"La città proibita" - читать интересную книгу автора (Brackett Leigh)16.Attraversarono il canale il mattino dopo, insieme a una lunga processione di zattere, rimorchiatori, barche a vapore, chiatte, che scendevano con la corrente fino al golfo, grandi barche di mercanti che sembravano i carri che percorrevano le vie polverose di terraferma, andando in piccoli paesi solitari serviti soltanto dalle strade d’acqua. Fu una lenta avanzata, quella, anche se Kovacs disse che Rosen li faceva passare attraverso le chiuse con una rapidità superiore al normale, e c’era molto tempo da trascorrere seduti, a guardarsi intorno, con le mani in mano. Il sole era spuntato in un mare di nebbia. La nebbia si era diradata, ora, ma il caldo era cambiato, non era più il caldo asciutto e limpido del giorno prima. C’era foschia, l’aria era afosa e pesante, e bastava il minimo movimento per coprire il corpo di sudore. Kovacs fiutò l’aria, e disse che minacciava tempesta. «Verso la metà del pomeriggio,» disse Hostetter, osservando il cielo con occhi socchiusi. «Già,» disse Kovacs. «Sarà meglio trovare un ormeggio sicuro.» Se ne andò, intento a dirigere i lavori sulla sua barca. Hostetter era seduto sul ponte, nell’ombra sottile e precaria offerta dalla tettoia della cabina, e Len sedeva accanto a lui. Amity era ritornata nella sua cuccetta, ed Esaù era con lei. Di quando in quando, Len riusciva a sentire il mormorio delle loro voci, attraverso le finestrelle lunghe e strette, ma non si riusciva a cogliere neppure una parola. Hostetter seguì con lo sguardo Kovacs, con una certa invidia, e poi abbassò lo sguardo sulle proprie mani, grandi e callose, mani che avevano stretto per tutta la vita le redini dei cavalli. «Mi mancano molto,» disse. «Che cosa?» domandò Len, che era immerso nei suoi pensieri. «I miei cavalli. Il carro. Mi sembra strano, dopo tanti anni, restarmene qui seduto, senza fare niente. Non sono sicuro che mi piacerà.» «Credevo che foste contento di tornare a casa.» «Sì, infatti. Ed era tempo, davvero, perché ancora ci sono molti dei miei vecchi amici. Ma questa faccenda di condurre due vite ha degli inconvenienti, delle trappole nelle quali è facile cadere. Sono stato via da Bartorstown per quasi trent’anni, ormai, e in tutto quel tempo ci sono tornato soltanto una volta. Dei posti come Piper’s Run sono casa mia, adesso, quasi quanto il posto dove sono nato. Sai, quando ho annunciato, l’estate scorsa, che mi ritiravo dal lavoro attivo, a Piper’s Run mi hanno chiesto di stabilirmi tra loro… e vuoi sapere una cosa? Ho provato la tentazione di accettare.» Rimase pensieroso, guardando gli uomini al lavoro sul ponte e intorno alle chiuse senza realmente vederli. «Suppongo che ritornerà tutto come prima, per me,» disse. «Dopotutto, il posto dove si è nati e cresciuti è uno solo… eppure mi sembrerà strano, dover ricominciare a radermi la barba. E porto questi vestiti da tanto tempo…» L’acqua usciva gorgogliando dalla chiusa, e la barca affondava lentamente, tanto che si doveva sollevare il capo per vedere la sommità dell’argine. Il sole batteva implacabile, e non c’era un soffio di vento ad alleviare la calura, in quella sacca chiusa. Len socchiuse gli occhi, e tirò indietro i piedi, perché erano al sole e bruciavano. «Chi siete, voi?» domandò. Hostetter si voltò a fissarlo. «Un mercante.» «Voglio dire… chi siete davvero. Cosa fare a Bartorstown.» «Il mercante.» Len corrugò la fronte. «Davvero non capisco. Credevo che tutti gli abitanti di Bartorstown fossero qualcosa di diverso. Scienziati, costruttori di macchine… cose di questo genere.» «Io sono un mercante,» ripeté Hostetter. «Kovacs è un barcaiolo. Rosen è un buon amministratore, e tiene il canale in ordine e in perfetta efficienza, perché per noi è d’importanza vitale. Petto, al traghetto indiano… sai, conoscevo il padre di Petto, ed era un eccellente specialista di elettronica, ma il ragazzo è un mercante come me, solo che si trattiene molto più a lungo in un solo posto. Ci sono soltanto alcuni scienziati e tecnici potenziali in qualsiasi comunità, quindi anche a Bartorstown. E loro hanno bisogno di tutti noi, per andare avanti. Dall’inizio del tempo, ci sono stati degli scienziati e degli studiosi, e dei mercanti e degli amministratori e degli operai che li hanno aiutati a portare avanti il lavoro.» «Volete dire…» domandò lentamente Len, che stava cominciando a rivedere tante idee preconcette che si erano formate da anni nella sua mente. «Volete dire che per tutto questo tempo, per tutti questi anni, il vostro lavoro è stato veramente quello di…» «Di un mercante,» ripeté Hostetter. «Sì. Ci sono circa quattrocento persone a Bartorstown, senza contare noi che viviamo nel mondo esterno. Devono tutti mangiare, e indossare dei vestiti. Poi ci sono molte altre cose necessarie, il ferro e le leghe metalliche e le sostanze chimiche e le spezie, e così via. Tutte queste cose, naturalmente, devono essere portate a Bartorstown dall’esterno.» «Capisco,» disse Len. Poi, dopo una lunga pausa, disse, in tono malinconico. «Quattrocento persone. A Refuge ce n’erano più del doppio.» «Si tratta di un numero che supera del novanta per cento quello che avrebbe dovuto esserci. In origine, c’erano trentacinque o quaranta uomini, tutti specialisti, che lavoravano su questo progetto segretissimo, alle dipendenze del governo. Poi, quando è cominciata la reazione più violenta, dopo la guerra, e la situazione si è fatta molto brutta, costoro portarono molti altri uomini, con le loro famiglie, scienziati, professori, gente che non era più popolare nel mondo esterno, tutt’altro. Noi siamo stati fortunati. Esistevano moltissime altre installazioni segrete, in questo paese, ma Bartorstown è l’unica che non sia stata scoperta, o tradita, o abbia dovuto essere abbandonata.» Len si strinse le ginocchia, con occhi scintillanti. «Cosa facevano, là, quei quaranta uomini… gli specialisti?» Un’espressione bizzarra apparve negli occhi di Hostetter. Ma egli si limitò a dire: «Cercavano di trovare la risposta a un certo problema. Non posso dirti di che cosa si tratta, Len. Posso dirti soltanto che quella risposta non è stata trovata.» «Stanno ancora cercando?» domandò Len. «Oppure non potete dirmi neppure questo?» «Aspetta di arrivare là. Allora potrai fare tutte le domande che vorrai, e avrai le risposte dalle persone autorizzate a dartele. Io non sono autorizzato.» «Quando arriverò là,» mormorò Len. «Sapete, ancora non mi sembra vero. Quando arriverò a Bartorstown… me lo sono detto milioni di volte, l’ho sognato milioni di volte, ma adesso è reale, e non ci credo. Quando arriverò… io, Len Colter… a Bartorstown.» Sii prudente. Non è un nome da ripetere troppo a voce alta.» «State tranquillo. Ma… com’è, laggiù?» «Come aspetto fisico,» disse Hostetter, «È un buco. Piper’s Run, Refuge, Louisville… la comunità che vedi laggiù… sono tutte metropoli, al suo confronto.» Len guardò il tranquillo, ridente villaggio che si snodava lungo il canale, e la grande pianura verde che si stendeva più oltre, spruzzata dai puntini delle fattorie e del bestiame al pascolo, e disse, ricordando le immagini e le sensazioni di un sogno: «Niente luci? Niente torri?» «Luci? Be’, sì e no. Torri… temo di no.» «Oh,» disse Len, e tacque. La barca scivolava sulle acque, che gorgogliavano dolcemente nella scia, e respirare era un vero e proprio sforzo. Dopo qualche tempo Hostetter si tolse il largo cappello, e si asciugò la fronte, e disse: «Oh, no, è troppo caldo. Non può durare.» Len guardò il cielo. Era sereno e di un azzurro intenso; ma anche lui disse: «Il tempo sta per rompere. Penso che avremo una brutta tempesta.» Rivolse di nuovo la sua attenzione al villaggio. «Una volta quella era una città, non è vero?» «Una grande città.» «La ricordo, ora, il suo nome era stato dato in onore del re di Francia. Signor Hostetter…» «Sì?» «Che cosa è accaduto a quegli altri paesi… voglio dire, ai paesi come la Francia?» «Sono all’incirca nella nostra situazione… quelli che hanno vinto. Dio solo sa che cosa ne è stato degli sconfitti. L’intero mondo è ritornato indietro, somiglia molto all’epoca nella quale Louisville era di queste stesse dimensioni, e questo canale è stato scavato dal lavoro degli uomini. Molti temevano che l’uomo avesse cambiato il mondo, e invece il mondo è ritornato indietro, molto in fretta, come ai primi tempi. Come nei primi tempi, quando gli uomini erano ansiosi di crescere e di cambiare.» «Rimarrà sempre così?» «Niente,» disse Hostetter, «Rimane mai uguale.» «Ma non sarà durante la mia vita,» mormorò Len, ripetendo le parole del giudice Taylor. «Né durante quella dei miei figli.» E nella sua mente c’era il suono lontano e triste della caduta da altissimi edifici costruiti su un mare di nuvole. «Nel frattempo, però,» disse Hostetter. «Questo è un buon mondo. Cerca di godertelo.» «Un buon mondo, dite,» ripeté Len, amaramente. «Un mondo pieno di gente come Burdette, e come Watts, e come gli uomini che hanno ucciso Soames?» «Len, il mondo è stato sempre pieno di uomini così, e lo sarà sempre. Non chiedere l’impossibile.» Guardò il viso di Len, e poi sorrise. «Ma anch’io commetto lo stesso errore. Anch’io sto domandando l’impossibile.» «Cosa intendete dire?» «È una questione di età,» disse Hostetter. «Non ti preoccupare. Ci penserà il tempo a porvi rimedio.» Passarono attraverso le ultime chiuse, e ritornarono sul fiume, sotto le grandi cascate. Verso la metà del pomeriggio, l’intero orizzonte settentrionale era diventato di un nero violaceo, e un grande silenzio minaccioso era calato sulla terra. «Brutta faccenda,» disse Kovacs, e mandò di nuovo Len ed Esaù sottocoperta, a rifornire di carbone le macchine. La barca proseguì lungo la corrente, a tutto vapore, con una grande scia di schiuma. L’immobilità dell’aria si fece maggiore, il calore aumentò, soffocante, fino a quando non parve che il mondo fosse sul punto di scoppiare, e poi i primi brontolii della tempesta si udirono in lontananza, dominando anche il rumore della macchina. Finalmente Sam si affacciò alla sommità della scaletta, e gridò a Charlie di lasciar perdere, e di prepararsi all’attracco. Sudati e barcollanti, Len ed Esaù uscirono all’aperto, trovandosi in un fantastico mondo oscuro, nel quale il cielo era stato calato sulla terra come un mantello d’inchiostro. Si stavano fermando, ormeggiando in mezzo al fiume, al riparo di un’isola, la cui riva settentrionale si ergeva come una scogliera protettiva. «Ci siamo,» annunciò in tono lugubre Hostetter. Si misero tutti al riparo, nella cabina. Il vento arrivò per primo, facendo ondeggiare gli alberi e facendo cadere i rami più teneri. Poi cadde la pioggia, portata dal vento impetuoso a raffiche solide, che nascondevano ogni cosa alla vista, e si mescolavano con le foglie e i rami portati dal vento d’uragano. E poi cominciarono i lampi, e i tuoni, e il rumore secco degli alberi che venivano sradicati dalle folate più violente, e poi, dopo molto, molto tempo, rimase soltanto la pioggia, che scendeva diritta e pesante, come se qualcuno, in alto, la stesse rovesciando a catinelle. Salirono sul ponte, allora, assicurandosi che tutto fosse a posto, rabbrividendo perché l’aria si era fatta fredda e pungente, e poi ritornarono nella cabina, e dormirono a turno. La pioggia diminuì d’intensità, fin quasi a fermarsi, e poi ritornò di nuovo impetuosa, con l’arrivo di una nuova bufera, e durante il suo turno di guardia Len poté vedere tutto l’orizzonte illuminato dai lampi, mentre le nuvole tempestose danzavano nel cielo una danza incomprensibile, avanzando e indietreggiando, portate dalla massa di aria fredda che scendeva dal nord. Verso mezzanotte, attraverso il tamburellare della pioggia, ora costante e uggiosa, e il lontano brontolio iroso del tuono, Len cominciò a sentire un suono diverso, e capì che era il fiume che si stava gonfiando per l’ondata di piena. Ripartirono all’alba, un’alba limpida nella quale tutto il mondo sembrava essere stato rimesso a nuovo, lavato e meraviglioso, e una brezza fresca soffiava increspando le acque, da un cielo che pareva di porcellana dipinta, solcato qua e là da nuvolette bianche, e solo i rami strappati degli alberi, e le acque del fiume gonfie e limacciose e piene di rottami, ricordavano la furia selvaggia degli elementi, durante la lunga notte. A mezzo miglio dal punto in cui Kovacs aveva ormeggiato la barca, essi sorpassarono un rimorchiatore, con tutto il suo corteo di zattere, scagliato dalla forza della tempesta sulla riva sud, e più avanti, dopo un paio di miglia, c’era un mercantile, in secca sulla riva, dove era stato spinto dal vento. Fu quello l’inizio di un lungo viaggio, e, per Len, l’inizio di un lungo e strano periodo che nella sua mente assunse la qualità di un sogno. Seguirono l’Ohio fino alla foce, e poi andarono a nord, avventurandosi nel Mississippi. Ora risalivano la corrente, arrancando lenti e sicuri lungo un canale che cambiava continuamente direzione tra le rive, e la barca pareva sempre sul punto di urtare i pali di segnalazione imbiancati a calce. Consumarono tutto il carbone, e continuarono con la legna presa a una stazione di rifornimento dell’Illinois, e avanzarono ancora fino alla foce del Missouri, e successivamente, per giorni e giorni, arrancarono per risalire le rapide del Big Muddy. Faceva sempre caldo. C’erano temporali, e pioggia, e verso la metà di agosto le notti cominciarono a farsi più fredde, portando con loro i primi, lontani aliti dell’autunno. A volte il vento soffiava così violentemente contro di loro da costringerli ad ormeggiare la barca e ad aspettare, osservando il traffico che seguiva la corrente svilupparsi davanti ai loro occhi, velocissimo e sicuro. A volte, dopo la pioggia, l’acqua si gonfiava e cominciava a scorrere così precipitosa da impedir loro qualsiasi misurazione, e poi scemava con altrettanta celerità, mostrando loro come si fosse spostato l’insidioso canale, e allora dovevano sudare per ore e ore, impiegando tutte le loro energie, per liberare la barca dai banchi di sabbia nei quali era rimasta intrappolata. L’acqua fangosa bloccava la macchina, e così dovevano fermarsi a pulirla, e molte volte dovevano fermarsi per procurarsi la legna. Ed Esaù si lamentava, borbottando: «Questo è un modo di viaggiare molto disgraziato, per uomini di Bartorstown!» «Esaù, ascolta,» disse Hostetter. «Se avessimo degli aeroplani, saremmo felici di usarli. Ma non abbiamo aeroplani, e questo modo di viaggiare è molto migliore di quello ancora più semplice, e cioé andare a piedi… come scoprirai presto.» «Dobbiamo viaggiare ancora molto?» domandò Len. Hostetter indicò un punto a occidente. «Fino alle Montagne Rocciose.» «Quanto tempo ci vorrà ancora?» «Un mese. Forse qualcosa di più, se ci saranno degli ostacoli. Forse qualcosa di meno, se tutto andrà liscio.» «E non volete dirci niente, su quello che troveremo?» domandò Esaù. «Com’è il posto, qual è il suo aspetto, come si vive?» Ma Hostetter si limitò a fornire la stessa, breve risposta che aveva sempre dato a quelle domande: «Lo scoprirete da soli, quando arriverete là.» Non voleva parlare con loro di Bartorstown. Aveva fatto quella dichiarazione, affermando che Piper’s Run era un posto più piacevole, e poi non aveva più voluto dire altro. E neppure gli altri uomini si rivelavano più loquaci. Benché i giovani rivolgessero la domanda in ogni maniera possibile, cercando di deviare la conversazione in modo tanto sottile da strappare qualche indizio, gli uomini della barca parlavano di qualsiasi argomento, amabilmente, tranne che di Bartorstown. E Len capì che non ne parlavano, perché avevano paura di dire qualsiasi cosa. «Avete paura che noi possiamo denunciare i vostri segreti,» disse un giorno a Hostetter. E poi, non per esprimere un rimprovero, ma per constatare un fatto, aggiunse, «Penso che ancora non vi fidiate di noi.» «Non è una questione di fiducia. È, semplicemente, che nessun uomo di Bartorstown ne parla, e ormai dovresti sapere che è inutile fare delle domande.» «Mi dispiace,» disse Len. «Vedete, abbiamo pensato a queste cose per tanto, tanto tempo. Penso che avremo molto da imparare.» «Sì, molto,» disse Hostetter, pensieroso. «Non sarà facile, te lo assicuro. Vi sono molte cose che contrastano con qualsiasi credenza nella quale siete stati allevati, e per quanto voi vogliate ripudiare quello che avete appreso durante l’adolescenza, qualcosa rimane sempre.» «Questo non mi preoccupa,» interloquì Esaù. «No, infatti,» disse Hostetter. «Non ne dubito. Ma Len è diverso.» «Come, diverso?» domandò Len, un po’ offeso. «Esaù fa ogni cosa a orecchio, è superficiale,» disse Hostetter. «Tu invece ti preoccupi.» Più tardi, quando Esaù se ne fu andato in cabina, Hostetter posò la mano sulla spalla di Len, e sorrise, guardandolo fisso, e Len ricambiò il sorriso, e disse: «Certe volte mi ricordate moltissimo papà.» «Non mi dispiace,» disse Hostetter. «No, non mi dispiace affatto.» |
||
|