"Nel cuore della cometa" - читать интересную книгу автора (Benford Gregory, Brin David)VIRGINIAIl posto puzzava di uomo rancido, sporco. Virginia arricciò il naso quando entrò nella palestra per il suo periodo di ginnastica obbligatoria. In effetti, non è che a Virginia importasse poi tanto di quell'odore. Non le importava neppure degli uomini. Virginia aveva le proprie motivazioni. Per lei, offrirsi volontaria per il Progetto Halley aveva poco a che fare con l'intruppare comete per il raccolto. Si spogliò, rimanendo in calzoncini, e salì su una bicicletta ergonometrica attaccando le cinghie per il biomonitoraggio. Virginia spinse sui pedali accelerando fino a quando il piccolo schermo non le mostrò che stava soddisfacendo gli ordini del dottor van Zoon. La palestra per gli allenamenti si trovava nella ruota gravitazionale della Aveva considerato la possibilità di manipolare il flusso dei dati diretti al centro medico, inserendo un feedback simulato da parte di tutte quelle macchine per la ginnastica. E avrebbe anche potuto farlo. Virginia non aveva nessuna modestia circa la sua competenza nel campo dell'Intelligenza Dati. Lefty d'Amaria poteva anche essere il capo della sezione, ma là lei era la migliore. Di solito era orgogliosa del suo fisico sempre in forma e ci teneva a conservarlo. A casa, alle Hawaii, aveva avuto l'abitudine di fare il surf ogni secondo giorno. Ma adesso pareva che dovesse scrollarsi di dosso un'apatia che la sovrastava ancora dopo un anno di sonno ibernato. Ancora tre settimane prima era stata in animazione sospesa, con le funzioni vitali che ticchettavano appena al di sopra del punto di congelamento. Forse era la perdurante pigrizia dovuta ai farmaci assunti per la «bara» criogenica che la rendevano così riluttante a scendere in palestra. Ci dette dentro, fingendo di pedalare lungo il ponte di Linai-Maui. Il rombo onnipresente della ruota gravitazionale si dissolse in un sottofondo immaginario di acque e venti ruggenti. Virginia immaginò che la porta davanti a lei potesse farla uscire, spalancandosi di colpo sulla gialla luce del sole e il ricco profumo dell'ananas. Dopo l'esercizio, i suoi muscoli erano caldi e tesi. Ed Decise di compiere una rapida passeggiata intorno alla ruota della gravità prima di tornare in quella porzione della nave in cui vigeva la caduta libera. Virginia s'incamminò con le sue lunghe gambe nella direzione contraria al senso di rotazione della ruota. Pareva che non ci fosse nessuno in giro. Il dottor Marguerite von Zoon non stimolava gli Il giro di Virginia lungo il corridoio periferico la fece passare davanti a una delle scale a pioli fissi e oltre, fino alla porzione della ruota occupata dai laboratori. Le porte erano tutte chiuse, così non avrebbe saputo dire se in quel momento la sezione delle Scienze Biologiche veniva usata. Si fermò accanto alla porta, la mano esitante, mezzo sollevata verso il campanello. Tutto quello che lei sapeva era che quell'uomo l'affascinava, più di quanto avesse sperimentato nei confronti di qualcuno, da molti anni a questa parte. Era forse dovuto alla sua esperienza con la vita? Oppure l'espressione dei suoi occhi: perseveranza e una tranquilla energia? Da quando era stata disibernata, aveva sperato che le dicesse qualcosa, che facesse una qualche prima mossa. Era stato frustrante, alla fine, rendersi conto che lui, semplicemente, supponeva che lei lo vedesse come una figura paterna. Ciò aveva ridotto Virginia a chiedersi se non avesse dovuto tentare lei stessa un primo approccio. La sua esitazione, con la mano a mezz'aria davanti al campanello, durò fino a quando non si sentì ridicola. Più tardi avrebbe avuto l'opportunità di organizzare qualcosa di più usuale. Per lo meno, quella sarebbe andata bene come scusa. Oh, se soltanto fosse stata in grado di capire la gente anche solo la metà di come capiva le macchine! Girò su se stessa e se ne andò, senza disturbare il campanello. Mentre percorreva il corridoio periferico, ebbe modo di osservare in quanti modi la Virginia era convinta che niente l'avrebbe più sorpresa, ma quando di avvicinò a un'altra di quelle scale a pioli, si fermò e la fissò. Uno degli sfiatatoi dell'aria gocciolava sul corridoio curvo. Chiazze di muffa verde-scura scolorivano il pavimento dove l'effetto Coriolis aveva spinto una piccola pozzanghera contro la parete. Le generose labbra di Virginia si contrassero per il disgusto mentre scavalcava con cautela quella muffosa infestazione e si arrampicava su per l'umida scala verso l'asse di rotazione, facendosi un appunto mentale di riferire la cosa al servizio manutenzione. Era difficile credere che fosse stata lei a scoprirlo. I pioli premettero contro il suo corpo quando cedette velocità angolare alla rotazione della ruota. Il condotto lungo cui correva la scala a pioli fissi era malamente illuminato, umido e fin troppo puzzolente. Soltanto la metà dei pannelli fosforescenti di quel pozzo funzionavano, facendo assomigliare un po' quella salita ad un'escursione attraverso la fogna di una città. I quattrocento membri della spedizione avrebbero avuto ben poco da fare durante tre quarti di secolo… soltanto indagare sui misteri di uno dei maggiori nuclei cometari… controllare la velocità di sublimazione e gli sbalzi direzionali provocati dalle influenze gravitazionali… un altro periodo impegnativo fra trent'anni o giù di lì, quando Halley fosse arrivata al punto più lontano dal Sole, e lei, Virginia, avrebbe dato una mano a calcolare i parametri per la Grande Manovra, la più importante… poi la lunga caduta verso Giove, e infine a casa. Per la maggior parte del tempo intermedio, quasi tutti sarebbero rimasti addormentati, in animazione sospesa, quasi senza sognare, accumulando la paga sulla Terra. Sarebbe stato allora che le piccole squadre addette, a rotazione, ai turni di guardia, avrebbero lentamente rimesso in sesto la povera Salendo, una mano dopo l'altra, Virginia sentì il suo peso filtrar via dentro la scala, nell'avvicinarsi ai borbottanti cuscinetti a sfera, dove la gravità nulla dello spazio ritornava. Le quattro gallerie con le scale a pioli si congiungevano in una piccola stanza rotante di forma ottagonale. Poco prima di raggiungere il fulcro, tuttavia, Virginia sbatté gli occhi stordita per la sorpresa nel vedere una piccola perdita di lubrificante, che spruzzava un sottile vapore untuoso dentro il corridoio. — Disgustoso — mormorò a bassa voce. — Semplicemente disgustoso. Fu allora che una voce parlò da un punto oltre il sottile spruzzo oleoso. — Sono d'accordo, Virginia. Virginia sollevò lo sguardo di scatto. Un uomo leggermente obeso, con la divisa grigia della nave, fluttuava accanto a una delle due uscite. La sua ampia bocca slava era atteggiata a un'espressione amareggiata. Un berretto di lana era calcato sopra i radi capelli castani chiazzati di grigio. Le sue braccia erano lunghe e possenti, ancora di più dal momento che non aveva gambe. Lo spaziale di seconda classe Otis Sergeov non era mai parso particolarmente impacciato dal suo handicap. Al contrario, pareva che questo lo rendesse più veloce in condizioni di microgravità. Virginia aveva sentito dire che adesso Sergeov era stato assegnato come aiuto a Joao Quiverian e agli altri astronomi che studiavano la cometa di Halley. Era il Essere uno dei primi aveva i suoi svantaggi. I famosi primissimi lavori di Simon Percell nel campo della chirurgia genetica avevano permesso ai genitori di Sergeov di avere dei bambini. Ma un difetto cromosomico gli aveva dato soltanto dei moncherini sotto i calzoni. — Oh, ciao, Otis — lo salutò Virginia. — Bisognerà far qualcosa. Qualcuno ha già fatto rapporto? Lo spaziale russo scrollò le spalle. — Cosa diavolo serve riferire cosa del genere? Nessuno fa niente, di sicuro — brontolò amareggiato, in un misto di russo e d'inglese. — Quei Virginia ammiccò più volte a quell'apparente non sequitur. Poi notò che Sergeov neppure guardava la perdita di lubrificante. Virginia si lasciò trasportare dalla lenta rotazione dell'asse fino a trovarsi alla stessa altezza dell'uomo, poi passò di fianco allo spruzzo intermittente e si spinse via con forza. La stanza ottagonale parve roteare intorno a lei. Dovette afferrare due volte un appiglio gommato per riuscire a stringerlo saldamente, e anche così il suo corpo andò a sbattere contro la parete imbottita. Sergeov le indicò qualcosa. — Pensi che i burocrati ortho faranno qualcosa per questo, eh? — sbottò. Virginia ammiccò di nuovo. Sergeov stava fissando, furioso, un graffito tracciato sulla paratia vicino ai borbottanti cuscinetti a sfere dell'asse. — Arco del sole. — Sergeov identificò il simbolo in tono caustico. — Quei — L'ho visto altre volte — disse Virginia, con voce sommessa. Si sentiva un po' col fiato corto davanti a quella vista inaspettata. — Perfino alle Hawaii… — E allora? — l'interruppe Sergeov, sprezzante. — Perfino nella Terra del Popolo Dorato? Perfino nel vostro paradiso tecno-umanistico? Virginia corrugò la fronte. Sulla Terra, durante il periodo di addestramento per la missione, aveva sviluppato una viva antipatia nei confronti di Sergeov, percelliano o no che fosse. Lui aveva passato quasi tutta la sua vita nello spazio, trasformando i suoi inconvenienti fisici in vantaggi in caduta libera, eppure tutte le volte che lo incontrava si sentiva a disagio, come se quell'uomo irradiasse un'amarezza da troppo tempo repressa. Promise a se stessa che avrebbe usato il proprio computer per insinuarsi tra le file del personale. Avrebbe fatto in modo di non condividere mai lo stesso turno fuori dalle capsule ibernanti durante i settant'anni che li aspettavano. — Arrivederci, Otis. Ho del lavoro da fare. — Ma lui la fermò, afferrandole il braccio. — Tu sai che questo non è il primo incidente — disse. — È soltanto quello più appariscente. Alcuni Virginia scrollò le spalle. — Tutti si sono trovati in condizione di forte stress, di recente. Ciò cambierà non appena gli habitat saranno stati completati, e una volta che la gente avrà trovato di nuovo lo spazio per muoversi. Quando avremo sgelato un po' di gente dai trasporti e avremo modo di vedere qualche faccia nuova, tanto per cambiare… La stretta di Sergeov era ferrea, dopo aver trasportato per anni apparecchiature spaziali. — Potrà alleggerire i sintomi — insisté, — ma la malattia continuerà. Hai visto com'era la Terra quando siamo partiti. Uno dopo l'altro, quei Virginia voleva soltanto che quell'uomo le lasciasse libero il braccio. Si sforzò di ragionare con lui. — Le nazioni dell'America e dell'Africa equatoriale hanno vissuto un secolo infernale, Otis. Neppure a me piace la svolta speciosa assunta dalla loro ideologia negli anni più recenti, ma per lo meno oggi sono ambientalisti. Se sono diventati un po' fanatici in quella direzione, be', chiunque ammetterà che è un miglioramento rispetto al modo in cui si comportavano i loro nonni. Il pendolo tornerà indietro un'altra volta. A Virginia non piaceva l'espressione della faccia di Sergeov. La guardava come se lei fosse penosamente, perfino criminalmente ingenua. — Tu lo pensi davvero? Ma no, mia cara, giovane percell. Questo è soltanto l'inizio. Sono già in guerra con noi! Il suo volto non rasato si fece più vicino. — E chi può biasimarli? Quando l' — Oh, suvvia, Otis. — Virginia scoppiò in una risatina secca, cercando di alleggerire il tono. — Non è che pochi percell rappresentino il passo successivo dell'evol… — No, ascolta «Ma ciò non significa neppure che possiamo permettere che dei bastardi ci schiaccino. Sta a noi agire per primi, o perire! Anche se erano chiaramente soli, Virginia si guardò rapidamente intorno. Non voleva trovarsi in giro se quei discorsi sediziosi potevano venir ascoltati da qualcuno. Senza sprecare nessun movimento, usò una mossa di judo per liberarsi da quella stretta, districando il braccio con forza e mandando l'uomo a roteare all'indietro. Sereov batté la testa contro la paratia nuda. — Auh! — protestò, stupito e offeso. — — Voi estremisti Sergeov fece una smorfia, sfregandosi la testa. — Chiedi agli esseri umani Spingendosi lungo le pareti con le mani, Virginia arretrò come un pesce davanti a uno squalo, anche se Sergeov non mostrava nessuna inclinazione a seguirla. Una volta in fondo al pozzo, a pochi metri da lì, si girò di scatto a prendendo lo slancio con un calcio infilò il corridoio fiocamente illuminato diretta al suo rifugio. Ogni cosa, nalla capsula privata da lavoro di Virginia, era ordinata, pulita, efficiente. Gli schermi e le immagini olografiche opalescenti che circondavano il suo letto a rete, tutto funzionava alla perfezione. Lontano da casa e da tutto ciò che aveva conosciuto, perfino sfrecciando fuori dal sistema solare a trenta chilometri al secondo, quello era il centro del suo universo. Si accertò una volta di più che tutto funzionasse a dovere. Ufficialmente il suo ruolo era quello di fornire un aiuto specialistico alla Sezione di Calcolo. Ma in realtà aveva intrigato per riuscire a partecipare a quella missione con la speranza di riuscire a portare avanti parte della propria ricerca. Nel tipo di ambiente scientifico che si stava sviluppando sulla Terra, il genere di cose che le interessavano venivano guardate con sospetto. A destra, ficcata sotto il ripiano d'una scrivania, c'era una tozza scatola che conteneva la sua speciale unità di simulazione; l'organo Keimar computerizzato le era costato quasi tutta la piccola dotazione di effetti personali concessa a ciascuno di loro, ma ne era valsa la pena. Le luci sul pannello s'incresparono quando il portello sibilò e si richiuse dietro di lei, e lei si lasciò scivolare sul letto a rete. Quindi si affibbiò la cintura e parlò, con voce sommessa: — Ciao, JonVon. Lo schermo dell'olo principale brillò: CIAO, VIRGINIA. OGGI SI Virginia sorrise. Senza dubbio, negli ottant'anni che l'aspettavano, sarebbero stati compiuti molti progressi. Doveva succedere — perfino in mezzo al più ostinato conservatorismo scientifico. Ma in quel momento il suo protetto era il migliore che ci fosse, non convenzionale: usava una tecnologia assolutamente bandita a casa, ma a suo giudizio la migliore di tutte come efficienza. Aveva chiamato l'unità col nome di John von Neumann, l'inventore della teoria dei giochi. Il programma-mainframe poteva mimare dieci modelli di reazione umana tanto bene da superare un test di Turing del terzo stadio… ingannando una persona che non fosse al corrente nel corso d'una normale conversazione di cinque minuti al videotelefono, inducendola a pensare che il volto e la voce all'altra estremità fossero quelli d'una persona reale, e non di un computer. JonVon poteva perfino raccontare barzellette sporche, ridacchiando maliziosamente al momento giusto. Senza precedenti, sì. Ma esibizioni come quella non rappresentavano una vera «intelligenza della macchina», non alla maniera che Virginia riteneva possibile. L'hardware molecolare di quella scatola da cinque litri Durante le prossime settimane avrebbe avuto poco tempo per impegnarsi nei propri esperimenti privati. Avrebbe dovuto usare tutta la sua attrezzatura, JonVon compreso, per integrare il mainframe della nave. Quasi tutte le sue energie erano dedicate a preparare quei modelli matematici che gli spaziali del capitano Cruz continuavano a esigere. Più tardi, però, durante i suoi anni del turno di guardia, avrebbe avuto il tempo di farlo. Il tempo per lavorare e per pensare senza dover diluire i propri pensieri. Era una delle ragioni per cui le piacevano i vecchi film su schermo piatto… le piaceva simulare le stelle cinematografiche dei vecchi tempi e i poeti di tanto tempo fa. Lanciò un'occhiata all'orologio inciso in maniera indelebile sotto l'unghia del pollice sinistro. — Che ne diresti di venti minuti di distrazione, Johnny? — Virginia sollevò un cavo dalla consolle e mise allo scoperto un bozzolo biancastro sulla sua nuca. Una volta stabilito il collegamento, con un «clic!», i simboli sullo schermo furono accompagnati da una ricca voce dentro la sua testa: POESIA, VIRGINIA? Lei si affrettò a rispondere, d'impulso, con una sfilza di versi: La linea del suo nervo acustico ronzò: STILE MISTO, VIRGINIA? LA SECONDA PARTE SI APPLICA ALL'AMORE? Virginia arrossì. — Oh, zitto, sciocco. Suvvia, adesso, diamo un'occhiata alle sottoroutine della tua conversazione. |
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