"La città proibita" - читать интересную книгу автора (Brackett Leigh)18.Balzò a terra, imitando Hostetter. Il conducente rimase a cassetta, in modo da poter spostare il carro per formare una linea di difesa, se fosse venuta la necessità. Esaù li raggiunse, insieme ad alcuni altri uomini, e al vecchio dagli occhi penetranti e dalle spalle poderose, che si chiamava, come Len aveva scoperto più tardi, Wepplo. Quasi tutti erano armati di fucili. «Cosa facciamo?» domandò Len, e il vecchio rispose: «Aspettiamo.» Aspettarono. Due uomini e una donna scesero lentamente dalla collina, e il capocarovana si fece avanti, altrettanto lentamente, per incontrarli, seguito da mezza dozzina di uomini armati, che gli proteggevano le spalle. E Len spalancò gli occhi. Le persone riunite sulla collina erano una consorteria di spaventapasseri, figure grottesche formate da vecchie ossa e da strisce di cuoio scolorito. C’era qualcosa di orribile, nell’accorgersi che tra di essi c’erano dei bambini, che guardavano con occhi pieni dell’usuale meraviglia dei bambini gli stranieri e i carri. Vestivano di pelli di capra, proprio come la Bibbia raffigurava la veste di Giovanni Battista, o lunghe vesti di semplice stoffa bianca e sporca, che parevano semplici lenzuoli. I capelli erano lunghi, e scendevano disordinatamente sulle spalle e sulla schiena, e gli uomini avevano delle barbe incolte, che arrivavano quasi alla cintura. Erano magri, scheletrici, e anche i bambini avevano un aspetto selvaggio e famelico. Gli occhi erano profondamente scavati, e forse era soltanto un effetto prodotto dal sole basso sull’orizzonte, ma Len ebbe la netta impressione che i loro occhi ardessero e bruciassero di una luce propria, come gli occhi di un cane idrofobo che un giorno aveva visto a Piper’s Run. «Ci attaccheranno?» domandò. «Ancora non si può dire,» rispose Wepplo. «A volte sì, a volte no. Dipende.» «Dipende?» domandò Esaù. «Da che cosa?» «Dal fatto che siano stati ’ispirati’, oppure no. Generalmente, si limitano a vagabondare nei deserti, e a pregare, e a fare molto santo digiuno. Ma poi, improvvisamente, uno di loro comincia a urlare, e a sbavare, e si getta a terra torcendosi e scalciando, e questo è un segno che essi sono stati colpiti dallo speciale favore del Signore. Così tutti gli altri cominciano a ballare e a urlare e a fustigarsi con rami spinosi o staffili… gli staffili, vedete, sono l’unico oggetto personale che la loro religione permette loro di possedere… e quando si sono lavorati l’un l’altro a questo modo, arrivando al grado di cottura giusta, si riuniscono e scendono a massacrare qualche agricoltore che ha offeso il Signore riempiendosi la pancia di cibo e proteggendo la sua famiglia con un solido tetto. Quando sono ispirati, sono imbattibili, come macellai, con delle vittime umane.» Len rabbrividì. I volti degli Ismaeliti lo riempivano di spavento. Ricordava i volti dei contadini, quando avevano marciato su Refuge, e ricordava lo spavento provato di fronte alla loro ferrea determinazione. Ma erano stati differenti. Il loro fanatismo esplodeva solo quando era provocato. Questa gente, invece, viveva di fanatismo, per il fanatismo, e lo serviva, con assoluta dedizione, senza ragionare, senza pensare. Sperò con tutte le sue forze che gli Ismaeliti non decidessero di attaccare. Non attaccarono la carovana. I due uomini e la donna dall’aspetto scarmigliato e selvaggio… la donna era una creatura ossuta, i cui spigoli apparivano attraverso il sudario che le copriva il corpo, e una massa di capelli neri che le coprivano le spalle… erano troppo lontani, perché si potessero sentire le parole, ma dopo qualche minuto il capocarovana si voltò, e parlò agli uomini che si trovavano alle sue spalle. Due di costoro ritornarono ai carri. Si diressero verso un carro particolare, e Wepplo grugnì. «Niente massacro, questa volta. Vogliono soltanto un po’ di polvere.» «Polvere da sparo?» domandò Len, incredulo. «A quanto sembra, la loro religione non li obbliga a morire, letteralmente, di fame, e ogni loro gruppo… questo è solo uno dei molti gruppi che vagano nei deserti… possiede due fucili. Ho saputo, però, che non hanno mai sparato a un vitello, o a una mucca tenera e giovane, ma soltanto ai vecchi tori, che sono abbastanza coriacei da mortificare la carne di chiunque.» «Ma la polvere da sparo!» disse Len. «Non se ne servono, poi, anche contro gli agricoltori?» Il vecchio scosse il capo. «Uccidono con i coltelli e con le unghie, quando uccidono. Suppongo che, in questo modo, siano più vicini al loro lavoro. Inoltre, hanno pochissima polvere da sparo, il minimo sufficiente per sopravvivere.» Indicò i due uomini, che stavano ritornando verso la collina portando una borsa piena a metà. Un lieve suono, per metà lamentoso e per metà imperioso, giunse dal secondo carro verso il fondo, rispetto a quello dove si trovavano, ed Esaù disse: «Oh, Signore, è Amity che mi sta chiamando. Probabilmente è spaventata a morte.» Si voltò, e andò immediatamente da quella parte. Len rimase a osservare i Nuovi Ismaeliti. «Da dove vengono?» domandò, cercando di ricordare quello che aveva sentito dire sul loro conto. Erano una delle primissime sette nate dopo la Distruzione, e una delle più rigorose ed estremiste, ma non ne sapeva molto di più. «Alcuni erano già qui, fin dall’inizio,» disse Hostetter. «Sotto altri nomi, naturalmente, e non così pazzi, perché la pressione della società li teneva sotto controllo, ma erano comunque un seme molto fertile anche prima della Distruzione. Altri vennero qui, spontaneamente, quando il movimento dei Nuovi Ismaeliti prese forma, e cominciò veramente a funzionare. Moltissimi altri vennero ricacciati dall’Est, essendo dei naturali provocatori di guai che la gente normale desiderava allontanare il più possibile: di paese in paese, vennero respinti in questa che, dopotutto, è la loro terra naturale.» La piccola borsa di polvere da sparo cambiò di mano. Len disse: «Con che cosa la pagano?» «Con niente. Comprare e vendere sono il contrario della santità, e poi, non avrebbero niente da offrire. A pensarci bene, non so per quale motivo, alla fine, gliela diamo. Penso,» continuò Wepplo, «Che si tratti soprattutto dei bambini. Vedi, qualche volta se ne trova uno tra i rovi, smarrito, proprio come il cucciolo di un lupo della prateria; se lo si trova in tempo, e lo si alleva bene, diventa come tutti noi, magari anche più intelligente. Pensare che quei bambini muoiano di fame non fa piacere a nessuno. Così diamo la polvere da sparo.» La donna sollevò le braccia, anche se Len non riuscì a capire se questo fosse stato in segno di benedizione o di maledizione. Il vento agitò i lunghi capelli neri, rivelando il volto, e Len scoprì con stupore che era giovane, e avrebbe potuto essere graziosa se le guance non fossero state così scavate, e gli occhi così febbrili e folli. Poi la donna e i due uomini salirono di nuovo in cima alla collina, e cinque minuti più tardi se ne andarono tutti, nascosti dalle gole e dalle cime sabbiose. Ma quella notte gli uomini di Bartorstown raddoppiarono le guardie. Due giorni più tardi riempirono di acque ogni borraccia, secchio o barile, e lasciarono il fiume, dirigendosi verso sud-ovest, in una terra deserta e vuota, bruciata dal sole, battuta dal vento, e secca come un vecchio teschio. Stavano salendo, ora, verso distanti bastioni di roccia rossa con masse confuse di cime che si levavano azzurre e lontane più oltre. I muli e gli uomini faticavano insieme, avanzando lentamente, e Len imparò a odiare il sole. Guardava le lontane vette crudeli e aspre, e si poneva domande prive di risposta. Poi, quando l’acqua fu quasi finita, giunsero a una rossa scarpata che curvava verso occidente, e nella quale c’era un’apertura larga come due carri, e Hostetter disse: «Quello è il primo passo.» Entrarono in fila nel passo. Il terreno era liscio come una strada artificiale, ma era ripido, e tutti camminavano a piedi, ora, per rendere più agevole la fatica dei muli, eccettuata Amity. Dopo qualche tempo, senza un ordine percepibile, e senza qualsiasi ragione evidente, si fermarono. Domandò il perché. «Una normale precauzione,» disse Hostetter. «Non siamo generalmente invasi dai visitatori, come potrai immaginare osservando il paesaggio, ma nemmeno un coniglio può entrare da questo passo senza essere visto, e la consuetudine è quella di fermarsi per lasciarsi osservare. Se qualcuno non lo fa, sappiamo immediatamente che si tratta di un estraneo.» Len girò il collo, ma non riuscì a vedere altro che rocce rosse. Esaù camminava al loro fianco, e c’era anche Wepplo. Wepplo notò la perplessità dei giovani, e scoppiò in una risata allegra: «Ragazzi miei, vi stanno squadrando ben bene, in questo preciso momento, a Bartorstown. Sì, proprio così. Vi studiano bene, e se non trovano di loro gradimento la vostra faccia, premono un bottoncino e, «Cosa volete dire, «È verissimo, invece,» interloquì con voce pacata Hostetter. «Ma non c’è niente da preoccuparsi. Sanno che ci siete anche voi.» Len sentì la schiena tramutarsi in un solo brivido di gelo. «Come è possibile che ci vedano?» «Grazie agli scrutatori,» disse Hostetter, indicando con un gesto vago le rocce. «Nascosti nelle fessure, dove non potete vederli. Uno scrutatore è una specie di occhio, molto lontano dal corpo. Chiunque attraversi il suo campo di visione viene visto a Bartorstown… che dista ancora un giorno di marcia.» «E per fare queste cose, devono semplicemente premere qualcosa?» domandò Esaù, inumidendosi le labbra. Wepplo spalancò di nuovo le braccia, e ripeté, ridendo: « «Dev’esserci qualcosa di veramente segreto, laggiù,» disse Esaù, «Per prendere tutte queste precauzioni.» Wepplo aprì la bocca, e Hostetter disse: «Che ne direste di andare a dare una mano laggiù? Quel carro ha dei problemi.» Wepplo chiuse di nuovo la bocca, e si curvò sul timone di un carro che, apparentemente, procedeva normalmente. Len guardò attentamente Hostetter, ma questi gli voltava la schiena, e tutta la sua attenzione pareva concentrata sul compito di spingere il carro. Len sorrise, e non disse niente. Al di là del passo c’era una strada. Era una strada eccellente, ampia e uniforme, e Hostetter disse che era stata fatta molto, molto tempo prima della Distruzione, e la chiamò strada di arroccamento. Si sviluppava a zig-zag seguendo i contorni di una montagna, e Len poté vedere i segni sulla roccia, dove enormi denti d’acciaio avevano scavato. Salirono lentamente, con i muli che sbuffavano e borbottavano, e gli uomini che li aiutavano, e Hostetter indicò una spaccatura irregolare nella montagna, molto alta, contro il cielo, e disse: «Domani.» Il cuore di Len cominciò a battere più forte, e i nervi parvero percorsi da un fremito in tutto il suo stomaco. Ma si limitò a scuotere la testa, e Hostetter domandò: «Cosa ti succede?» «Non avrei mai pensato che ci fosse una strada per arrivarci. Voglio dire, proprio una strada.» «Come pensavi che potessimo entrare e uscire?» «Non lo so. Non lo so quello che pensavo,» disse Len. «Ma credevo che ci fossero delle mura, o delle guardie, o qualcosa di simile. Naturalmente, possono fermare gli intrusi nella gola, là in basso…» « «Volete dire che la gente può passare di là, semplicemente? E risalire questa strada? E valicare il passo, per giungere a Bartorstown?» «Sì e no,» disse Hostetter. «Non hai mai sentito dire che il modo migliore per nascondere qualcosa è lasciarlo dove tutti possono vederlo?» «Non capisco,» disse Len. «Non capisco.» «Capirai.» «Lo spero.» Gli occhi di Len erano di nuovo eccitati, splendevano di quella luce particolare che si associava sempre ai suoi sogni di Bartorstown, ed egli ripeté, sommessamente, «Domani,» come se avesse voluto accarezzare quella parola, come se l’avesse trovata di un sapore squisito. «La strada è stata lunga e difficile, vero?» disse Hostetter. «Il tuo desiderio di venire doveva essere veramente grande, per averti fatto aspettare con tanta tenacia.» Tacque per un momento, osservando l’alto passo. Poi disse, «Non avere fretta, Len. Devi dare tempo al tempo. Non troverai tutto quello che hai sempre sognato, ma non avere fretta. Non prendere delle decisioni affrettate.» Len si volse, e lo osservò, con espressione grave: «È da quando siamo partiti che ho l’impressione che vogliate mettermi in guardia. Sì, proprio così. Volete mettermi in guardia, contro qualcosa che non so.» «Cerco soltanto di dirti di… di non essere impaziente. Devi lasciare a te stesso la possibilità di adattarti.» Improvvisamente, quasi irato, esclamò, «Questa è una vita dura, ecco cosa cerco di dirti. È dura per tutti, anche a Bartorstown, e non promette di diventare più facile, e non ti devi aspettare uno spendente paradiso, una terra dei sogni, per poi restare con il cuore spezzato davanti a una delusione.» Fissò duramente Len, un breve sguardo, e poi voltò il capo, respirando più forte e muovendo istintivamente le mani, come un uomo che sia turbato e non voglia mostrarlo. E Len disse allora, lentamente: «Voi odiate questo posto.» Non riusciva a crederlo. Era impossibile. Ma quando Hostetter disse: «È ridicolo, come posso odiarlo?» in quel momento Len capì che era vero. «Perché siete ritornato? Avreste potuto rimanere a Piper’s Run.» «Anche tu avresti potuto farlo.» «Ma è diverso.» «No, invece! Tu hai una buona ragione, e anch’io.» Continuò a camminare per un minuto, a capo chino. Poi aggiunse, «Una sola cosa, Len. Non pensare mai di ritornare indietro.» Si allontanò in fretta, e Len rimase indietro, e non poté vederlo da solo per tutto il resto del giorno e della notte. Ma si sentiva scosso, sconvolto, esattamente come sarebbe accaduto se, ai vecchi tempi, papà gli avesse detto improvvisamente che Dio non esisteva. Non disse niente a Esaù. Continuò a guardare il passo, e a porsi mille domande, domande senza risposta. Nel tardo pomeriggio furono abbastanza in alto, tra le montagne, da avere una buona visione della strada già percorsa, oltre il contrafforte della scarpata rossa, là dove il deserto si stendeva solitario e ardente. Una terribile sensazione di dubbio era calata su di lui. La roccia gialla e rossa, i picchi aguzzi che si protendevano verso il cielo, la luce impietosa che non veniva mai addolcita da una nuvola, o ammorbidita da una pioggia, il deserto grigio e la povere e l’arsura, i vasti silenzi risonanti dove nulla viveva all’infuori del vento, tutte queste cose parevano schernirlo, con la loro indifferenza cupa, con la loro totale mancanza di speranza. Lui avrebbe voluto tornare indietro… no, non a casa, perché là avrebbe dovuto affrontare lo sguardò di papà, e neppure a Refuge. Semplicemente, in un posto dove ci fosse stata vita, e acqua, ed erba verde e lucida. In un posto dove le orribili rocce nude non si ergessero da ogni parte, come… Come che cosa? Come la verità, quando tutti i sogni le venivano strappati, come veli inutili? Non era un pensiero allegro. Cercò di ignorarlo, ma ogni volta che vedeva Hostetter, ricominciava a tormentarlo. Hostetter sembrava cupo e pensieroso, e scomparve subito dopo la cena, consumata nell’improvvisato accampamento. Len andò a cercarlo, o meglio, cominciò a farlo, ma poi la ragione gli disse che non era il caso. Erano accampati sulla cima del passo, dove si apriva un vasto spazio su entrambi i lati della strada. Il vento ululava, impetuoso, e il freddo era pungente. Poco prima che calasse l’oscurità, Len notò alcune lettere scolpite in una parete di roccia che sovrastava la strada. Erano in parte cancellate dal tempo, sgretolate dalle stagioni, ma erano grandi, e poté leggerle. Dicevano: FALL CREEK 13 MIGLIA. Hostetter era scomparso, e così Len andò a cercare Wepplo, e gli chiese il significato di quelle lettere. «Non sai leggere, ragazzo? Significano esattamente quello che dicono. Fall Creek, tredici miglia. Da qui a là.» «Tredici miglia,» disse Len, «Da qui a Fall Creek. Va bene. Ma cos’è Fall Creek?» «Un paese,» disse Wepplo. «Dov’è?» «Nel Canyon di Fall Creek.» Puntò il braccio. «Tredici miglia.» Stava sogghignando. Len cominciava a detestare il senso dell’umorismo di quel vecchio. «Cosa c’entra Fall Creek?» domandò. «Cosa c’entra con noi, voglio dire?» «Be’,» disse Wepplo. «C’entra con noi, eccome! Se non c’entra Fall Creek, vorrei sapere cos’altro al mondo può entrarci! Non lo sapevi, ragazzo? È là che stiamo andando.» Poi scoppiò in un’altra risata. Len batté frettolosamente in ritirata. Era furioso con Wepplo, furioso con Hostetter, furioso con Fall Creek. Era furioso col mondo intero. Si raggomitolò nella sua coperta, e giacque così, tremando e maledicendo ogni cosa. Era terribilmente stanco. Ma impiegò molto tempo per addormentarsi, e poi cominciò a sognare. Sognò che lui stava cercando Bartorstown. Sapeva di essere quasi arrivato, ma c’era nebbia, e faceva buio, e la strada continuava a cambiare direzione, sempre mutevole. Continuava a chiedere a un vecchio come avrebbe potuto arrivarci, ma il vecchio non aveva mai sentito parlare di Bartorstown, e rispondeva soltanto, monotono, che mancavano tredici miglia a Fall Creek. Il giorno dopo valicarono il passo. Len e Hostetter erano cupi e scontrosi, e non parlavano molto. Prima di mezzogiorno iniziarono la discesa, e da quel momento fu molto più facile avanzare. I muli procedevano svelti, come se avessero saputo di essere quasi a casa. Gli uomini diventarono allegri ed eccitati. Esaù continuava ad avvicinarsi a Hostetter, ogni volta che riusciva a liberarsi da Amity, e domandava: «Ci siamo?» E Hostetter annuiva, e diceva: «Quasi.» Uscirono dal passo con il sole pomeridiano negli occhi. La strada si congiunse con un’altra, che correva lungo il fianco di una parete rocciosa, e in fondo alla parete c’era una gola ampia, con l’ombra bluastra della parete opposta che già ne riempiva gli anfratti. Hostetter puntò il braccio. La sua voce non era né eccitata, né felice, né triste. «Eccola.» |
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