"La città proibita" - читать интересную книгу автора (Brackett Leigh)

10.

Due settimane dopo, l’intelaiatura del nuovo magazzino aveva già preso forma, e gli uomini cominciavano a lavorare sul tetto. Len lavorava dove gli veniva ordinato, a volte nella squadra dei lavori, altre volte in ufficio, quando le carte si ammucchiavano oltre il limite di guardia. Faceva questo in uno stato di continua eccitazione, e di grande tensione, eseguendo gran parte dei movimenti e dei gesti meccanicamente, con la mente concentrata su altre cose. Era come un uomo che fosse in attesa del verificarsi di un’esplosione.

Aveva traslocato in una baracca, nella sezione dei mercanti, lasciando Esaù unico proprietario della soffitta di Dulinsky. Ogni minuto libero lo trascorreva là, nella sua baracca, dimenticando quasi completamente Amity, dimenticando totalmente ogni cosa, a eccezione della speranza che adesso, da un momento all’altro, dopo tutti quegli anni, le cose avrebbero potuto sistemarsi nel modo che lui desiderava. Ripeteva mentalmente, mille e mille volte, ogni parola che la voce aveva detto, cercando di comprenderne i riposti significati, cercando di trarne ogni possibile scintilla di speranza. Riascoltava quella voce e quelle parole nei suoi sonni leggeri e inquieti. E non avrebbe lasciato Refuge, né Dulinsky, ora, per nessun motivo al mondo.

Sapeva che c’era un pericolo. Cominciava a respirarlo nell’aria, e a leggerlo sui volti di alcuni uomini che passavano di là, a osservare i lavori, sempre più di frequente mano a mano che i grandi tronchi del magazzino venivano sistemati al loro posto. C’erano troppi stranieri tra loro. La campagna, intorno a Refuge, era popolosa e prospera, buona terra coltivabile, le cui fattorie erano solo in minima parte abitate da Nuovi Mennoniti. Nei giorni di mercato c’erano sempre dei contadini nella comunità, e i predicatori di campagna e i mercanti andavano e venivano, ed era evidente che la notizia si stava propagando ovunque. Len sapeva di correre un grosso rischio, lo sapeva bene, e sapeva di non comportarsi correttamente, forse, nei confronti di Hostetter… se era stata proprio sua la voce… che aveva corso il rischio di farsi scoprire, per dargli quell’avvertimento. Ma era fieramente determinato a rimanere là. Non se ne sarebbe andato. Di questo ne era certo, e nessuno, nessuno avrebbe potuto cambiare la sua decisione.

Era molto in collera con Hostetter, e con gli uomini di Bartorstown.

Ormai era più che evidente che essi dovevano avere saputo fin dal primo momento dove si trovavano lui ed Esaù, dopo la loro partenza da Piper’s Run. Lo avevano sempre saputo, certo. Ripensandoci, ricordava ora che in più di una decina di occasioni qualche mercante era capitato provvidenzialmente sulla loro strada, aiutandoli a tirarsi fuori da qualche situazione spiacevole, e adesso era sicuro che quei casi non erano stati fortuiti. Ed era altrettanto sicuro che il suo mancato incontro con Hostetter, il fatto che lui non avesse mai più visto il mercante da quel giorno a Piper’s Run, dovevano essere fatti ancor meno casuali. Hostetter li aveva deliberatamente evitati, e probabilmente gli uomini di Bartorstown avevano rinunciato all’uso delle comodità offerte da certe comunità e da certi villaggi, quando i cugini Colter si erano trovati in quei posti. Era stato per questo, e solo per questo, che essi avevano cercato così alacremente, per tanti anni, senza riuscire a trovare alcun indizio. Hostetter sapeva benissimo che, in tutti quegli anni, gli uomini di Bartorstown avevano fatto di tutto per impedire ai due giovani di coltivare qualsiasi speranza, per soffocare il loro desiderio di scoprire la loro città, per allontanarli da quello che era stato il loro obiettivo. E, nello stesso tempo, gli uomini di Bartorstown avrebbero potuto facilmente, in qualsiasi momento, prenderli e portarli là dove essi desideravano andare. Len si sentiva come un bambino che scopre di essere stato ingannato dagli adulti. Avrebbe voluto trovare Hostetter, mettergli addosso le mani.

Non aveva detto nulla a Esaù. Aveva completamente taciuto l’avvertimento, la voce, le conclusioni che aveva raggiunto. Il suo affetto per Esaù era molto diminuito. Non si fidava completamente di lui. Pensava che ci sarebbe stato tutto il tempo per parlarne in seguito, e nel frattempo tutti erano più al sicuro, compreso Esaù, se Len avesse tenuto la bocca chiusa, e non avesse rivelato ad altri il suo segreto.

Len rimase nell’ambiente dei mercanti, senza fare domande, senza dire niente, tenendosi semplicemente pronto, là, con le orecchie tese e gli occhi aperti. Ma non vide nessuno che lui conoscesse, e nessuna voce segreta gli parlò furtivamente dall’ombra, dopo quella sera. Se si trattava di Hostetter, il mercante, questi non si faceva vedere. Si teneva nascosto, e bene, perché non c’era alcuna traccia della sua presenza a Refuge.

Ed era molto, molto difficile che qualcuno come Hostetter potesse rimanere nascosto a Refuge. Len decise che, se si trattava veramente di Hostetter, egli doveva trovarsi sull’altra riva del fiume, a Shadwell. E immediatamente Len provò il desiderio fortissimo di andare là. Forse, lontano dalle persone che lo conoscevano troppo bene, il mercante avrebbe tentato di stabilire un nuovo contatto.

Non aveva nessuna scusa per andare a Shadwell, ma non impiegò molto tempo a trovarne una. Una sera, mentre aiutava Dulinsky a chiudere l’ufficio, disse:

«Ho pensato che non sarebbe una cattiva idea andare a Shadwell, a sentire qual è l’opinione corrente su quello che state facendo. Dopotutto, se riuscite nel vostro intento, toglierete loro il pane di bocca. Potrei andare io a controllare.»

«Lo so benissimo, quello che pensano,» disse Dulinsky. Chiuse violentemente un cassetto, e guardò dalla finestra la nera intelaiatura della costruzione che sorgeva sullo sfondo azzurro del cielo. Dopo un momento, aggiunse, «Oggi ho visto il giudice Taylor.»

Len aspettò. In quei giorni, era sempre irascibile e nervoso. Gli sembrò che trascorressero delle ore, prima che Dulinsky decidesse di proseguire la frase.

«Mi ha detto che, se non mi fermerò nella costruzione, lui e le autorità della comunità mi arresteranno, insieme a tutti coloro che lavorano con me.»

«Pensate che lo faranno?»

«Gli ho ricordato, con una certa forza, che non ho violato nessuna legge locale. Il Trentesimo Emendamento è una legge federale, un campo nel quale lui non ha alcuna giurisdizione.»

«Che cosa ha risposto?»

Dulinsky si strinse nelle spalle:

«Quello che mi aspettavo. Se io non obbedissi all’ingiunzione, lui seguirebbe la solita prassi. Notificherebbe subito la cosa alla corte federale nel Maryland, chiedendo di essere investito dell’autorità necessaria, o, in via subordinata, chiedendo l’invio di un ufficiale federale qui a Refuge.»

«Oh, be’,» disse Len, «Per questo ci vorrà del tempo. E l’opinione della gente…»

«Sì,» disse Dulinsky. «L’opinione della gente è la mia unica speranza. E Taylor lo sa. Gli anziani lo sanno. Il vecchio Shadwell lo sa. Questa faccenda non aspetterà l’arrivo di qualche giudice federale del Maryland. Sarà risolta prima.»

«Otterrete la maggioranza all’adunanza di domani sera,» disse Len, con fiducia. «Refuge ce l’ha con Shadwell, che le toglie buona parte degli affari. La gente è in gran parte con voi.»

Dulinsky borbottò:

«Forse non è un’idea malvagia, la tua… quella di andare a Shadwell. L’adunanza è importante. A seconda del suo esito, avrò successo oppure cadrò, e se Shadwell si prepara a venire qui, per procurarmi dei guai, voglio saperlo. Ti darò qualche incarico da sbrigare, ufficialmente, in modo da non dare troppo l’impressione di essere andato là a spiare. Non fare domande, limitati a vedere quello che puoi raccogliere. Oh, e non portare con te Esaù.»

Len non ne aveva avuto alcuna intenzione, ma domandò:

«Perché no?»

«Tu hai il fegato e l’intelligenza sufficienti per tenerti fuori dai guai. Lui no, sfortunatamente. Sai dove passa la notte, di solito?»

«Be’,» disse Len, sorpreso. «Qui, suppongo. Perché?»

«Forse. Lo spero. Prendi il traghetto del mattino, Len, e torna nel primo pomeriggio. Voglio che tu sia qui per l’adunanza. Ho bisogno di tutte le voci che possano gridare Viva Mike!»

«Va bene,» disse Len. «Buonanotte, signor Dulinsky.»


Camminò sul molo, lentamente, passando accanto al nuovo magazzino. Di là veniva un profumo di legno nuovo, e la massa era robusta e piacevole alla vista, dava l’impressione di qualcosa di concreto, di solido. Len pensava che costruire era una cosa molto buona. Per il momento, era d’accordo con Dulinsky. Condivideva le sue idee, a quel riguardo, con tutta la forza di cui era capace.

Una voce lo chiamò, dall’ombra di una pila di travi, intimandogli di fermarsi, e lui disse:

«Salve, Harry, niente paura… sono io.»

Proseguì per la sua strada. Ora gli uomini di guardia erano diventati quattro. Erano armati di robusti bastoni di legno, e dei fuochi ardevano per tutta la notte, illuminando il perimetro della costruzione. Capiva bene quello che provava Mike Dulinsky: l’uomo veniva spesso là, come se fosse stato troppo inquieto per dormire.

Neppure Len riuscì a dormire bene, quella notte. Rimase alzato, chiacchierando del più e del meno, dopo cena, e poi andò a letto, ma pensava al giorno dopo, pensava che al mattino avrebbe percorso Shadwell per raggiungere il recinto dei mercanti, e vi avrebbe trovato Hostetter, Sì, sarebbe andata proprio così. Lui avrebbe avvicinato Hostetter, con calma, e gli avrebbe detto qualcosa, qualcosa di non compromettente, ma che l’altro avrebbe capito. E Hostetter avrebbe annuito, dicendo, «Va bene, va bene, è inutile continuare a ostacolarti. Ti porterò dove vuoi andare. Hai vinto, Len.» Quella scena continuava a ripetersi nella sua mente, e lui sapeva bene che si trattava di una di quelle cose che si sognavano quando si era bambini, e ancora non si sapeva nulla sulla realtà. Poi cominciò a pensare a Dulinsky, che si era chiesto dove avesse passato tutte le notti Esaù, e allora il sonno scomparve. Anche Len desiderava una risposta a quella domanda.

Pensò di saperla, quella risposta. Ed era sorprendente notare quale forza avesse quel pensiero. Lui si era detto e ripetuto che Amity non aveva importanza. E allora, perché era così turbato?

Si alzò, allora, e uscì nella notte calda. Il recinto dei mercanti era buio e silenzioso, un silenzio rotto soltanto da qualche tonfo che giungeva dalle stalle, il movimento pesante e sonnolento dei grandi cavalli. Attraversò il recinto, e risalì le strade sonnolente del paese, prendendo deliberatamente la strada più lunga, per non passare accanto al nuovo magazzino. Non aveva alcun desiderio di fermarsi a scambiare qualche parola con le guardie.

La strada più lunga lo portava a passare accanto alla casa del giudice Taylor. Là non si muoveva nulla, e nessuna luce trapelava dalle finestre. Individuò la finestra della camera di Amity, e poi provò un senso di vergogna, e si allontanò, dirigendosi ai moli.

La porta dell’ufficio di Dulinsky era chiusa, ma ora anche Esaù aveva la chiave, e questo non significava nulla. Len esitò. L’effluvio umido del fiume era forte nell’aria, un presagio di pioggia, e il cielo era rannuvolato. I fuochi dei guardiani ardevano, più lontano, lungo l’argine. C’era molto silenzio, e, stranamente, l’ufficio aveva l’aria di un edificio vuoto. Len aprì la porta, usando la sua chiave, ed entrò.

Esaù non c’era.

Len rimase immobile, per diversi secondi, dapprima pervaso da una collera cupa e sorda, poi calmandosi, gradualmente, provando un senso di disgusto e di disprezzo per la stupidità di Esaù. In quanto ad Amity, se era quello che lei voleva, poteva accomodarsi ed essere felice. Lui non era in collera. Non molto, almeno.

La branda di Esaù era intatta: nessuno l’aveva toccata. Len sollevò la coperta, piegandola con cura. Mise gli stivali di ricambio di Esaù sotto il bordo della branda, raccolse una camicia sporca e l’appese con cura a un chiodo. Poi accese la lampada, accanto al letto di Esaù, la regolò in modo che la fiammella ardesse al minimo, e la lasciò accesa. Poi uscì, lasciando la porta dell’ufficio chiusa a chiave.

Era molto tardi, quando rientrò nel recinto dei mercanti. Malgrado ciò, rimase per molto tempo seduto sul gradino della sua baracca, guardando la notte e pensando. Pensieri pieni di solitudine.


Al mattino, egli si fermò in ufficio, per prendere la lettera che Dulinsky aveva preparato per giustificare il suo viaggio a Shadwell, ed Esaù era là, con un volto così grigiastro, livido e vecchio che Len provò, quasi, un senso di compassione per lui.

«Cosa ti succede?» domandò.

Esaù rispose con una specie di brontolio minaccioso.

«Mi sembri spaventato a morte,» disse Len, deliberatamente. «Qualcuno ti ha minacciato, per il magazzino?»

«Bada agli affari tuoi, accidenti a te!» ringhiò Esaù, e Len sorrise interiormente. Che sudasse, che sudasse copiosamente. Certo si domandava chi fosse stato là, durante la notte, quando lui era stato dove non avrebbe dovuto essere. E si doveva tormentare, chiedendosi chi fosse al corrente… e quali fossero le sue intenzioni. La paura gli avrebbe fatto bene.

Scese al molo più vicino, e prese il traghetto, un grande battello piatto e massiccio con una specie di cassero che proteggeva il motore a vapore e la legna che lo alimentava. Una pioggia insistente, uggiosa, aveva cominciato a cadere, e la riva opposta era nascosta dalla nebbia. Un mercante diretto a sud, con un carico di lana e di pelli conciate, stava attraversando il fiume a sua volta. Len lo aiutò a guidare i cavalli, e poi sedette con lui sul carro, ricordando quali cose magiche fossero stati i carri quando lui era stato un ragazzo. La Fiera di Canfield pareva qualcosa di strano, lontana un milione di anni. Il mercante era un uomo magro, con una barba biondiccia, che gli ricordava molto Soames. Rabbrividì, e abbassò lo sguardo, fissando il fiume, là dove le acque lente e imperiose scorrevano eternamente verso occidente. Una lancia stava risalendo la corrente, a fatica, tra grandi spruzzi di schiuma. La lancia salutò con un ululato lamentoso della sirena il traghetto, e il traghetto rispose, e poi da oriente una terza voce parlò, e una processione di chiatte discese lentamente, a buona distanza da loro, chiatte cariche di carbone che scintillava lucido e nero sotto la pioggia.

Shadwell era un centro piccolo, e nuovo, e primitivo, in un certo senso, e cresceva così in fretta che dovunque si girasse lo sguardo si vedevano degli edifici in costruzione. Il porto era tutto un ronzio di attività, e su una collinetta, dietro i moli, la grande casa di Shadwell se ne stava torva, a guardare lo scenario con i suoi occhi di vetro.

Len s’incamminò lentamente verso l’ufficio del magazzino al quale era destinata la sua lettera. Molti degli uomini che avrebbero dovuto essere impegnati nelle costruzioni, quel mattino, non erano al lavoro, a causa della pioggia. C’era una piccola squadra di operai, riunita sul portico di un negozio. Len ebbe l’impressione di venire osservato con troppa attenzione, ma probabilmente questo era dovuto al fatto che lui era uno straniero disceso dal traghetto. Entrò nell’ufficio, e consegnò la lettera a un ometto piccolo e anziano che si chiamava Gerrit, che la lesse frettolosamente e poi squadrò Len, come se fosse stato un animale viscido, uscito strisciando dalla fanghiglia delle acque basse della riva.

«Potete dire a Mike Dulinsky,» disse, «Che io seguo le parole del Buon Libro, che mi proibiscono di avere commercio con gli uomini empi e gli operatori d’iniquità. E in quanto a voi, vi suggerisco di fare lo stesso. Ma voi siete giovane, e i giovani sono sempre amici del peccato, così non sprecherò il fiato. Andatevene».

Gettò la lettera in un cestino dei rifiuti, e voltò le spalle a Len. Len si strinse nelle spalle, e uscì dall’ufficio. Attraversò la piazza fangosa, diretto al recinto dei mercanti. Uno degli uomini, sotto il portico del negozio, scese i gradini, e con aria distratta si avvicinò all’ufficio di Gerrit. Stava piovendo più forte, ora, e rivoletti di acqua giallastra scorrevano dappertutto sul terreno nudo.

C’erano moltissimi carri nel recinto, ma nessuno di loro portava sul tendone il nome di Hostetter. Quasi tutti gli uomini erano al riparo, a causa della pioggia. Non vide nessuno che conosceva, e nessuno gli rivolse la parola. Dopo qualche tempo, voltò le spalle ai carri, e tornò indietro.

La piazza era piena di uomini. Erano in piedi sotto la pioggia, e l’acqua gialla e fangosa si muoveva intorno ai loro stivali, ma a loro pareva indifferente. Tutti guardavano dalla stessa parte… tutti guardavano Len.

Uno di loro disse:

«Voi siete di Refuge».

Len annuì.

«Lavorate per Dulinsky».

Len si strinse nelle spalle, e fece per passare oltre.

Altri due uomini si misero ai suoi fianchi, e gli afferrarono le braccia. Lui cercò di liberarsi, ma essi lo tennero stretto, uno da ciascun lato, e quando cercò di divincolarsi scalciando, gli bloccarono anche le gambe.

Il primo uomo disse:

«Abbiamo un messaggio per Refuge. Potete riferirlo voi. Non lasceremo che prendano ciò che è nostro di diritto. Se non ci penseranno loro a fermare Dulinsky, lo fermeremo noi. Siete capace di ricordare il messaggio?»

Len lo guardò freddamente, ma era spaventato. Non disse niente.

«Fateglielo ricordare, ragazzi,» disse il primo uomo.

I due uomini che lo tenevano stretto furono raggiunti da altri due. Insieme, costrinsero Len ad abbassarsi, con il viso nel fango. Lui si rialzò, e quando fu di nuovo sulle mani e sulle ginocchia, essi lo colpirono con calci precisi, freddi e violenti, gettandolo di nuovo nel fango, poi afferrandolo per le braccia e costringendolo a girarsi. Poi qualcun altro lo prese, e un altro, e un altro ancora, sballottandolo e colpendolo per tutta la piazza, in un silenzio innaturale, rotto soltanto da grugniti dovuti allo sforzo: nessuno gli fece veramente male, ma nessuno gli diede la possibilità di reagire. Quando ebbero finito, se ne andarono, e lo lasciarono, stordito e ansante, seduto nel fango, con la bocca piena di fango e di acqua. Riuscì a rimettersi in piedi, allora, e si guardò intorno, ma ora la piazza era deserta. Scese al traghetto, e salì a bordo, benché la partenza fosse ancora lontana. Era fradicio e intirizzito, e tremava, anche se non avvertiva un vero e proprio senso di freddo.

Il capitano del traghetto era nato a Refuge. Aiutò Len a pulirsi, e gli diede una coperta, prendendola dalle proprie provviste. Poi Len guardò le strade di Shadwell.

«Li ammazzo,» disse Len. «Giuro che li ammazzo.»

«Certo,» disse il capitano del traghetto. «E vi dirò una cosa. Sarà meglio che non vengano a Refuge a provocare guai, altrimenti si accorgeranno che cosa significa andare in cerca di guai».

Nel primo pomeriggio la pioggia cessò di cadere, e alle cinque, quando il traghetto si ormeggiò di nuovo a Refuge, il cielo si stava già rasserenando. Len andò subito da Dulinsky, a raccontare quello che era accaduto, e Dulinsky assunse un’espressione grave e scosse il capo.

«Mi dispiace, Len,» disse. «Avrei dovuto saperlo. Non avrei dovuto permetterti di fare questo».

«Ebbene,» disse Len, «Non mi hanno fatto alcun male, in realtà, e adesso voi sapete come stanno le cose. Certamente verranno qui, all’adunanza. Potete scommetterci».

Dulinsky annuì. I suoi occhi cominciarono a brillare, di quella sua fiamma fredda, e poi egli si fregò le mani.

«Forse è quello che volevamo,» disse. «Presto, va’ a cambiarti e a mangiare qualcosa. Ci vediamo dopo».

Len s’incamminò verso la baracca che era diventata la sua casa, ma Dulinsky lo aveva già preceduto, e tutti i moli erano pieni di uomini di guardia, e le guardie del nuovo magazzino erano state raddoppiate.

Nel recinto dei mercanti, Fisher vide Len, gli si avvicinò, e domandò, apprensivo:

«Cosa è successo, Len?»

«Ho avuto dei guai con quelli di Shadwell,» rispose Len, ancora troppo in collera per provare il desiderio di parlarne. Entrò nella sua baracca, e chiuse la porta, e cominciò a spogliarsi, togliendosi gli abiti che erano diventati duri e impastati, per il fango rappreso.

E per tutto il tempo, continuò a porsi delle domande.

Si domandò se Hostetter lo avesse abbandonato. E si domandò inoltre se Hostetter, o chiunque altro, fosse stato realmente in grado di fare qualcosa, quando il momento sarebbe venuto. Ricordò la voce, che aveva detto qualcosa… qualcosa sul fatto che non sempre lui avrebbe potuto essere salvato.

Quando si fece buio, uscì dalla baracca, e si avviò verso la piazza del paese, per partecipare all’adunanza.