"Coraline" - читать интересную книгу автора (Gaiman Neil)VCoraline chiuse la porta del salotto con la fredda chiave nera. Tornò in cucina, risalì sulla sedia e provò a rimettere il mazzo di chiavi sull’intelaiatura della porta. Dovette fare quattro o cinque tentativi prima di accettare il fatto che non era abbastanza alta, così le appoggiò sul ripiano accanto alla porta. Sua madre non era ancora rientrata. Coraline andò al freezer e prese il filone di pane surgelato che tenevano di riserva nello scomparto inferiore. Si preparò un toast con burro di noccioline e marmellata. E bevve un bicchiere d’acqua. Poi si mise ad aspettare che i suoi genitori rincasassero. Quando arrivò il buio, si preparò una pizza surgelata al microonde. Poi guardò la televisione, domandandosi perché gli adulti si concedessero quei programmi pieni di urla e confusione, dove tutti non facevano che strillare. Dopo un po’ cominciò a sbadigliare. Quindi si spogliò, si lavò i denti e si mise a letto. L’indomani mattina entrò nella stanza dei suoi genitori, ma il letto era intatto e di loro due non c’era traccia da nessuna parte. Per colazione mangiò spaghetti in scatola. Per pranzo mangiò una tavoletta di cioccolato e una mela. La mela era gialla e leggermente raggrinzita, ma era buona e dolce. Per merenda scese da Miss Spink e Miss Forcible. Mangiò tre biscotti digestivi, un bicchiere di bibita al lime e una tazza di tè leggero. La bibita verde era molto interessante. Non sapeva affatto di lime. Aveva un gusto vagamente chimico. A Coraline piaceva da impazzire. Magari ce l’avesse avuta anche a casa sua! — E come stanno i tuoi cari mamma e papà? — le domandò Miss Spink. — Scomparsi — disse Coraline. — Non li vedo da ieri. Sono rimasta sola. Credo che la mia famiglia si sia ridotta a una figlia unica. — Di’ a tua madre che abbiamo trovato i ritagli di giornale del "Glasgow Empire" di cui le avevamo parlato. Quando Miriam gliene ha accennato, sembrava che fosse molto interessata. — È scomparsa in circostanze misteriose — disse Coraline — e credo che a mio padre sia capitata la stessa cosa. — Temo che domani staremo via tutto il giorno, Caroline tesoro — disse Miss Forcible. — Andiamo a trovare la nipote di April a Royal Tunbridge Wells. Mostrarono a Coraline un album con le foto della nipote di Miss Spink, e poi Coraline tornò a casa. Aprì il suo salvadanaio e fece un salto al supermercato. Comprò due grosse bottiglie di bibita al lime, una torta al cioccolato e una confezione di mele, quindi tornò a casa e mangiò tutto per cena. Si lavò i denti e poi andò nello studio di suo padre. Accese il computer e scrisse una storia. C’ERA UNA RAGAZZINA CHE SI CHIAMAVA MELA E CHE BALLAVA TANTO. BALLÒ E BALLÒ FINCHÉ I PIEDI NON LE DIVENTARONO SALZIZZOTTI. FINE. La stampò e spense il computer. Poi fece il disegno di una ragazzina che danzava sotto le parole scritte sul foglio. Si preparò un bagno con troppo bagnoschiuma, e la schiuma traboccò dal bordo della vasca inondando il pavimento. Si asciugò e asciugò il pavimento meglio che poté, poi andò a letto. Coraline si svegliò nel cuore della notte. Andò nella stanza dei suoi genitori, ma il letto era vuoto e intatto. I numeri verdi che brillavano sulla sveglia digitale dicevano: 3:12. Tutta sola, nel bel mezzo della notte, Coraline scoppiò in lacrime. Nell’appartamento vuoto non si sentivano altri rumori. Salì sul letto dei genitori e dopo un po’ si riaddormentò. Coraline venne risvegliata da fredde zampette che le toccavano il viso. Aprì gli occhi. Due occhioni verdi le restituirono lo sguardo. Era il gatto. — Salve — disse Coraline. — Come hai fatto a entrare? Il gatto non rispose. Coraline scese dal letto. Indossava una lunga T-shirt e i pantaloni del pigiama. — Sei venuto per dirmi qualcosa? Il gatto si esibì in uno sbadiglio che gli fece brillare di verde gli occhi. — Tu lo sai dove sono mamma e papà? Il gatto le rispose con un lento battito di palpebre. — Significa sì? Il gatto batté di nuovo le palpebre. Coraline decise che doveva per forza significare sì. — Mi porteresti da loro? Il gatto la guardò fisso. Poi uscì nel corridoio. Lei gli andò dietro. Il gatto arrivò in fondo al corridoio e si fermò davanti a uno specchio a figura intera. Molto tempo prima, lo specchio si trovava all’interno dell’anta di un armadio. L’avevano appeso lì solo dopo il trasloco e, sebbene la mamma di Coraline ogni tanto dicesse di volerlo cambiare con uno più nuovo, non l’aveva mai fatto. Coraline accese la luce del corridoio. Lo specchio rifletté il corridoio dietro di lei; cos’altro poteva aspettarsi di vedere? Ma, goffamente riflessi nello specchio, c’erano anche i suoi genitori. Sembravano tristi e soli. Mentre Coraline li guardava, la salutarono lentamente con un gesto della mano, senza troppa energia. Il padre di Coraline teneva un braccio attorno alle spalle di sua moglie. La madre e il padre di Coraline guardavano la figlia attraverso lo specchio. Suo padre aprì bocca e disse qualcosa, ma lei non riuscì a sentire nemmeno una sillaba. Sua madre alitò all’interno dello specchio, e rapidamente, prima che la condensa si dissolvesse, scrisse: con il polpastrello dell’indice. La condensa all’interno dello specchio svanì, come pure i suoi genitori. Ora si vedeva solo il riflesso del corridoio, di Coraline e del gatto. — Dove sono? — domandò Coraline al gatto. Il gatto non rispose, ma Coraline immaginò la sua voce, secca come una mosca stecchita su un davanzale d’inverno, che diceva: — Non torneranno più, vero? — disse Coraline. — Non senza l’aiuto di qualcuno. Il gatto si limitò a battere le palpebre. Coraline lo interpretò come un sì. — Bene — disse. — Allora immagino che ci sia una sola cosa da fare. Entrò nello studio di suo padre e si sedette alla scrivania. Quindi alzò la cornetta, aprì l’elenco telefonico e chiamò il commissariato di zona. — Polizia — rispose una ruvida voce maschile. — Pronto — disse Coraline. — Il mio nome è Coraline Jones. — Non dovresti già essere a letto da un pezzo, signorina? — le disse il poliziotto. — Può darsi — rispose Coraline, decisa a non lasciarsi fuorviare — ma sto chiamando per denunciare un crimine. — E di che crimine si tratterebbe? — Rapimento. Rapimento-di-due-adulti, per la precisione. I miei genitori sono stati sequestrati in un mondo che si trova dall’altra parte dello specchio che abbiamo nell’ingresso. — E tu sai chi li ha sequestrati? — le domandò il poliziotto. Coraline percepì un sorrisetto nella voce dell’uomo e si sforzò di assumere un tono adulto, per costringerlo a prenderla sul serio. — Credo che li tenga in pugno la mia altra madre. Forse vuole trattenerli e cucire loro due bottoni neri sugli occhi; oppure potrebbe trattenerli semplicemente per attirarmi di nuovo nelle sue grinfie. Non ne sono certa. — Ah. Le nefande grinfie dei diabolici pugni, eh? — disse il poliziotto. — Mmm. Sai cosa ti suggerisco io, signorina Jones? — No — disse Coraline. — Cosa? — Chiedi a tua madre di prepararti la classica vecchia tazza di cioccolata calda, e poi di stringerti nel classico vecchio avvolgente abbraccio. Per scacciare gli incubi non c’è niente di meglio di una cioccolata calda e un abbraccio. E se comincia a rimproverarti perché l’hai svegliata a quest’ora della notte, be’, spiegale che te l’ha detto un poliziotto. — La sua voce era profonda e rassicurante. Coraline, però, non si era affatto tranquillizzata. — Quando la rivedrò — disse Coraline — glielo dirò. — E mise giù il telefono. Il gatto nero, che era rimasto seduto sul pavimento a pulirsi il pelo per tutta la durata della conversazione, si alzò e fece strada lungo il corridoio. Coraline tornò nella sua stanza e si mise la vestaglia azzurra e le pantofole, poi cercò una torcia sotto il lavandino. Ne trovò una, ma le batterie erano mezzo scariche già da un bel pezzo, e la luce che emetteva era ridotta a un pallido alone paglierino. La rimise a posto, trovò una cassetta con dentro le candele di cera bianca che servivano in-caso-d’emergenza, e ne sistemò una nel candeliere. E in ciascuna delle tasche della vestaglia mise una mela. Prese il mazzo di chiavi e tolse dall’anello quella nera. Andò in salotto e guardò la porta. Aveva la sensazione che la porta ricambiasse lo sguardo; sapeva che era una stupidaggine, ma in fondo in fondo sapeva anche che era vero. Tornò dunque nella sua stanza e rovistò nella tasca dei jeans. Trovò il sassolino con il buco in mezzo e se lo mise in tasca. Accese lo stoppino della candela, lo guardò crepitare e poi spandere luce; quindi prese in mano la chiave nera. Era gelida al tatto. La infilò nella serratura della porta, ma non girava. — Quando ero piccola — disse Coraline al gatto — e abitavamo nella nostra vecchia casa, molto ma molto tempo fa, papà mi portò a fare una passeggiata nel terreno abbandonato che separava casa nostra dai negozi. «In realtà, non è che fosse il posto ideale per andare a spasso. Era pieno di cose che la gente aveva buttato via: vecchie cucine a gas, piatti rotti, bambole senza braccia e senza gambe, lattine vuote e bottiglie rotte. Mamma e papà mi fecero promettere di non andarci mai da sola durante le mie spedizioni, perché c’erano troppe cose taglienti e poteva venirmi il tetano e cose così. «Ma io continuavo a dire che volevo esplorare quel posto. Così un giorno mio padre si mise i suoi stivaloni marrone e i guanti, poi mi infilò gli stivali, i jeans e un maglione, e andammo a fare un giro. «Avremo camminato per una ventina di minuti. Scendemmo lungo un pendio, fin sotto un canalone dove scorreva un torrente, e di colpo papà mi disse: "Coraline, scappa. Risali il pendio. Subito!" Me lo disse con tono severo, disperato, così obbedii. Corsi su per il pendio. Mentre correvo qualcosa mi fece male al braccio, ma io non mi fermai. «Arrivata in cima alla salita, sentii qualcuno che sfrecciava su per il pendio, dietro di me. Era mio padre, che correva come un rinoceronte alla carica. Quando mi raggiunse, mi prese in braccio e corremmo oltre la sommità della scarpata. «Poi ci fermammo, ansimando e cercando di riprendere fiato, e guardammo di nuovo in fondo al canalone. «L’aria pullulava di vespe gialle. Forse camminando avevamo calpestato un nido in un tronco marcio. Mentre correvo su per la salita, mio padre si era fermato per darmi il tempo di scappare, e l’avevano punto. E correndo gli erano caduti gli occhiali. «Io ci avevo rimediato una sola puntura sul braccio. Lui, ben trentanove punture su tutto il corpo. Le contammo dopo, facendo il bagno.» Il gatto nero cominciò a lavarsi muso e baffi con crescente impazienza. Coraline allungò il braccio verso di lui e gli accarezzò la schiena, la testa e il collo. Il gatto si rialzò, fece qualche passo finché si trovò fuori portata, quindi si rimise a sedere e alzò di nuovo lo sguardo su di lei. — Così — disse Coraline — più tardi, sempre quel pomeriggio, mio padre tornò là per riprendersi gli occhiali. Disse che se avesse rimandato di un altro giorno, poi non si sarebbe più ricordato il punto esatto in cui gli erano caduti. «E poco dopo tornò a casa con gli occhiali sul naso. Disse che non aveva avuto paura, mentre era fermo lì con le vespe che lo pungevano e gli facevano male, mentre mi guardava correre via. Perché sapeva che doveva darmi il tempo di scappare, altrimenti le vespe avrebbero inseguito tutti e due.» Coraline girò la chiave nella toppa, che scattò con un sonoro clangore. La porta si spalancò. Dall’altra parte non c’era nessun muro di mattoni: solo il buio. Dal corridoio soffiava un gelido vento. Coraline rimase ferma dov’era. — E mi disse che non era stato coraggioso, restando lì fermo a farsi pungere — disse Coraline al gatto. — Non era stato coraggioso perché non aveva avuto paura: quella era l’unica cosa che potesse fare. Ma quando era tornato a riprendersi gli occhiali, sapendo che lì c’erano le vespe, aveva veramente paura. Mosse il primo passo lungo il corridoio. Sentiva odore di chiuso, di polvere e di umidità. Il gatto avanzava lentamente accanto a lei. — E perché mai? — le domandò il gatto, con un tono che rivelava scarso interesse. — Perché — disse Coraline — quando hai paura di qualcosa, ma la fai comunque, La candela gettava enormi, bizzarre ombre tremolanti lungo la parete. Coraline sentì che qualcosa si muoveva nel buio accanto a lei, di lato, non ne era sicura. Qualunque cosa fosse, sembrava che accordasse il passo con il suo. — Ed è per questo motivo che stai tornando nel mondo di — Non dire sciocchezze — replicò Coraline. — Torno a prenderli perché sono i miei genitori. Perché se fossi stata io a scomparire, loro avrebbero fatto esattamente la stessa cosa. Ti sei accorto che stai di nuovo parlando? — Ma quanto sono fortunato — disse il gatto — ad avere una compagna di viaggio dotata di tanta saggezza e intelligenza. — Il suo tono era sarcastico, ma i peli gli si erano drizzati, e quella spazzola di coda svettava rigida in aria. Coraline stava per dire qualcosa, del tipo Ci fu un raspare e un picchiettare, e Coraline sentì che il cuore le batteva forte contro le costole. Tese una mano… e una cosa filiforme, come una ragnatela, le sfiorò il viso e le mani. In fondo al corridoio si accese la luce, accecante dopo tutto quel buio. Un po’ più avanti, in controluce, c’era una donna. — Coraline? Tesoro? — disse. — Mamma! — disse lei raggiungendola di corsa, impaziente e sollevata. — Tesoro — disse la donna. — Perché sei scappata via da me? Coraline era ormai troppo vicina per fermarsi, e sentì le gelide braccia dell’altra madre stringerla in un abbraccio. Rimase ferma e tremante mentre l’altra madre la teneva stretta. — Dove sono i miei genitori? — domandò Coraline. — Siamo qui — rispose l’altra madre, con una voce così uguale a quella della sua vera madre che Coraline fece fatica a distinguerle. — Siamo qui. Siamo pronti a volerti bene, a giocare con te, a darti da mangiare e a renderti la vita interessante. Coraline si ritrasse e l’altra madre la lasciò andare, con riluttanza. L’altro padre, che era rimasto seduto su una poltrona nel corridoio, si alzò in piedi e sorrise. — Vieni in cucina — le disse. — Preparerò uno spuntino di mezzanotte per tutti noi. Sicuramente ti andrà qualcosa da bere… magari una cioccolata calda? Coraline attraversò il corridoio e raggiunse lo specchio in fondo, dove non si rifletteva altro che una ragazzina in vestaglia e pantofole, che rivelava i segni di un pianto recente, i cui occhi erano veri e non erano stati sostituiti da bottoni neri, e che stringeva saldamente in mano un candeliere con la candela spenta. Guardò la ragazzina riflessa nello specchio e lei le restituì lo sguardo. Posò la candela sul pavimento e si voltò. L’altra madre e l’altro padre la guardavano con occhi famelici. — Non mi serve nessuno spuntino — disse Coraline. — Mi sono portata una mela. Vedete? — E tirò fuori una mela dalla tasca della vestaglia, quindi le diede un morso con un gusto e un entusiasmo che in realtà non provava. L’altro padre fece la faccia delusa. L’altra madre sorrise, mettendo in mostra una fila di denti, e ogni dente era leggermente troppo lungo. Le luci del corridoio facevano brillare i neri occhi-bottone. — Non mi mettete mica paura — disse Coraline, benché la spaventassero, e pure tanto. — Rivoglio indietro i miei genitori. Sembrava che il mondo brillasse debolmente ai margini del buio. — Che posso averci mai fatto con i tuoi vecchi genitori? Se ti hanno abbandonata, Coraline, sarà perché gli eri venuta a noia, o li avevi stancati. A me, però, non verrai mai a noia, e non ti abbandonerò mai. Qui con me starai sempre al sicuro. — I neri capelli dell’altra madre, che parevano bagnati, fluttuavano da tutte le parti come i tentacoli di una creatura degli abissi. — Non gli ero affatto venuta a noia — disse Coraline. — Stai mentendo. Li hai rubati tu! — Sciocca, sciocca Coraline. Loro stanno bene dove sono. Coraline si limitò a guardare in cagnesco l’altra madre. — E te lo dimostrerò — disse l’altra madre, passando le sue lunghe e bianche dita sulla superficie dello specchio. Lo specchio si appannò, come se un drago ci avesse alitato sopra, e poi si schiarì di nuovo. Nello specchio si era già fatto giorno. Coraline stava guardando il corridoio che correva dalla porta d’ingresso. La porta si aprì dall’esterno ed entrarono la madre e il padre di Coraline, con le valigie in mano. — È stata proprio una bella vacanza — disse il padre di Coraline. — Che bello esserci liberati di Coraline — disse sua madre con un sorriso di felicità. — Adesso potremo fare tutto quello che abbiamo sempre desiderato, come andare all’estero, ma che non abbiamo mai potuto fare perché avevamo una figlia piccola. — E — aggiunse suo padre — mi consola moltissimo sapere che la sua altra madre si prenderà cura di lei, meglio di quanto avremmo mai potuto fare noi. Lo specchio si appannò di nuovo, quindi si schiarì e rifletté un’altra volta la notte. — Capito? — disse l’altra madre. — No — disse Coraline. — Non capisco niente. E nemmeno ci credo. Sperava che quanto aveva appena visto non fosse vero, ma il suo tono sicuro non corrispondeva affatto a ciò che provava. In lei si era insinuato un piccolo dubbio, come un verme dentro una mela. Quindi alzò gli occhi e vide l’espressione sul volto dell’altra madre: un lampo di autentica ira, che le attraversò il viso come il lampo di un temporale estivo, e in cuor suo Coraline ebbe la certezza che la scena nello specchio era solo un’illusione. Coraline si mise a sedere sul divano e mangiò la sua mela. — Ti prego — disse l’altra madre. — Non fare la difficile. — Entrò nel salotto e batté due volte le mani. Si sentì un fruscio e apparve un ratto nero. L’animale alzò lo sguardo verso di lei. — Portami la chiave — gli ordinò. Il ratto squittì, poi varcò di corsa la porta aperta che conduceva nell’appartamento di Coraline. Il ratto tornò trascinandosi dietro la chiave. — Come mai non avete la vostra chiave, da questa parte? — domandò Coraline. — Perché ce n’è una sola. E una sola porta — disse l’altro padre. — Shh — fece l’altra madre. — Non devi turbare la testolina della nostra cara Coraline con queste sciocchezze. — Infilò la chiave nella toppa e girò. La serratura resistette, ma poi si chiuse con uno scatto metallico. L’altra madre lasciò cadere la chiave nella tasca del suo grembiule da cucina. Fuori, il cielo aveva cominciato a tingersi di un grigio luminescente. — Se non vogliamo fare nessuno spuntino di mezzanotte — disse l’altra madre — abbiamo comunque bisogno del nostro sonno di bellezza. Io me ne torno a letto, Coraline. E ti raccomando caldamente di fare lo stesso. Mise le lunghe e bianche dita sulle spalle dell’altro padre e lo guidò fuori dalla stanza. Coraline raggiunse la porta nell’angolo estremo del salotto. Cercò di aprirla a strattoni, ma era chiusa saldamente. Anche la porta della stanza dei suoi altri genitori era chiusa. Era stanca, certo, ma non aveva nessuna intenzione di dormire in camera sua. Non voleva dormire sotto lo stesso tetto dell’altra madre. La porta di casa non era chiusa a chiave. Coraline uscì nella luce dell’alba e scese i gradini di pietra. Si sedette sul primo gradino in fondo alle scale. Era ghiacciato. Sentì qualcosa di peloso premerle sul fianco, con un movimento subdolo e mellifluo. Coraline fece un salto, poi tirò un sospiro di sollievo quando capì di cosa si trattava. — Oh! Sei tu — disse al gatto nero. — Lo vedi? — ribatté il gatto. — Non è stato così difficile riconoscermi, no? Anche senza nomi. — Be’. E se avessi voluto chiamarti? Il gatto arricciò il naso e riuscì ad assumere un’espressione di indifferenza. — Mettere un nome ai gatti — rivelò a Coraline — è un’attività alquanto sopravvalutata. Tanto varrebbe mettere nome a una tromba d’aria. — E se fosse l’ora di cena? — gli domandò lei. — Allora non vorresti che ti chiamassero? — Naturalmente — disse il gatto. — Ma basterebbe semplicemente gridare: "La cena!" Non c’è nessun bisogno dei nomi. — Perché quella mi vuole? — domandò Coraline al gatto. — Perché vuole che resti qui con lei? — Vuole qualcosa a cui voler bene, immagino — le rispose il gatto. — Qualcosa che non sia lei stessa. E forse vuole anche qualcosa da mangiare. È difficile stabilirlo, con creature di quel genere. — Hai qualche consiglio da darmi? — gli domandò Coraline. Il gatto aveva l’espressione di chi sta per dire qualcosa di sarcastico. Poi mosse i baffi e disse: — Sfidala. Non c’è nessuna garanzia che giochi pulito, ma quelli come lei amano i giochi e le sfide. — E chi sono quelli come lei? — domandò Coraline. Ma il gatto non rispose, si limitò a stiracchiarsi beatamente e poi cominciò ad allontanarsi. A un certo punto si fermò, si voltò e disse: — Se fossi in te entrerei in casa. Cerca di dormire. Ti aspetta una giornata molto lunga. E il gatto scomparve. Tuttavia, si rese conto Coraline, aveva ragione lui. Rientrò furtivamente nella casa silenziosa, passò davanti alla porta chiusa della stanza da letto dietro la quale l’altra madre e l’altro padre… cosa facevano?, si domandò. Dormivano? Aspettavano? E poi le venne in mente che, se avesse aperto la porta, avrebbe trovato la stanza vuota; anzi, più precisamente, che quella era una stanza vuota e che sarebbe rimasta vuota fino all’esatto momento in cui lei avrebbe aperto la porta. In un certo senso, così diventava tutto più facile. Coraline entrò nella parodia rosa e verde della sua stanza. Chiuse la porta e la bloccò con la scatola dei giocattoli; non avrebbe di certo impedito a nessuno di entrare, ma il rumore che avrebbero fatto se avessero tentato di spostarla l’avrebbe di certo svegliata, o così sperava. I giocattoli nella scatola dormivano quasi tutti, ma si girarono nel sonno e mormorarono qualcosa, quindi si riaddormentarono. Coraline controllò sotto il letto per vedere se ci fossero i ratti, ma non c’era niente. Si tolse la vestaglia e le pantofole, si mise a letto e si addormentò, senza avere il tempo di riflettere su cosa intendesse dire il gatto quando aveva parlato di |
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