronave, nemmeno una piccola bomba all’idrogeno. Sulla Luna non c’erano fucili e comunque non avremmo saputo che cosa farne. Spararci l’uno contro l’altro, forse.

Tre milioni di persone, disarmate e senza aiuto… contro undici milioni di terrestri muniti di navi, bombe, armi. Avremmo potuto dare loro qualche fastidio, ma quanto tempo sarebbe passato prima che papà perdesse la pazienza e sculacciasse il suo moccioso?

La cosa non mi impressionava. Come dice la Bibbia, Dio combatte dalla parte dell’artiglieria pesante.

Continuarono a chiacchierare su ciò che si doveva fare, sul modo di organizzarsi, eccetera, e di nuovo si sentì ripetere la sciocchezza della marcia a fianco a fianco. Il presidente dovette mettere in azione il martelletto e io cominciai a diventare nervoso.

Una voce familiare attrasse la mia attenzione. — Signor presidente! Mi è concesso l’onore di parlare?

Mi guardai intorno e vidi il Professor Bernardo de la Paz. Avrei potuto riconoscerlo dal suo modo antiquato di parlare anche senza vederlo. Era un uomo distinto, dai lunghi capelli bianchi ondulati, le fossette nelle guance e una voce che pareva un sorriso. Non sapevo che età avesse ma era già vecchio quando, ancora ragazzo, l’avevo visto per la prima volta.

Era stato deportato prima che nascessi, ma non in stato d’arresto. Era un esiliato politico come il Governatore, ma di tipo sovversivo, e invece di vedersi offrire una carica pubblica, il Professore era stato abbandonato a se stesso, libero di sopravvivere o morire di fame.

Indubbiamente avrebbe potuto trovare lavoro in qualsiasi scuola di Luna City, ma lui non ci aveva nemmeno provato. Si era guadagnato da vivere per un po’ facendo lo sguattero, poi come baby-sitter; infine aveva istituito un piccolo nido che, a poco a poco, aveva trasformato in asilo d’infanzia. Quando lo conobbi io, oltre all’asilo dirigeva un collegio che comprendeva scuola elementare, media e liceo, aveva alle sue dipendenze una trentina di insegnanti e stava per aprire corsi a livello universitario.

Non mi iscrissi mai al suo istituto come convittore, ma seguii le sue lezioni di giorno. Ero stato optato a quattordici anni e la mia nuova famiglia mi aveva mandato a scuola, dato che avevo avuto solo tre anni di istruzione regolare, a parte qualche lezione privata. La decana delle mie mogli, una donna decisa, mi aveva poi obbligato a tornare a scuola.

Il Professore mi piaceva. Poteva insegnare qualsiasi cosa. Lo faceva anche se non sapeva niente di un determinato argomento; se l’allievo lo desiderava, si metteva all’opera con il sorriso sulle labbra, stabiliva il prezzo, andava a caccia dei libri di testo necessari e si manteneva due o tre lezioni avanti al suo allievo. Oppure imparava insieme all’allievo, se l’argomento era particolarmente ostico. Imparai da lui l’algebra e quando arrivammo ai logaritmi correggevo i suoi errori altrettanto spesso di quanto me li correggeva lui… ma affrontava ogni lezione con entusiasmo.

Feci sotto di lui i primi passi in elettronica, ma presto fui io a insegnare a lui. Così, smise di farmi pagare le lezioni e continuammo a studiare insieme finché scovò un ingegnere disposto a fare le ore piccole per guadagnare qualche dollaro in più; insieme pagavamo il nuovo maestro e il Professore tentava di stare alla pari con me, lento e con fatica, ma felice di ampliare la sua cultura.


Il presidente batté il martelletto sul tavolo. — Siamo lieti di concedere al Professor de la Paz tutto il tempo che desidera… e voi, giovani teppisti delle ultime file, piantatela prima che batta questo martello sulle vostre teste!

Il Professore si fece avanti e il pubblico rimase in silenzio, per quanto possibile a una folla di Lunari: era un uomo rispettato.

— Sarò breve — esordì. Si interruppe per guardare Wyoming, la esaminò da capo a piedi e lanciò un fischio di ammirazione. — Deliziosa señorita — disse — potrete perdonare questo pover’uomo che vi parla? Ho lo spiacevole dovere di esprimere il mio disaccordo nei confronti della vostra eloquente orazione.

Wyoh fremette. — Come, disaccordo?

— Per favore! Solo sotto un punto di vista. Posso continuare?

— Uhm… fate pure.

— Avete ragione quando affermate che l’Ente deve andarsene. È ridicolo… pestilenziale, inaudito… che noi dobbiamo soggiacere al potere di un dittatore irresponsabile per ogni aspetto essenziale della nostra economia. Colpisce uno dei diritti umani più elementari: quello di commerciare in un libero mercato. Ma io suggerisco rispettosamente che avete errato nel sostenere che dovremmo vendere il grano direttamente alla Terra… o il riso, o qualsiasi altro prodotto alimentare… a qualsiasi prezzo. Io dico che non dobbiamo esportare niente!

L’agricoltore di prima si fece sentire di nuovo. — E che cosa farò di tutto il grano prodotto?

— Calma! Sarebbe giusto inviare grano alla Terra… se restituissero tonnellata per tonnellata. Acqua, per esempio. Nitrati. Fosfati. Tonnellata per tonnellata. Altrimenti, nessun prezzo sarà abbastanza elevato.

— Un momento — disse Wyoming all’agricoltore; poi si rivolse al Professore: — Non possono farlo, e voi lo sapete. È semplice spedire carichi in discesa, costoso spedirli in salita. Noi non abbiamo bisogno di acqua e prodotti chimici; ciò di cui abbiamo bisogno non occupa tanto spazio. Vogliamo attrezzi, medicinali, macchinari, calcolatori. Ho studiato a lungo questo problema, signore. Se riusciamo a conquistare prezzi giusti in un libero mercato…

— Per favore, signorina! Posso continuare?

— Continuate. Ma io voglio ribattere.

— Fred Hauser ci ha detto che è sempre più difficile trovare ghiaccio. Verissimo: una realtà dura oggi e disastrosa domani per i nostri nipoti. Luna City dovrebbe riutilizzare oggi la stessa acqua che usavamo vent’anni fa, e in più estrarre il ghiaccio sufficiente a coprire i bisogni derivanti dall’aumento di popolazione. Invece usiamo l’acqua una volta sola… un cibo integrale con triplice sfruttamento. Poi lo spediamo all’India. Sotto forma di grano. Anche se il frumento è coltivato sotto vuoto, contiene acqua preziosa. Perché mandare acqua all’India? Hanno tutto l’Oceano Indiano a disposizione! E le altre componenti di quel grano sono altrettanto preziose: è ancora più difficile procurarci terra e fertilizzanti, anche se li estraiamo dalle rocce. Compagni, datemi retta! Ogni carico di grano che inviamo sulla Terra condanna i vostri nipoti a una lenta morte. Il miracolo della fotosintesi, il ciclo della vita animale e vegetale, è un ciclo chiuso. Voi l’avete aperto… e la vostra linfa vitale scorre giù sulla Terra. Non avete bisogno di prezzi più alti, non è possibile mangiare denaro! Ciò di cui avete bisogno, di cui tutti abbiamo bisogno, è di mettere fine a questa emorragia. Embargo, totale e assoluto. La Luna deve essere autosufficiente!

Una dozzina di persone si mise a urlare contemporaneamente per farsi sentire e molti altri discutevano fra loro, mentre il presidente batteva il martello. La confusione mi impedì di rendermi conto di quello che stava effettivamente accadendo, fino a quando una donna si mise a urlare. Allora mi guardai intorno.

Tutte le porte erano aperte e sulla soglia di quella più vicina vidi tre uomini armati, uomini in uniforme gialla della guardia del Governatore. Alla porta principale in fondo alla sala, uno dei militari vociava ordini con un muggito da toro, superando il frastuono della folla e il suono degli altoparlanti. — Calma, calma! — tuonava. — Tutti ai vostri posti. Siete in arresto. Non muovetevi, state calmi. Uscite uno alla volta, braccia tese in avanti, dita aperte.


Shorty sollevò sulle braccia l’uomo che gli sedeva a fianco e lo scaraventò contro le guardie più vicine. Due caddero, il terzo fece fuoco.

Qualcuno urlò. Una ragazzina tutta pelle e ossa, una rossa di dodici o tredici anni, si buttò tra le ginocchia della terza guardia e caricò con tutto il suo peso, raggomitolata come una palla; rotolarono insieme per terra. Shorty si rimise in azione. Afferrò Wyoming Knott e la trascinò al riparo del suo corpo massiccio, poi gridò: — Occupati di Wyoh, Man… stalle vicino! — Si diresse verso la porta spostando a destra e a sinistra la folla, che premeva per uscire, come se fossero bambini.

Ci furono altre grida e sentii un odore… quello stesso che mi giunse alle narici il giorno che perdetti il braccio; capii con orrore che le armi delle guardie del corpo non erano fucili a gas narcotizzanti, ma fucili a raggi laser. Shorty raggiunse la porta e afferrò le due guardie che aveva fatto cadere, ciascuna con una mano. La ragazzina con i capelli rossi era scomparsa; il poliziotto che lei aveva fatto rotolare si stava rialzando ed era appoggiato sulle mani e le ginocchia. Lo colpii con la mano sinistra e sentii un rimbombo nella spalla quando la sua mascella si ruppe. Dovetti avere un attimo di esitazione, perché Shorty mi diede una spinta gridando: — Sbrigati, Man. Portala fuori di qui!

Afferrai Wyoming alla vita con il braccio destro, e balzai con lei al di sopra della guardia che avevo sistemato poco prima; varcai la soglia, ma non senza difficoltà; la ragazza sembrava non volerne sapere di essere portata in salvo. Appena al di là della porta cercò di divincolarsi, io la spinsi con forza costringendola a correre per non cadere. Correndo, mi guardai indietro.

Shorty aveva afferrato le altre due guardie per il collo; fece un ghigno quando mandò le due teste a sbattere violentemente una contro l’altra. Ci fu un rumore di gusci rotti: poi Shorty mi urlò di nuovo di andarmene.

Me ne andai, continuando a spingere Wyoming. Shorty non aveva bisogno di aiuto e non ne avrebbe avuto mai più bisogno.

E non potevo nemmeno guastare il suo ultimo sforzo: avevo fatto in tempo a vedere che, mentre uccideva quelle due guardie, stava ritto su una gamba sola. L’altra era carbonizzata dai laser fino all’inguine.