"La città proibita" - читать интересную книгу автора (Brackett Leigh)

11.

La piazza principale di Refuge era vasta ed erbosa, con alberi che mandavano ombra durante l’estate. La chiesa, austera e spoglia e autoritaria, dominava la piazza dal lato settentrionale. Sui lati orientale e occidentale c’erano edifici più piccoli, magazzini, case, una scuola, sul lato meridionale sorgeva il municipio, non proprio alto come la chiesa, ma più largo, pieno di ali che ospitavano le aule del tribunale, gli archivi, i numerosi uffici necessari a condurre ordinatamente la vita di un paese di quelle dimensioni. I negozi e gli edifici pubblici erano chiusi, ora, immersi nel buio, e Len notò che diversi bottegai avevano abbassato le serrande.

La piazza era piena di gente: sembrava che ci fossero tutti gli uomini e le donne di Refuge, in piedi sull’erba umida, oppure in movimento da un capannello all’altro, chiacchierando con i vicini, e non soltanto gli abitanti di Refuge erano là, ma altri, contadini venuti dalla campagna, un manipolo di Nuovi Mennoniti. Una specie di pulpito era stato eretto al centro della piazza. Era una costruzione permanente, e veniva usata soprattutto dai predicatori ospiti, per pubbliche preghiere all’aperto, ma anche gli uomini politici se ne servivano, durante le elezioni locali o nazionali. Mike Dulinsky intendeva servirsene, quella sera. Len ricordò quello che gli aveva narrato la nonna, sui vecchi tempi, quando un oratore poteva parlare a tutti i cittadini del paese, attraverso le scatole della tivù, nello stesso momento, e si chiese con un brivido di eccitazione se quella notte non fosse stata l’inizio della lunga strada del ritorno a quel tipo di mondo… Mike Dulinsky, che parlava a un manipolo di persone, in un villaggio chiamato Refuge, sull’oscuro Ohio. Aveva letto a sufficienza i libri di storia del giudice Taylor per sapere che a volte le cose accadevano proprio così: una piccola causa provocava grandi effetti. Il suo cuore cominciò allora a battere più veloce, ed egli cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro, deciso a fare in modo che Dulinsky potesse parlare, malgrado qualsiasi ostacolo o qualsiasi impedimento.

Il predicatore, fratello Meyerhoff, uscì dalla porta laterale della chiesa. Quattro diaconi erano con lui, insieme a un quinto uomo che Len non riconobbe fino a quando il piccolo gruppo non fu entrato nel circolo di luce prodotto da uno dei falò che ardevano nella piazza. Il quinto uomo era il giudice Taylor. Essi proseguirono, e Len li smarrì tra la folla, ma era sicuro che essi fossero diretti al palco degli oratori. Li seguì, allora, lentamente. Era a metà strada, ormai, sull’erba umida e nello spazio aperto, quando Mike Dulinsky giunse dall’altro lato, e ci fu un’animazione improvvisa, un generale avvicinarsi al centro, e la folla si ammassò, improvvisamente, tanto che per passare lui fu costretto a spingere. C’erano sei uomini con Dulinsky, che portavano delle lanterne all’estremità di lunghi pali. Sistemarono i pali in circolo, intorno al palco degli oratori, in modo che formassero una colonna di luce nel buio. Dulinsky salì sul podio, e cominciò a parlare.

Qualcuno tirò la manica di Len, ed egli si voltò. Era Esaù, che gli faceva cenno di uscire dalla folla.

«Ci sono delle barche sul fiume,» disse Esaù, quando furono in disparte, dove nessuno poteva udirli. «Vengono da questa parte. Avvertilo tu, Len, io devo ritornare ai moli». Si guardò intorno, furtivamente. «Hai visto Amity?»

«Non l’ho vista. C’è il giudice».

«Oh, Signore,» disse Esaù. «Ascolta, io devo andare. Se vedi Amity, dille che non ci sarò, per un po’ di tempo. Lei capirà».

«Davvero? Credevo che ti vantassi di non lasciarti…».

«Oh, fa’ silenzio. Di’ a Dulinsky che stanno arrivando. E sta attento, Len. Non metterti nei guai più di quanto non sia necessario».

«A me sembra che quello nei guai sia un altro… tu, per l’esattezza,» disse Len. «Se non vedo Amity, riferirò il messaggio a suo padre, che ne dici?»

Esaù imprecò, e sparì nell’oscurità. Len cominciò di nuovo ad attraversare la folla. Erano tutti in silenzio, ascoltavano, con espressione grave e occhi intenti. Dulinsky stava parlando con appassionata sincerità. Era il suo momento, quello, e intendeva sfruttarlo completamente, e dire tutto quello che aveva da dire.

«…questo è accaduto ottant’anni or sono. Ora nessun pericolo ci minaccia, perché dovremmo continuare a vivere sotto l’ombra di una paura che non ha più alcuna ragione?»

Un mormorio a metà soffocato e a metà ansioso percorse la folla. Dulinsky non lo lasciò spegnere.

«Ve lo dirò io il perché!» gridò. «È perché i Nuovi Mennoniti sono saliti in sella, e hanno sempre tenuto il governo fin da allora. Essi non amano la crescita, non amano il cambiamento. Il loro credo rifiuta entrambe le cose, e non solo il loro credo, ma anche la loro avidità. Sì, ho detto avidità! Essi sono contadini. Non vogliono vedere i centri di commercio, come Refuge, diventare ricchi e grassi, non vogliono una concorrenza sul mercato, e soprattutto non vogliono che gente come noi li faccia alzare dai loro comodi sedili al Congresso, là dove essi possono fare tutte le leggi. Così ci proibiscono di costruire un nuovo magazzino, quando noi ne abbiamo bisogno. Ora credete che questo sia onesto, giusto, o santo? Voi, fratello Meyerhoff, credete che i Nuovi Mennoniti debbano dirci sempre come dobbiamo vivere, o anche la nostra Chiesa della Santa Riconoscenza dovrebbe poter dire una parola in merito?»

Il fratello Meyerhoff rispose:

«Non si tratta di loro o di noi. Si tratta di voi, Dulinsky, e voi state bestemmiando!»

Un coro di voci, in prevalenza femminili, approvò quelle parole. Len si spinse fino ai piedi del palco. Dulinsky si sporgeva, guardando Meyerhoff. C’erano delle goccioline di sudore sulla fronte dell’uomo.

«Io sto bestemmiando?» domandò. «Ditemi in qual modo».

«Voi siete stato in chiesa. Voi avete letto il Libro, e avete ascoltato i sermoni. Voi sapete che l’Onnipotente ha ripulito la terra dalle città, e ha ordinato ai Suoi figli da Lui salvati di seguire sempre le vie della giustizia, di amare le cose dello spirito e non le cose della carne! Nelle parole del profeta Nahum…»

«Ma io non voglio costruire una città,» disse Dulinsky. «Io voglio costruire un magazzino».

Ci furono delle risatine nervose, subito soffocate. Il viso di Meyerhoff era scarlatto, sopra la barba. Len salì i gradini, e parlò brevemente a Dulinsky, che annuì. Len scese di nuovo. Avrebbe voluto dire a Dulinsky di lasciare in pace i Nuovi Mennoniti, ma non osava farlo, per paura di rivelarsi.

«Chi,» domandò Dulinsky a Meyerhoff, «Vi ha parlato di città?» Fece una pausa, e poi puntò il braccio, drammaticamente, «Siete stato voi, giudice Taylor?»

Nel chiarore delle lanterne, Len vide che il volto del giudice Taylor era stranamente pallido e sofferente. La sua voce, quando egli parlò, era calma, ma risuonò per tutta la piazza.

«C’è un emendamento nella Costituzione degli Stati Uniti che vi proibisce di fare questo. Non ci sono discorsi che potranno cambiare questo, Dulinsky».

«Ah!» disse Dulinsky, in tono soddisfatto, come se il giudice Taylor fosse caduto in una trappola. «Ma è qui che sbagliate! Sono i discorsi, esattamente, quelli che potranno cambiarlo! Se parleranno abbastanza persone, e se parleranno abbastanza a lungo e abbastanza forte, l’emendamento verrà cambiato, in modo che un uomo possa costruire un magazzino, se ne ha bisogno per riparare della farina o delle pelli, o una casa, se ne ha bisogno per mettere al riparo la sua famiglia». Alzò ancora la voce, gridando, «Pensate a questo, gente! I vostri figli sono costretti a lasciare Refuge, e molti altri dovranno andarsene, perché non possono costruire altre case, quando si sposano. Ho ragione?»

Ottenne molti consensi, a quella domanda. Dulinsky sogghignò. Ai margini oscuri della folla apparve un uomo, poi un altro e un altro ancora. Venivano dal fiume.

E Meyerhoff disse, con voce che vibrava di collera:

«In tutte le epoche, sempre, gli increduli hanno preparato la via al male».

«Forse,» disse Dulinsky. Stava guardando oltre la testa di Meyerhoff, ai margini della folle. «E sono disposto ad ammettere di essere un incredulo». Diede un’occhiata a Len, il segnale convenuto, mentre la folla ammutoliva, sbalordita da quelle parole. Poi egli continuò, in fretta, e con calma:

«Sono un incredulo, perché non credo nella povertà, nella fame, nella miseria. Non conosco nessuno che creda in queste cose, a parte i Nuovi Ismaeliti, ma non ricordo neppure che essi abbiano avuto grande considerazione presso di noi. Anzi, se ricordate, fummo noi a scacciarli dalle nostre terre. Non credo, non crederò mai che un bambino sano e normale debba essere legato con robuste cinghie, per impedirgli di diventare più alto di quanto qualcuno creda sia opportuno. Io…»

Il giudice Taylor passò accanto a Len, e salì i gradini del palco. Dulinsky parve sorpreso, e si fermò nel bel mezzo della frase. Taylor lo incenerì con uno sguardo ardente, e disse:

«Un uomo può fare qualsiasi cosa con le parole». Si rivolse alla folla. «Io vi darò dei fatti, e vedremo poi se Dulinsky riuscirà a cancellarli con le parole. Se voi violate la legge che limita l’espansione della comunità, non influenzerete soltanto Refuge. L’influenza si estenderà a tutta la campagna che la circonda. Ora, i Nuovi Mennoniti sono gente pacifica e laboriosa, e il loro credo proibisce di ricorrere alla violenza. Essi seguiranno le vie prescritte dalla legge, anche se si tratta di vie lente e difficili. Ma ci sono altre sette nella campagna, e il loro credo è diverso. Essi pensano che sia loro dovere impugnare la falce del Signore».

Tacque, e nel silenzio Len avvertì l’ansia della folla.

«Sarà meglio che voi pensiate a quello che state facendo, e non solo una volta,» disse Taylor, «Prima di spingerli a brandire quella falce contro di voi».

Ci furono degli applausi, dai margini della folla. Dulinsky domandò, in tono sprezzante:

«Di che cosa avete paura, giudice… dei contadini, o degli uomini di Shadwell?» Si sporse dalla balaustra, e fece un ampio cenno. «Venite qui, gente di Shadwell, venite dove possiamo vedervi. Non dovete avere paura, siete gente coraggiosa. Ho un ragazzo, qui, che ha conosciuto tutto il vostro coraggio. Len, vieni un momento qui.»

Len obbedì, evitando lo sguardo del giudice Taylor. Dulinsky lo condusse fino alla balaustra.

«Alcuni di voi conoscono Len Colter. Io l’ho mandato questa mattina a Shadwell, per affari. Volete dirci qual è stata l’accoglienza che gli avete riservata, gente di Shadwell, oppure vi vergognate?»

La folla cominciò a brontolare, e a voltarsi.

«Cosa succede?» gridò una voce rude e profonda, dai margini della piazza. «Non gli è piaciuto il sapore del fango di Shadwell?» Gli uomini di Shadwell risero tutti, e poi un’altra voce, una che Len ricordava troppo bene, lo chiamò, dicendo, «Gli avete riferito il messaggio?»

«Sì,» disse Dulinsky. «Di’ alla nostra gente quel messaggio, Len. Parla forte, in modo che tutti possano ascoltare».

Il giudice Taylor disse improvvisamente, a bassa voce, tra i denti:

«Rimpiangerete questa notte». Scese di corsa i gradini.

Len guardò le ombre, irato.

«Intendono fermarvi,» disse alla gente di Refuge. «Quelli di Shadwell vi impediranno di crescere. È per questo che sono qui, stanotte». La sua voce salì ancora di un’ottava, fin quasi a incrinarsi. «Non m’importa sapere chi abbia paura di loro,» disse. «Io no!» Scavalcò la balaustra, lanciandosi sul terreno, e avanzò, tra la folla. Tutta la collera impotente che aveva provato durante l’umiliante scena del mattino era ritornata su di lui, cento volte moltiplicata, ora, e non gli importava realmente sapere quello che avrebbero fatto gli altri, o quello che sarebbe accaduto a lui. Si aprì un varco tra la folla, e poi la strada fu improvvisamente aperta, davanti a lui, e gli uomini di Shadwell erano riuniti in un gruppo compatto, e lo aspettavano. La voce di Dulinsky stava gridando qualcosa, in cui i nomi di Refuge e Shadwell erano uniti dalla parola paura. La folla cominciava a muoversi. Una donna stava urlando. Gli uomini di Shadwell avevano cominciato a tirare fuori dei bastoni dalle grandi giubbe che li coprivano. Len balzò su di loro come una pantera. Un grande ruggito si alzò dalla folla, e la rissa ebbe inizio.

Len atterrò il suo uomo, tempestandolo di pugni. C’era un turbine di gambe intorno a lui, e molta gente cadeva. Si udivano molte grida, ora, e gli stivali si muovevano selvaggiamente. Qualcuno colpì Len alla nuca. Il mondo si capovolse, per un momento, e quando ritornò stabile egli avanzava già, vacillando, in mezzo a un piccolo vortice ribollente di uomini che ansavano, e afferrava la giacca di qualcuno, e muoveva i pugni, alla cieca. Il vortice girava e si sollevava e lo catapultò contro una serranda di un negozio, e passò oltre. Così rimase là, confuso, scuotendo la testa, perdendo sangue dal naso. La folla si era dispersa. Le lanterne ardevano ancora intorno al pulpito, al centro della piazza, ma non c’era nessuno là, e nessuno rimaneva sullo spazio erboso che lo circondava, e c’erano solo delle tracce, dei cappelli e dei bastoni spezzati nell’erba. La rissa si era spostata. Len ne udiva il rumore che si allontanava per le strade e i vicoli che portavano ai moli. Grugnì, e cominciò a correre in quella direzione. Era contento che papà non lo potesse vedere, ora. Sentiva qualcosa di rovente e di strano, dentro di sé, e quella sensazione ardente e irragionevole gli piaceva. Voleva combattere ancora.

Quando raggiunse i moli, quelli di Shadwell si stavano ammucchiando sulle barche in gran fretta, agitando i pugni e gridando minacce. Gli uomini di Refuge erano tutti allineati sulla banchina, aiutandoli ad andarsene più in fretta. Due o tre uomini di Shadwell erano in acqua, e i compagni li stavano tirando a bordo. L’aria era piena di ululati e di miagolii di scherno. Mike Dulinsky era là, al centro del tumulto, con il suo abito nero strappato, e i capelli scompigliati, e con la camicia macchiata di sangue per una ferita alla bocca.

«Volete fermarci, vero?» stava gridando agli uomini di Shadwell. «Voi insegnate il da farsi a quelli di Refuge, siete voi a dare gli ordini, vero?»

Gli uomini che circondavano Dulinsky lo presero improvvisamente, e lo issarono sulle spalle, gridando di entusiasmo. Gli uomini di Shadwell si allontanarono lentamente e malinconicamente sulle acque scure del fiume. Quando furono fuori vista, la folla si girò, e sempre portando in trionfo Dulinsky, e applaudendolo, raggiunse il luogo nel quale i falò ardevano intorno all’intelaiatura del magazzino. Girarono più volte intorno alla costruzione, e anche le guardie applaudirono e lanciarono grida di trionfo. Len osservò la scena, sentendosi stordito, ma trionfante, poi, guardandosi intorno, vide delle luci splendere dalla direzione del recinto dei mercanti. Guardò, accigliandosi, e negli intervalli tra uno scroscio di applausi e un coro di evviva, nell’entusiasmo del magazzino, egli riuscì a cogliere delle voci di uomini, più lontane, e un rumore di cavalli. Preoccupato, cominciò a camminare, in direzione del recinto.

Lanterne e torce ardevano, tutt’intorno, per illuminare la scena. Gli uomini stavano portando fuori dalle stalle i loro cavalli, e li attaccavano ai carri, e si affrettavano a riempire i carri di merci, e tutti parevano sul punto di partire. Len rimase a guardare la scena per un paio di minuti, incredulo, e tutto il senso di trionfo e di eccitazione lo abbandonò. Si sentiva stanco, e il naso gli faceva male.

Vide Fisher, e si avvicinò a lui, e tenne fermi i primi cavalli, mentre il mercante lavorava.

«Perché ve ne andate tutti?» domandò.

Fisher gli diede un’occhiata dura e severa, di sotto la tesa del suo cappello piatto.

«I contadini se ne sono andati, pieni di intenti bellicosi,» disse. «Ritorneranno e porteranno guai, e noi non vogliamo aspettare».

Si assicurò che tutto fosse in ordine, e salì a cassetta. Len si scostò, e Fisher lo guardò dall’alto, e c’era qualcosa, nei suoi occhi, che gli ricordava lo sguardo di papà, di tanto, tanto tempo prima.

«Avevo un’opinione migliore di te, Len Colter,» disse Fischer. «Ma coloro che prendono una brace ardente verranno bruciati. Che il Signore abbia misericordia di te!»

Agitò le redini, e gridò ai cavalli, e il suo carro cigolò e si mosse, e anche gli altri carri si mossero, e Len rimase solo a seguirli con lo sguardo.