"Il mondo delle streghe" - читать интересную книгу автора (Norton Andre)

Capitolo quarto L’appello di Forte Sulcar

Simon si portò alle labbra il pesante boccale, e osservò attentamente la scena. All’inizio, aveva giudicato gli abitanti di Estcarp cupi e malinconici, oppressi dal peso schiacciante degli anni, ultimi resti d’una razza morente che aveva dimenticato tutto, tranne i sogni del passato. Ma durante quelle ultime settimane aveva scoperto poco a poco che quel giudizio era stato superficiale. Adesso, nella mensa delle Guardie, la sua attenzione vagava da un viso all’altro, valutando — e non per la prima volta — gli uomini con cui partecipava ogni giorno al servizio ed agli svaghi.

Le loro armi erano strane, certamente. Aveva dovuto imparare a maneggiare una spada nella mischia, ma i lanciadardi erano abbastanza simili alla sua automatica per non causargli problemi. Non avrebbe mai potuto eguagliare Koris, come guerriero… il suo rispetto per la destrezza di quel giovane era sconfinata. Tuttavia Simon conosceva le tattiche di altri eserciti e di altre guerre, e questo gli consentiva di dare consigli che persino l’altero comandante aveva finito per apprezzare.

Simon si era chiesto quale accoglienza gli avrebbero riservato le Guardie… dopotutto, stavano tentando una resistenza contro forze superiori, e per loro uno straniero poteva rappresentare un nemico, una breccia nel muro difensivo. Ma non aveva tenuto conto delle consuetudini di Estcarp. Unica tra le nazioni di quel continente, Estcarp era disposta ad accogliere un individuo dai precedenti assurdi quanto i suoi. Perché il potere di quell’antica fortezza era basato sulla… magia!

Tregarth assaporò il vino prima di trangugiarlo, riflettendo obiettivamente sulla questione della magia. Quella parola poteva indicare trucchi da prestigiatore, o superstizioni confuse… oppure poteva riferirsi a qualcosa di più potente. La volontà, l’immaginazione e la fede erano le armi della magia, così come l’usava Estcarp. Naturalmente, gli abitanti di quella terra avevano certi metodi per concentrare o intensificare la volontà, l’immaginazione e la fede. Ma il risultato era che essi si dimostravano molto aperti nei confronti di tutte le cose che non si potevano vedere o toccare e che non avevano un’esistenza visibile.

E l’odio e la paura dei loro vicini avevano la stessa base… la magia. Per Alizon, al nord, per Karsten al sud, il potere delle Streghe di Estcarp era maledetto. «Tu non permetterai che una strega rimanga in vita.» Quante volte quella frase era risuonata nel suo mondo come una maledizione contro colpevoli ed innocenti, e con giustificazioni assai meno convincenti.

Il matriarcato di Estcarp, infatti, possedeva poteri che trascendevano ogni spiegazione umana, e li usava spietatamente, quand’era necessario. Simon Tregarth aveva contribuito a condurre una strega fuori dal territorio di Alizon, dove si era avventurata a spiare per la sua gente.

Una strega… Simon bevve di nuovo. Non tutte le donne di Estcarp avevano il Potere. Era una dote che passava capricciosamente da una famiglia all’altra, da una generazione all’altra. Coloro che davano prova di possederla in tenera età venivano portate nella città centrale, e là venivano istruite e si votavano al loro ordine. Persino i nomi sparivano, perché rivelare ad un altro il proprio nome significava cedergli una parte della propria identità, e chi lo riceveva acquisiva potere su chi lo rivelava. Ora Simon poteva capire l’enormità della sua richiesta, quando aveva domandato il nome della donna che aveva aiutato a fuggire dalla brughiera.

Inoltre, il Potere non era costante. Usarlo oltre un certo limite poteva sfinire la strega. E poi, non era possibile evocarlo a volontà. Talvolta veniva a mancare in un momento cruciale. Perciò, nonostante le sue streghe e la sua sapienza, Estcarp aveva anche le Guardie dagli usberghi di maglia metallica, la fila di fortezze lungo i confini, le spade pronte ad uscire dai foderi.

«Sa…» Lo sgabello accanto a lui venne scostato dal tavolo, mentre un nuovo arrivato si metteva a sedere. «Fa caldo, per questa stagione.» Un elmo sbatté sul tavolo, e un lungo braccio si allungò per afferrare il boccale di vino.

Il falco che sovrastava l’elmo fissò Simon con gli occhi vitrei: il piumaggio metallico splendidamente lavorato imitava alla perfezione la realtà. Koris bevve, mentre veniva tempestato di domande. C’era disciplina, tra le forze di Estcarp, ma fuori servizio le differenze di rango non esistevano più, e gli uomini seduti intorno al tavolo erano avidi di notizie. Il comandante sbatté il boccale, energicamente, e rispose in tono vivace:

«Secondo me, sentirete il corno dell’adunata prima dell’ora della chiusura delle porte. Magnis Osberic ha chiesto il permesso di passare dalla strada occidentale. E aveva un seguito in pieno assetto di guerra. Secondo me, Gorm gli sta causando guai.»

Le sue parole caddero nel silenzio. Tutti, incluso Simon, ormai, sapevano cosa significava Gorm per il Capitano delle Guardie. Legalmente, la signoria di Gorm sarebbe spettata a Koris. La sua tragedia personale non aveva avuto inizio là, ma si era conclusa su quell’isola quando, ferito e solo, si era allontanato dalle sue rive, sospinto dalla corrente, disteso su una malconcia barca da pescatore.

Hilder, Sire Difensore di Gorm, era stato bloccato dal temporale nelle brughiere che rappresentavano una specie di terra di nessuno fra Alizon e le pianure di Estcarp. Separato dai suoi uomini, era caduto dal cavallo e si era spezzato un braccio, e poi aveva continuato a vagare, stordito dalla sofferenza e dalla febbre, nelle terre dei Tormen, la strana razza che occupava gli acquitrini resistendo a tutti gli intrusi, e non permetteva ad alcuna razza umana di stabilirsi in quella zona paludosa.

Non si era mai saputo perché mai Hilder non fosse stato ucciso o scacciato. Ma la sua storia aveva continuato a restare un mistero anche quando era tornato a Gorm, diversi mesi dopo, guarito, portando con sé la novella sposa. E gli uomini di Gorm — più esattamente, le donne di Gorm — non avevano approvato quel matrimonio, e mormoravano che era stalo imposto a Hilder in cambio della sua vita. La donna che aveva condotto con sé, infatti, aveva il corpo deforme, e la mente ancora più strana, poiché era del più puro sangue di Tor. Gli aveva dato Koris, e poi era scomparsa. Forse era morta, o forse era fuggita di nuovo tra la sua gente. Hilder doveva aver saputo la verità, ma non aveva mai più parlato di lei; a Gorm, erano stati così felici di sbarazzarsi della sovrana che non avevano fatto domande.

Era rimasto soltanto Koris, con la testa di un nobile di Gorm ed il corpo di un abitatore delle paludi: e nessuno aveva mai permesso che lo dimenticasse. A suo tempo, quando Hilder aveva preso una seconda moglie, Orna, figlia riccamente dotata di un armatore, a Gorm avevano ricominciato a mormorare ed a sperare. I sudditi furono ben lieti di accettare il secondogenito di Hilder, Uryan, che evidentemente non aveva una sola goccia di sangue sospetto nelle vene del suo corpo giovane e diritto.

Poi Hilder era morto. Ma aveva impiegato molto tempo a morire, e coloro che mormoravano avevano avuto la possibilità di prepararsi in vista di quel giorno. Quelli che pensavano di servirsi di Orna e di Uryan per i loro scopi s’erano sbagliati, perché la Dama Orna, astuta figlia di mercanti, non era una donna che si lasciava ingannare facilmente. Uryan era ancora un bambino, e lei sarebbe stata la reggente… sebbene vi fossero molti che si sarebbero opposti, a meno che lei avesse dato un’adeguata prova di forza.

Orna aveva messo abilmente i signori di Gorm l’uno contro l’altro, indebolendoli tutti e conservando intatte le sue forze. Ma commise un errore gravissimo quando cercò appoggio altrove. Era stata Orna ad attirare la rovina su Gorm, quando aveva chiamato segretamente la flotta di Kolder per appoggiare il suo potere.

Kolder si estendeva oltre il bordo del mondo marino, dove si poteva trovare solo un uomo su diecimila, tra i naviganti, che fosse in grado di parlarne. Gli uomini onesti — o gli uomini umani — si tenevano lontani da quel tetro porto e non attraccavano ai suoi moli. Dovunque si sapeva che gli abitanti di Kolder non erano come gli altri uomini, e che avere contatti con loro significava la dannazione.

Al giorno della morte di Hilder era seguita una notte di sanguinoso terrore. E solo un essere dotato della forza sovrumana di Koris avrebbe potuto sfuggire alla rete gettata per catturarlo. Poi vi fu solo morte, perché quando i Kolder giunsero a Gorm, Gorm cessò di esistere. Se adesso vi vivevano ancora alcuni di coloro che avevano conosciuto la vita sotto il regno di Hilder, non avevano speranze. Perché adesso Kolder era Gorm, sì, e non soltanto l’isola di Gorm, perché entro un anno cupe torri erano sorte in un altro tratto della costa, ed era nata una città chiamata Yle. Ma nessun uomo di Estcarp andava ad Yle… volontariamente.

Yle si estendeva come una chiazza sempre più ampia di putredine fra Estcarp e i suoi unici alleati, ad occidente… gli scorridori del mare di Forte Sulcar. Quei commercianti-guerrieri che conoscevano località selvagge e terre tanto diverse avevano costruito la loro roccaforte, per concessione di Estcarp, su una lingua di terra che si protendeva nel mare, la strada che permetteva loro di circumnavigare il mondo. I marinai di Forte Sulcar erano maestri del commercio, ma erano anche combattenti che si aggiravano incontrastati in mille porti. Nessun fante di Alizon, nessuno scudiero di Karsten rivolgeva la parola ad un uomo di Sulcar se non in tono gentile; e quei marinai erano considerati fratelli di spada dalle Guardie di Estcarp.

«Magnis Osberic non è il tipo da lanciare la freccia della chiamata, se non ha già munito le sue mura,» osservò Tunston, un ufficiale anziano, istruttore di tiro delle forze di Estcarp. Si alzò e si stirò. «Faremmo meglio a dare un’occhiata al nostro equipaggiamento. Se Forte Sulcar chiede aiuto, dovremo tenerci pronti a sguainare le spade.»

Koris si limitò a rispondere con un cenno del capo. Aveva intinto un dito nel boccale e stava tracciando righe sul tavolo lucido, mentre masticava distrattamente un pezzo di pane scuro. Quelle righe avevano un senso preciso per Simon, che guardava al di sopra delle spalle dell’altro: riproducevano mappe che aveva visto nella sala delle adunanze della fortezza cittadina.

La lingua di terra che recava Forte Sulcar all’estremità s’inarcava per cingere un’ampia baia, così che, attraverso la distesa delle acque, la città dei mercanti fronteggiava — a parecchie miglia di distanza — Aliz, il porto principale di Alizon. Entro i confini della baia era racchiusa l’isola di Gorm. E su questa, Koris tracciò scrupolosamente un punto per indicare Sippar, la città più importante.

Stranamente, Yle non si trovava sul lato della penisola rivolta verso la baia, ma sulla parte sudoccidentale della costa, verso il mare aperto. Poi c’era un lungo tratto accidentato che si estendeva verso sud, nel Ducato di Karsten, formato da scogliere rocciose che non offrivano ancoraggi sicuri alle navi. La baia di Gorm era stata il migliore sbocco della vecchia Estcarp sull’oceano occidentale.

Il Capitano delle Guardie studiò per un lungo istante lo schizzo, poi, con un’esclamazione d’impazienza, vi passò sopra la mano, cancellando le linee.

«C’è una sola strada che porta a Forte Sulcar?» chiese Simon. Dato che Yle si trovava a sud e Gorm a nord, gli eventuali contingenti partiti da uno dei due avamposti di Kolder avrebbero potuto tagliare in due la penisola senza troppa fatica.

Koris rise. «C’è una sola strada, e vecchia quanto il tempo. I nostri antenati non avevano previsto che Kolder s’insediasse in Gorm… chi avrebbe potuto immaginare una cosa simile? Per rendere sicura la strada,» proseguì, posando il pollice sul punto che aveva tracciato per indicare Sippar e premendolo sul legno levigato come se schiacciasse senza pietà un insetto, «dovremmo agire qui. Si cura una malattia colpendola all’origine, non occupandosi della febbre e del deperimento che segnano la sua presenza nell’organismo. E in questo caso,» concluse, alzando cupamente lo sguardo verso Tregarth, «non abbiamo elementi su cui basarci.»

«Una spia…»

L’ufficiale delle Guardie rise di nuovo. «Venti uomini si sono recati da Estcarp a Gorm. Uomini che si erano sottoposti al mutamento d’aspetto senza sapere se avrebbero mai più potuto vedere i loro volti in uno specchio, e tuttavia lieti di farlo… uomini fortificati da tutti gli incantesimi che la sapienza di questa terra poteva evocare per armarli. E da Sippar non si è saputo più nulla. Perché i Koldar non sono come gli altri uomini, e noi non sappiamo nulla dei loro mezzi di accertamento, a parte il fatto che sono infallibili. Alla fine, la Guardiana ha vietato altre iniziative del genere, poiché il consumo del Potere era troppo grande per quei risultati invariabilmente negativi. Io stesso ho tentato di andare laggiù, ma avevano gettato un incantesimo ai confini, e non sono stato in grado di spezzarlo. Sbarcare su Gorm significherebbe la morte, per me, e sono più utile ad Estcarp da vivo. No, non elimineremo questa piaga fino a che Sippar non sarà caduta, e non abbiamo ancora speranze di riuscirvi.»

«Ma… e se Forte Sulcar è minacciato?»

Koris riprese l’elmo. «Allora, amico Simon, entreremo in azione! Perché in questo sta la stranezza dei Kolder: quando combattono sulla loro terra o sulle loro navi, vincono sempre. Ma quando assalgono un territorio pulito, su cui non è ancora caduta la loro ombra, c’è speranza di sconfiggerli. E quando combattono gli uomini di Sulcar, i corvi della guerra hanno di che nutrirsi bene. Mi piacerebbe scontrarmi con i Kolder, appena possibile.»

«Verrò con te.» Era un’affermazione, più che una domanda. Simon si era accontentato di attendere e d’imparare. Aveva studiato con la pazienza appresa faticosamente negli ultimi anni, sapendo che fino a quando non avesse conosciuto le nozioni che qui significavano vita o morte non avrebbe potuto sperare di acquisire l’indipendenza. E qualche volta, durante i turni di notte, si era chiesto se per caso il tanto vantato Potere di Estcarp non era stato usato per indurlo ad accettare lo status quo senza discussioni e ribellioni. Ma se era così, ormai l’incantesimo stava cessando i suoi effetti; era deciso a vedere, di quel mondo, qualcosa di più della città; e sapeva che, se non fosse partito ora con la Guardia, sarebbe andato da solo.

Il Capitano lo scrutò. «Non si tratta di una rapida sortita.»

Simon rimase seduto: sapeva che all’altro non faceva piacere trovarsi di fronte a qualcuno più alto, e desiderava propiziarselo con quella cortesia che non gli costava nulla.

«Ti ho mai dato l’impressione di aspettarmi solo facili vittorie?» chiese in tono caustico.

«E allora, affidati ai dardi. Come spadaccino, non sei ancora migliore d’uno stalliere di Karsten!»

Simon non s’irritò per quelle parole: sapeva che era la verità. Come tiratore, con i lanciadardi era in grado di tener testa ai migliori del forte, ed a vincere di stretta misura. La lotta ed il combattimento senz’armi, in cui aveva introdotto i trucchi del judo, gli avevano assicurato una reputazione che ormai era arrivata sino alle fortezze del confine. Ma nell’uso della spada era di poco superiore alle reclute quasi imberbi. E quando maneggiava una delle mazze che Koris usava con agilità felina, lo faceva con estrema goffaggine.

«Userò il lanciadardi,» si affrettò a rispondere. «Ma verrò.»

«Così sia. Ma prima resta da vedere se dobbiamo metterci in marcia.»

La decisione fu presa nella riunione cui parteciparono gli ufficiali agli ordini di Koris e le streghe in servizio nel forte. Sebbene Simon non avesse un rango ufficiale, si azzardò a seguire il comandante e non venne respinto; sedette sul muretto, sotto una delle finestre, studiando con attenzione i presenti.

Presiedeva la Guardiana che governava il forte ed Estcarp, la donna senza nome che l’aveva interrogato all’arrivo. E dietro il suo seggio stava in piedi la strega sfuggita ai segugi di Alizon. Erano presenti altre cinque streghe, senza età — e senza sesso, si sarebbe detto — ma attente e vigili. Simon avrebbe preferito combattere con il loro appoggio piuttosto che avversarle. Non aveva mai conosciuto nessuno che somigliasse a loro, e non aveva mai visto personalità tanto poderose.

Adesso, di fronte a loro, stava un uomo che faceva apparire più piccolo tutto ciò che gli stava intorno. In qualunque altro luogo avrebbe potuto dominare la scena. Gli uomini di Estcarp erano alti e magri: ma questo sembrava un toro bronzeo, e accanto a lui essi apparivano come adolescenti che non avessero ancora finito di crescere. La corazza che gli copriva il petto sarebbe bastata quasi a ricavare due scudi per le Guardie; le spalle e le braccia erano poderose come quelle di Koris, ma il resto del suo corpo era in perfetta armonia.

Aveva il mento rasato, ma sul labbro superiore spuntavano baffi ispidi che si allungavano sulle guance coriacee. Le sopracciglia erano come una seconda barra pelosa sulla parte superiore del viso. L’elmo era sormontato da una testa d’orso, modellata splendidamente, con il muso contratto in un ringhio minaccioso. Un’enorme pelle d’orso, conciata e foderata di stoffa zafferano, formava il mantello: le zampe anteriori, ornate d’artigli d’oro, erano allacciate sotto il mento squadrato.

«Noi del Forte Sulcar rispettiamo la pace dei mercanti.» Evidentemente si sforzava di dominare la propria voce, ma riecheggiava tra le pareti della saletta. «È la manteniamo con le nostre spade, se si presenta la necessità. Ma contro gli stregoni della notte, a cosa serve l’acciaio? Non contesto l’antica sapienza,» disse, rivolgendosi direttamente alla Guardiana, come se si fronteggiassero attraverso il banco di una bottega. «Ognuno ha i suoi dei ed i suoi poteri, ed Estcarp non ha mai imposto ad altri la sua fede. Ma Kolder si comporta in modo ben diverso. Dilaga, ed i suoi nemici scompaiono! Ti assicuro, signora, che il nostro mondo morrà, se non ci leviamo insieme per erigere una barriera contro questa marea.»

«E tu, Mastro Mercante,» chiese la Guardiana, «hai mai veduto un uomo nato da donna che potesse controllare le maree?»

«Controllarle, no: ma sfruttarle, sì! Questa è la mia magia!» Il colosso si batté la mano sulla corazza in un gesto che sarebbe apparso teatrale in un altro, ma che in lui era naturale. «Ma non abbiamo simpatie per i Kolder, e quelli ora intendono colpire Forte Sulcar! Lascia che quegli sciocchi di Alizon credano di poter tenersi fuori: a tempo debito, verranno trattati come Gorm. Ma gli uomini di Sulcar hanno munito le loro mura… e combatteranno. E quando il nostro porto sarà caduto, le maree si avvicineranno a voi, signora. Dicono che possediate la magia del vento e della tempesta, e gli incantesimi che mutano la forma e la mente degli uomini. La vostra magia può resistere a Kolder?»

La donna si portò le mani alla gemma che le brillava sul petto e la sfiorò.

«Ti sto dicendo la verità, Magnis Osberic… non so. Kolder è un’incognita: non siamo riusciti a violarne le mura. Per il resto… sono d’accordo. È venuto il momento di resistere. Capitano,» disse, rivolgendosi a Koris, «qual è la tua opinione?»

Il bel volto di Koris non perse l’espressione amareggiata, ma i suoi occhi brillarono.

«Dico che dobbiamo usare le spade, finché possiamo! Con il tuo permesso, Estcarp andrà in soccorso di Forte Sulcar.»

«Le spade di Estcarp andranno in soccorso di Forte Sulcar, se questa è la tua decisione, Capitano, perché tua è la via delle armi. Ma verrà anche l’altro Potere, affinché possiamo offrire tutta la forza che è a nostra disposizione.»

La donna non fece alcun gesto, questa volta, ma la strega che era stata a spiare in Alizon girò intorno al seggio e si portò alla destra della Guardiana. I suoi scuri occhi obliqui scrutarono i presenti, fino a quando incontrarono Simon, che sedeva in disparte.

Forse l’ombra di un sorriso, svanita dopo un istante, s’era diffusa dagli occhi alle labbra? Simon non avrebbe potuto giurarlo, ma pensava che fosse così. Senza comprenderne il perché, sentì in quel momento un filo sottile che si tendeva tra loro; e non sapeva se quel legame lo irritasse o no.

Quando uscirono dalla città, a metà del pomeriggio, Simon si accorse che il suo cavallo procedeva al passo con quello di lei. Come gli uomini della Guardia, la donna portava l’usbergo di maglia e l’elmo con la lunga sciarpa metallica. Non c’erano differenze esteriori tra lei e gli altri, perché portava a fianco una spada ed un lanciadardi come quello di Simon.

«Dunque, guerriero venuto da un altro mondo…» La voce di lei era sommessa, e Simon pensò che volesse farsi udire da lui soltanto. «Ancora una volta percorriamo la stessa strada.»

Qualcosa, nella serena compostezza della donna, lo irritò. «Speriamo che, questa volta, saremo i cacciatori e non la selvaggina.»

«A ciascuno la sua giornata,» disse lei, indifferente. «In Alizon ero stata tradita, ed ero disarmata.»

«Mentre ora cavalchi con spada e lanciadardi.»

Lei diede un’occhiata al suo equipaggiamento e rise. «Sì, Simon Tregarth, con spada e lanciadardi… ed altre cose. Ma hai ragione di pensare a ciò che pensi: ci avviamo verso un incontro tenebroso.»

«È precognizione, signora?» La sua impazienza crebbe. In quel momento, era un miscredente. Confidare nell’acciaio era più facile che affidarsi alle intuizioni, agli sguardi, alle sensazioni.

«Precognizione, Simon.» Gli occhi obliqui lo guardarono con quell’ombra d’un sorriso. «Non ti impongo impegni, straniero. Ma so questo: i fili delle nostre due vite sono stati raccolti insieme nella Mano della Guardiana Celeste. Ciò che desideriamo e ciò che si avvererà possono essere due cose ben diverse. Dirò questo, e non solo a te, ma a tutti questi guerrieri… guardatevi dal luogo dove le rocce s’inarcano alte e risuona il grido delle aquile di mare!»

Simon sorrise forzatamente. «Credimi, signora, in questa terra io sto in guardia come se avessi occhi anche sulla nuca. Non è la mia prima spedizione.»

«Questo è noto. Altrimenti non saresti partito con il Falco.» La donna indicò Koris con un cenno del mento. «Se tu non fossi fatto di stoffa adatta non ti avrebbe voluto con sé. Koris è di stirpe guerriera, ed è un condottiero nato… per buona sorte di Estcarp!»

«E tu prevedi pericolo a Forte Sulcar?» insistette Simon.

Lei scosse il capo. «Tu sai com’è il Dono. Ci sono concessi solo frammenti… mai l’intero quadro. Ma nella mia immagine mentale non vi sono le mura d’una città. Tieni pronto il lanciadardi, Simon, e snuda i tuoi pugni esperti.» Sembrava di nuovo divertita, ma la sua risata non era ironica… era piuttosto la gaiezza del cameratismo. Simon sapeva che doveva accettarla alle sue condizioni.