"Il mondo delle streghe" - читать интересную книгу автора (Norton Andre)

Capitolo quinto Battaglia di demoni

Le truppe di Estcarp affrettarono l’andatura; ma li attendeva ancora un giorno di viaggio, quando ebbero superato l’ultimo posto di frontiera e si diressero verso la curva della strada che conduceva al porto. Avevano cambiato regolarmente i cavalli alle fortezze della Guardia ed avevano trascorso la notte nell’ultima, procedendo ad un trotto costante che divorava le miglia.

Sebbene gli uomini di Sulcar non cavalcassero con la stessa disinvoltura delle Guardie, restavano ostinatamente piazzati sulle selle che sembravano troppo piccole per la loro mole — Magnis Osberic non era il solo gigante, tra loro — e procedevano con la rabbiosa decisione di chi vede nel tempo un nemico minaccioso.

Ma il mattino era luminoso, e distese di arbusti dai fiori purpurei traevano splendore dal sole. L’aria portava la promessa delle onde salmastre e Simon provò un senso d’esaltazione che credeva di aver perduto ormai da molto tempo. Non si accorse di canticchiare sino a quando una voce un po’ roca, alla sua sinistra, lo interruppe.

«Gli uccelli cantano prima che il falco attacchi.»

Simon accettò quella frase ironica con buona grazia. «Mi rifiuto di ascoltare il gracchiare degli annunci di sventura… è una giornata troppo bella.»

La donna scostò la sciarpa di maglia metallica che le avvolgeva le spalle e la gola, come se quelle pieghe morbide l’imprigionassero. «Il mare… è nel vento…» Il suo sguardo vagò verso il punto dove la strada s’increspava all’orizzonte. «Noi di Estcarp abbiamo un po’ di mare nelle vene. È per questo che il sangue di Sulcar può mescolarsi con il nostro, come è avvenuto spesso. Un giorno mi piacerebbe avventurarmi sul mare. C’è un’attrazione nel movimento delle onde che si ritraggono dalla riva.»

Le sue parole erano un mormorio canoro, ma all’improvviso Simon si scosse: la melodia che aveva canticchiato gli si inaridì in gola. Non possedeva i doni delle streghe di Estcarp: ma nel profondo del suo essere qualcosa fremette, prese vita, e prima che avesse compreso la ragione del suo gesto, levò di scatto la mano in un segnale del suo passato, mentre tirava le redini del cavallo.

«Sì!» La donna alzò la mano a sua volta, e gli uomini che li seguivano si fermarono. Koris girò fulmineamente la testa: diede il segnale e l’intera compagnia si arrestò.

Il Capitano passò momentaneamente il comando a Tunston e tornò indietro. Avevano inviato esploratori lungo i fianchi della colonna: non si poteva certo parlare di scarsa vigilanza.

«Che c’è?» domandò Koris.

«Stiamo per imbatterci in qualcosa.» Simon scrutò il terreno più avanti: era scoperto, sotto il sole, e non sembrava nascondere insidie. Non si muoveva nulla, eccetto un uccello che volteggiava altissimo. Il vento era caduto, e i suoi refoli non scuotevano più gli arbusti. Eppure Simon avrebbe scommesso che davanti a loro c’era una trappola in attesa di scattare.

Lo stupore di Koris fu transitorio. Aveva già deviato lo sguardo da Simon alla strega. Lei stava protesa in avanti sulla sella, con le narici dilatate, ed aspirava profondamente. Sembrava che cercasse un’usta, come un segugio. Lasciò cadere le redini, mosse le dita tracciando certi segni, e poi annuì bruscamente, con profonda convinzione.

«Ha ragione lui. C’è uno spazio vuoto, più avanti, e non riesco a penetrarlo. Può essere una barriera di forza… o può nascondere un agguato.»

«Ma come ha potuto… non possiede il dono!» La protesta di Koris fu immediata ed aspra. Lanciò un’occhiata a Simon, che non riuscì ad interpretarla: ma non era certo un’espressione di fiducia. Poi impartì gli ordini, spronando il cavallo per guidare personalmente una di quelle manovre avvolgenti ideate per attirare allo scoperto un nemico troppo impaziente.

Simon estrasse il lanciadardi. Come aveva compreso… come sapeva che stavano avanzando nel pericolo? Già in passato aveva notato qualche indizio di quella facoltà precognitiva… come la notte in cui aveva incontrato Petronius: ma non era mai stata così nitida e chiara, carica di una forza che aumentava mentre lui procedeva.

La strega restò accanto a lui, dietro la prima schiera delle Guardie, e prese a cantilenare. Aveva estratto dal giaco di maglia metallica la gemma offuscata che era nel contempo un’arma e l’emblema del suo ministero. Poi la sollevò sopra la testa, tendendo le braccia, e gridò un comando, in una lingua diversa da quella che Simon aveva faticosamente imparato.

Apparve una formazione naturale di rocce che puntavano verso il cielo come le zanne d’una mandibola gigantesca; la strada passava tra due di esse, che si congiungevano formando un arco. Ai piedi delle pietre erette c’era una massa di cespugli, morti e bruni o vivi e verdi, che formavano uno schermo.

Un sottile raggio di luce, irradiato dalla gemma, colpì la roccia più alta: e nel punto di contatto tra la pietra e la luce si levò una spira di nebbia che si addensò, avvolgendo le colonne e la vegetazione.

E da quella coltre di vapore biancogrigiastro eruppe l’attacco: un’ondata di uomini armati e corazzati che avanzavano correndo, nel silenzio più totale. Gli elmi coprivano le teste, con le visiere abbassate, e conferivano a quegli esseri l’aspetto di uccelli rapaci. E quell’avanzata, senza ordini gridati e senza richiami, accresceva la stranezza dell’improvvisa sortita.

«Sul… Sul… Sul!!!» Gli scorridori del mare avevano sguainato le spade, e le facevano roteare al ritmo del grido tonante, mentre si disponevano in formazione a cuneo: Magnis Osberic era alla loro testa.

Le Guardie non lanciarono grida, e Koris non impartì ordini. Ma i tiratori scelti presero la mira e spararono, gli uomini armati di spada avanzarono al galoppo, levando alte le lame. E avevano il vantaggio di essere a cavallo, mentre i nemici silenziosi erano a piedi.

Simon aveva studiato le armature di Estcarp, e ne conosceva i punti deboli. Non sapeva se si poteva dire altrettanto delle armature di Kolder: comunque, mirò all’ascella di un uomo che stava sferrando un colpo alla prima Guardia giunta a contatto con l’ondata nemica. Il Kolder roteò su se stesso e crollò di schianto: la visiera appuntita si piantò nella terra.

«Sul… Sul… Sul…!» Il grido di guerra degli uomini di Sulcar era come il rombo della risacca, quando le due schiere s’incontrarono, si mescolarono, turbinarono in un rabbioso combattimento corpo a corpo. Nei primi istanti della mischia, Simon non badò a nulla, solo a ciò che doveva fare lui stesso, solo alla necessità di trovare un bersaglio. E poi cominciò a notare le caratteristiche degli uomini contro cui si battevano.

I guerrieri di Kolder non cercavano di difendersi. Uno dopo l’altro, si avventavano ciecamente verso la morte, senza passare in tempo dall’attacco alla difesa. Nessuno schivava, nessuno alzava lo scudo o la spada per evitare i colpi. I fanti si battevano con torva ferocia, ma quasi meccanicamente. Sembravano giocattoli ad orologeria, pensò Simon, caricati e messi in moto.

Eppure, avevano fama di essere i nemici più formidabili conosciuti su quel mondo! Ma ora venivano abbattuti con la stessa facilità con cui un bambino avrebbe potuto rovesciare una fila di soldatini di plastica.

Simon abbassò il lanciadardi. Qualcosa, dentro di lui, si ribellava all’idea di prendere di mira quei guerrieri. Spronò il cavallo verso destra, e vide una delle teste dalla visiera a becco girarsi nella sua direzione. Il Kolder avanzò al piccolo trotto, ma non impegnò Simon come questi si attendeva. Invece, si avventò come una tigre… sulla strega.

La perfezione con cui lei controllava il suo cavallo la salvò dalla violenza dell’urto: la sua spada descrisse un arco dall’alto in basso. Ma il colpo non era perfetto: urtò la visiera appuntita del Kolder e venne deviato oltre la spalla.

Anche se quell’individuo poteva essere cieco sotto altri aspetti, era esperto nella scherma. La lunga lama azzurra lampeggiò, superò la spada della strega e gliela fece sbalzare dalla mano. Allora il Kolder gettò via la sua arma, e la mano coperta dal guanto di nera maglia metallica l’afferrò alla cintura, strappandola dalla sella nonostante la sua resistenza, con la stessa facilità con cui avrebbe potuto farlo Koris.

Simon si avventò sul Kolder: e la bizzarra carenza che stava facendo perdere lo scontro ai suoi camerati era presente anche in quell’uomo. La strega lottava così disperatamente nella sua stretta che Simon non osò servirsi della spada. Sfilò il piede dalla staffa, mentre spingeva avanti il cavallo, e sferrò un calcio con tutte le sue forze.

La punta dello stivale colpì la parte posteriore dell’elmo rotondo del Kolder, e l’urto intorpidì il piede di Simon. L’uomo perse l’equilibrio e crollò in avanti, trascinando con sé la strega. Simon balzò dalla sella, barcollando, temendo che la gamba informicolita cedesse. Le sue mani brancolanti scivolavano sulle spalle corazzate del Kolder, ma riuscì a strapparlo via dalla donna ansimante ed a scagliarlo riverso sul dorso: quello restò là, come uno scarafaggio, agitando debolmente le mani e le gambe e volgendo verso l’alto la visiera appuntita.

La donna si sfilò i guanti e s’inginocchiò accanto al Kolder, per slacciargli le fibbie dell’elmo. Simon l’afferrò per le spalle.

«Monta!» ordinò, conducendo il cavallo verso di lei.

La donna scosse il capo, e continuò quel che stava facendo. La cinghia cedette, e lei strappò via l’elmo. Simon non sapeva che cosa si fosse aspettato di vedere. La sua immaginazione, più vivida di quanto lui stesso fosse disposto ad ammettere, aveva evocato diverse immagini mentali degli odiati alieni… ma nessuna corrispondeva alla realtà.

«Herlwin!»

L’elmo di Koris, con il cimiero a forma di falco, si interpose tra Simon e quella faccia: il Capitano della Guardia s’inginocchiò a fianco della strega. Le sue mani si protesero verso le spalle del caduto come per stringerlo in un abbraccio amichevole.

Gli occhi erano azzurroverdi come quelli del Capitano, in un volto altrettanto bello e regolare: ma non fissavano colui che l’aveva chiamato, e neppure gli altri due che gli stavano intorno. La strega staccò le mani di Koris. Sollevò con le dita il mento dell’uomo, tenendo ferma la testa ondeggiante e scrutando quegli occhi ciechi. Poi lo lasciò e si scostò, pulendosi vigorosamente le mani sull’erba ruvida. Koris la guardò.

«Herlwin?» Era più una domanda rivolta alla strega che un appello all’uomo chiuso nell’armatura dei Kolder.

«Uccidilo!» ordinò lei, a denti stretti. La mano di Koris scattò verso la spada che aveva lasciato cadere sull’erba.

«Non puoi!» protestò Simon. Herlwin era ormai innocuo, stordito dal tonfo. Non potevano trafiggerlo a sangue freddo. Lo sguardo della donna cercò il suo: era gelido come l’acciaio. Poi lei indicò la testa del caduto, che ondeggiava di nuovo avanti e indietro.

«Guarda, uomo di un altro mondo!» E lo tirò giù, accanto a sé.

Con una strana riluttanza, Simon fece ciò che aveva fatto lei: prese tra le mani la testa dell’uomo. E nell’istante del contatto sussultò violentemente. Non c’era calore umano in quella pelle: non aveva il freddo del metallo o della pietra, ma di una sostanza immonda e flaccida, sebbene apparisse compatta allo sguardo. Quando fissò lo sguardo in quegli occhi vitrei sentì, più che non vedesse, un nulla totale che non poteva essere il risultato di un colpo, per quanto energico e ben centrato. Era qualcosa che non aveva mai conosciuto… un pazzo ha ancora l’umanità, un corpo mutilato o storpiato può suscitare una pietà che attenua l’orrore. Ma lì era la negazione di tutto ciò che era giusto, una cosa atrocemente isolata dal mondo, e Simon non poteva credere che fosse destinata a vedere il sole ed a camminare sulla terra.

Come aveva fatto poco prima la strega, si ripulì le mani sull’erba, cercando di liberarsi dalla contaminazione. Si rialzò in piedi e voltò le spalle, mentre Koris brandiva la spada. Ciò che il capitano aveva colpito era già morto… morto da molto tempo… e dannato.

C’erano soltanto morti nell’esercito di Kolder, adesso, e due guardie erano state uccise, ed il cadavere d’un uomo di Sulcar legato sulla sella del suo cavallo. L’attacco era stato d’una inefficienza così sorprendente che Simon poteva soltanto chiedersi perché fosse stato lanciato. Seguì il Capitano, e si accorse che stava cercando di scoprire qualcosa.

«Togliete gli elmi ai caduti!» L’ordine passò da un gruppo di Guardie all’altro. E sotto ognuno di quegli elmi dalla visiera appuntita videro gli stessi volti pallidi, con i corti capelli biondi: i lineamenti indicavano che erano della stessa razza di Koris.

«Midir!» Il capitano si soffermò accanto ad un altro caduto. Una mano si mosse: dalla gola dell’uomo uscì un rantolo di morte. «Uccidetelo!» L’ordine del capitano era spassionato: e venne eseguito con rapida efficienza.

Koris andò ad esaminare ognuno dei caduti, e altre tre volte ordinò di dare il colpo di grazia. Una muscolo tremava all’angolo della bocca ben modellata, e ciò che ardeva nei suoi occhi era ben diverso dal nulla che si era rispecchiato negli occhi dei nemici. Dopo aver completato il giro, il comandante tornò da Magnis e dalla Strega.

«Sono tutti di Gorm!»

«Erano tutti di Gorm,» lo corresse la donna. «Gorm è morta quando ha aperto le porte ai Kolder. Coloro che giacciono qui non sono gli uomini che tu ricordi, Koris. Non sono più uomini da molto tempo… molto, molto tempo! Sono mani e piedi, macchine da combattimento al servizio dei loro padroni, ma non hanno vita. Quando il Potere li ha costretti ad uscire dal nascondiglio, hanno potuto solo obbedire all’unico ordine che avevano ricevuto… attaccare ed uccidere. I Kolder possono servirsi di queste loro creature per indebolire le nostre forze prima di sferrare i colpi peggiori.»

La bocca del Capitano si contrasse in qualcosa che sembrava un sorriso, ma non lo era.

«Quindi, in un certo senso, tradiscono una loro debolezza. È possibile che siano a corto di combattenti?» Poi si corresse, rinfoderando la spada, bruscamente. «Ma chi può sapere cosa c’è nella mente di un Kolder… Se sono in grado di far questo, forse hanno in serbo per noi altre sorprese.»

Simon procedette all’avanguardia, quando lasciarono il campo di battaglia. Non aveva potuto collaborare nell’esecuzione del compito finale che la strega aveva imposto, e adesso preferiva non pensare ai cadaveri decapitati. Era difficile accettare quella che sapeva essere la verità.

«I morti non combattono!» Non si era accorto di aver proferito a voce alta quella protesta, se non nel momento in cui Koris gli rispose.

«Herlwin sembrava nato dal mare. L’ho visto dare la caccia al pesce lancia armato soltanto di un coltello. Midir era una recluta della guardia, e inciampava ancora per la fretta quando suonava la tromba dell’adunata, al tempo in cui i Kolder vennero a Gorm. Li conoscevo bene entrambi. Eppure i corpi che abbiamo lasciato dietro di noi non erano né Herlwin né Midir.»

«Un uomo è tre cose.» Era la strega a parlare, adesso. «È un corpo che agisce, una mente che pensa, uno spirito che sente. Oppure nel tuo mondo gli uomini sono costruiti in modo diverso, Simon? Non posso crederlo, perché tu agisci, pensi e senti! Uccidi il corpo e libererai lo spirito; uccidi la mente, e spesso il corpo deve continuare a vivere per qualche tempo in una dolorosa schiavitù, suscitando la pietà altrui. Ma uccidi lo spirito e permetti che continui a vivere il corpo, forse anche la mente…» La sua voce tremava. «È un peccato che trascende la capacità di comprensione della nostra razza. Ed è appunto la sorte toccata agli uomini di Gorm. Ciò che appare sotto il loro aspetto non dovrebbe neppure essere veduto dagli esseri viventi! Soltanto l’empio commercio con le cose più proibite poteva produrre una simile morte.»

«E sarà il modo in cui morremo noi, signora, se i Kolder entreranno nel Forte Sulcar, come entrarono in Gorm.» Il Mastro Mercante spinse il robusto cavallo al loro fianco.

«Qui li abbiamo sconfitti: ma che accadrà, se potranno radunare legioni di uomini semivivi per assaltare le nostre mura? Vi sono solo pochi guerrieri nel forte, poiché questa è la stagione dei commerci, e i nove decimi delle nostre navi sono in mare. La fortezza è pressoché sguarnita. Un uomo può avere la volontà di mozzare molte teste, ma il suo braccio si stanca. E se i nemici continueranno ad affluire, potranno sopraffarci grazie alla sola superiorità numerica. Infatti non hanno paura per se stessi, e continuano ad avanzare anche quando uno di noi, al loro posto, si comporterebbe diversamente!»

Koris e la strega non risposero. Simon si sentì un po’ rassicurato quando, ore dopo, scorse per la prima volta il porto mercantile. Anche se la prima vocazione degli uomini di Sulcar era la navigazione, erano anche abili costruttori, e avevano sfruttato tutti i vantaggi naturali del luogo che avevano scelto per erigere la fortezza. Verso terra, c’erano le mura con le torri di guardia e feritoie in abbondanza. Solo quando Magnis Osberic li condusse all’interno poterono rendersi conto della potenza della fortezza.

Due bracci di rocce si protendevano incurvandosi verso il mare, come le chele di un granchio: e in mezzo c’era il porto. Ma ognuna delle chele era stata rinforzata con muri, tratti di mattoni, posti d’osservazione, piccoli fortini, collegati alla massa centrale da un labirinto di passaggi sotterranei. Dov’era possibile, le mura esterne scendevano fino all’acqua, in modo da non offrire appigli agli assedianti.

«Si direbbe,» commentò Simon, «che il Forte di Sulcar sia stato costruito in previsione di una guerra.»

Magnis Osberic rise, bruscamente. «Mastro Tregarth, la Pace delle Strade può essere valida per la nostra gente entro i confini di Estcarp, e in una certa misura anche entro quelli di Alizon e di Karsten… purché noi facciamo risuonare il tintinnio dell’oro all’orecchio di certe persone. Ma altrove, in tutto il mondo, noi mettiamo in mostra le spade, insieme alle nostre merci, e questo è il cuore del nostro regno. Nei magazzeni c’è il nostro sangue vitale… perché le merci che barattiamo sono la nostra esistenza. Saccheggiare Forte Sulcar è il sogno di tutti i signorotti e di tutti i pirati di questo mondo!

«Può darsi che i Kolder siano una razza di demoni, come si vocifera: ma non disdegnano le cose belle di questa terra. Anch’essi vorrebbero tuffare le zampe nelle nostre ricchezze. È per questo che noi abbiamo, qui, anche un’ultima difesa… se Forte Sulcar cadesse, i suoi conquistatori non ne trarrebbero profitto!» Batté il grosso pugno sul parapetto, violentemente. «Forte Sulcar fu costruito ai tempi del mio bisavolo, per assicurare alla nostra razza un porto sicuro in caso di tempesta… la tempesta della guerra, e non soltanto del vento e delle onde. Ed ora sembra che ne abbiamo veramente bisogno.»

«Tre navi in porto.» Koris le aveva contate. «Un mercantile e due vascelli armati.»

«Il mercantile partirà per Karsten all’alba. Poiché trasporta merci per il Duca, potrà battere la sua bandiera, e il suo equipaggio non avrà bisogno di armi nel porto d’arrivo,» osservò Osberic.

«Si dice che il Duca intenda sposarsi. Ma c’è un monile samiano, in uno scrigno caricato a bordo, destinato al collo candido di Aldis. Si direbbe che Yvian sia intenzionato a mettere il braccialetto nuziale al polso di un’altra: ma non ha intenzione di portarne uno anche lui.»

La strega scrollò le spalle; e Koris sembrava interessato alle navi, più che ai pettegolezzi del regno vicino. «E i vascelli armati?» chiese.

«Quelli resteranno, per un po’.» Il Mastro Mercante divenne evasivo. «Svolgeranno servizio di pattuglia. Preferisco sapere chi si avvicina per mare.»

Un bombardiere avrebbe potuto ridurre in macerie il guscio esterno di Forte Sulcar con un paio di passaggi, l’artiglieria pesante avrebbe potuto sfondarne le mura massicce in poche ore, pensò Simon mentre continuava il giro d’ispezione insieme a Koris. Ma c’era un labirinto di gallerie e di camere, sotto le fondamenta, e alcune portavano al mare. Gli accessi erano chiusi da porte sbarrate. A meno che i Kolder disponessero di armi molto superiori a quelle che aveva avuto modo di vedere su quel mondo, il nervosismo dei mercanti era ingiustificato. E lo si poteva anche credere, fino a quando si ricordavano i guerrieri di Gorm.

Simon notò poi che, sebbene vi fossero numerosi corpi di guardia, ed arsenali piene di panoplie cariche d’armi, e soprattutto di pesanti asce, c’erano pochi uomini, sparsi qua e là, e le pattuglie di guardia erano molto distanziate, sulle mura. Forte Sulcar era in grado di accogliere e di equipaggiare migliaia di uomini, ma lì erano poco più di cento.

Koris, la strega e Simon salirono su una torre affacciata sul mare, e il vento della sera li investì.

«Non oso spogliare Estcarp dei suoi uomini,» disse rabbiosamente Koris, come se rispondesse ad una osservazione che i suoi compagni non avevano formulato, «per concentrare qui il grosso delle nostre forze. Sarebbe come invitare Alizon ed il Ducato ad invaderci da nord e da sud. Osberic è protetto da un guscio che neppure le fauci dei Kolder potrebbero stritolare, secondo me; ma, dentro, gli uomini mancano. Ha atteso troppo a lungo: con tutti i suoi, se li avesse tenuti in porto, avrebbe potuto spuntarla. Ma così, ne dubito.»

«Ne dubiti, Koris, ma combatterai,» disse la donna. Il suo tono non era né incoraggiante né scoraggiante. «Perché è quel che bisogna fare. E può darsi che questa fortezza spezzi le fauci dei Kolder. Ma Kolder si avvicina… in questo la previsione di Magnis è esatta.»

Il Capitano la guardò, ansiosamente: «Hai una precognizione da annunciarmi, signora?»

Lei scosse il capo. «Non pretendere da me quello che non posso dare, Capitano. Quando siamo finiti in quell’imboscata, non riuscivo a vedere altro che un vuoto, davanti a noi. Ho riconosciuto Kolder da quel segno negativo. Ma non posso fare di meglio. E tu, Simon?»

Tregarth trasalì. «Io? Ma io non possiedo il tuo Potere…» incominciò; poi aggiunse, sinceramente: «Non posso dire nulla… Solo, come soldato ritengo che questo forte sia efficiente: ma ora mi ci sento prigioniero.» Aveva aggiunto quelle parole quasi senza riflettere, ma sapeva che erano esatte.

«Questo non lo diremo ad Osberic,» decise Koris. Continuarono, insieme, ad osservare il porto mentre il sole tramontava, e la città perse sempre di più il suo aspetto di rifugio ed assunse quello di una gabbia.