"Coraline" - читать интересную книгу автора (Gaiman Neil)

VII

Coraline sentiva che un pianto disperato stava sgorgando da qualche parte dentro di lei. Ma riuscì a frenarsi in tempo. Inspirò profondamente e poi espirò. Tese le mani per calcolare lo spazio in cui si trovava prigioniera. Era grande quanto un ripostiglio per le scope: sufficientemente alto per starci in piedi oppure seduta, ma non abbastanza largo o profondo da potercisi sdraiare.

Una parete era di vetro, e al tatto si rivelò gelida.

Perlustrò lo stanzino una seconda volta, passando le mani su ogni superficie raggiungibile, alla ricerca di maniglie o interruttori o chiavistelli camuffati — una possibile via d’uscita — ma non trovò nulla.

Poi la sua mano sfiorò qualcosa che assomigliava alla guancia o alle labbra di qualcuno, piccole e fredde, e una voce le sussurrò nell’orecchio: — Shh! Taci. Non dire una parola, la megera potrebbe sentire!

Coraline non fiatò.

Sentì una mano fredda sul viso, dita che le correvano sulla pelle come il battito delicato delle ali di una falena.

Un’altra voce, titubante e così flebile che Coraline si domandò se non la stesse immaginando, disse: — Tu sei… tu sei viva?

— Sì — sussurrò Coraline.

— Povera bambina — disse la prima voce.

— Chi siete? — domandò Coraline con un bisbiglio.

— Nomi, nomi, nomi — disse un’altra voce lontana. — I nomi sono la prima cosa che se ne va, dopo il respiro, dopo il battito del cuore. Noi conserviamo i ricordi più a lungo dei nostri nomi. Ancora rivedo le immagini della mia governante in certe mattine di maggio, mentre portava il mio cerchio e la mia bacchetta, e il sole del mattino dietro di lei, e i tulipani che dondolavano al vento. Ma il nome della mia governante l’ho dimenticato, e anche quello dei tulipani.

— Non credo che i tulipani abbiano un nome — disse Coraline. — Sono tulipani e basta.

— Può darsi — disse mestamente quella voce. — Ma io ho sempre creduto che un nome dovessero averlo. Erano rossi, e rossi e arancio, e rossi e arancio e gialli, come i tizzoni del focolare di una stanza dei bambini in una sera d’inverno. Io me li ricordo.

Quella voce sembrava così triste che Coraline tese una mano verso il punto da cui sembrava provenire, e trovò una mano fredda, che strinse forte.

I suoi occhi cominciavano ad abituarsi al buio. Adesso Coraline vedeva, o immaginava di vedere, tre sagome indistinte e pallide come la luna nel cielo diurno. Erano le sagome di bambini più o meno della sua statura. Quella gelida mano ricambiò la stretta. — Grazie — disse la voce.

— Sei una femmina: — … domandò Coraline. — O un maschio?

Ci fu un silenzio. — Da piccolo portavo le gonne e avevo i capelli lunghi e i boccoli — disse con tono dubbioso. — Ma adesso che me lo chiedi, mi sembra che un giorno mi abbiano tolto le gonne per mettermi i pantaloni alla zuava, e mi abbiano tagliato i capelli.

— Non è una cosa a cui pensiamo, di solito — disse la prima voce.

— Un maschio, forse — continuò la voce legata alla mano che stava tenendo. — Credo di essere stato un maschio, un tempo. — E nel buio dello stanzino dietro lo specchio ci fu un po’ più di luce.

— Che è successo a tutti voi? — domandò Coraline. — Come siete arrivati qui?

— È stata lei a lasciarci qui — disse una delle voci. — Ci ha rubato il cuore, l’anima, la vita, e ci ha lasciati qui, dimenticandosi di noi nel buio.

— Poverini — disse Coraline. — Da quant’è che siete qui?

— Da tantissimo tempo — disse una voce.

— Io sono passato dalla porta del retrocucina — disse la voce di quello che in passato credeva di essere stato un maschio — e mi sono ritrovato in salotto. Però lei era lì ad aspettarmi. Mi ha detto di essere la mia altra mamma, ma la mia vera mamma non l’ho più rivista.

— Fuggi! — disse la voce che aveva parlato per prima — un’altra femmina, immaginò Coraline. — Fuggi, finché hai aria nei polmoni e sangue nelle vene e possiedi ancora la tua mente e la tua anima.

— Io non scappo — disse Coraline. — I miei genitori ce li ha lei. E io sono venuta a riprendermeli.

— Ah, ma lei ti terrà qui finché i giorni non diventeranno polvere, le foglie cadranno e gli anni passeranno uno dopo l’altro come il tic-tac tic-tac di un orologio.

— No — disse Coraline. — Non lo farà.

A quel punto, nella stanza dietro lo specchio cadde il silenzio.

— Se per caso — disse una voce nel buio — riuscirai a riprenderti la tua mamma e il tuo papà, potrai anche liberare le nostre anime.

— Le ha prese lei? — domandò Coraline, sconvolta.

— Sì. E le ha nascoste.

— Ecco perché non siamo potuti andare via di qui, quando siamo morti. Lei ci ha trattenuti e si è nutrita di noi finché non c’è rimasto niente, solo pelli di serpente e carcasse di ragno. Ritrova i nostri cuori segreti, giovane signora.

— E a voi cosa succederà, se ci riuscirò? — domandò Coraline.

Le voci non dissero nulla.

— E lei cosa mi farà? — aggiunse Coraline.

Le pallide figure pulsavano debolmente; Coraline immaginò che fossero solo immagini residue, come il bagliore che ti lascia negli occhi una luce sfolgorante, subito dopo che le luci si sono spente.

— Non fa male — sussurrò una flebile voce.

— Lei ti prenderà la vita, tutto quello che sei e tutto quello a cui tieni, e ti lascerà solo nebbia e foschia. Ti porterà via la gioia. E un giorno ti sveglierai e anche il tuo cuore e la tua anima non ci saranno più. Sarai solo un involucro, un fuscello, della consistenza di un sogno al risveglio, o del ricordo di qualcosa di dimenticato.

— Vuota — sussurrò la terza voce. — Vuota, vuota, vuota, vuota, vuota.

— Devi fuggire — sospirò una voce, debolmente.

— Non ci penso proprio — disse Coraline. — Ci ho provato a scappare, ma non ha funzionato. Lei si è presa i miei genitori. Mi potete dire come si fa a uscire da questo stanzino?

— Se lo sapessimo, te lo diremmo.

— Poverini — disse Coraline fra sé e sé.

Quindi si sedette. Si tolse il maglione, lo arrotolò e se lo mise dietro la testa, come cuscino. — Non mi terrà al buio per sempre — disse. — Mi ha portato qui perché giochi con lei. «Giochi e sfide» mi ha detto il gatto. Qui dentro, al buio, non sono un granché come sfida. — Cercò di mettersi comoda, contorcendosi per entrare meglio in quello spazio angusto. Il suo stomaco brontolava. Mangiò l’ultima mela a piccolissimi morsi, facendola durare il più a lungo possibile. Quando l’ebbe finita, aveva ancora fame. A quel punto le venne un’idea, e bisbigliò: — Quando lei verrà per farmi uscire, perché voi tre non venite con me?

— Magari fosse possibile — le risposero con un sospiro le voci appena percettibili. — Ma lei ha i nostri cuori. Adesso apparteniamo al buio e ai luoghi vuoti. La luce ci farebbe avvizzire, ci brucerebbe.

— Oh — esclamò Coraline.

Poi chiuse gli occhi, cosa che fece diventare l’oscurità ancora più scura, appoggiò la testa sul maglione arrotolato e cercò di addormentarsi. Mentre prendeva sonno, ebbe la sensazione di avvertire un tenero bacio fantasma sulla guancia, e una vocina che le sussurrava nell’orecchio, una voce talmente debole che era come se non ci fosse, un delicato e lieve nulla di voce, così sommesso che Coraline poteva quasi giurare di averlo immaginato.

— Guarda attraverso il sassolino — le disse la voce. E lei si addormentò.